[…]
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con nota 27 giugno 2008 il Capo dell’Archivio […] trasmetteva alla Commissione Regionale […] una richiesta di procedimento disciplinare nei confronti della […] per avere questa ultima commesso centoventi violazioni della Legge Notarile 16 febbraio 1913, n. 89, art. 28, per avere inserito in atti societari la clausola compromissoria che prevedeva il deferimento delle eventuali controversie al giudizio di tre arbitri, due dei quali nominati da ciascuna delle parti ed il terzo dai due arbitri così eletti (contravvenendo, in tal modo, al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, art. 34, comma 2, che prevede l’obbligo di estraneità del soggetto al quale viene affidato il potere di nomina degli arbitri). Inoltre a carico dello stesso notaio era stata rilevata, nel corso della medesima ispezione ordinaria – nella quale era stata accertata la violazione di cui sopra anche la violazione dell’art. 64 della legge professionale, per avere posto in uso un repertorio degli atti tra vivi, prima che lo stesso fosse numerato e firmato in ciascun foglio dal Conservatore dell’Archivio notarile.
Nei termini di legge il notaio presentava una memoria difensiva, nella quale sosteneva la tesi del c.d. “doppio binario”, secondo la quale il modello arbitrale disegnato dal legislatore della novella del 2003 non sarebbe esclusivo, ma concorrerebbe con il modello arbitrale di diritto comune, disciplinato dal codice di rito. La Commissione Amministrativa […], con decisione del 22 ottobre 2008, dichiarava […] responsabile di tutte le infrazioni ascrittele e, nel concorso delle attenuanti della avvenuta eliminazione delle conseguenze dannose, ritenuta la continuazione tra le infrazioni al D.Lgs. 17 gennaio 2003, art. 34, applicava alla stessa la sanzione pecuniaria globale di Euro cinquemilasedici, di cui Euro quattromilacinquecento per la violazione di cui al D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 34, ed Euro cinquecentosedici per la violazione dell’art. 64 della Legge Notarile del 1913.
Avverso tale decisione proponeva reclamo […].
Si costituiva in giudizio l’Archivio […], chiedendo la conferma della decisione reclamata.
Con sentenza del 26 maggio – 23 giugno 2009 la Corte d’appello di Catanzaro confermava integralmente la decisione impugnata.
Avverso tale provvedimento […] ha proposto ricorso per cassazione sorretto da quattro motivi, illustrati da memoria.
Resiste l’Archivio […] con controricorso (da ritenersi tempestivo, essendo stato notificato irritualmente il ricorso all’avvocatura distrettuale di […], anziché all’Avvocatura Generale dello Stato).
Il Procuratore Generale presso questa Corte, in data 8 luglio 2010., ha depositato richiesta ex art. 377 e 380 bis c.p.c., chiedendo la trattazione della causa in camera di consiglio ed ha concluso per il rigetto del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Occorre innanzi tutto, rilevare;
1) che il ricorso per cassazione è tempestivo, essendo stato notificato e depositato nei termini di legge (Cass. S.U. 5 aprile 2002 n.4903);
2) che il secondo e terzo motivo di ricorso sono ammissibili contenendo il quesito di diritto sottoposto a questa Corte (p.14): “Si fa questione se un atto notarile costitutivo di una società di persone possa contenere una clausola compromissoria che preveda la nomina di arbitri da parte dei soci contendenti, anziché da un soggetto estraneo alla società, come richiesto dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, art. 34, comma 2, e se una tale eventualità possa costituire una violazione dell’art. 28 Legge Notarile e perciò fonte di sanzione disciplinare, ai sensi della medesima normativa”.
È indubbia l’applicabilità al caso di specie “ratione temporis” dell’art. 366 bis c.p.c. (le norme di cui alla L. n. 69 del 2009, si applicano, infatti, ai provvedimenti pubblicati dopo il 4 luglio 2009).
Appare opportuno riportare integralmente il testo delle disposizioni che regolano il ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello che decide sul reclamo avverso il provvedimento della CO.RE.DI.
L’art.158 ter della legge n. 89 del 1913, come modificato da D.Lgs. 1 agosto 2006, n. 249, così dispone:
“Art. 158 ter. 1. Contro la sentenza della corte d’appello è ammesso ricorso per cassazione nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 3) e 5). Si applica l’art. 366 bis c.p.c..
2. Il ricorso deve essere proposto nel termine di sessanta giorni dalla notificazione della decisione, ovvero, in difetto di notifica, nel termine di un anno dal deposito.
3. La sentenza della corte d’appello è immediatamente esecutiva, fatta salva l’applicazione dell’art. 373 c.p.c..
4. La Corte di cassazione pronuncia con sentenza in camera di consiglio, sentite le parti”.
Dal testo della norma discende la inammissibilità del primo motivo di ricorso per cassazione, relativo all’omissione della lettura della sentenza della corte di appello, in quanto non è prevista espressamente dall’art. 158 bis della legge notarile, la denuncia della nullità della sentenza e del procedimento, che rientra nella previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).
Il secondo ed il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi tra di loro.
Con essi la ricorrente denuncia “error in iudicando” ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione di norme di diritto, specificamente indicate nel D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, art. 34, comma 2, nonché “error in iudicando” e violazione ed erronea applicazione della L. 16 febbraio 1913, n. 89, artt. 28, 138 e 138 bis.
La ricorrente richiama alcune decisioni di merito, secondo le quali il notaio che abbia rogato l’atto costitutivo di una società di persone, contenente una clausola compromissoria, in violazione del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 34, comma 2, non è passibile di sanzione disciplinare, ex art. 28 della Legge Notarile, essendo consentito ai soci di optare negli statuti societari per l’arbitrato libero. Tra l’altro, sottolinea al ricorrente, il notaio rogante non può in alcun modo condizionare la scelta dei medesimi in un senso o nell’altro. Numerose disposizioni di legge confermerebbero – ad avviso della ricorrente – la sopravvivenza, anche per le controversie endosocietarie, di altre forme di arbitrato.
Ad avviso della ricorrente, i giudici di appello avrebbero errato nel ricondurre la clausola compromissoria difforme dalla previsione di cui al D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 34, alla ipotesi di cui alla L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 28, comma 1, n. 1.
Infatti, il divieto imposto da tale norma – rileva la ricorrente – attiene solo ai vizi che diano luogo ad una nullità assoluta dell’atto con esclusione dei vizi che comportano la mera annullabilità od inefficacia dell’atto stesso, ovvero la sua nullità relativa.
L’art. 28 della legge notarile, secondo alcune pronunce della Cassazione, qualifica la categoria degli atti proibiti, individuandola negli atti espressamente in contrasto con una disposizione di legge e colpiti da nullità.
La nullità parziale della clausola difforme dalla disposizione dell’art. 34, del Decreto del 2006 non si estende, ai sensi dell’art.1419 c.c., all’intero contenuto della disciplina negoziale. Infatti, la nullità parziale non poteva comportare in alcun caso la nullità assoluta dell’atto ricevuto dal notaio.
Non poteva, tra l’altro, essere addossato al notaio un compito di interpretazione della legge, con le connesse responsabilità, in presenza di oggettive incertezze di difficile soluzione.
Nel caso di specie, la professionista si era uniformata a numerose pronunce di giudici di merito ed alla relazione ministeriale che autorizzavano il notaio ad applicare la norma nei sensi concretamente applicati: la relazione ministeriale di accompagnamento del decreto legislativo n. 5 del 2003 precisava che il nuovo modello di clausola compromissoria introdotto nello statuto di una società costituiva una semplice opzione, rimessa alla volontà negoziale, che si aggiungeva – senza sostituirlo – al modello codicistico.
Osserva il Collegio.
Le censure formulate dalla ricorrente sono prive di fondamento. Appare senz’altro opportuno riportare, innanzi tutto, le disposizioni di legge sopra citate.
Il D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 34, stabilisce che:
“34. Oggetto ed effetti di clausole compromissorie statutarie. 1. Gli atti costitutivi delle società, ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell’art.2325 bis c.c., possono, mediante clausole compromissorie, prevedere la devoluzione ad arbitri di alcune ovvero di tutte le controversie insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e la società che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale. 2. La clausola deve prevedere il numero e le modalità di nomina degli arbitri, conferendo in ogni caso, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società. Ove il soggetto designato non provveda, la nomina è richiesta al Presidente del Tribunale del luogo in cui la società ha la sede legale.
3. La clausola è vincolante per la società e per tutti i soci, inclusi coloro la cui qualità di socio è oggetto della controversia.
4. Gli atti costitutivi possono prevedere che la clausola abbia ad oggetto controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei loro confronti e, in tale caso, essa, a seguito dell’accettazione dell’incarico, è vincolante per costoro.
5. Non possono essere oggetto di clausola compromissoria le controversie nelle quali la legge preveda l’intervento obbligatorio del pubblico ministero.
6. Le modifiche dell’atto costitutivo, introduttive o soppressive di clausole compromissorie, devono essere approvate dai soci che rappresentino almeno i due terzi del capitale sociale. I soci assenti o dissenzienti possono, entro i successivi novanta giorni, esercitare il diritto di recesso”.
A sua volta, la L. n. 89 del 1913, art. 28, stabilisce che il notaio non può ricevere o autenticare atti “se essi sono espressamente proibiti dalla legge o manifestamente contrari al buon costume o all’ordine pubblico”, Si tratta, dunque, di stabilire se il notaio che abbia rogato un atto nel quale sia inserita una clausola compromissoria difforme da quanto previsto dall’art. 34 del decreto del 2006 sia passibile di sanzione disciplinare.
2. Come questa Corte ha già statuito (Cass. 11.11.1997, n. 11128; Cass. 4.11.1998, n. 11071; Cass. 19.2.1998, n. 1766; Cass. 12.4.2000, n. 4657, 1 febbraio 2001 n. 1394, 7 novembre 2005 n. 21493) il divieto stabilito dall’art. 28 Legge Notarile attiene ad ogni vizio che dia luogo a nullità assoluta dell’atto, con esclusione dei vizi che diano luogo solo all’annullabilità o all’inefficacia dell’atto ovvero alla nullità relativa.
Questo orientamento merita di essere condiviso.
Infatti il divieto di cui all’art. 28, n. 1, L. Not. si riferisce solo a quegli atti che la legge, in considerazione del loro contenuto, ritenga di non dover riconoscere per la tutela di un interesse superiore, sottratto alla disponibilità della parte. Gli “atti proibiti dalla legge” sono, in sostanza, gli atti nulli (in questo senso Cass. S.U. 4.5.1989 n. 2084, che ha ritenuto l’applicabilità dell’art. 28, n. 1, L. Not. in caso di nullità di un atto di donazione per indeterminatezza dell’oggetto).
La locuzione predetta, dato il suo carattere generale, individua tutte le ipotesi di nullità e quindi non solo quelle ricomprese nell’art. 1418 c.c., comma 1, (atti contrari a norme imperative), ma anche quelle indicate nei commi successivi, poiché anche gli atti affetti da queste ultime nullità sono atti contrari a norme imperative.
Infatti la contrarietà a norma imperativa è ravvisabile se il divieto ha carattere assoluto, tale da non consentire possibilità di esenzione dalla sua osservanza per alcuno dei destinatari della norma (Cass. 4 dicembre 1982, n. 6601).
Orbene, proprio perché l’art. 1418, in questione ai commi 2 e 3 – individua ipotesi di nullità assolute, e come tali non ammettenti deroghe, l’atto che contenesse tali specifiche ipotesi di nullità sarebbe anche “contrario a norma imperativa”.
Infatti, ove anche la norma imperativa non contenesse una espressa comminatoria di nullità dell’atto, la stessa dovrebbe pur sempre ritenersi “espressa” per effetto del combinato disposto costituito da detta norma imperativa ed l’art. 1418 c.c., comma 1, che sanziona con la nullità ogni atto contrario a norma imperativa.
3. In altri termini l’atto vietato al notaio è l’atto che contrasta con l’ordinamento ed il contrasto con l’ordinamento lo si ricava dalla sanzione della nullità assoluta, che la legge commina a quell’atto. Esula, invece, dalla previsione di legge la nullità relativa, rilevabile solo da chi via abbia interesse e non di ufficio (Cass. 7 novembre 2005 n. 21493, 14 febbraio 2008 n. 3526).
Nel caso di specie, come specificato più avanti, la violazione del Decreto n. 5 del 2003, art. 34, comporta la nullità della clausola imperativa (V. infra).
Detta nullità è assoluta, contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, non risultando dalla legge che essa possa essere fatta valere solo da una parte a cui la legge assegna detta facoltà espressamente ed esclusivamente (art. 1421 c.c.).
Il D.Lgs. del 2006, art. 34, non limita la facoltà di far valere la nullità ivi prevista solo in favore di determinati soggetti, detta nullità può essere – pertanto – fatta valere da chiunque vi abbia interesse ed essere rilevata d’ufficio dal giudice. In altri termini trattasi di nullità assoluta.
4. Nè può distinguersi la nullità formale da quella sostanziale.
Per il notaio, infatti, come per ogni pubblico ufficiale, la distinzione tra nullità formali e nullità sostanziali non è concepibile: ove la legge richieda necessariamente uno schema legale tipico, a pena di nullità, egli non può che ricevere l’atto con quei requisiti formali e sostanziali, non essendo concepibile per il pubblico ufficiale una norma che gli prescriva un semplice onere.
Ciò che rileva è che l’atto, essendo fuori dallo schema legale tipico che la legge prevede come necessario ed indispensabile per attuare quelle modificazioni delle situazioni giuridiche volute dalle parti, si pone in contrasto con l’ordinamento, che lo sanziona con la nullità.
5. Nè rileva la circostanza che la norma sanzionatrice (D.Lgs. del 2006, art. 34) sia successiva alla disposizione di cui all’art. 34 della L. del 1913.
Infatti l’art. 28, in questione (che non determina la sanzione, prevista invece dall’art. 138 L. Not.) contiene ben chiaro il precetto per il notaio ed esso è appunto “non ricevere atti espressamente proibiti dalla legge” (da intendersi nel senso sopra detto).
Quali siano poi i vari atti vietati è rimandato di volta in volta alla volontà del legislatore, secondo le esigenze che questi valuterà nel tempo, ne’ può individuarsi un modello “storico” di atto al quale ancorare in modo definitivo ed immodificabile il divieto posto dalla norma.
In altri termini il precetto è chiaro ed è coevo alla sanzione, ma dalle norme successive vanno attinti solo gli elementi destinati a precisare la fattispecie in concreto.
In pratica, si ha un fenomeno simile a quello che in materia penale è definito come “norma penale in bianco” (ad es. art. 650 c.p.), della cui costituzionalità non si è dubitato in quella sede (cfr. Corte Cost. 5.7.1971, n. 168), per cui a maggior ragione non può dubitarsene in questa sede disciplinare.
6. Del tutto irrilevante, infine, appare; la circostanza che nel caso di specie possa, in concreto, applicarsi la disposizione di cui all’art. 1419 c.c., comma 2, (con la sostituzione di diritto delle clausole nulle con norme imperative).
7. Infatti, la eterointegrazione del contratto non esclude affatto, ma anzi presuppone necessariamente, che sia stata posta in essere una nullità assoluta.
8. Ed è proprio la esistenza di detta nullità, posta in esser dal notaio con la redazione della clausola nulla, che segna il momento consumativo dell’illecito, sul quale non possono spiegare efficacia sanante, o estintiva della punibilità, rimedi predisposti dal legislatore per conservare l’atto a fini privatistici. Ne consegue che la sostituzione di diritto di una clausola nulla opera con riferimento al momento genetico del contratto (Cass. 14 dicembre 2002 n. 17952) ma solo ai fini privatistici e non in relazione al diverso profilo disciplinare riguardante l’attività svolta dal notaio rogante, per il quale l’illecito di cui alla L. n. 89 del 1913, art.28, n. 1, risulta definitivamente consumato, avendo carattere istantaneo (Cass. 7 novembre 2005 n. 21493).
9. La ricorrente ha ulteriormente dedotto (con il terzo motivo di ricorso) che la “ratio” della disposizione dell’art. 28 legge notarile impone di ritenere che al notaio non possano addossarsi compiti ermeneutici – con le connesse responsabilità – in presenza di incertezze interpretative oggettive.
La irricevibilità dell’atto – sottolinea ancora la ricorrente – troverebbe una sua giustificazione solo quando il divieto possa desumersi in via del tutto pacifica ed incontrastata da un orientamento interpretativo oramai consolidato sul punto. Non potrebbe in ogni caso considerarsi sanzionabile quel professionista che si fosse uniformato (come nel caso di specie) a numerose pronunce di giudici di merito, che avevano affermato la piena validità delle clausole compromissorie non conformi al D.Lgs.17 gennaio 2003, n. 5, art. 34.
Anche quest’ultimo rilievo non coglie nel segno.
L’opera professionale della quale è richiesto il notaio non si riduce – come sembra ritenere la ricorrente – al mero compito di accertatore della volontà delle parti e di direzione nella compilazione dell’atto, ma si estende alle attività preparatorie e successive perché sia assicurata la serietà e la certezza degli effetti tipici dell’atto e del risultato pratico perseguito dalle parti (Cass. 2 luglio 2010 n. 15726). Non può dunque disconoscersi la funzione del notaio di interprete e garante della validità delle scelte negoziali delle parti. E nello svolgimento di questa attività non è dubbio che egli debba provvedere anche ad una corretta interpretazione delle norme di legge, in modo da evitare la stipulazione di atti affetti da nullità assoluta.
Correttamente, pertanto, la decisione confermata dalla Corte d’appello aveva già rilevato che nel caso di specie si discuteva di atti societari, che si perfezionano con l’intervento del notaio, il quale, proprio in considerazione del suo ruolo di professionista e di pubblico ufficiale autorizzato ad imprimere all’atto la pubblica fede, deve porre in essere una opera di filtro alle richieste che gli provengono dalle parti, anche indirizzandole e correggendole, ove possibile, ricevendo solo quelle consentite dalla legge. Questo, soprattutto in campo societario, e specie dopo che il legislatore ha eliminato il filtro giudiziale della omologazione, demandando al notaio la verifica preventiva dell’adempimento delle condizioni di legge prima affidata al giudice.
10. Con riferimento alla fattispecie in esame va osservato che la esclusività dell’impianto arbitrale introdotto dal legislatore del 2003 è stata correttamente ritenuta dai giudici di appello, sulla base della espressa previsione della nullità della clausola in caso di inosservanza della norma.
11. Il dettato testuale della norma, la quale stabilisce che la clausola compromissoria debba “in ogni caso, a pena di nullità” prevedere il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società, costituisce una formulazione inequivoca, tale dai non consentire diverse interpretazioni.
La tesi del “doppio binario” non trova alcuna giustificazione nella legge. Lo scopo di questa è, indubbiamente, quello di attribuire il potere di nomina degli arbitri solo a soggetti estranei alla compagine sociale e tende ad assicurare il principio (di ordine pubblico, cfr. Cass. 18 marzo 2008 n. 7262)) della imparzialità della decisione, consolidando la indipendenza e la imparzialità dell’arbitro attraverso la terzietà del designatore.
Nè a diverse conclusioni può indurre il termine “possono” contenuto nell’art. 34, comma 1. Come già ha rilevato la Corte territoriale nella sentenza impugnata, la facoltà insita in tale espressione (analoga a quella contenuta nell’art. 808 c.c.) è da ritenersi riferita non alla scelta tra l’arbitrato di diritto comune e quello previsto dalla medesima norma, ma a quella tra il ricorso all’arbitrato previsto dalla stessa norma ed il ricorso al giudice ordinario.
In altre parole, le società hanno la libertà di scegliere, per la soluzione delle controversie, la via arbitrale anziché quella giurisdizionale, Nel primo caso, tuttavia, devono conformarsi alla previsione del D.Lgs. del 2003, art. 34 e segg. evidenziando la espressa declaratoria di inderogabilità della relative previsioni procedurali, contenute nella intitolazione dell’art. 35 della stessa legge. La disposizione dell’art. 34 si riferisce anche alla clausola compromissoria per arbitrato irrituale.
L’inciso “anche non rituale” contenuto nel citato art. 35, comma 5, infine, intende sottolineare, proprio in una ottica di attenuazione della distinzione tra arbitrato libero ed irrituale, la possibilità del ricorso alla tutela cautelare anche in tale ipotesi di arbitrato non rituale.
Non può farsi riferimento – pertanto – a difficoltà interpretative, tali da giustificare la stipulazione di una clausola che prevedeva la nomina degli arbitri effettuata dalle parti.
Il notaio, inoltre, alla luce di tale previsione, avrebbe dovuto – in ogni caso – rifiutarsi di ricevere atti contrastanti con una tale norma.
La Legge Delega 3 ottobre 2001, n. 366, nell’attribuire al Governo il potere di emanare norme in tema di arbitrato societario, ha fatto riferimento alle clausole compromissorie, contenute negli statuti delle “società commerciali” (art.12, comma 3), riferendosi alle “società che hanno per oggetto l’esercizio di una attività commerciale”, società che – ai sensi dell’art. 2249 c.c. – devono costituirsi secondo uno dei tipi regolati nei capi 3^ e seguenti del titolo 5^ del codice civile e quindi anche alle società in nome collettivo ed in accomandita semplice.
Gli artt. 223 bis e 223 duodecies disp. att. c.c., certamente non applicabili alle società di persone, prescrivono solo i tempi di adeguamento degli atti costitutivi e degli statuti delle società di capitali e delle società cooperative alle nuove disposizioni inderogabili, ma non escludono che un tale adeguamento sia posto in essere anche dalle società di persone.
Possono, pertanto, essere formulati i seguenti principi di diritto: “Una clausola compromissoria inserita negli atti societari, difforme da quella prevista dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, art. 34, (in quanto preveda il deferimento delle eventuali controversie al giudizio di arbitri nominati anche dalle parti) deve considerarsi nulla”.
“Con la conseguenza che la sanzione disciplinare prevista dalla legge notarile trova applicazione a carico del notaio che abbia inserito in atti societari tali clausole compromissorie”.
“Costituisce circostanza del tutto irrilevante, ai fini disciplinari, che la detta clausola, nulla per contrasto con norma imperativa, possa essere eventualmente sostituita di diritto dalla norma stessa, ai sensi dell’art. 1419 c.c., trattandosi di rimedio predisposto dal legislatore al solo fine di conservare l’atto ai fini privatistici”. “Pur non conducendo, tale vizio, alla nullità dell’intero negozio, si tratta comunque di nullità parziale assoluta”.
Quanto al quarto (ed ultimo) motivo di ricorso, che riguarda la violazione ed erronea applicazione della L. del 1913, art. 62, 64, 137 e 138, (per avere il notaio riportato su un repertorio degli atti tra vivi, atti ricevuti in data anteriore a quella della vidimazione del repertorio) deve rilevarsi la inammissibilità del motivo, in quanto sprovvisto della formulazione di uno specifico quesito di diritto, richiesto dalle disposizioni all’epoca vigenti. In proposito il Collegio ritiene che nel caso di specie possa trovare applicazione la disposizione di cui all’art. 363 c.p.c., comma 3, che prevede espressamente la possibilità della enunciazione del principio di diritto anche d’ufficio, quando debba rilevarsi la inammissibilità del ricorso (o di un motivo) – ciò nel caso in cui la questione da risolvere sia, come nel caso di specie, di particolare importanza.
Può affermarsi il seguente principio di diritto:
“Ai sensi della L. n. 89 del 1913, n. 89, art. 64, (c.d. Legge Notarile) può essere qualificato come repertorio soltanto il registro che, prima di essere posto in uso, sia numerato e vidimato in ciascun foglio dal capo dell’archivio notarile.
Ne consegue che il notaio il quale riceva un atto senza essere munito del repertorio vidimato, sia che lo riceva senza essere munito di alcun repertorio e quindi senza poterlo annotare in alcun modo sia che lo riceva annotandolo in un repertorio non ancora vidimato, commette sempre la violazione dell’art. 138, n. 4, della citata Legge Notarile, il quale parifica l’uso di un repertorio non vidimato alla mancata tenuta del repertorio, e non anche invece, nella seconda ipotesi, la violazione dell’art. 137, comma 1, della medesima legge, concernente il caso di annotazioni tardive su repertori già vidimati al momento del ricevimento dell’atto.
Nè al riguardo può assumere diversamente rilievo il tenore del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 45, art. 13, in quanto l’introduzione della possibilità per i notai di tenere i repertori anche con sistemi meccanografici (a mezzo di “computers”) non ha fatto venir meno l’obbligo della vidimazione dei registri cartacei, ove deve essere trasfuso l’elaborato memorizzato nei suddetti sistemi”. In questo senso, già Cass. 20 febbraio 2006 n. 3660, 17 dicembre 1999 n. 14238, 29 gennaio 1999 n. 795, 4 agosto 1998 n. 7662, 6 febbraio 1995 n.1372, 18 febbraio 1994 n. 1608. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato.
È appena il caso di precisare, infine, che la presente pronuncia ha natura di sentenza, anche se resa al termine di adunanza in camera di consiglio (cfr. L. n. 89 del 1913, art. 158 ter, come modificata dal D.Lgs. 1 agosto 2006, n. 249, che prevede analogamente – la pronuncia di una sentenza da parte della Corte di appello sul reclamo proposto dalle parti avverso la decisione della Commissione Amministrativa Regionale di Disciplina).
Sussistono giusti motivi, in considerazione della complessità delle questioni dibattute, e dei contrasti insorti anche a livello dottrinale in materia, per disporre la compensazione delle spese del presente giudizio[…]