[…]
Svolgimento del processo
Con ricorso notificato il 25, 26, 29/9 e 4/10/2003, la […] s.p.a., subentrata all'[…] nella proprieta’ della rete elettrica di trasmissione nazionale in attuazione dell’art. 13 del D.Lgs. n. 79 del 1999, riferiva che:
– con decreto del Presidente della Giunta regionale n. […] del 9/4/1998, l'[…], Compartimento di […], veniva autorizzato, in via provvisoria, ai sensi dell’art. 9 del D.P.R. n. 342 del 1965, alla realizzazione dei raccordi elettrici a 150 kV dalla linea elettrica […] alla cabina primaria […];
– con decreto dirigenziale regionale n. […] del […]/12/2002, la […] veniva autorizzata, in via definitiva, alla costruzione del suddetto elettrodotto nonche’ alla realizzazione della variante per la regolarizzazione dell’interferenza con l’opificio […];
– con istanza del 13/5/2003 la […] chiedeva una proroga di tre anni (fino al 3/6/2006) del termine per l’ultimazione delle procedure espropriative relative all’elettrodotto, fissato dal decreto n. […]/02 in anni cinque con decorrenza dal 3/6/1998, data di pubblicazione del precedente decreto n. 4612/98;
– sennonche’, con provvedimento in data 16/6/2003, la Regione respingeva l’istanza di proroga, all’uopo rilevando l’illegittimita’ del citato decreto n. […]/98 per omessa fissazione dei termini di inizio e compimento dei lavori e delle espropriazioni, nonche’ l’avvenuta scadenza dei termini previsti dalla dichiarazione di pubblica utilita’;
– contemporaneamente la Regione (in esito alla richiesta di pubblicazione dei piani particellari, avanzata dalla […] con nota del […]/5/2003) negava inoltre di dar corso alla procedura di imposizione della servitu’ di elettrodotto inamovibile, all’uopo rilevando che tale tipo di servitu’ sarebbe limitata agli elettrodotti di tensione uguale o superiore a 220kV.
A seguito di cio’ la […] proponeva le domande in epigrafe.
L’amministrazione regionale si costituiva in giudizio, resistendo alle pretese avverse.
La domanda incidentale di sospensione non veniva trattata, essendo cancellata dal ruolo cautelare.
Motivi della decisione
1. Contro il diniego di proroga del termine per il compimento delle procedure espropriative, la ricorrente deduce:
– incompetenza del dirigente del Settore provinciale del Genio civile di […];
– omessa considerazione dei giustificati motivi rappresentati e sussistenti per la proroga, dipendenti da cause non imputabili alla […], ma semmai alla stessa autorita’ regionale;
– erronea ed inappropriata considerazione di una circostanza estranea al procedimento di proroga (mancata fissazione nel decreto n. […]/98 dei termini per l’inizio ed il completamento dei lavori e delle espropriazioni), comportante una indebita disapplicazione del provvedimento di autorizzazione provvisoria rilasciato nel 1998, rimasto inoppugnato, ovvero un illegittimo autoannullamento implicito della dichiarazione di pubblica utilita’ derivante da tale provvedimento, nonche’ una contraddittorieta’ rispetto alle determinazioni contenute nel successivo provvedimento di autorizzazione definitiva rilasciato nel 2002, contenente la fissazione dei suddetti termini e l’autorizzazione di una variante;
– omessa considerazione dell’interesse pubblico al mantenimento in servizio di una linea elettrica gia’ completamente realizzata;
– carattere meramente ordinatorio del termine per il compimento delle procedure espropriative quando sia osservato il termine per l’ultimazione dei lavori;
– tempestivita’ della richiesta di proroga, avanzata prima della scadenza del termine, ed imputabilita’ alla Regione della tardiva emanazione della relativa determinazione;
– erroneo presupposto della illegittimita’ del provvedimento di autorizzazione provvisoria a causa dell’omessa fissazione dei termini per violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del D.P.R. n. 342 del 1965 che comporterebbe solo la dichiarazione di indifferibilita’ ed urgenza ai fini dell’occupazione dei suoli, laddove la dichiarazione di pubblica utilita’ e la conseguente applicabilita’ dell’art. 13 della Legge n. 2359 del 1865 deriverebbe dalla successiva autorizzazione definitiva dell’opera;
– illegittimita’ costituzionale, per contrasto con gli artt. 3, 42, 43 cost., del citato art. 9 del D.P.R. n. 342 del 1965, applicabile alle sole opere dell’ENEL, qualora interpretato in senso maggiormente oneroso rispetto al regime ordinario vigente per gli altri operatori, per i quali sarebbe da escludere che l’autorizzazione provvisoria implichi una dichiarazione di pubblica utilita’.
Sull’argomento giova premettere che la determinazione impugnata si fonda su due presupposti: da una parte, l’illegittimita’ dell’originario provvedimento di autorizzazione provvisaria, dall’altra, l’avvenuta scadenza del termine da prorogare.
1.1. Orbene e’ in primo luogo da osservare che, allo stato dei fatti, la linea elettrica in questione ha ottenuto l’autorizzazione definitiva, con la conseguente dichiarazione di pubblica utilita’, e sono stati fissati i termini per l’esecuzione dei lavori e delle procedure ablatorie.
La ricorrente si duole della congruita’ di tali termini (la cui decorrenza viene riferita all’epoca dell’autorizzazione provvisoria); nondimeno la determinazione contenuta nel decreto del 2002 e’ inoppugnata e comporta, come conseguenza, l’onere di portare a termine i procedimenti di asservimento entro la data del 3/6/2003, a prescindere dalla legittimita’ o meno dell’originario provvedimento del 1998.
Si puo’ pertanto riconoscere che l’eventuale vizio dell’autorizzazione provvisoria, riscontrato dalla stessa Regione, non puo’ assumere rilevanza agli effetti della determinazione sulla istanza di proroga, che si riferisce ad un termine stabilito nel successivo provvedimento di autorizzazione definitiva.
Tuttavia, cio’ non e’ sufficiente ad invalidare gli atti impugnati.
1.2. Infatti, il diniego di proroga non si limita ad evidenziare la illegittimita’ del precedente decreto n. 4612/98, ma si sorregge su una ulteriore circostanza che va qui esaminata: quella della sopravvenuta scadenza del termine per il completamento delle procedure espropriative.
1.2.1. La ricorrente contesta, in primo luogo, che, essendosi completati i lavori nei termini stabiliti, la dichiarazione di pubblica utilita’ resterebbe valida nonostante la scadenza del termine finale per le espropriazioni.
In merito l’art. 13 della Legge n. 2359 del 1865 prevede che “trascorsi i termini, la dichiarazione di pubblica utilita’ diventa inefficace …”.
Tale disposizione viene intesa, nella prevalente giurisprudenza, nel senso che l’assoggettamento alla procedura espropriativa si estinguerebbe allorche’ vengono a scadenza tutti i termini prestabiliti senza che sia stato tempestivamente emanato l’atto conclusivo della procedura (cfr. Cass., ss.uu., 6/5/1998, n. 4571).
Nella specie entrambi i termini finali (coincidenti per durata e decorrenza) sono scaduti.
Nel caso di espropriazione successiva alla scadenza di tutti i termini, un remoto orientamento della giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. St., ad. plen., 20/12/1965, n. 40), contrastato dalla giurisprudenza ordinaria (cfr. Cass., ss. uu., 26/11/1979, n. 6171), ravvisava la legittimita’ del provvedimento allorquando l’opera fosse stata comunque realizzata tempestivamente; cio’ sul presupposto che l’avvenuta esecuzione dei lavori rendesse superflua una nuova dichiarazione di pubblica utilita’. Tale orientamento risulta tuttavia superato a seguito di una nuova pronuncia del massimo organo di giustizia amministrativa (cfr. Cons. St., ad. plen., 25/2/1975, n. 2).
Ma vi e’ di piu’: la tesi del carattere ordinatorio dei termini di inizio nonche’ di quello per il compimento delle procedure espropriative, a fronte della perentorieta’ del solo termine per l’esecuzione dei lavori, viene sostenuta al fine di escludere che la scadenza dei termini non perentori comporti una decadenza (e cioe’ la perdita) del potere ablatorio (nella tradizionale prospettazione della giurisprudenza ordinaria sulla distinzione tra carenza e cattivo esercizio del potere, ai fini del riparto della giurisdizione nel regime anteriore al D.Lgs. n. 80/1998). Cio’ non significa, tuttavia, che il termine finale per l’espropriazione, ancorche’ ordinatorio, non sia vincolante nell’esercizio della potesta’ amministrativa. Vero e’ piuttosto che la scadenza di tale termine, se per un verso non fa venir meno il potere, influisce se del caso sulla legittimita’ degli atti consequenziali adottati (cfr. Cass., ss.uu., 22/2/1995, n. 1962; 6/5/1995, n. 4987).
1.2.2. Se per un verso, dunque, la dichiarazione di pubblica utilita’ viene meno a seguito della scadenza di tutti i termini all’uopo fissati, lo stesso art. 13 della Legge n. 2359 del 1865 contempla la possibilita’ che i termini siano prorogati “per causa di forza maggiore o per altre ragioni indipendenti dalla volonta’ dei concessionari”. Orbene e’ indubbio che la proroga non puo’ che essere anteriore alla scadenza dei termini, poiche’ altrimenti, come lo stesso art. 13 precisa, “non potra’ procedersi ad espropriazione se non in forza di una nuova dichiarazione ottenuta nelle forme prescritte” (cfr. Cons. St., SEZIONE VI, 10/10/2002, n. 5443).
Nella specie e’ pacifico che il provvedimento impugnato e’ stato emanato in un momento in cui la scadenza dei termini di validita’ della dichiarazione di pubblica utilita’ si erano ormai consumati, precludendo l’adozione di una determinazione di proroga.
1.2.3. La ricorrente obietta che il ritardo sia imputabile all’amministrazione.
Sull’argomento giova premettere che tale contestazione potrebbe semmai assumere rilevanza sul piano risarcitorio, in relazione agli effetti lesivi conseguenti ad un comportamento omissivo dell’amministrazione che non avrebbe tempestivamente adempiuto ad un obbligo di provvedere. Nondimeno, l’illegittimita’ sarebbe da riferire non tanto all’atto tardivo, quanto piuttosto all’inerzia che precede l’emanazione del provvedimento.
Quest’ultimo, una volta che siano scaduti i termini, non potrebbe comunque concedere la proroga, una volta che si sia verificato l’effetto decadenziale.
Infatti, in base ai principi che regolano l’istituto della decadenza (cfr. art. 2966 c.c.), il potere si estingue, qualora non sia esercitato nel termine prescritto, quali che siano le cause del ritardo.
Ne’ sarebbe peraltro ipotizzabile l’emanazione di un atto di proroga con effetto retroattivo. Infatti, secondo i principi ai quali si uniforma l’azione amministrativa (cfr. art. 11 preleggi c.c.), e’ da escludere che un atto avente effetti negativi nella sfera giuridica dei destinatari della determinazione autoritativa possa disporre per un’epoca anteriore alla sua emanazione (cfr. Cons. St., SEZIONE VI, 1/12/1999, n. 2045).
Ne’ si potrebbe obiettare che nella specie si tratti di in un atto “in bonam partem”, poiche’ e’ evidente che il vantaggio reclamato dalla ricorrente comporta ovviamente un consequenziale pregiudizio per i proprietari dei fondi destinati all’asservimento. 1.2.4. In ogni caso neppure si puo’, nel caso in esame, ravvisare un ritardo dell’amministrazione regionale.
L’art. 2 della Legge n. 241 del 1990 prevede che l’autorita’ amministrativa ha l’obbligo di concludere il procedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso entro il termine previsto con Legge o con regolamento ovvero, in difetto di apposita disposizione (che nella specie non risulta e non e’ allegata), nel termine di trenta giorni.
Orbene, la societa’ ricorrente ha avanzato la propria istanza alla Regione in data 13/5/2003, e cioe’ appena 21 giorni prima della scadenza della validita’ della dichiarazione di p.u.: considerato lo “spatium deliberandi” di 30 giorni assegnato all’amministrazione, e’ evidente che quest’ultima non puo’ essere considerata responsabile per non aver risposto in tempo utile.
1.3. In conclusione, dunque, il diniego di proroga e’ giustificato (anzi imposto) dall’avvenuta scadenza del termine.
Tale circostanza,
rispetto alla quale le doglianze dedotte dalla ricorrente sono infondate, e’ di per se’ sufficiente a sorreggere il provvedimento impugnato.
Pertanto risultano ininfluenti le ulteriori considerazioni svolte nel provvedimento in ordine alla illegittimita’ di un atto presupposto.
Conseguentemente tutte le censure svolte sull’argomento dalla ricorrente si palesano inammissibili, essendo inidonee a demolire la determinazione negativa.
1.4. In tale contesto la questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 9 del D.P.R. n. 342 del 1965 si palesa irrilevante ai fini della decisione della causa.
1.5. Una volta chiarito il contenuto vincolato e la natura dovuta della determinazione impugnata, non si puo’ escludere la competenza in materia del dirigente del settore provinciale del Genio civile, che nella specie ha provveduto in conformita’ degli elementi elaborati dal responsabile del procedimento.
Infatti, con decreto dirigenziale n. 1221 del 1/7/2002, risultano demandati ai dirigenti dei settori provinciali del Genio civile tutti i compiti per l’attuazione di obiettivi e di programmi attinenti alla competenza dei settori medesimi, ivi compresa l’emanazione di atti aventi rilevanza esterna.
2. Contro gli altri atti impugnati, recanti l’arresto del procedimento di imposizione della servitu’ di elettrodotto inamovibile, la ricorrente deduce:
– falsa applicazione dell’art. 9 del D.P.R. n. 342 del 1965 che, nel contemplare l’inamovibilita’ degli elettrodotti con tensione maggiore o uguale a 220kV, non escluderebbe la potesta’ di dichiarare l’inamovibilita’ per linee inferiori in presenza di specifiche necessita’;
– tale potesta’ neppure sarebbe esclusa dal D.P.R. n. 327 del 2001;
– le determinazioni in ordine alla inamovibilita’ riguarderebbero la fase dell’emissione del decreto di asservimento e non precluderebbero la pubblicazione dei piano particellare.
2.1. Un primo punto da chiarire e’ se, per effetto di quanto statuito nel precedente paragrafo 1, residui un concreto interesse della ricorrente alla impugnativa in esame.
Al riguardo va rilevato che con il provvedimento di autorizzazione definitiva, nello stabilire i termini (ormai scaduti, come si e’ detto) relativi all’originario progetto di raccordo dalla linea elettrica […], e’ stata anche approvata la realizzazione della variante per la regolarizzazione dell’interferenza con l’opificio […]. Per tale variante sono fissati termini finali distinti, che non sono ancora scaduti.
Non si puo’ affermare, dunque, che l’interesse al ricorso sia del tutto venuto meno. Le censure dedotte dalla ricorrente sono invece infondate nel merito.
2.2. Giova premettere che la regola generale, posta dall’art. 122 del testo-unico n. 1775 del 1933, e’ che la servitu’ per la installazione di linee elettriche sia di carattere amovibile, e cioe’ comporti il diritto potestativo per il proprietario del fondo di ottenere, a carico dell’esercente dell’elettrodotto, lo spostamento della linea, purche’ il proprietario stesso offra a tal scopo un altro luogo adatto all’esercizio della servitu’. Due sono i casi nei quali e’ contemplata la deroga a tale regime ordinario.
La prima ipotesi e’ di fonte negoziale: lo stesso art. 122 prevede la possibilita’ di costituire una servitu’ inamovibile, mediante la quale, con una apposita pattuizione, e quindi con il consenso del proprietario del fondo asservito, quest’ultimo abdica al diritto di conseguire lo spostamento dell’elettrodotto.
La seconda e’ di fonte normativa: l’art. 9 del D.P.R. n. 342 del 1965 prevede che la costruzione da parte dell’ENEL di elettrodotti a tensione uguale o superiore a 220 kV sono inamovibili “ope legis”, con conseguente inapplicabilita’ del diritto di spostamento di cui all’art. 122 del testo unico del 1933.
Al di fuori di tali eccezioni, non e’ contemplata l’imposizione della servitu’ inamovibile in via autoritativa, in quanto comporterebbe la sottrazione al proprietario del diritto a lui garantito dal ripetuto art. 122.
Invero la Suprema Corte ha avuto modo di precisare che l’inamovibilita’, oltre che in via pattizia o normativa, puo’ essere anche desunta quando l’impianto presenti caratteristiche strutturali implicanti una assoluta impossibilita’ di modifica o di spostamento.
Tale statuizione e’ tuttavia riferita all’ipotesi di costituzione di servitu’ giudiziale (cfr. Cass., SEZIONE I, 23/4/1992, n. 4892) ovvero al fine della liquidazione dell’indennita’ per l’asservimento del fondo all’elettrodotto (cfr. Cass., SEZIONE I, 18/10/1984, n. 5260).
In entrambi i casi le pronunce sono essenzialmente ispirate dall’esigenza di compensare il pregiudizio sofferto dai proprietari a causa del passaggio delle condutture elettriche, in quei casi nei quali sarebbe di fatto concretamente impossibile l’esercizio, da parte degli interessati, del diritto di ottenere uno spostamento della linea.
Nella fattispecie non e’ qui in discussione il bilanciamento degli interessi tra un proprietario che lamenti un maggior indennizzo a ristoro di un diritto che non potrebbe esercitare, ma si presenta invece la pretesa dell’esercente di rendere inamovibile una servitu’ anche contro la volonta’ di soggetti che avrebbero in astratto la possibilita’ di avvalersi della facolta’ prevista dall’art. 122. Ne’, come ovvio, una particolare onerosita’, per l’esercente, dello spostamento della linea sarebbe idoneo a dimostrare l’impossibilita’ di tale intervento ed a neutralizzare il corrispondente diritto dei proprietari interessati.
2.3. Il riferimento al testo unico delle disposizioni in materia di espropriazione non e’ pertinente, atteso il disposto dell’art. 57 del D.P.R. n. 327 del 2001, che esclude l’applicabilita’ della nuova disciplina ai procedimenti in corso (a quelli cioe’ per i quali, alla data di entrata in vigore del decreto, sia gia’ intervenuta la dichiarazione di pubblica utilita’).
2.4. E’, infine, da osservare che la […], con la nota del 14/5/2003, ha chiesto le pubblicazioni precisandone espressamente la finalita’, diretta al conseguimento della servitu’ di elettrodotto inamovibile, e cioe’ in deroga all’art. 122 del testo-unico n. 1775 del 1933.
A fronte di cio’ la ricorrente non ha un concreto interesse a dolersi che l’amministrazione abbia anticipato l’esito su tale esplicita richiesta, chiarendo fin dall’inizio le ragioni ostative ad una autoritativa imposizione della inamovibilita’.
3. La ricorrente chiede, infine, il risarcimento dei danni sulla base di una duplice, alternativa prospettazione:
– nel caso di illegittimita’ (e quindi di annullamento) degli atti impugnati, la Regione sarebbe responsabile dei danni ai quali la […] sarebbe esposta in conseguenza della protrazione delle occupazioni divenute abusive;
– nel caso di legittimita’ degli atti impugnati e di confermata illegittimita’ degli atti presupposti, comportanti la dichiarazione di pubblica utilita’, la Regione sarebbe responsabile dei danni subiti dalla […] e consistenti nel costo dell’elettrodotto (appalto, materiali e indennita’), nelle spese di smantellamento, nelle maggior somme dovute ai proprietari interessati per l’occupazione dei suoli o nel prezzo pagato per l’acquisizione dei diritti di servitu’.
3.1. Sul primo punto, e’ agevole osservare che la reiezione delle impugnative proposte esclude la sussistenza di un danno risarcibile.
Nella circostanza, giova inoltre richiamare le specifiche considerazioni svolte sopra ai paragrafi 1.2.3 e 1.2.4.
3.2. Sul secondo punto la giurisprudenza amministrativa ha chiarito (e di cio’ si mostra consapevole la stessa ricorrente) che la risarcibilita’ del danno derivante dall’emanazione di un atto illegittimo presuppone l’impugnazione e l’annullamento dell’atto lesivo (cfr. Cons. St., ad. plen., 26/3/2003, n. 4).
Sennonche’ e’ incontroverso che il decreto di autorizzazione provvisoria del 1998, come pure il successivo decreto di autorizzazione definitiva, sono rimasti inoppugnati.
La ricorrente obietta, nondimeno, che il diniego di proroga, fondato (anche) sulla illegittimita’ dell’autorizzazione provvisoria, comporterebbe per implicito un autoannullamento della medesima e cio’ aprirebbe la strada alla domanda risarcitoria alla stessa stregua di un annullamento in sede giurisdizionale.
Anche tale argomentazione va pero’ disattesa. Per la sussistenza di un atto implicito occorre (in particolare) che dal comportamento dell’autorita’ si possa desumere in modo non equivoco la volonta’ provvedimentale attraverso un collegamento esclusivo e bilaterale tra atto implicito e atto presupponente, nel senso che l’atto implicito deve essere l’unica conseguenza possibile, o un presupposto indefettibile, di quello espresso (cfr. Cons. St., SEZIONE IV, 18/10/2002, n. 5758).
Nella specie, invece, come gia’ accennato nel precedente paragrafo 1.1 e 1.3, l’amministrazione si e’ meramente limitata ad una postuma quanto irrilevante constatazione della illegittimita’ di un atto presupposto. Non puo’ dirsi che tale valutazione, peraltro resa superflua dalla sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilita’, abbia la natura e gli effetti dell’esercizio dei poteri di autotutela.
3.3. In conclusione non e’ superflua, con riferimento complessivo alle pretese risarcitorie vantate dalla ricorrente, un’ultima considerazione.
L’assoggettamento coattivo dei suoli attraversati dalle condutture elettriche puo’ essere ottenuto non solo in via autoritativa, mediante provvedimento di tipo ablatorio adottato dall’autorita’ amministrativa, ma anche in via giudiziale.
L’autorizzazione all’esercizio dell’elettrodotto, che costituisce il presupposto necessario per la costituzione della servitu’ anche contro la volonta’ dei proprietari dei terreni attraversati, realizza la condizione prevista dalla Legge affinche’ l’esercente possa pretendere coattivamente la costituzione della servitu’ in via giudiziale; e cio’ anche
dopo la scadenza dei termini di efficacia della dichiarazione di pubblica utilita’. Tali termini, infatti, rilevano ai soli fini della procedura amministrativa di asservimento, ma non influiscono sul valore, attribuito al provvedimento dall’art. 119 del testo-unico n. 1775 del 1933, di presupposto per l’imposizione della servitu’ mediante sentenza del giudice ordinario, ai sensi degli artt. 1032 e 1056 c.c. (cfr. Cass., SEZIONE I, 18/7/1986, n. 4624).
Cio’ porta ad escludere che possa essere considerata come immediatamente dimostrata ed apprezzata in questa sede la prospettiva di un danno giuridicamente rilevante ed imputabile alla Regione, in relazione alle pretese risarcitorie ed alle ulteriori conseguenze derivanti dalla sopravvenuta inefficacia o dalla originaria illegittimita’ della dichiarazione di pubblica utilita’ […]