Corte di Cassazione, Sez. L, Sentenza n. 10430 del 2018, dep. il 02/05/2018

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 21.5.12, la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della sentenza impugnata, confermava l’illegittimità del contratto a termine stipulato tra […] e […] il […] ex art. 1 d.lgs n. 368\01 (motivato da “esigenze tecniche, organizzative e produttive, anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonché all’attuazione delle previsioni di cui agli Accordi del 17,18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001, 11 gennaio 2002”), condannando invece la […] al pagamento di una indennità pari a 4 mensilità di retribuzione, ex art. 32 L. n. 183\10, con interessi e rivalutazione dalla cessazione del contratto in questione.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la […], affidato a cinque motivi; la […] è rimasta intimata.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.-Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e\o falsa applicazione degli artt. 1175, 1372, 1375 c.c., lamentando che la sentenza impugnata non aveva valutato correttamente che il lungo lasso di tempo intercorso tra la cessazione del rapporto e la prima reazione della lavoratrice (5 anni) configurava una risoluzione del rapporto per mutuo consenso.
Il motivo è infondato, avendo questa Corte più volte chiarito (cfr., ex aliis, Cass. n. 5240\15, Cass. n. 1780\14, Cass. n. 5887\11) che ai fini della configurabilità della risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso – costituente una eccezione in senso stretto, Cass. n. 10526\09, il cui onere della prova grava evidentemente sull’eccepiente, Cass. n. 2279\10 – non è di per sé sufficiente la mera inerzia del lavoratore dopo l’impugnazione del licenziamento, essendo piuttosto necessario che sia fornita la prova di altre significative circostanze denotanti una chiara e certa volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, il cui apprezzamento è rimesso al prudente apprezzamento del giudice di merito (cfr. Cass. S.U. n. 21691\16).
Da ultimo questa Corte (cfr. Cass. n. 29781\17) ha affermato, in linea con l’ora citato arresto delle sezioni unite, che tale valutazione attiene al merito sicché, se congruamente motivata, è sindacabile in sede di legittimità solo nei limiti previsti dall’art. 360, co.1, n. 5 c.p.c. e dunque, oggi, e nel caso in esame, denunciando l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, secondo la rigorosa interpretazione fornita dalle sezioni unite di questa Corte (sentt. n. 8053 e 8054\14).
Nella specie il giudice di merito ha congruamente motivato che il solo decorso di un certo lasso temporale tra la cessazione dell’ultimo contratto e la costituzione in mora del datore da parte del lavoratore, o la mera percezione del t.f.r., non concretassero comportamenti concludenti al fine della risoluzione del rapporto per mutuo consenso in assenza di altre significative circostanze (sulla percezione del t.f.r. cfr. da ultimo, Cass. ord. n. 10776\17).
La […] si limita a contrapporre inammissibilmente la propria valutazione delle circostanze di fatto rispetto a quella del giudice di merito, sicché la censura risulta infondata.
2.- Con secondo motivo la società denuncia la violazione dell’art. 11 d.lgs. n. 368\01 e dell’art. 25 del c.c.n.l. 2001, lamentando che la sentenza impugnata fece erroneo riferimento alla disciplina di cui all’art. 1 d.lgs. n. 368\01, piuttosto che al citato art. 25 del c.c.n.l. 2001, a suo avviso ancora in vigore all’epoca della stipula del contratto a termine in questione.
Il motivo è infondato, avendo questa Corte più volte affermato (ex multis, Cass. 13 luglio 2010 n. 16424), che in materia di assunzioni a termine del personale […], l’art. 74, comma 1, del c.c.n.l. 11 gennaio 2001 del personale non dirigente di […] stabilisce il 31 dicembre 2001 quale data di scadenza dell’accordo. Ne consegue che i contratti a termine stipulati successivamente a tale data non possono rientrare nella disciplina transitoria di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 368 del 2001 – che aveva previsto il mantenimento dell’efficacia delle clausole contenute nell’art. 25 del suddetto c.c.n.l., stipulate ai sensi dell’art. 23 della legge n. 56 del 1987- e sono interamente soggetti al nuovo regime normativo, senza che possa invocarsi l’ultrattività delle pregresse disposizioni per il periodo di vacanza contrattuale collettiva, ponendosi tale soluzione in contrasto con il principio secondo il quale i contratti collettivi di diritto comune operano esclusivamente entro l’ambito temporale concordato dalle parti.
Ne consegue che il contratto de quo doveva effettivamente ritenersi disciplinato dal d.lgs n. 368 del 2001, ancorché ivi erroneamente richiamato l’art. 25 del c.c.n.l. 2001, non più applicabile.
3.-Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 4, comma 2, d.lgs. n. 368\01, 2697 c.c.; 115, 116, 244, 253 e 421 c.p.c., lamentando che la sentenza impugnata, pur avendo ritenuta specifica la causale di assunzione ritenne tuttavia non provato il nesso causale tra questa ed il contratto di lavoro stipulato con la […].
Il motivo è infondato, avendo questa Corte più volte affermato che la tesi della società, riproposta in questa sede, secondo cui l’onere della prova graverebbe sul datore di lavoro solo per quanto concerne la proroga del contratto a termine, è infondata, dovendosi piuttosto applicare il principio generale di cui all’art. 2697 c.c. Deve infatti rilevarsi che l’apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dall’art. 1 del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368 a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, ed eventualmente provare in giudizio in caso di contestazione, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonché l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa (per tutte, Cass. 27 aprile 2010 n. 10033).
4.-Con il quarto motivo la società denuncia una insufficiente motivazione circa un fatto controverso, oggetto di discussione tra le parti, e cioè l’effettiva necessità di assumere la […] per far fronte alle esigenze dell’ufficio di […], stante il distacco del dipendente […], colà prima addetto.
Il motivo è inammissibile posto che, nulla risultando al riguardo dalla sentenza impugnata, sarebbe stato onere della ricorrente documentare se, quando ed in quali termini la questione sarebbe stata dedotta dinanzi al giudice di appello. Nella specie non risultano depositati, ex art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., né l’atto di appello né la memoria di costituzione in primo grado, pure invocata dalla attuale ricorrente.
5.-Con il quinto motivo la società si duole della violazione dell’art. 32 L. n. 183\10, oltre che dell’art. 429 c.p.c.
Lamenta che l’indennità prevista dal citato art. 32 non poteva ritenersi gravata di interessi e rivalutazione monetaria.
Il motivo, così come proposto, è infondato; ed invero, premesso che la determinazione tra il minimo il massimo della misura dell’indennità de qua spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per motivazione assente, illogica o contraddittoria (Cass. ord. n.27465\14, Cass. n. 7458\14, Cass. n. 1320\14), occorre evidenziare che l’indennità in esame deve essere annoverata tra i “crediti di lavoro” ex art. 429, comma 3, c.p.c. (Cass. ord. n. 27279\14, Cass. n. 7458\14), giacché, come più volte è stato affermato da questa Corte, tale ampia accezione si riferisce a tutti i crediti connessi al rapporto di lavoro e non soltanto a quelli aventi natura strettamente retributiva (ad esempio, fra le altre, per i crediti liquidati ex art. 18 I. n. 300/1970 v. Cass. 23-1-2003 n. 1000, Cass. 6-9-2006 n. 19159; per l’indennità ex art. 8 della legge n. 604 del 1966 v. già Cass. 21-2-1985 n. 1579; per le somme a titolo di risarcimento del danno ex art. 2087 c.c. v. Cass. 8-4-2002 n. 5024).
6.- Il ricorso deve essere in definitiva rigettato […]