Corte di Cassazione,Sez. 4, Sentenza n. 26288 del 2015, dep. il 22/06/2015

[…]

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Reggio Calabria confermava, per quanto qui rileva, quella di primo grado che aveva affermato la penale responsabilità di […], […], […] e […] in ordine al delitto di cui all’art. 113 c.p. e art. 589 c.p., commi 1 e 2, per il reato di omicidio colposo aggravato dalla
violazione della normativa antinfortunistica in danno del lavoratore […], dipendente della ditta di costruzioni “[…]”, riconducibile al […], verificatosi durante i lavori di costruzione di una scuola elementare, condannando altresì gli imputati in solido al rimborso in favore delle parti civili delle spese del grado, ivi liquidate (fatto in data […].2003).
Secondo la ricostruzione dei fatti, mentre erano in corso le operazioni di gettata del cemento della soletta del telaio di base dell’opera con l’impiego di un’autopompa, munita di braccio flessibile, condotta da lavoratore- la cui penale responsabilità è stata accertata con sentenza passata in giudicato- il braccio in questione, allungandosi in altezza, era entrato in contatto con le linee dell’alta tensione soprastanti il cantiere; da tale manovra seguiva la messa sotto tensione del predetto braccio sino a folgorare il […], in quel momento impegnato proprio nelle operazioni di movimentazione del tubo attraverso cui fuoriusciva il cemento.
Il […], il […], […] e […] erano stati chiamati a risponderne nelle rispettive qualità: di datore di lavoro ( il primo), di coordinatori per la progettazione ed esecuzione dei lavori, nonché direttori dei lavori stessi (gli altri tre), per avere omesso di vigilare sull’esecuzione dei lavori e dunque di valutare i rischi connessi all’impiego dell’autopompa in presenza della linea ad alta tensione.
La colpa specifica degli imputati veniva fondata, nel capo di imputazione, sulla violazione degli obblighi previsti dal D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 4, in quanto nel prevedere espressamente l’utilizzo nell’esecuzione dei lavori della pompa per il getto del calcestruzzo, non avevano individuato nel piano di sicurezza dagli stessi elaborato alcuna indicazione preventiva atta ad eliminare il rischio cui erano esposti i lavoratori a causa della linea elettrica aerea posta in prossimità dell’area interessata ai lavori. La Corte di merito, nel confermare il giudizio di responsabilità a carico degli imputati, affermava in premessa, correggendo la motivazione del primo giudice, che gli imputati si erano posti il problema della presenza della linea aerea elettrica e che a seguito di incontri con il rappresentante dell’ENEL avevano aggiornato il piano di sicurezza, che nella versione del 6.6.2003 prevedeva la necessità di provvedimenti cautelativi (quali la realizzazione di apposite barriere, la delimitazione di attraversamenti protetti e di banchine di transito per i mezzi ordinari) proprio al fine di evitare il pericolo di contatti accidentali con i cavi.
Sotto tale ultimo profilo, si evidenziava che non vi era agli atti la prova certa che fossero state sistemate al suolo alcune tavole che dovevano dare la proiezione della soprastante linea elettrica, mentre tutti i dipendenti della ditta […] avevano riferito di non avere ricevuto indicazioni particolari circa i rischi nell’esecuzione dei lavori.
Ciò premesso, la Corte territoriale confermava il giudizio di responsabilità di tutti gli imputati sottolineando che il mero aggiornamento del piano di sicurezza non era sufficiente ad escludere la responsabilità, in difetto della predisposizione di misure concrete ed efficienti rispetto alla prevenzione del rischio di contatto con li linee aeree elettriche, essendo l’errore di manovra del lavoratore uno dei rischi fondamentali da prevedere e prevenire. In questo senso si sottolinea che, al di là del formale aggiornamento del piano di sicurezza, non era stata effettuata dagli imputati, prima di dare inizio alle operazioni, alcuna valutazione concreta dei rischi connessi alla gettata di calcestruzzo. Si prospettano, altresì, le misure che in concreto avrebbero dovuto essere adottate: quella di impiegare un’autopompa con un’apertura di braccio più ridotta oppure posizionare la macchina sull’altro lato del perimetro del fabbricato in costruzione non interessato dalla proiezione dell’elettrodotto.
Il diniego delle attenuanti generiche veniva giustificato con la gravità del fatto commesso e con l’assenza di condotta anche processuale degli imputati tale da fondare l’invocata attenuazione della pena.
Propongono ricorso per cassazione tutti gli imputati. I ricorsi vengono sotto sintetizzati, nei limiti imposti dall’art. 173 disp. att. c.p.p..
[…] Giuseppe articola due motivi.
Con il primo motivo lamenta l’erronea applicazione del D.P.R. n. 547 del 1955, sul rilievo che i giudici di merito avrebbero erroneamente ritenuto applicabile alla fattispecie la norma sopra indicata avente carattere generale rispetto a quella prevista dal D.P.R. n. 164 del 1956, art. 11, dettata proprio con riferimento agli infortuni sul lavoro nelle costruzioni, secondo cui non possono essere eseguiti lavori in prossimità di linee elettriche aeree a distanza minore di mt. 5 dalla costruzione o dai ponteggi, a meno che non si provveda alla predisposizione di adeguati mezzi di protezione atti ad evitare accidentali contatti o pericolosi avvicinamenti ai conduttori delle linee stesse.
Si sostiene che tale distanza era stata ampiamente rispettata, posto che il solaio sul quale si stava gettando il cemento era rialzato di soli 50/60 cm e che i cavi di alta tensione si trovavano a non meno di 12/13 mt. da terra.
Con il secondo motivo si duole dell’erronea applicazione dell’art. 41 c.p., comma 2, con riferimento all’omesso riconoscimento della interruzione del nesso causale a seguito dell’erronea manovra dell’operatore addetto all’autopompa, dipendente di altra ditta, che ” sbracciando” verso l’alto, aveva portato la macchina a contatto con i cavi, senza che di tale movimento vi fosse necessità per i lavori. Nessuna regola cautelare era stata violata da parte del datore di lavoro, il quale aveva assolto ai propri obblighi cautelari attraverso l’aggiornamento del POS e la previsione di modifiche nonché con l’avvio delle operazioni per la rimozione dei cavi elettrici da parte dell’ENEL.
[…] e [..], nella qualità di coordinatori per la progettazione ed esecuzione dei lavori,nonché direttori dei lavori, con un unico ricorso, articolano quattro motivi.
Con i primi due motivi, strettamente connessi, lamentano la manifesta illogicità della motivazione laddove aveva imputato ai ricorrenti un comportamento colposo in conseguenza di una errata rappresentazione della verità da parte dell’ispettore dell’ASL, il quale aveva erroneamente riferito che i soggetti tenuti per legge ad elaborare il piano di sicurezza non si fossero posti il problema della presenza della linea elettrica aerea mentre a pag 23 del piano di sicurezza e di coordinamento, come evidenziato nella stessa sentenza impugnata, si dava atto della presenza di linee elettriche e telefoniche da rimuovere prima dell’inizio delle lavorazioni. Lo stesso giudice di appello aveva dato atto che a seguito dei ritardi dell’ENEL nella rimozione della linea aerea, era stato aggiornato il piano di sicurezza dove, con riferimento al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 322, erano stati previsti provvedimenti cautelativi allo scopo di evitare contatti accidentali del veicolo o dei loro carichi con le linee elettriche.
L’inattendibilità delle dichiarazioni rese dal teste sopra indicato non aveva impedito alla Corte di appello di dare credito alla versione dei fatti dallo stesso sostenuta secondo la quale, intervenuto sul cantiere, a seguito dell’infortunio, non aveva visto alcuna barriera per evitare i contatti con l’alta tensione. Con il terzo motivo censurano la sentenza che aveva affermato la responsabilità nei loro confronti per delle negligenze imputabili ad altri, visto che da loro stessi era stata sollecitata la rimozione dei pericoli ed attuate le misure di prevenzione previste dal D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4, sistemando sul suolo delle tavole che segnavano la proiezione in verticale della soprastante linea elettrica, fungenti da punto di riferimento per gli spostamenti dell’autopompa e che l’infortunio si era verificato solo per la scelta nefasta del manovratore di innalzare senza alcuna motivazione il braccio meccanico, pur lavorando a livello del terreno. Con il quarto motivo si sostiene che i giudici di merito avevano erroneamente affermato che la manovra del conducente del mezzo meccanico non concretizzava una condotta abnorme tale da interrompere il nesso causale, pur essendo stato dimostrato che i responsabili della sicurezza avevano posto in essere tutti gli accorgimenti previsti dalla legge per la presenza di linee elettriche.
[…], nella qualità di coordinatore per la progettazione ed esecuzione dei lavori nonché direttore dei lavori, lamenta l’illogicità della motivazione che non aveva tenuto conto che in sede di redazione del piano di sicurezza non era prevedibile che la ditta alla quale l’impresa si sarebbe rivolta per la fornitura di calcestruzzo avrebbe inviato l’autopompa con il braccio più lungo, che aveva consentito il contatto con le linee elettriche che si trovavano ad un’altezza di 12 metri. Tale rischio non era prevedibile al momento della redazione del piano di sicurezza ma era governabile sia dal manovratore del mezzo sia dal capocantiere, oltre che dal […] che, come emergeva dal capo di imputazione, era presente sul cantiere e dall’altro direttore dei lavori, il […], pure presente all’inizio dei lavori. Nessuna condotta colposa era ascrivibile all’imputato, visto che, sia la scelta di utilizzare un’autopompa dal braccio lungo da poter impattare con il filo dell’alta tensione sia quella di non averla posizionata in un punto diverso, non erano imputabili al […].
Con il secondo motivo censura il diniego delle attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi sono infondati giacché la sentenza è in linea con l’apposita disciplina sulla prevenzione dei rischi risultanti dall’eventuale presenza, simultanea o successiva, di varie imprese o lavoratori autonomi nel medesimo contesto spaziale, dettata dal D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494 (di attuazione della direttiva 92/57/CEE, concernente prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili), applicabile ratione temporis al caso in esame, ed attualmente regolata del D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 88 e segg..
La sentenza, invero, a base dell’affermato giudizio di colpevolezza di tutti gli imputati, senza distinguere le diverse posizioni di garanzia, ha posto l’apprezzata carenza organizzativa addebitabile agli stessi che avevano trascurato di ottemperare agli obblighi previsti dal D.Lgs. n. 547 del 1955, art. 322, non avendo adottato alcuna concreta iniziativa volta ad eliminare il rischio connesso alla possibilità che la pompa entrasse in contatto con la linea aerea durante le operazioni di getto del calcestruzzo. La motivazione, per quanto eccessivamente semplificata, regge il vaglio di legittimità di questa Corte.
La posizione di garanzia ricoperta dal […], nella qualità di datore di lavoro della vittima, e dagli altri imputati, nella qualità di coordinatori per la progettazione e per la esecuzione dei lavori nonché di direttore dei lavori, imponeva loro di attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurandosi che si provvedesse ad eliminare il rischio dell’esposizione del lavoratore alla corrente elettrica. La ricostruzione operata in sentenza, con l’individuazione dell’addebito colposo sopra indicato e della rilevanza causale di detto addebito rispetto alla verificazione dell’evento mortale, non offre spazi per poter qui recepire i diversi assunti difensivi. Con riferimento alle doglianze proposte dal […], datore di lavoro della vittima, al di là del richiamo operato in sentenza D.P.R. n. 547 del 1955, art. 322, e non già il D.P.R. n. 164 del 1956, art. 11, come sostenuto dal difensore, va rilevato che l’addebito di colpa specifico è stato ricondotto sostanzialmente dai giudici di merito al dovere gravante sul datore di lavoro (e sulle altre figure previste dal D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4) di porre in essere adeguate forme di controllo idonee a prevenire i rischi della lavorazione.
La decisione gravata, confermativa di quella di primo grado, appare corretta siccome adottata in piena aderenza a quello che, per assunto pacifico, è il contenuto precettivo dell’art. 2087 c.c.. Come è noto, in forza della disposizione generale di cui all’art. 2087 c.c., e di quelle specifiche previste dalla normativa antinfortunistica, il datore di lavoro è costituito garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l’ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l’evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall’art. 40 c.p., comma 2. Ne consegue che il datore di lavoro, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici e del fatto che il lavoratore possa prestare la propria opera in condizioni di sicurezza, vigilando altresì a che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l’opera.
In altri termini, il datore di lavoro deve sempre attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l’adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all’attività lavorativa: tale obbligo dovendolo ricondurre, oltre che alle disposizioni specifiche, proprio, più generalmente, al disposto dell’art. 2087 c.c., in forza del quale il datore di lavoro è comunque costituito garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l’ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all’obbligo di tutela, l’evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo previsto dall’art. 40 c.p., comma 2, (v. Sez. 4^, 29 aprile 2008, n. 22622, Barzagli ed altri).
È in questo quadro normativo che si pone correttamente la sentenza impugnata, laddove ravvisa la colpa del […], e il conseguente nesso eziologico con l’evento dannoso, nel non aver questi adottato le doverose misure tecniche ed organizzative per eliminare il rischio di accidentali contatti con i conduttori della linea elettrica, consentendo l’utilizzo di un’autopompa per le operazioni di getto di calcestruzzo sul solaio di uno dei fabbricati in costruzione, in violazione della normativa di settore ( certamente più specifica, rispetto a quella citata dal giudice di appello, quella di cui al D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, art. 11, dettata proprio con riferimento alle costruzioni), così determinando le condizioni perché la pompa entrasse in contatto con la suddetta linea aerea, con la conseguente sottoposizione dell’operaio ad elettrocuzione. Da questa premesse, logicamente sostenibile, e quindi qui non sindacabile, è il conseguente giudizio di sussistenza della colpa e del nesso causale posto alla base della decisione di condanna, avendo il giudicante fornito una motivazione immune da censure, siccome del resto basata su una considerazione fattuale incontrovertibile.
Parimenti è infondata la censura, comune anche agli altri imputati, che rimarca la condotta colposa del conducente l’autopompa, dipendente della ditta fornitrice di calcestruzzo, il quale avrebbe ” sbracciato” verso l’alto il braccio meccanico dell’autopompa mentre avrebbe dovuto ritirarlo in orizzontale, per dedurne che essa costituisca fattore eccezionale interruttivo del nesso causale. Come evidenziato dal giudice di merito, l’errore di manovre del lavoratore costituisce proprio uno dei fondamentali e specifichi rischi da prevedere e prevenire e come tale non può ritenersi un evento del tutto anomalo ed eccentrico al normale svolgimenti del lavoro, da risultare imprevedibile e come tale inidoneo ad interrompere il nesso causale tra l’evento lesivo e la condotta omissiva dei titolari della posizione di garanzia.
I principi sopra indicati sono in linea con la giurisprudenza consolidata di questa Corte.
Non è prospettabile, rispetto al coinvolgimento del lavoratore, il tema dell’interruzione del nesso causale, ove si consideri che l’incidente si è svolto durante l’attività lavorativa in occasione di una attività richiesta proprio dall’imputato.
In realtà, il datore di lavoro, come sopra evidenziato, nella materia infortunistica, deve allestire le misure di sicurezza, deve informare e formare il lavoratore in relazione alla normativa antinfortunistica, ma deve anche controllare l’osservanza da parte del lavoratore della normativa antinfortunistica.
Ciò dovendolo desumere, in precedenza, dal D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 4 e, ora, dal D.P.R. 9 aprile 2008, n. 81, art. 18, laddove si pone a carico del datore di lavoro non il solo obbligo di allestire le misure di sicurezza, ma anche una serie di controlli, diretti o per interposta persona, atti a garantirne l’applicazione; ma dovendolo desumere soprattutto dalla norma generale di cui all’art. 2087 c.c., la quale dispone che l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro (tra le tante, Sezione 4^, 8 ottobre 2008, Proc. gen. App. Venezia in proc. Dal Tio).
In questa prospettiva, non può qui farsi genericamente valere la presenza di altri titolari della posizione di garanzia nella specie, il conducente dell’autopompa, anch’egli titolare di una posizione di garanzia nei confronti della vittima e già condannato in primo grado con sentenza passata in giudicato), escludendo il ruolo colpevole e causalmente efficiente dell’imputato, perché la compresenza di più titolari della posizione di garanzia non è evenienza che esclude, per ciascuno, il contributo causale nella condotta incriminata.
Infondati sono anche i ricorsi proposti dagli altri imputati, la cui comune posizione di coordinatori consente una trattazione unitaria. L’ addebito agli stessi contestato è la sostanziale omissione, in violazione dell’obbligo normativo sugli stessi gravante, di un valido piano di sicurezza e coordinamento (PSC), che contiene l’individuazione, l’analisi e la valutazione dei rischi nonché la mancata verifica della idoneità del predetto piano ed il mancato adeguamento del piano di sicurezza in relazione all’evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, di vigilare sul rispetto del piano stesso e sospendere, in caso di pericolo grave ed imminente, le singole lavorazioni.
I ricorrenti contestano tutti l’asserita riconducibilità delle violazioni contestata alla loro responsabilità, con la conseguente esclusione del nesso di causalità.
Tale impostazione difensiva non è condivisibile.
Con riferimento, in particolare, alle doglianze proposta dai ricorrenti coordinatori non solo per la progettazione ma anche per la esecuzione dei lavori, assumono particolare significato gli obblighi posti a carico del “coordinatore per la progettazione” (v. del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 4, ed ora definito dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 89, comma 1, lett. c): “coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la progettazione dell’opera”) ossia, il soggetto incaricato, dal committente, della progettazione o del controllo dell’esecuzione dell’opera.
Al coordinatore per la progettazione compete essenzialmente di redigere il piano di sicurezza e coordinamento (PSC), che contiene l’individuazione, l’analisi e la valutazione dei rischi, per la sicurezza e la salute dei lavoratori, e di predisporre un fascicolo contenente le informazioni utili ai fini della prevenzione ( v. ora art. 91 cit.).
Tale figura è bel distinta dal coordinatore per l’esecuzione dei lavori ( v. D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5, ora art. 89, che lo definisce “coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la realizzazione dell’opera” a cui compete essenzialmente, sempre per la soddisfazione della medesima esigenza prevenzionale: di verificare sia l’applicazione delle disposizioni del piano di sicurezza e coordinamento che l’idoneità del piano operativo di sicurezza (POS), che, con finalità complementare di dettaglio del PSC, deve essere redatto da ciascuna impresa presente nel cantiere; di organizzare la cooperazione e il coordinamento delle attività; di segnalare al committente o al responsabile dei lavori le inosservanze, proponendo la sospensione dei lavori o arrivando finanche ad esercitare personalmente il potere/dovere di sospendere, in caso di pericolo grave ed imminente, le singole lavorazioni (articolo 92 cit.). Le due qualifiche, come nel caso in esame, possono essere rivestite dai medesimi soggetti ( v. Sezione 4^, 4 marzo 2008, n. 18472, Bongiascia, rv. 240393), con la conseguente sovrapposizione dei ruoli di redazione del piano di sicurezza e controllo della sua applicazione.
Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, si tratta di figure le cui posizioni di garanzia non si sovrappongono a quelle degli altri soggetti responsabili nel campo della sicurezza sul lavoro, ma ad esse si affiancano per realizzare, attraverso la valorizzazione di una figura unitaria con compiti di coordinamento e controllo, la massima garanzia dell’incolumità dei lavoratori. Con la doverosa puntualizzazione che tali soggetti, a differenza del RSPP, hanno una posizione di garanzia diretta, giacché è prevista una diretta responsabilità penale per il caso di inosservanza dei loro obblighi (cfr. del D.Lgs. n. 81, art. 158).
I ricorrenti introducono profili di merito, che non possono trovare accoglimento, laddove il giudice di merito si è soffermato apprezzando, in particolare, che il piano di sicurezza, nella integrazione del 2003, segnalava la presenza di linee aeree e prevedeva in astratto le cautele necessarie ad evitare l’evento letale poi verificatosi, ma nessuna concreta misura era stata poi in concreto predisposta al fine di prevenire il rischio di contatto, anche indiretto ( perché eventualmente mediato dalle macchini edili impiegate nell’esecuzione dei lavori), tra la linea elettrica ed i lavoratori.
Su tale giudizio di fatto certamente in questa sede non può interloquirsi, e le censure sul punto tendono a svalorizzare il pregnante ruolo del coordinatore per la progettazione e per l’esecuzione all’interno del cantiere ( v. uno dei ricorsi i ove si afferma che il coordinatore non è il “poliziotto del cantiere”). La sentenza gravata, infatti, è stata correttamente adottata in ossequio ai principi vigenti in materia, che fondano per il coordinatore della sicurezza, nei cantieri temporanei e mobili una autonoma e indipendente posizione di garanzia che si affianca a quelle degli altri soggetti destinatari delle norme antinfortunistiche.
Nè vale l’impostazione difensiva seguita nel ricorso nell’interesse del […], tutta tesa ad individuare altri soggetti (in particolare, il capocantiere ed il datore di lavoro), quali unici responsabili dell’evento mortale.
In tema di obbligo di garanzia, la giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito che , nell’ipotesi in cui i titolari della posizione di garanzia siano più di uno, ciascuno di questi è, “per intero”, destinatario dell’obbligo giuridico di impedire l’evento, con la conseguenza che, se è possibile che determinati interventi siano eseguiti da uno dei garanti, è, però, doveroso per l’altro o per gli altri garanti, dai quali ci si aspetta la stessa condotta, accertarsi che il primo sia effettivamente intervenuto (v. Sezione 4^, 29 ottobre 2004, Rizzini ed altri). Alla base del principio dell’affidamento, come si sa, vi è la considerazione che ogni consociato può confidare che ciascuno si comporti adottando le regole precauzionali normalmente riferibili al modello di agente proprio dell’ attività che, di volta in volta, viene in questione. Cosicché, proprio invocando il principio dell’affidamento, il soggetto titolare di una posizione di garanzia, come tale tenuto giuridicamente ad impedire la verificazione di un evento dannoso, può andare esente da responsabilità quando questo possa ricondursi alla condotta esclusiva di altri, (con)titolare di una posizione di garanzia, sulla correttezza del cui operato il primo abbia fatto legittimo affidamento.
Il principio di affidamento non è però invocabile sempre e comunque, dovendo contemperarsi con il concorrente principio della salvaguardia degli interessi del soggetto nei cui confronti opera la posizione di garanzia (qui, per esempio, del lavoratore, “garantito” dal rispetto della normativa antinfortunistica).
Tale principio, infatti, per assunto pacifico, non è invocabile allorché l’altrui condotta imprudente, ossia il non rispetto da parte di altri delle regole precauzionali imposte, si innesti sull’inosservanza di una regola precauzionale proprio da parte di chi invoca il principio: ossia allorché l’altrui condotta imprudente abbia la sua causa proprio nel non rispetto delle norme di prudenza, o specifiche o comuni, da parte di chi vorrebbe che quel In questa prospettiva, è evidente che il coordinatore per la sicurezza non può utilmente invocare il principio dell’affidamento, per versare egli stesso in una situazione di “colpa”, sostanziatasi nell’avere predisposto un piano di sicurezza assolutamente inadeguato perché astratto.
Dal punto di vista giuridico, corretta, pertanto, è la lettura dei rapporti che in materia prevenzionale sussistono tra il coordinatore per la progettazione ed il committente. Al primo ( definito ora dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 89: coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la progettazione dell’opera compete essenzialmente di redigere il piano dì sicurezza e coordinamento (PSC), che contiene l’individuazione, l’analisi e la valutazione dei rischi, per la sicurezza e la salute dei lavoratori e di predisporre le informazioni utili ai fini della prevenzione ( v. ora art. 91 del citato decreto legislativo. Il secondo, a cui compete di designare il coordinatore per la progettazione ed il coordinatore per l’esecuzione dei lavori rimane, comunque, onerato delle responsabilità connesse alla verifica dell’adempimento degli obblighi del coordinatore per la progettazione, valutando il piano di sicurezza e di coordinamento. È un intreccio di responsabilità che ricorre in vicende quale quella di che trattasi, laddove una pluralità di soggetti, ciascuno onerato della posizione di garanzia in materia prevenzionale, operano nello stesso cantiere, in modo sinergico e congiunto.
Non può accogliersi neppure la doglianza proposta dal […], relativa al trattamento dosimetrico proposta con riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
È sufficiente ricordare che, in tema di circostanze attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita, essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda. In questa prospettiva, anche uno solo degli elementi indicati nell’articolo 133 c.p., attinente alla personalità del colpevole o alla entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso, può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti generiche, derivandone così che, esemplificando, queste ben possono essere negate anche soltanto in base ai precedenti penali dell’imputato (Sezione 4^, 15 luglio 2014, Lacché)
L’applicazione di tali principi non consente l’accoglimento della doglianza, avendo il giudice motivato, nel rispetto dei parametri di cui all’articolo 133 c.p.,valorizzando la gravita del fatto e negativamente la mancanza di una qualsiasi condotta meritoria da parte del prevenuto. […]