Corte di Cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 9268 del 2018, dep. il 6/04/2018

[…]

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 10 febbraio 1997, […], proprietaria di un fabbricato in […] deduceva che il fabbricato confinante di proprietà di […], era stato oggetto di una serie di interventi modificativi e aggiuntivi eseguiti sulla scorta ed in difformità di molteplici autorizzazioni amministrative; che tali interventi modificativi e aggiuntivi superavano la volumetria e la superficie per la quale erano consentiti, ponendo in essere un “terribile paravento” recante grave ed insopportabile pregiudizio alla illuminazione ed areazione del fabbricato dell’attrice. Ciò premesso, conveniva in giudizio la […], davanti al Tribunale di Castrovillari, per sentirla condannare alla demolizione delle parti di fabbricato di sua proprietà edificate in violazione dei diritti di essa attrice, a rendere le vedute prospicienti il fondo dell’attrice conformi a legge, al risarcimento dei danni derivati al fabbricato dell’attrice in conseguenza della realizzazione e del mantenimento dell’edificazione illegittima e pregiudizievole ed alla rimozione delle mattonelle collocate sul muretto di divisione tra i due fondi. Si costituiva […], che contestava i fatti dedotti dalla attrice e proponeva domanda riconvenzionale chiedendo la demolizione (per violazione delle norme sulle distanze) del corpo scala che consentiva l’accesso all’appartamento di proprietà di controparte. Istruita la causa con deposito di documentazione ed espletamento di CTU, il Tribunale adito, con sentenza n. 293 del 2004, accoglieva la domanda principale e per l’effetto ordinava la demolizione del terrazzino posto al primo piano e del terrazzo al piano terra soprastante al seminterrato della proprietà della convenuta, nonché della vedute dirette sulla proprietà […] poste a distanza inferiore a m 1,50 ed esercitate dal balcone al primo piano sul fronte mare; rigettava la domanda risarcitoria; accoglieva la domanda riconvenzionale, ordinando per l’effetto la demolizione del corpo scala di accesso all’appartamento di proprietà dell’attrice; compensava le spese di lite.
La sentenza di primo grado veniva impugnata davanti alla Corte d’appello di Catanzaro dalla […], che ne chiedeva la riforma con accoglinnento di tutte le domande originariamente proposte. Si costituiva la convenuta […], contestando il gravame e proponendo a sua vota appello incidentale.
Con sentenza, n. 1333 del 2012, depositata il 19 dicembre 2012, la Corte d’appello di Catanzaro rigettava sia l’appello principale che quello incidentale confermando la sentenza gravata.
Per la cassazione di questa sentenza, […], in data 3 ottobre 2013, ha proposto ricorso sulla base di cinque motivi.
La controparte […] ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale sulla base di due motivi, cui la ricorrente ha resistito con controricorso all’incidentale, depositando altresì memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo di ricorso principale, la ricorrente deduce la «violazione dell’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.; art. 39, c. 2, L. 23/12/1994 n. 724; art. 11 L. n. 380/2001; L. n. 74/1974», lamentandosi del fatto che, a fronte della articolata e specifica serie di rilievi tecnico-giuridici esposti nell’atto di appello, la sentenza di secondo grado si limita ad enunciare unicamente che «l’esistenza di una concessione in sanatoria comporta che il giudizio […] doveva essere limitato alla valutazione del rispetto delle distanze e non anche alla legittimità delle opere assentite. La demolizione delle opere assentite, infatti, potrebbe ottenersi soltanto annullando la concessione in sanatoria già rilasciata dalla P.A.». Laddove poi il condono neppure potrebbe sanare le eventuali violazioni dlle norme antisismiche.
1.2. – Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la «violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c.; art. 39, c. 2, L. 23/12/1994 n. 724; art. 11 L. n. 380/2001; L. n. 74/1974», là dove la sentenza impugnata ha omesso di esaminare i motivi di appello riguardanti l’edificazione posta in essere dalla […], nonostante condivisione totale delle conclusioni della CTU integralmente recepita non solo formalmente, ma addirittura con l’elencazione precisa delle irregolarità urbanistiche e sismiche connotanti tale intervento.
1.3. – Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la «violazione dell’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.; art. 2043 c.c.; art. 39, c. 2, L. 23/12/1994 n. 724; art. 11 L. n. 380/2001; L. n. 74/1974», nella parte in cui la sentenza d’appello rigetta la sua domanda risarcitoria, affermando che la sussistenza del danno deve essere valutata con riguardo alle opere realizzate in violazione delle distanze legali e che la demolizione delle stesse – disposta dal giudice di primo grado e confermata – costituirebbe «una sorta di risarcimento in forma specifica», mentre il danno sussiste e merita di essere riconosciuto e valutato, sia pure equitativamente, anche con riferimento all’aumento illegittimo di volumetria e superficie del fabbricato della controricorrente ed alle molteplici violazioni di norme antisismiche e dalla loro pericolosità.
1.4. – Con il quarto motivo, la ricorrente deduce la «violazione dell’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.; art. 2043 c.c.; art. 39, c. 2, L. 23/12/1994 n. 724; art. 11 L. n. 380/2001; L. n. 74/1974; D.M. 24/01/1986», poiché la Corte d’appello non ha considerato che le riscontrate violazioni di norme antisismiche determinano uno stato di persistente pericolosità della costruzione della […] rispetto alla proprietà di essa ricorrente, eliminabile esclusivamente con l’adeguamento delle opere eseguite alle regole tecniche della normativa; e producono anche un danno risarcibile per equivalente nel tempo intermedio intercorrente tra la realizzazione e l’indispensabile adeguamento strutturale.
1.5. – Con il quinto motivo, la ricorrente deduce la «violazione dell’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.; art. 1158, 873 c.c.; NTA PRG […]», in quanto la sentenza di appello, con riferimento alla riconvenzionale proposta dalla […], avrebbe erroneamente dichiarato la violazione delle distanze legali dal manufatto di controparte, senza valutare l’intervenuta usucapione e la legittimità dello stesso sia ai sensi dell’art. 873 c.c., sia a mente delle norme tecniche di attuazione del PRG del comune di […].
2.1. – Con il primo motivo di ricorso incidentale, la […] denuncia la «violazione dell’art. 905 cod. civ. in relazione all’art. 872 cpv cod. civ.; carenza di motivazione; omessa pronuncia», in quanto – con riferimento all’ordine di demolizione del balconcino presente al primo piano del suo fabbricato – la sentenza impugnata ha omesso di considerare che la medesima, proprio al fine di evitare di ledere l’altrui diritto alla privacy, ha posto in opera un paravento fisso in metallo e vetro opaco che realizza il fine voluto dalla legge di impedire il prospicere et inspicere in alienum. 2.2. – Con il secondo motivo di ricorso incidentale, la […] denuncia la «violazione dell’art. 905 cod. civ. (difetto di prova ed omessa motivazione)», poiché i giudici d’appello hanno omesso di considerare – nonostante ciò sia stato ampiamente rilevato ed eccepito negli scritti difensivi – che dalla terrazza posta al piano terreno del fabbricato della […] (di cui hanno disposto l’abbattimento) non è possibile esercitare nessuna veduta sul fondo della […].
3. – Preliminarmente, va rilevato che tutti i motivi di ricorso principale risultano formulati, tra l’altro, con riferimento (oltre che alla violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.) anche alla violazione del successivo n. 5 (che, peraltro, costituisce unico parametro del secondo motivo).
3.1. – I motivi incentrati sulla censura della motivazione resa dalla Corte d’appello sono, in partibus quibus, inammissibili per non essere riconducibili (venendo dedotti vizi di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’uffico) al modello proposto dall’art. 360 n. 5 c.p.c. nella nuova formulazione prevista dal d.l. n. 83 del 2012, convetito dalla legge n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame, pubblicata il 19 dicembre 2012.
Prevede il nuovo testo che la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione solo in caso di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Orbene è noto come, secondo le Sezioni Unite (n. 8053 e n. 8054 del 2014), la norma consenta di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017). Ne consegue che, nel rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1°, n. 6, e 369, comma 2°, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).
3.2. – Viceversa, nella specie la ricorrente sostanzialmente deduce, in termini assolutamente generali, che il percorso logico argomentativo, seguito dalla Corte territoriale per motivare, sotto i vari profili, la decisione impugnata, sarebbe compromesso da svariati palesi vizi ed incongruenze logico-giuridiche, che coinvolgerebbero, in sintesi, l’erroneità della decisione, nella parte in cui, in tesi, essa avrebbe: a) «infondatamente ristretto l’effetto della concessione in sanatoria conseguita dall'[…] alle sole distanze, ritenendo che il provvedimento abbia legittimato tutte le altre opere», anche rispetto alle disposizioni antisismiche (primo motivo); b) contraddittoriamente omesso di esaminare i motivi di appello riguardanti l’edificazione della […] a fronte della affermazione della condivisione della consulenza tecnica che descriveva le violazioni connotanti tale edificazione (secondo motivo); c) affermato che la sussistenza del danno debba essere valutata con riguardo alle opere realizzate in violazione delle distanze legali e che la demolizione delle stesse costituirebbe «una sorta di risarcimento in forma specifica», mentre il danno sussiste, a cagione delle molteplici violazioni urbanistiche e sismiche, e merita di essere riconosciuto e valutato, sia pure equitativamente (terzo e quarto motivo); ritenuto che la ricorrente non avrebbe fornito la prova di avere usucapito il posizionamento del corpo scala di cui viene ordinata la demolizione (quinto motivo). Orbene – alla luce del sopra richiamato consolidato indirizzo giurisprudenziale relativo alla più stretta latitudine della configurazione del vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo – le censure mosse dalla ricorrente principale in riferimento al parametro di cui al nuovo n. 5 dell’art. 360 c.p.c. si risolvono, in buona sostanza, nella richiesta generale e generica di una inammissibile (ri)valutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, con riguardo al complessivo contesto delle risultanze probatorie acquisite, in senso antagonista rispetto a quella compiuta dalla Corte d’appello (Cass. n. 1885 del 2018).
4. – Ciò premesso, vanno esaminati i motivi di ricorso principale proposti con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
5. – Il primo motivo di ricorso principale non è fondato.
5.1. – In risposta al primo motivo di appello – con cui la […] si doleva del fatto che il primo giudice, pur rilevando che l’edificio dell’appellata era stato realizzato in violazione della normativa antisismica, aveva ordinato soltanto la demolizione delle opere lesive della normativa sulle distanze – la Corte territoriale osserva in sentenza che, una volta regolarizzate le opere dal punto di vista amministrativo e pubblicistico, proprio «l’esistenza di una concessione in sanatoria comporta che il giudizio del giudice doveva essere limitato [come in effetti avvenuto] alla valutazione del rispetto delle distanze e non anche alla legittimità delle opere assentite»; per le quali, infatti, la demolizione «potrebbe ottenersi soltanto annullando la concessione in sanatoria già rilasciata dalla P.A.», in forza però «di un giudizio che dovrebbe avere ad oggetto, in via principale, e non meramente incidentale, la legittimità dell’atto amministrativo concessorio». Sicché «la pretesa dell’appellante di ottenere la demolizione delle ulteriori opere, sia pur rispettose delle distanze legali, non può trovare accoglimento, a ciò ostandovi la loro legittimità amministrativa riconosciuta da un provvedimento concessorio ormai definitivo, non risultando che lo stesso sia stato impugnato per la via amministrativa». Per cui correttamente la Corte d’appello afferma come, altrettanto correttamente, il giudice di primo grado si fosse limitato ad ordinare la demolizione delle opere risultate lesive della normativa sulle distanze legali (sentenza pag. 3). Trattasi di motivazione del tutto coerente con i principi affermati da questa Corte, secondo cui, in tema di distanze nelle costruzioni, ai sensi dell’art. 873 c.c., il condono edilizio, esplicando i suoi effetti sul piano dei rapporti pubblicistici tra P.A. e privato costruttore, non ha incidenza nei rapporti tra privati, i quali hanno ugualmente facoltà di chiedere la tutela ripristinatoria apprestata dall’art. 872 c.c. per le violazioni delle distanze previste dal codice civile e dalle norme regolamentari integratrici (Cass. n. 18224 del 2016; Cass. n. 3031 del 2009). Infatti, la sanatoria edilizia di cui all’art. 31 legge n. 47 del 1985 [così come i successivi condoni] opera nei rapporti fra l’autore della costruzione e la pubblica amministrazione, perseguendo soltanto l’effetto di conservare l’opera costruita abusivamente e di sottrarre l’autore della relativa violazione alle sanzioni a questa conseguenti, ma non comporta una modifica della disciplina urbanistica, né di conseguenza fa venir meno la contrarietà della costruzione alle norme che regolano i rapporti fra privati in materia di distanze nelle costruzioni contenute nel codice civile o di questo integrative (Cass. n. 12984 del 1999; conf. Cass. n. 4438 del 1997; Cass. n. 5828 del 1996).
6. – Il secondo motivo del ricorso principale è inammissibile per le ragioni svolte sub 3., in quanto proposto ai sensi del vecchio testo dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. inapplicabile ratione temporis nel presente giudizio di legittimità.
7. – Per ragioni di connessione, il terzo motivo e il quarto motivo di ricorso principale vanno esaminati congiutamente, per dichiarane la non fondatezza.
7.1. – La ricorrente si duole che la sentenza d’appello abbia rigettato la domanda risarcitoria. Sostiene infatti la […] che la sussistenza del danno avrebbe dovuto essere affermata sia con riguardo alle opere realizzate in violazione delle distanze legali, sia ove esso deriva, anche in termini permanenti, dall’aumento illegittimo di volumetria e superficie e dalle molteplici violazioni sismiche e dalla loro persistente pericolosità, producendo anche un danno risarcibile per equivalente nel tempo intermedio intercorrente tra la realizzazione e l’indispensabile adeguamento strutturale.
7.2. – Orbene, come detto, correttamente la Corte territoriale ha rilevato che l’esistenza di una concessione in sanatoria comporta che il giudizio dovesse essere limitato alla valutazione del rispetto delle distanze e non anche alla legittimità delle opere assentite, per le quali, infatti, la demolizione «potrebbe ottenersi soltanto annullando la concessione in sanatoria già rilasciata dalla P.A.». Ribadito, dunque, che «le uniche opere costituenti l’oggetto dell’odierno giudizio sono quelle realizzate in difformità della normativa sulle distanze legali», e che di conseguenza «la sussistenza di un danno deve essere valutata con riguardo a tali opere», la Corte stessa ritiene che altrettanto correttamente il primo giudice abbia «evidenziato come la loro demolizione costituisca una sorta di risarcimento in forma specifica, ripristinando lo stato dei luoghi, e, così, eliminando ogni lesione al diritto dell’appellante», con rigetto della richiesta di risarcimento del danno (sentenza pag. 4).
Tale decisione, pur nella sua sinteticità, appare del tutto coerente e conseguenziale sia alla sopra menzionata legittima delimitazione dello specifico thema decidendum, per la quale appunto la sussistenza del danno va valutata esclusivamente con riguardo alle sole opere oggetto di lite (ossia quelle realizzate in difformità delle norme sulle distanze, che residuano rispetto alle opere assentite a seguito di sanatoria, che non è oggetto di impugnazione). Sia alla considerazione che la demolizione di dette opere realizza, secondo un giudizio incensurabile in sede di legittimità, un risarcimento del danno in forma specifica, e che il ripristino dei luoghi determina, in sé, la soddisfazione del diritto della ricorrente, che quindi non necessita di ulteriore risarcimento.
D’altronde, proprio per la stretta aderenza alla situazione oggetto di lite, siffatto giudizio di congrutà e completezza del ristoro derivante dalla eliminazione delle opere de quibus, lungi dal contraddirlo, costituisce applicazione nello specifico caso concreto del consolidato principio, secondo cui, in tema di violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e dalle norme integrative dello stesso, quali i regolamenti edilizi comunali, al proprietario confinante che lamenti tale violazione compete sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell’illecito, sia quella risarcitoria, ed il danno che egli subisce (danno conseguenza e non danno evento), essendo l’effetto, certo ed indiscutibile, dell’abusiva imposizione di una servitù nel proprio fondo e, quindi, della limitazione del relativo godimento, che si traduce in una diminuzione temporanea del valore della proprietà medesima, deve ritenersi in re ipsa, senza necessità di una specifica attività probatoria (Cass. n. 25475 del 2010; conf. Cass. n. 458 del 2016; n. 16916 del 2015).
8. – Anche il quinto motivo di ricorso principale non è fondato.
8.1. – Con riferimento alla domanda riconvenzionale proposta dalla […], la ricorrente contesta che per la sentenza impugnata il corpo scala del fabbricato […] deve essere demolito in quanto essa non avrebbe fornito la prova di averne usucapito il posizionamento. Viceversa, la ricorrente lamenta il fatto che sia controparte a non avere dimostrato che tale opera fosse stata realizzata da meno di un ventennio. Inoltre, contesta che l’opera sia contrastante con le norme in tema di distanze legali. 8.2. – Quanto al primo profilo, la Corte d’appello osserva che «l’azione a difesa della proprietà è imprecrittibile e, perciò, può essere sollevata in qualsiasi tempo. Ne consegue che l’attore non deve provare che l’opera è stata [realizzata] da meno di un ventennio, mentre spetta al convenuto eccepire e provare l’avvenuta usucapione a cagione del decorso di un ventennio»; ed aggiunge che «tale eccezione non è stata sollevata dalla […], e dunque non costituisce oggetto dell’odierno giudizio» (sentenza pag. 5).
8.3. – Del tutto correttamente la Corte territoriale ha dunque ritenuto che spetti al convenuto (che eccepisca l’usucapione) provare il decorso del ventennio. Viceversa la […] si è limitata a richiamare il testo di due rogiti (per Notaio […] del 5.11.1961 e per […] del 15.2.1982) da cui la medesima assume trarsi la prova della “preesistenza del corpo in questione (la scala)”. Ma, anche a prescindere dal fatto che una tale affermazione contenuta nell’atto di appello costituisca una eccezione di usucapione, va rilevato che nei richiamati atti notarili (in cui viene descritto l’immobile in oggetto) in realtà non si fa alcun riferimento al vano scala, ma esclusivamente ad “un corpo avanzato con magazzino e soprastante terrazza” (rogito […]) e ad “una terrazzina al livello pianterreno … un piccolo locale sottostante a detta terraziona” (rogito […]).
Trattasi, all’evidenza, di richiami assolutamente generici ed equivoci, come tali inidonei a costituire prova ai fini della fondatezza della relativa eccezione di usucapione, anche se letti congiuntamente alla descrizione attuale dei luoghi contenuta nella C.T.U. (che peraltro non viene riportata nei passi di interesse, ma solo richiamata, con violazione del principio di autosufficienza del motivo, anche con riferimento alla ubicazione della scale rispetto al confine).
9. – Quanto ai motivi di ricorso incidentale proposto dalla controricorrente, gli stessi riguardano l’ordine di demolizione del balconcino del primo piano dello stabile […] (primo motivo) e della terrazza sita al piano terra del medesimo fabbricato (secondo motivo).
9.1. – I due motivi, per ragioni di connessione, possono essere congiuntamente esaminati e decisi. Essi non sono fondati.
9.2. – Depurati entrambi i motivi dal riferimento (inammissibile) alla omessa valutazione da parte della Corte territoriale di circostanze ritenute idonee ad incidere sull’esito del giudizio [v. sub 3.11, essendo come detto applicabile ratione temporís il nuovo testo dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., si rileva che le censure mosse alla decisone in parte qua riguardano, da un lato, la mancata considerazione da parte della Corte stessa della circostanza (asseritamente idonea ad evitare la demolizione del balconcino) della posa in opera di accorgimenti idonei a perseguire lo stesso fine di impedire il prospicere et inspicere in alienum. Dall’altro lato, l’adozione dell’ordine di abbattimento della terrazza, nonostante da questa non sia possibile esercitare alcuna veduta sul fondo della ricorrente.
Nella sentenza impugnata, la Corte ha ribadito che la demolizione del balconcino e del terrazzo «è giustificata dal mancato rispetto delle distanze legali e non dalla loro (eventuale) difformità alla normative urbanistica»; tant’è che il giudice di primo grado aveva «precisato che tali opere andavano demolite perché poste sul confine, in violazione dell’art. 872 c.c.». E che «per quanto riguarda le vedute le asserzioni dell’appellante in via incidentale sono rimaste al livello di mere asserzioni, visto che la […] non ha prodotto alcun mezzo istruttorio idoneo a dimostrare la fondatezza di quanto affermato» (sentenza pag. 4).
Orbene, va ribadito che, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che detto apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, giacché, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito (Cass. n. 9097 del 2017; n. 7921 del 2011). 10. – Conseguono il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale […]