[…]
CONSIDERATO IN FATTO
Il 29 novembre 1978 decedeva […] lasciando testamento pubblico datato 26 ottobre 1978, nel quale – fra l’altro e per quanto interessa oggi in questa sede – si premetteva che “l’intero palazzetto di Roma […] fu acquistato con mio denaro per cui la nuda proprietà a favore di mio figlio […] (come dal rogito notaio […] in data 28 marzo 1947) fu oggetto di una mia donazione indiretta allo stesso figlio […] col preciso intento di fargli ereditare l’intero immobile alla mia morte, senza fargli pagare le imposte di successione”.
Con atto di citazione notificato il 31 gennaio ed il 1 febbraio 1979 la figlia del detto de cuius […] conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Roma i propri germani coeredi […] ed […] chiedendo la declaratoria di simulazione dell’acquisto, da parte del fratello, della nuda proprietà del suddetto fabbricato e di considerarlo donazione indiretta, l’ulteriore declaratoria che il testamento del genitore scomparso non era stata rispettata nei suoi confronti, nonché di disporre la collazione di tutti i beni ereditari alla massa da dividere in modo da dare attuazione alla volontà del de cuius, di assegnare a ciascuno dei coeredi la rispettiva quota con il relativo possesso e, in subordine, di assegnare ad essa medesima e previa riduzione nei confronti dei coeredi la quota di legittima, facendo obbligo ai convenuti di provvedere al rendimento dei conti”. Instauratosi il contraddittorio, la germana […], nel costituirsi, esponeva di aver anch’essa richiesta la collazione con citazione notificata l’11 dicembre 1978 e non seguita da iscrizione a ruolo sul presupposto di una soluzione bonaria della controversia, aderiva.
Il convenuto fratello […] resisteva, chiedendone il rigetto, all’avversa domanda della germana ed, in via riconvenzionale, chiedeva l’accertamento della nullità del citato testamento pubblico per incapacità di intendere e volere del testatore, nonché – ancora – disporre la collazione alla massa ereditaria delle donazioni ricevute da entrambe le germane. All’esito la […] provvedeva a riassumere la causa, che – come accennato – aveva, in precedenza, promosso e la iscriveva a molo.
Dalla riunione dei due giudizi scaturiva il processo, di durata ultratrentennale, per cui oggi è causa, contrassegnato – fra l’altro e come da atti – dalla costituzione in giudizio di […] quale unica erede del marito […] e da molteplici pronunce. Fra queste, innanzitutto, la sentenza non definitiva in data 30 novembre 1984/23 settembre 1985, con cui il Tribunale di Roma (rimettendo le parti innanzi al G.I. per il prosieguo del giudizio) rigettava la domanda diretta a far dichiarare simulato il suindicato contratto di acquisto, nonché quelle dirette a far disporre la collazione dell’immobile come in epigrafe acquistato o, comunque, del prezzo erogato per l’acquisto della nuda proprietà di […]. A detta prima decisione del Giudice di primo grado seguivano, in successione, la sentenza 9 febbraio 1988-18 gennaio 1989 della Corte di appello di Roma, che – in parziale riforma della precedente sentenza – ordinava a […] di conferire alla massa relitta dal de cuius la somma di L. quattro milioni a lui donata dal defunto genitore per l’acquisto della nuda proprietà del fabbricato in contestazione con i relativi interessi legali decorrenti dalla data di apertura della successione; la decisione n. 9282 del 5 agosto 1992 delle SS.UU. di questa Corte, la quale affermava che oggetto della donazione e del conseguente conferimento era, ex art. 737 c.c., l’immobile e non il denaro impiegato per l’acquisto del medesimo; la sentenza, in esito al conseguente giudizio di rinvio, della Corte di Appello di Roma del 25 luglio 1994 con la quale veniva ordinato il conferimento alla massa ereditaria della sola nuda proprietà dell’immobile suddetto, sentenza di poi impugnata in sede di legittimità ed annullata, in punto, dal questa Corte (che in data 3 maggio 1997, respingendo il ricorso della […], accoglieva i ricorsi delle germane […] per la parte in cui era stato, dal giudice del merito, ordinato il conferimento alla massa ereditaria della sola nuda proprietà) ed, a sua volta, seguita dalla pronuncia della Corte distrettuale capitolina del 27 dicembre 2000, con la quale – in riforma della prima sentenza, non definitiva, di primo grado – si disponeva il conferimento alla massa ereditaria, da parte della […], della piena proprietà dell’edificio di […]. A questo punto il Tribunale di Roma, proseguendo il giudizio non definito a seguito della citata impugnata sentenza parziale del 23 settembre 1985 provvedeva alla riunione dell’originario giudizio con altro nelle more avviato, con citazione del 1995, dalle sorelle […] nei confronti della […] per sentire accertato e dichiarato che la quota spettante alla convenuta ed al suo dante causa non poteva superare quella di 2/9 riservata ai legittimari sul presupposto che il fratello […], rifiutando l’accettazione delle disposizioni testamentarie paterne aveva diritto a conseguire solo quanto riservato per legge (per completezza, in tale ultimo giudizio instaurato la […] resisteva, eccependo l’inammissibilità della domanda delle anzidette germane in quanto già proposta e respinta nel pregresso giudizio di rinvio innanzi alla Corte di Appello). Con sentenza parziale n. 22482/2002 il Tribunale di Roma rigettava l’impugnazione del testamento proposta da […] per incapacità del testatore […], già deceduto il 29 novembre 1978 lasciando testamento pubblico datato 26 ottobre 1978. Con sentenza definitiva n. 22938/2006 lo stesso Tribunale capitolino condannava […] a versare a […] la somma di Euro 309.449,62 oltre interessi legali con decorrenza dal 29 novembre 1978 e a […] la somma di Euro 226.995,27 oltre interessi legali dalla medesima decorrenza.
Avverso le anzidette decisioni del Tribunale interponevano appello:
– in via principale, […], che deducendo la nullità ed erroneità della sentenza, per aspetti formali (violazione dell’art. 132 c.p.c.) e di merito (diversità delle somme da versare ad essa) chiedeva la sua integrale riforma;
– […], che chiedeva il rigetto per infondatezza dell’appello principale e svolgeva appello incidentale al fine di veder accertata l’esatta consistenza delle somme da restituire per la affermata collazione per imputazione;
– […], che instava per l’inammissibilità e comunque il rigetto nel merito dell’appello principale, proponendo appello incidentale al fine di veder accolte le sue già formulate conclusioni di primo grado (dichiarazione di nullità del testamento del defunto per sua incapacità di intendere e volere). All’esito delle conclusioni rassegnate innanzi al Consigliere Istruttore – secondo il rito vigente anteriormente al 1 maggio 1995, la causa era rimessa al Collegio all’udienza del 4 febbraio 2011, giorno in cui la causa passava in decisione, oltre che nel merito, anche su istanza di sospensiva della cennata sentenza definitiva 22938/2006. Successivamente, stante il ritardo nella stesura della motivazione da parte del consigliere relatore ed una istanza di sollecito del provvedimento sulla inibitoria, il Presidente del Collegio della Corte di Appello riteneva opportuno provvedere direttamente alla stesura della motivazione ex art. 276 c.p.c., u.c. e art. 131 disp. att. c.p.c.. La Corte, quindi, con sentenza n. 2753/2012 del 22 maggio 2012 in parziale accoglimento dell’appello incidentale proposto da […] e, quindi, in parziale riforma della sentenza definitiva n. 22938/2006 rigettava la domanda proposta da […] e […] per il pagamento dell’indennità per l’occupazione dell’immobile di Vicolo delle Vacche, con consequenziale revoca della condanna di cui al punto 2) del dispositivo della citata sentenza definitiva, confermando nel resto le due appellate sentenze previo rigetto tanto dell’appello incidentale che di quelli incidentali e condanna delle germane […] alla refusione della metà delle spese del grado di giudizio in favore della […]. Per la cassazione della detta sentenza ricorre […] con atto fondato su quattro ordini di motivi. Resistono con controricorsi […] e […], entrambe proponendo ricorsi incidentali, fondati ciascuno su due ordini di motivi.
In particolare […] precisa in atto che, essendo le posizioni processuali “di fatto adesive” sue e della germana […], non ha “quindi ragioni per resistere a nessuno dei quattro motivi del ricorso principale proposto da […]”. Resiste con controricorso avverso il ricorso incidentale della […] la ricorrente principale […]. […] ha, di poi, resistito con controricorso avverso il ricorso incidentale di […], eccependone l’inammissibilità e proponendo ulteriore ricorso incidentale fondato su un unico articolato motivo.
[…]
RITENUTO IN DIRITTO
1.- Con il primo motivo del ricorso principale proposto da […] si censura il vizio di “violazione dell’art. 132 c.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 111 cost., comma 6 per omessa motivazione in ordine all’appello incidentale proposto dalla Sig.ra […] in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (con conseguente) nullità della sentenza”. Si deduce, in sostanza, con l’esposto motivo che il rigetto del detto appello incidentale, per come risultante dal dispositivo dell’ultima decisione della Corte di Appello distrettuale (che, testualmente, statuiva il rigetto “…tanto dell’appello principale che di quelli incidentali”) concretizzerebbe una nullità della sentenza.
E ciò, secondo il motivo in esame, poiché il rigetto dell’appello incidentale della […] era senza motivazione (“non una parola – come affermato in ricorso – è spesa nelle motivazioni a giustificazione di tale rigetto”). Orbene, in proposito, va innanzitutto evidenziato l’innegabile carattere rivestito dalla sentenza della Corte di Appello per cui oggi è giudizio. Tale decisione avveniva, com’è facilmente desumibile dalle esposte vicende del complessivo iter processuale, all’esito di tutta una serie di decisioni che avevano già avuto modo di dirimere le molteplici intricate questioni sottese al giudizio. L’ultima sentenza, gravata dei ricorsi oggi in esame, costituiva – quindi – una fase, a ben vedere, ormai attuativa di quanto già esaminato e deciso nelle pregresse fasi del complesso giudizio. In ogni caso i motivi del disposto rigetto erano e sono del tutto desumibili dal contesto della sentenza per cui è ricorso.
Infine (e decisivamente) va osservato che, nella fattispecie, manca del tutto l’interesse alla censura attesa l’infondatezza del relativo appello alla luce – aspetto, quest’ultimo, di cui si dirà ancor più approfonditamente in seguito – del dato testuale dell’art. 747 c.c. (peraltro tale aspetto e le connesse questioni risultavano già affrontate e motivatamente decise).
Il motivo, in quanto infondato, deve, pertanto, essere rigettato.
2.- Con il secondo motivo del ricorso principale si deduce il vizio di “violazione e falsa applicazione degli artt. 746 e 747 cod. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Si lamenta, in sostanza, il rigetto dell’appello incidentale relativo alla considerazione come debito di valuta (e non di valore) del debito del coerede che conferisce. Viene, in proposito proposta, anche l’ipotesi di una rimessione (che, nella fattispecie sarebbe l’ennesima) della questione alle SS. UU. di questa Corte.
Il tutto al fine di un’ulteriore pronuncia sul momento della successione cui ancorare la ricostruzione della massa ereditaria con riferimento al debito del coerede obbligato al conferimento che andrebbe parametrato al valore attuale al momento dell’assegnazione delle quote.
In altre parole, ancora, si censura col motivo qui in esame il rigetto da parte dell’impugnata sentenza del motivo di appello inerente il valore di conferimento dell’immobile per imputazione al valore dello stesso al momento dell’apertura della successione, deducendo che il valore del bene andrebbe determinato con riferimento al momento dell’apertura della successione soltanto ai fini della determinazione della massa ereditaria, mentre ai fini dello scioglimento della comunione il valore del bene andrebbe stimato al momento della divisione.
Il motivo è del tutto infondato.
L’esposta e riassunta prospettazione del duplice modo di stima del valore di conferimento non trova, invero, appiglio in nessuna norma o principio correttamente intesi ed affermati.
Orbene, seppur comprensibile per il trascorrere del tempo e le mutevoli condizioni di valutazione economica, il desiderio di veder operata una stima in modo invero singolare, ma di guisa tale da soddisfare le proprie pretese mutanti con le predette condizioni non può essere assecondato in questa sede.
L’art. 747 c.c. dispone – testualmente – che la collazione per imputazione va effettuata avuto riguardo al valore dell’immobile al tempo dell’apertura della successione e, quindi, “a prescindere da ogni mutamento dipendente dalla diminuzione del potere di acquisto della moneta o da altro evento intervenuto in epoca successiva” (Cass civ., Sez. 2, 1 febbraio 1995, n. 1159). Questo è il dato, normativo e fondamentale, da cui deve, nell’ipotesi, partirsi.
Sussistono, poi, una serie di motivi che ostano alla prospettazione innanzi proposta col motivo in esame e richiamante risalenti e note posizioni, in argomento, di parte della dottrina.
Quest’ultimata evidenziato, in senso contrario a quanto stabilito con la decisione oggetto di gravame, che i beni da prelevare andrebbero stimati secondo il valore da essi conseguito al tempo della divisione e non dell’apertura della successione, sia perché tale ultimo momento sarebbe stato prescelto ex art. 747c.c. solo per la determinazione del valore dei bei donati, sia perché la regola generale sarebbe quella di procedere alla valutazione nell’attualità, cioè con riguardo al tempo in cui vengono svolte le operazioni di stima ed attuate quelle di scioglimento della comunione, mentre ogni altro criterio temporale rappresenterebbe un’eccezione alla regola suddetta e, come tale, non sarebbe invocabile fuori sei casi espressamente considerati. Senonché, in senso contrario a tali posizioni di parte della dottrina ed all’esposto motivo in esame, deve considerarsi che, una volta scelta dal condividente donatario la collazione per imputazione, la somma di danaro corrispondente al valore del bene donato, quale accertato con riferimento al momento dell’apertura della successione, viene fin da qual momento a far parte della massa ereditaria in sostituzione di bene donato sì che sin dall’inizio costituisce, ex lege ipsa, un debito di valuta del donatario cui, in quanto tale, va applicato il principio nominalistico.
Inoltre il carattere prodromico dei conferimenti non consente di includere le relative operazioni in quelle divisionali stricto sensu, onde – in definitiva – non sono ad essi applicabili le norme che regolano lo svolgimento di queste ultime, solo in riferimento alle quali – una volta già espletate le dette operazioni preliminari – vanno determinati i valori dei cespiti al tempo del concreto scioglimento della comunione.
Giova all’uopo ricordare come, già secondo note pronunce, “nel giudizio di divisione ereditaria, una volta che il condividente donatario abbia optato per la collazione per imputazione – la quale si differenzia da quella in natura per il fatto che i beni già oggetto di donazione rimangono di proprietà del medesimo condividente – la somma di denaro corrispondente al valore del bene donato, quale accertato con riferimento alla data di apertura della successione, viene fin da quel momento a far parte della massa ereditaria in sostituzione del bene donato, costituendo in tal modo ed ab origine un debito di valuta a carico del donatario ed a cui si applica il principio nominalistico e, pertanto, ne consegue che anche gli interessi legali vanno rapportati a tale valore e decorrono dal medesimo momento” (Cass. civ., Sez. 2, Sent. 23 ottobre 2008, n. 25646 e, conformemente, Cass., id., 30 luglio 2004, n. 14553). Il motivo in esame va, quindi, rigettato.
3.- Con il terzo motivo parti ricorrenti lamentano la “violazione e falsa applicazione degli artt. 555, 560, 746 e 747 cod. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Col motivo in esame si assume, in sostanza, l’erroneità della decisione impugnata in quanto, per effetto dell’obbligo di collazione, la ricostruzione della massa ereditaria andava effettuata ai valori del tempo dell’apertura della successione e poi, al fine della reintegra della legittima a favore delle sorelle […], la sua divisione andava effettuata secondo i valori attuali. Si assume, insomma, che – ai fini della reintegra della legittima a favore della ricorrente […] – la divisione andava effettuata con riguardo ai valori attuali.
Il motivo è inammissibile.
La domanda di riduzione, a suo tempo proposta dalla parte, era stata avanzata in via subordinata e l’esame della questione della lesione della legittima e degli effetti della stessa era ed precluso dall’assorbimento di essa conseguente all’accoglimento della domanda principale.
Il motivo è, pertanto, inammissibile.
4.- Con il quarto motivo del ricorso si prospetta il vizio di “violazione e falsa applicazione degli artt. 746 e 747 cod. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Ci si duole, in particolare, dell’accoglimento dell’appello incidentale della […] quanto alla liquidazione alle germane […] per l’edificio vicolo delle […] oggetto di collazione e, quindi, del mancato riconoscimento della medesima.
In sostanza viene sostenuta l’erroneità della gravata decisione riguardo all’esclusione del conferimento alla massa ereditaria dei frutti del bene conferito per imputazione, assumendo che il coerede, nonostante l’imputazione, aveva continuato a godere del bene e della relativa somma imputabile. La prospettazione del motivo in esame è infondata sotto più di un profilo e comporta l’infondatezza ed il conseguente rigetto del motivo stesso. La collazione per imputazione viene, infatti, attuata in due fasi:
dapprima con l’addebito del valore del bene donato (a carico della quota spettante all’erede donatario) e, poi, con il prelevamento, ex art. 725 c.c., di una corrispondente quantità di beni da parte degli eredi non donatari di guisa che nella collazione per imputazione i beni già oggetto di donazione rimangono di proprietà del coerede donatario, il quale li può trattenere in forza della pregressa donazione, versando alla massa solo l’equivalente pecuniario. Ne deriva che, una volta scelta dal condividente donatario la collazione per imputazione, la somma di denaro corrispondente al valore del bene donato, quale accertato con riferimento al momento dell’apertura della successione, viene sin da quel momento a fare parte della massa ereditaria in sostituzione del bene donato stesso così che ab origine costituisce per legge un debito di valuta del donatario,al quale si applica il principio nominalistico. Pertanto nella collazione per imputazione di un bene immobile devono essere imputati, insieme col valore della stima del bene al momento dell’apertura della successione, non i frutti civili del bene oggetto di collazione, ma gli interessi legali rapportati a tale valore e decorrenti dal momento dell’apertura della successione. Infine, come ben evidenziato con congrua ed adeguata motivazione dalla impugnata sentenza della Corte territoriale, la richiesta indennità non poteva comunque essere riconosciuta per la considerazione che, alla stregua del principio innanzi affermato e ribadito, il bene oggetto di donazione (e per il quale si svolge la collezione per imputazione nel senso dianzi compiutamente esposto) non passa mai in detenzione alle altre coeredi rimanendo sempre nella disponibilità del coerede obbligato alla collazione.
4.- Il ricorso principale deve, pertanto, essere rigettato.
5. – Con ricorso incidentale (notificato il 31 ottobre 2012) proposto da […] in uno al controricorso avverso il ricorso principale di […], si deduce, in primo luogo, il vizio della gravata decisione della Corte distrettuale costituito da “violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per omessa ed insufficiente valutazione degli elementi di prova in ordine ai motivi di appello incidentale proposto da […] in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”. Si lamenta, in sostanza, il “rigetto della richiesta avanzata dalla […] di declaratoria di nullità del testamento per incapacità del testatore” con una prospettazione che, di fatto, tende inammissibilmente, ad una rivalutazione delle prove già effettuata, nell’ambito delle prerogative ad esso assegnate dall’ordinamento, dal Giudice del merito.
Il motivo è, comunque, infondato in quanto l’impugnata sentenza, con motivazione logica ed immune da vizi, ha dato conto, facendo buon governo delle norme interpretative ed ermeneutiche, del disposto rigetto ogi lamentato.
6.- Col secondo motivo del ricorso incidentale in esame viene, di poi, censurato il vizio di “violazione e falsa applicazione dell’art. 747 c.c. per errata, omessa ed insufficiente considerazione dei beni da conferire in collazione in ordine ai motivi di appello incidentale proposto da […] in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”. Si lamenta, nella sostanza, il rigetto della domanda di collazione svolta nei confronti delle germane […], assumendo che taluno dei citati atti di compravendita (relativamente, in particolare, all’immobile sito alla via […] ed a sei appartamenti in [….]) era stato stipulato tra il de cuius le figlie. L’impugnata sentenza ha ritenuto inammissibile il corrispondente motivo.
La decisione oggi oggetto di gravame, che ha fatto buon governo delle norme di diritto e dei principi ermeneutici applicabili, appare, in punto, corretta da adeguata e logica motivazione.
L’inammissibilità del detto motivo oggetto dell’odierna lagnanza è ancor più fondata ove si ponga mente al fatto che, anche relativamente alle compravendite che la ricorrente incidentale assume stipulate direttamente tra il de cuius e le germane […], non era stata introdotta una specifica domanda di nullità, simulazione o altra azione nei confronti dei soggetti titolari dei beni. Il secondo motivo del ricorso incidentale in esame è, quindi, anch’esso infondato e deve essere rigettato.
7.- Conseguentemente a quanto testè esposto ed affermato nei due ultimi paragrafi il ricorso incidentale della […] Giovanna va respinto.
8.- […], con ricorso incidentale proposto in uno al controricorso avverso il ricorso principale, nonché al ricorso incidentale proposto dalla di […], prospetta l’erroneità della impugnata decisione della Corte Distrettuale adducendo due ordini di motivi.
Con il primo si censura la “violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in tema di collazione, divisione ereditaria e interpretazione del testamento : in particolare, degli art. 746, 734 e 1362 cod. civ., il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Viene riproposta la questione, che si assume elusa dal Giudice del merito, se la disciplina della collazione abbia o meno carattere inderogabile.
Sotto l’annunciato scopo di aver voluto e voler proporre una quaestio juris (“se la disciplina legale della collazione abbia o meno carattere inderogabile”) col motivo in esame si censura, nella sostanza, quanto già, con adeguata e congrua motivazione immune da vizi, ritenuto dai giudici di 1 e 11 grado e cioè che : – “la mancata accettazione del testamento (da parte del […]) ha fatto venir meno non solo gli effetti della disposizione a favore del non accettante, ma anche quelli della divisione prevista dal testatore”.
Il motivo qui in esame non appare, poi, neppure accoglibile con riguardo all’allagata prospettazione che era stata accolta una domanda di simulazione, il cui effetto implicava la presenza nell’asse ereditario del bene del detto germano […] e che non poteva ritenersi radicalmente caducato il testamento dalla mancata accettazione da parte del medesimo […] con conseguente possibilità di quest’ultimo di acquisire l’intera titolarità dell’immobile facendo venire meno sia la divisione fatta dal testatore che l’accrescimento a favore delle sorelle e facendo acquisire al non accettante un vantaggio anziché una sanzione. Il motivo è infondato.
La dissimulazione di una vendita con la donazione indiretta non implicava la presenza dell’immobile nell’asse relitto dal de cuius, ma soltanto l’obbligo di collazione in natura o per imputazione. Tanto per scelta incoercibile dal testatore, il quale -secondo noto e ribadito principio- ha,come donante, “il solo potere di dispensare dalla collazione, ma non può in alcun modo vincolare la sua scelta (del donatario-erede), qualora egli sia tenuto alla collazione, di conferire in natura il bene (immobile) ricevuto ovvero di attuare la collazione per imputazione” (Cass. civ. Sez. 2, Sent. 4 agosto 1982, n. 4381, nonché le precedenti conformi n.ri 1521/1980 e 1481/1979). È, quindi, del tutto infondata la censura a fronte del consolidato principio per cui l’adempimento dell’obbligo di legge (di conferire) rimane affidato all’erede beneficiato che è libero di scegliere, nell’ipotesi, su come conferire l’immobile. Deve, infine aggiungersi, che l’eventuale distorsione di valori pure lamentata nella divisone dell’asse ereditario de quo non è, a ben vedere, conseguente all’esercizio da parte del coerede della facoltà di collazione del bene per imputazione, ma deriva dalla previsione, di cui all’art. 747 c.c., dell’imputazione con riguardo al valore dell’immobile al tempo dell’apertura della successione ed alla impossibilità, in sede di divisione, di tenere conto -dopo l’avvenuta imputazione, dell’incremento di valore dell’immobile escluso dalla collazione per equivalente.
9.- Con il secondo motivo del ricorso incidentale in esame si deduce la “violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in tema di giudicato, collazione e simulazione : in particolare, degli artt. 324, 746 e 1414 cod. civ., il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Viene lamentato, in sostanza, la riforma della decisione di primo grado, da parte della Corte di Appello, in punto di cancellazione in favore di […] di una “indennità per il mancato uso dell’immobile”.
L’esposto motivo, nel replicare – in sostanza – il secondo motivo del ricorso principale- è, parimenti, infondato.
Infatti, come già innanzi affermato, svolta la collazione del bene il bene stesso non poteva che rimanere nella disponibilità di chi lo aveva avuto e, quindi, non vi era da dare “indennità” a terzi che quel bene comunque non avrebbero potuto detenere. Ancora infondata è l’erronea prospettazione di un insussistente giudicato interno. 10.- Il ricorso incidentale della […] va, quindi, rigettato.
11.- Con successivo altro ricorso incidentale (notificato il 2 dicembre 2012) proposto – in uno al controricorso avverso il ricorso incidentale proposto da […], la […] ha svolto altra censura avverso la già impugnata sentenza per “violazione e falsa applicazione degli artt. 560, 724 e 725 c.c., art. 360 c.p.c., n. 3 (e) omessa e/o contraddittoria motivazione sul punto (ex) art. 360 c.p.c., n. 5”. Col motivo si lamenta, in sostanza, l’erroneità della sentenza della Corte di Appello di Roma “nella parte in cui ha statuito di ridurre la quota di […] alla sola legittima, pari a 2/9 dell’intero”.
Il ricorso è assolutamente inammissibile.
Giova all’uopo rammentare che “la proposizione del ricorso principale per cassazione determina la consumazione del diritto di impugnazione, con la conseguenza che il ricorrente, ricevuta la notificazione del ricorso proposto dall’altra parte, non può introdurre nuovi e diversi motivi di censura con i motivi aggiunti, ne’ ripetere le stesse censure già avanzate con il proprio originario ricorso mediante un successivo ricorso incidentale, che, se proposto, va dichiarato inammissibile, pur restando esaminabile come controricorso nei limiti in cui sia rivolto a contrastare l’impugnazione avversaria” (Cass. civ., SS.UU. Sent. 22 febbraio 2012, n. 2568). Va, in proposito, esaustivamente rimarcato – in aggiunta al chiaro dictum della decisione appena innanzi citata – che, nei giudizi con più parti e con più ricorsi incidentali, ove, di volta in volta, si consentisse alla parte che ha già svolto un ricorso incidentale, di proporre o riproporre ulteriore ricorso incidentale (e non solo di controdedurre con controricorso) avverso ciascun altro dei ricorsi incidentali successivamente proposti da altre parti si instaurerebbe un perverso meccanismo che consentirebbe, all’infinito, la proposizione di controricorsi in dispregio del noto principio maestro della consumazione del diritto di impugnazione.
12.- Il (secondo) ricorso incidentale della […], di cui si è appena detto, va dunque dichiarato inammissibile.
13.- Sussistono giusti motivi, attesa anche la reciproca complessiva soccombenza, per compensare fra le parti le spese del giudizio.
[…]