[…]
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nell’impugnata decisione lo svolgimento del processo è esposto come segue.
“Con atto di appello notificato il 12 aprile 2002 ai sensi dell’art.143 c.p.c., la […] chiedeva la totale riforma della sentenza del Tribunale di Roma, sezione 10^ depositata il 29 – 5 – 2001, non notificata, che aveva rigettato la domanda da lei proposta nei confronti di […], quale saldo delle rette scolastiche relative agli anni 1994/95 e 1995/96 dovute per la frequentazione dell’istituto da parte delle due figlie minori della G[…], […] ed […].
Con l’appello la […] censurava la sentenza perché il Tribunale aveva erroneamente ritenuto che l’obbligazione, essendo stata assunta esclusivamente dal padre delle minori, non poteva essere azionata nei confronti della madre, negando così la responsabilità solidale dei genitori per le obbligazioni assunte per soddisfare bisogni familiari e chiedeva l’accoglimento delle domande proposte con l’atto di citazione di primo grado.
L’appellata restava contumace.
La causa era tenuta a decisione sulle conclusioni come sopra trascritte”.
Con sentenza 3.6 – 9.10.2003 la Corte di Appello di Roma, definitivamente decidendo, rigettava l’appello dichiarando “non luogo a provvedere sulle spese”.
Contro questa decisione ha proposto ricorso per cassazione la […].
La parte intimata non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I due motivi di ricorso vanno esaminati insieme in quanto connessi. Con il primo motivo la ricorrente […] denuncia “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3” esponendo doglianze che possono essere riassunte come segue. Nella decisione si legge: “La frequentazione di uma scuola privata costituisce una scelta che nel caso di specie risulta effettuata esclusivamente dal genitore che ha iscritto i figli, non emergendo un accordo e un impegno di entrambi i coniugi“. E poi: “Il soddisfacimento di bisogni familiari, quali quello dell’istruzione dei figli, invocato dall’appellante, nel caso di specie non risulta attinente, trattandosi di un costo di gran lunga superiore a quello relativo alla frequentazione del corso scolastico presso scuole pubbliche“. Tale motivazione, peraltro non esaustiva, viola e disattende totalmente non soltanto la norma di cui all’art. 143 c.c. che, nel prevedere in via generale quelli che sono i doveri reciproci che i coniugi assumono col matrimonio, espressamente vi comprende quello di contribuire ai bisogni della famiglia, riferendosi alle obbligazioni contratte nell’interesse della famiglia stessa, ma anche il dettato normativo di cui all’art. 147 c.c. che, specificatamente, impone ad entrambi i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole. Obbligo, questo, la cui sussistenza prescinde sia dal regime patrimoniale prescelto dai coniugi che dalla loro situazione personale. Nel caso di specie, la circostanza che a sottoscrivere il modulo di iscrizione scolastica sia stato unicamente il padre, non esclude la sussistenza dell’obbligazione solidale in capo al coniuge non stipulante, in quanto le obbligazioni assunte dai coniugi, anche separatamente, per l’istruzione dei figli, non avendo carattere strettamente personale, non determinano il sorgere del relativo rapporto obbligatorio solamente in capo a quello che le ha personalmente assunte, ma coinvolgono anche l’altro coniuge. È ormai consolidato orientamento, infatti, anche della Suprema Corte che: “l’obbligo imposto dall’art. 147 c.c. ad entrambi i coniugi di mantenere, istruire ed educare la prole si riverbera nei rapporti esterni, con la conseguenza che, ove si tratti di obbligazioni derivanti dal soddisfacimento di esigenze della famiglia, deve riconoscersi il potere dell’uno e dell’altro coniuge di fronte ai terzi, in virtù di mandato tacito, di compiere gli atti occorrenti e di assumere le relative obbligazioni con effetti vincolanti per entrambi, in deroga al principio secondo cui soltanto il coniuge che ha personalmente stipulato l’obbligazione risponde del debito contratto” (si veda, al riguardo, ex plurimis Cass. n. 8995/92). Peraltro la sig.ra […] nei due precedenti gradi di giudizio avrebbe già ben potuto anche esporre le eventuali contestazioni in merito alle scelte del marito relativamente al tipo di istituto scolastico a cui destinare le figlie. Anche il mero comportamento della convenuta, pertanto, lascia già configurare quel “tacito mandato” che ha prodotto ab origine effetti vincolanti anche per la stessa.
Con il secondo motivo la parte ricorrente denuncia “Omessa motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5” prospettando censure che vanno sintetizzate nel modo seguente. Il Giudice del gravame ha, peraltro, del tutto omesso di pronunciarsi sull’ulteriore punto dei motivi di appello inerente al regime patrimoniale dei coniugi, ne’ ha tanto meno motivato od argomentato tale omissione. Il Tribunale, in primo grado, aveva infatti posto a sostegno del principio dell’insussistenza dell’obbligazione solidale in capo ad entrambi i coniugi anche la ulteriore circostanza che il suddetto principio operasse indipendentemente dal fatto che i coniugi si trovino in regime di comunione dei beni, erroneamente richiamando le norme di cui agli artt. 189 e 190 c.c.; mentre invece il richiamo alla norma dell’art. 189 c.c. è del tutto fallace, visto che contempla il caso – diverso – in cui i coniugi contraggono separatamente obbligazioni nel compimento di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione. Diversamente, il caso dell’obbligazione assunta da un coniuge per bisogni familiari rientra in un’altra previsione normativa, quella dell’art. 186 c.c.. I due motivi di ricorso vanno respinti in quanto l’impugnata decisione è fondata su una motivazione che, specie se valutata anche alla luce delle sue parti implicite, deve essere considerata sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa in questione.
In particolare va rilevato quanto segue: – A) quanto all’affermata sussistenza dell’obbligazione solidale in capo al coniuge non stipulante va ribadita la correttezza della tesi in diritto sostenuta nell’impugnata sentenza e l’erroneità dell’assunto esposto dalla parte ricorrente; deve infetti essere confermato il seguente principio di diritto: “Nella disciplina del diritto di famiglia, introdotta dalla L. 19 maggio 1975, n. 151, l’obbligazione assunta da un coniuge, per soddisfare bisogni familiari, non pone l’altro coniuge nella veste di debitore solidale, difettando una deroga rispetto alla regola generale secondo cui il contratto non produce effetti rispetto ai terzi. Il suddetto principio opera indipendentemente dal fatto che i coniugi si trovino in regime di comunione dei beni, essendo la circostanza rilevante solo sotto il diverso profilo dell’invocabilità da parte del creditore della garanzia dei beni della comunione o del coniuge non stipulante, nei casi e nei limiti di cui agli artt. 189 e 190 c.c. (nuovo testo)” (Cass. Sentenza n. 3471 del 15/02/2007; cfr. anche Cass. Sentenza n. 5063 del 28/04/1992); ne’ la giurisprudenza citata dalla ricorrente (Cass. Sentenza a 8995 del 25/07/1992: “L’obbligo imposto dall’art.147 cod. civ. ad entrambi i coniugi di mantenere, istruire ed educare la prole si riverbera nei rapporti esterni, con la conseguenza che ove trattisi di obbligazioni derivanti dal soddisfacimento di esigenze primarie della famiglia, quali in particolare la cura della salute (nella specie: prestazioni sanitarie erogate da un professionista ai figli minorenni) deve riconoscersi il potere dell’uno e dell’altro coniuge di fronte ai terzi, in virtù di una mandato tacito, di compiere gli atti occorrenti e di assumere le correlative obbligazioni con effetti vincolanti per entrambi, in deroga al principio secondo cui soltanto il coniuge che ha personalmente stipulato l’obbligazione risponde del debito contratto) suffraga validamente le sue tesi, in quanto questa Corte ha espressamente limitato detta enunciazione all’ipotesi in cui si tratti di esigenze primarie (e per di più particolarmente essenziali: nella fattispecie considerata nella predetta decisione era infatti in questione il diritto alla salute; cfr. il seguente brano di motivazione della predetta motivazione: “… pur dovendosi riconoscere, in linea generale, che solo il coniuge che abbia personalmente stipulato l’obbligazione per contribuire il soddisfacimento dei bisogni della famiglia risponde del debito contratto, non si può non fare deroga a tale principio, allorché l’obbligazione riguardi un bisogno primario della famiglia quale quello della salute, dei suoi componenti, ed allorché a ciò si aggiunga il profilo dell’affidamento, ingenerato dagli stessi coniugi col loro comportamento, che l’obbligazione sia stata contratta anche per conto del coniuge non stipulante …”); mentre nella specie il Giudice; ha chiaramente (e solo in parte implicitamente) evidenziato che non era in questione un bisogno primario come quello dell’istruzione dei figli (bisogno che ben poteva essere soddisfatto ricorrendo a scuole pubbliche); ma semplicemente il desiderio di far frequentare alle minori una scuola privata; con la conseguenza che sarebbe: stato del tutto ingiustificato affermare l’inapplicabilità del sopra citato principio generale secondo il quale “... l’obbligazione assunta da un coniuge, per soddisfare bisogni familiari, non pone l’altro coniuge nella veste di debitore solidale …“; – B) la doglianza concernente l’affermata omessa pronuncia “... sull’ulteriore punto dei motivi di appello inerente al regime patrimoniale dei coniugi ...” deve ritenersi inammissibile per due ragioni ciascuna delle quali decisiva anche da sola: 1 – in quanto è chiaramente irrilevante dato che l’assunto del Giudice di secondo grado si basa su una ratio decidendi che prescinde dalla questione; la quale peraltro viene ritenuta irrilevante ai fini della decisione di merito persino dalla parte ricorrente, come si evince dalle parole “… obbligo, questo, la cui sussistenza prescinde sia dal regime patrimoniale prescelto dai coniugi …” che si leggono alla quattordicesima riga della terza facciata del ricorso; (v. del resto circa tale oggettiva irrilevanza Cass. Sentenza n. 3471 del 15/02/2007); 2 – in quanto la parte ricorrente avrebbe dovuto precisare – e non l’ha fatto ritualmente – non solo in quale atto, ma anche in che termini (in base al principio di autosufficienza del ricorso) aveva proposto la questione in secondo grado; e soprattutto avrebbe dovuto precisare quale interesse aveva a sollevare doglianze (comunque) correlate al fatto che il Giudice: di secondo grado, nel respingere le sue tesi, non aveva basato la sua decisione anche su detta argomentazione del Giudice di primo grado.
Non rimane dunque che rigettare il ricorso.
Non si deve provvedere sulle spese in quanto la parte intimata non ha svolto attività difensiva. […]