[…]
FATTO
1.‒ Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, la signora […] ‒ comproprietaria dell’immobile sito in […], unitamente alle signore […], tutte eredi della defunta […] ‒ impugnava il provvedimento n. […] del […]2015, notificato il […] 2015, con cui l’Amministrazione comunale di […] aveva rigettato l’istanza di condono edilizio (prot. n. […] del […]1986) presentata dalla de cuius, e contestualmente aveva ingiunto la demolizione di talune opere realizzate senza il previo ottenimento dei prescritti titoli abilitativi edilizi e paesaggistici, consistenti nella costruzione di un’abitazione in cemento armato, per civile abitazione, sita in […] di mq. 63,20. Il diniego del permesso di costruire in sanatoria era stato motivato dall’Amministrazione comunale in ragione della mancata produzione della documentazione richiesta in più occasioni (con le note prot. n. […]) per la definizione della pratica.
1.1.‒ A fondamento dell’impugnativa la ricorrente lamentava: – la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, tenuto conto che tutte le comunicazioni inerenti la procedura, ivi compreso il provvedimento impugnato avevano avuto quale sola ed unica destinataria la dante causa deceduta il […] 2015; – la violazione dell’art. 32, comma 37, della legge n. 326 del 2003, dovendosi ritenere integrata la fattispecie normativa del silenzio assenso; – la violazione del principio del legittimo affidamento, considerato l’arco temporale (circa 30 anni) trascorso dalla domanda di sanatoria ed il protrarsi dell’inerzia dell’Amministrazione preposta alla vigilanza, nonché dei principi di ragionevolezza e proporzionalità; – la violazione dell’art. 34 del T.U. n. 380 del 2001, in ordine alla mancata applicazione della sanzione pecuniaria in luogo dell’ordine di demolizione.
2.‒ Il Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria, con sentenza n. 832 del 2016, respingeva integralmente il ricorso.
3.‒ Avverso la predetta sentenza, ha proposto appello la signora […], chiedendone la riforma.
4.‒ Con ordinanza 26 aprile 2017 n. 1742, la Sezione ‒ «Rilevato, prima facie, che sembrano fondati almeno i motivi di appello incentrati sulla violazione del contraddittorio procedimentale» ‒ ha sospeso in via interinale l’esecutività della sentenza impugnata e gli atti impugnati in primo grado.
5.‒ L’amministrazione comunale si è costituita in giudizio, chiedendo che l’appello venga respinto.
6.‒ All’udienza del 5 luglio 2018, la causa è stata discussa e trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1.‒ Il primo motivo di gravame ‒ con il quale l’appellante ripropone la censura inerente la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento conclusosi con l’adozione della sanzione ripristinatoria oggetto del presente gravame ‒ è fondato.
1.1.‒ In termini generali, la violazione dell’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento non costituisce una ragione idonea a determinare l’annullabilità dei provvedimenti sanzionatori in materia di abusi edilizi, in quanto è palese, attesa l’assenza di qualsivoglia titolo abilitativo all’edificazione, che il contenuto dispositivo del provvedimento «non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato» (art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990). L’ordinanza di demolizione, quale atto dovuto e non implicante valutazioni discrezionali, fondato su un presupposto di fatto rientrante nella sfera di controllo dell’interessato, non richiede, generalmente, apporti partecipativi di quest’ultimo, il quale del resto ‒ in relazione alla disciplina tipizzata dei procedimenti repressivi, contemplante la preventiva contestazione dell’abuso, ai fini del ripristino di sua iniziativa dell’originario assetto dei luoghi ‒ viene, in ogni caso, posto in condizione di interloquire con l’amministrazione prima di ogni definitiva statuizione di rimozione d’ufficio delle opere abusive.
1.2.‒ E’ chiaro, tuttavia, che tale assunto non deve ritenersi incondizionato, e si deve arrivare ad una conclusione diversa ogni qual volta l’apporto procedimentale del privato sia idoneo ad influire concretamente sulla decisione amministrativa. Ebbene, nel caso in esame, tutte le comunicazioni inerenti la procedura di condono edilizio avevano avuto quale sola ed unica destinataria la dante causa […], deceduta alla data del […]2015 (prima della emissione del provvedimento impugnato), tanto che, solo al momento della ricezione del diniego (in data […] 2015), l’odierna appellante e le altre eredi della defunta […] erano venute a conoscenza dell’esistenza di tale pratica. È evidente, quindi, che solo rendendola edotta della domanda di sanatoria pendente, l’odierna appellante avrebbe potuto adempiere al richiesto deposito di documenti relativi alla pratica di sanatoria curata dalla dante causa ‒ unica destinataria delle richieste integrative ‒, la cui inottemperanza è stata posta a fondamento del rigetto dell’istanza.
2.‒ Non può invece avere rilievo, ai fini della validità del provvedimento di diniego della sanatoria e del conseguente ordine di demolizione, il tempo trascorso (circa 30 anni) tra la presentazione della domanda e la conclusione dell’iter procedimentale. Sul punto vanno richiamate le recenti statuizioni contenute nella sentenza dell’Adunanza plenaria n. 9 del 2017.
2.1.‒ La mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere-dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere ‘legittimo’ in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata. Non si può applicare a un fatto illecito (l’abuso edilizio) il complesso di acquisizioni che, in tema di valutazione dell’interesse pubblico, è stato enucleato per la diversa ipotesi dell’autotutela decisoria. Non è in alcun modo concepibile l’idea stessa di connettere al decorso del tempo e all’inerzia dell’amministrazione la sostanziale perdita del potere di contrastare l’abusivismo edilizio, ovvero di legittimare in qualche misura l’edificazione avvenuta senza titolo, non emergendo oltretutto alcuna possibile giustificazione normativa a una siffatta – e inammissibile – forma di sanatoria automatica. Se pertanto il decorso del tempo non può incidere sull’ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l’illecito attraverso l’adozione della relativa sanzione, deve conseguentemente essere escluso che l’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo debba essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata. In tal caso, è del tutto congruo che l’ordine di demolizione sia adeguatamente motivato mercé il richiamo al comprovato carattere abusivo dell’intervento, senza che si impongano sul punto ulteriori oneri motivazionali, applicabili nel diverso ambito dell’autotutela decisoria. Il decorso del tempo, lungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell’interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell’intervento: l’eventuale connivenza degli amministratori locali pro tempore o anche la mancata conoscenza dell’avvenuta commissione di abusi non fa venire meno il dovere dell’Amministrazione di emanare senza indugio gli atti previsti a salvaguardia del territorio.
Anche nel caso in cui l’attuale proprietario dell’immobile non sia responsabile dell’abuso e non risulti che la cessione sia stata effettuata con intenti elusivi, le conclusioni sono le stesse. Si osserva in primo luogo al riguardo che il carattere reale della misura ripristinatoria della demolizione e la sua precipua finalizzazione al ripristino di valori di primario rilievo non si pongono in modo peculiare nelle ipotesi in cui il proprietario non sia responsabile dell’abuso. Non può infatti ritenersi che, ferma restando la doverosità della misura ripristinatoria, la diversità soggettiva fra il responsabile dell’abuso e l’attuale proprietario imponga all’amministrazione un peculiare ed aggiuntivo onere motivazionale. Ed infatti il carattere reale dell’abuso e la stretta doverosità delle sue conseguenze non consentono di valorizzare ai fini motivazionali la richiamata alterità soggettiva (la quale può – al contrario – rilevare a fini diversi da quelli della misura ripristinatoria, come nelle ipotesi del riparto delle responsabilità fra il responsabile dell’abuso e il suo avente causa).
2.2.‒ Per gli stessi motivi non sussiste alcuna sproporzione tra l’illecito commesso e la sanzione applicata, peraltro espressamente ricollegata dall’ordinamento alla tipologia abusiva qui in contestazione.
3.‒ Parimenti infondata è la censura secondo cui il Comune non avrebbe valutato che la demolizione degli interventi reca pregiudizio anche alle opere conformi al titolo edilizio.
3.1.‒ Vale la pena ricordare che l’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001 disciplina gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire, prevedendo, al secondo comma, che «quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione». La possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria, disciplinata dalla disposizione appena citata, deve dunque essere valutata dall’Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all’ordine di demolizione (ex plurimis: Consiglio di Stato, sez. VI 29 novembre 2017, n. 5585; sez. VI, 12 aprile 2013, n. 2001). In tale sede dovrà appurarsi se si possa procedere a demolizione delle opere, per come richiesto dal Comune, senza pregiudizio alla parte dell’immobile eseguita in conformità, ovvero se (come si legge nelle deduzioni a firma del CTP allegato al fascicolo dell’appellante) ciò finirebbe per «compromettere gravemente la struttura portante della porzione di fabbricato non oggetto di demolizione, in quanto le vibrazioni causate dalle attrezzature per l’esecuzione di quanto previsto potrebbero formare delle lesioni irreversibili nella restante parte della struttura portante, le quali andrebbero a causare il collasso della struttura stessa».
4.‒ Quanto all’affermata formazione del silenzio assenso sulla domanda di condono, correttamente il giudice di prime cure si è attenuto al costante orientamento giurisprudenziale secondo cui, per la formazione del silenzio-assenso sull’istanza di condono edilizio, è necessario che ricorrano i requisiti, sia dell’avvenuto pagamento dell’oblazione dovuta e degli oneri di concessione, sia dell’avvenuto deposito di tutta la documentazione prevista per la sanatoria (Consiglio di Stato, sez. IV, 11 ottobre 2017, n. 4703; Consiglio di Stato, sez. IV, 26 aprile 2018, n. 2517).
5.‒ Conclusivamente, l’appello è fondato nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma delle sentenze di primo grado, il provvedimento impugnato va annullato.
[…]