Corte di Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 30049 del 2018, dep. il 04/07/2018

[…]

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 28 marzo 2017 la Corte d’appello di Palermo, quale giudice dell’esecuzione, ha respinto la richiesta formulata da […] e […], di revocare l’ordine di demolizione delle opere abusive impartito con la sentenza del 22 maggio 2000 della medesima Corte territoriale, divenuta irrevocabile il 20 settembre 2000, ritenendo insussistenti le pretese difficoltà tecniche di procedere alla demolizione, nonché la sua eccessiva onerosità e il pericolo per la pubblica incolumità e per le proprietà adiacenti, prospettati dai condannati e posti a fondamento della richiesta di revoca dell’ordine di demolizione da eseguire.

2. Avverso tale ordinanza i condannati hanno proposto congiuntamente ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

2.1. Con un primo motivo hanno denunciato la violazione degli artt. 7 I. 47/85 e 31, comma 9, d.P.R. 380/2001, in relazione all’art. 655, commi 1 e 2, cod. proc. pen. e vizio della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) et e), cod. proc. pen., con riferimento alla competenza della Procura Generale presso la Corte d’appello di Palermo a emanare l’ingiunzione a demolire, in quanto tale competenza avrebbe dovuto essere attribuita al pubblico ministero presso il Tribunale di Agrigento, giacché la sentenza della Corte d’appello di Palermo del 22 maggio 2000, divenuta irrevocabile il 20 settembre, aveva solamente parzialmente riformato quella di primo grado, anche a seguito dell’impugnazione del pubblico ministero, condannando il coimputato […] anche per il delitto da cui era stato assolto nel primo grado di giudizio e rideterminando per costui la pena, eliminando per i ricorrenti la subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione del manufatto abusivo, e confermando nel resto la sentenza impugnata. Dunque la sentenza di appello, pur rideterminando la pena inflitta dal primo giudice, per effetto dell’unificazione dei reati sotto il vincolo della continuazione, aveva comunque confermato quella di primo grado; inoltre la sentenza di appello era già stata eseguita, con il compimento degli adempimenti di cui agli artt. 656 e ss. cod. proc. pen., con il conseguente esaurimento del potere di esecuzione del Procuratore Generale presso la Corte d’appello e l’incompetenza di quest’ultimo e della Corte d’appello di Palermo in funzione di giudice dell’esecuzione.

2.2. Con un secondo motivo hanno denunciato ulteriore violazione delle medesime disposizioni, nonché dell’art. 14 della l. Regione Sicilia n. 16 del 2016 e vizio della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) et e), cod. proc. pen., non avendo la Corte d’appello indicato le ragioni del diniego della sospensione della demolizione nonostante la presentazione della richiesta di rilascio di permesso di costruire in sanatoria.

2.3. Mediante un terzo motivo hanno prospettato ulteriore violazione delle medesime norme e degli artt. 192, 655 e 656 cod. proc. pen. e vizio della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) et e), cod. proc. pen., in riferimento alla mancata considerazione delle osservazioni del proprio consulente tecnico di parte e delle controdeduzioni dallo stesso depositate nel corso dell’udienza del 28 marzo 2017 innanzi alla Corte d’appello di Palermo, con cui erano state evidenziate plurime perplessità di ordine tecnico circa la concreta realizzabilità della demolizione, tenendo conto della esistenza di edifici confinanti realizzati in aderenza o in appoggio, che sarebbero stati pregiudicati dalla esecuzione della demolizione.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso, nella sua requisitoria scritta, chiedendo di dichiarare inammissibili i ricorsi, sottolineando l’infondatezza della eccezione di incompetenza, l’irrilevanza della mera presentazione della richiesta di rilascio del permesso di costruire in sanatoria e l’infondatezza della prospettazione relativa alla impossibilità tecnica di procedere alla demolizione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non è fondato.

2. Il primo motivo di ricorso, mediante il quale è stata eccepita l’incompetenza funzionale della Corte d’appello, quale giudice dell’esecuzione, non è fondato.
Il secondo comma dell’art. 665, comma 2, cod. proc. pen. individua nel giudice che lo ha adottato quello competente a conoscere dell’esecuzione di un provvedimento anche quando, qualora lo stesso sia impugnato, lo stesso sia stato confermato o riformato soltanto in relazione alla pena, alle misure di sicurezza o alle disposizioni civili, attribuendo altrimenti la competenza al giudice d’appello. Quando, però, vi sia una pluralità di imputati e la sentenza, come nel caso in esame (nel quale il coimputato […], in accoglimento della impugnazione del pubblico ministero, è stato condannato dalla Corte d’appello di Palermo anche in relazione al delitto per il quale era stato assolto dal Pretore di Agrigento), sia stata riformata solamente nei confronti di un coimputato, la competenza a provvedere in executivis è, per il principio dell’unitarietà dell’esecuzione, del giudice di appello, non solo rispetto agli imputati per i quali la sentenza di primo grado sia stata sostanzialmente riformata, ma anche per quelli nei cui confronti la decisione di primo grado sia stata confermata (Sez. 1, n. 10676 del 10/02/2015, Cuneo, Rv. 262987; Sez. 1, n. 14686 del 28/02/2014, D’Aprile, Rv. 259797; Sez. 1, n. 21681 del 22/03/2013, Fiore, Rv. 256081; Sez. 1, n. 10415 del 16/02/2010, Guarnieri, Rv. 246395; Sez. 1, n. 44481 del 04/11/2009, Arena, Rv. 245681).
Inoltre la sentenza di appello che, come nel caso in esame, riformi la sentenza di primo grado, unificando i reati sotto il vincolo della continuazione e riducendo la pena inflitta, integra una modificazione di carattere strutturale e inerente al reato, sicché non può ritenersi semplice modificazione della pena che, a norma del secondo comma dell’art. 665 cod. proc. pen., mantiene la competenza dell’esecuzione in capo al giudice di primo grado, con la conseguente configurabilità della competenza del giudice d’appello quale giudice dell’esecuzione (Sez. 1, n. 5772 del 20/11/1998, dep. 08/02/1999, Biolzi, Rv. 212445).
Ne consegue l’infondatezza della eccezione di incompetenza funzionale sollevata dai ricorrenti con il primo motivo, atteso che la sentenza di secondo grado ha riformato quella del Pretore di Agrigento non solo in relazione alla pena, ma anche con riferimento alla condanna di un coimputato, in relazione a reato da cui era stato assolto in primo grado, e anche al riconoscimento della continuazione tra i reati ascritti ai ricorrenti, ravvisando una modificazione di carattere strutturale del reato, dunque non limitata alla pena, con la conseguente corretta individuazione nella Corte d’appello di Palermo del giudice competente a conoscere dell’esecuzione dell’ordine di demolizione disposto dal Pretore di Agrigento con la sentenza del 11 febbraio 1999. Tale competenza non è, poi, esclusa dal fatto che tutte le statuizioni penali siano state eseguite e che residui esclusivamente l’esecuzione dell’ordine di demolizione, che è sanzione amministrativa a carattere ripristinatorio la cui esecuzione è attribuita al giudice penale congiuntamente alla autorità amministrativa, non essendo previste deroghe, tantomeno del genere prospettato dai ricorrenti, al suddetto criterio di determinazione della competenza del giudice dell’esecuzione.

3. Il secondo motivo, mediante il quale è stata lamentata, l’omessa considerazione della presentazione e della pendenza della richiesta di sanatoria, è inammissibile, sia perché, secondo quanto si ricava dalla non contestata narrativa dell’ordinanza impugnata, tale circostanza non era stata prospettata al giudice dell’esecuzione, e dunque è ora preclusa la doglianza riguardo alla sua inadeguata od omessa considerazione da parte dei tale giudice; sia perché tale censura è intrinsecamente generica, dunque priva della necessaria specificità, richiesta per ogni impugnazione dall’art. 581, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., consistendo nella esposizione di principi interpretativi sul vizio di motivazione, disgiunta da qualsiasi riferimento alla fattispecie concreta, soprattutto quanto alle prospettive, alle probabilità e ai tempi di accoglimento della istanza di sanatoria, che devono, invece, essere attentamente valutati dal giudice dell’esecuzione nella verifica della sussistenza dei presupposti per poter disporre la sospensione dell’ordine di demolizione in presenza di una istanza di sanatoria o condono (cfr., ex plurimis, Sez. 3, n. 9145 del 01/07/2015, Manna, Rv. 266763; Sez. 3, Ordinanza n. 47263 del 25/09/2014, Russo, Rv. 261212; Sez. 3, 7/12/2011, 11149/2012; Sez. 4, 11/10/2011, n. 44035; Sez. 3, 7/7/2011, n. 36992; Sez. 3, 21/6/2011, n. 29638).

4. Il terzo motivo, mediante il quale è stata lamentata l’insufficiente considerazione del pregiudizio conseguente alla esecuzione della demolizione, sia per la parte legittima del fabbricato, sia per quelli adiacenti appartenenti a terzi, sia per la pubblica incolumità, non è fondato.
Premesso che gli imputati sono stati condannati per avere realizzato in assenza di concessione una seconda e una terza elevazione di un preesistente fabbricato, di loro proprietà e oggetto di precedente sanatoria, nonché per avere violato i sigilli ivi apposti, va escluso che l’eventuale impossibilità tecnica di demolire le porzioni abusive senza pregiudizio per quelle sanate sottostanti possa impedire la demolizione quando, come nel caso in esame, tale dedotta impossibilità sia stata cagionata dagli imputati e si riferisca a un preesistente fabbricato di loro proprietà.
Va, infatti, ricordato quanto già affermato da questa stessa Sezione (cfr. Sez. 3, n. 19387 del 27/04/2016, Di Dio, Rv. 267108; Sez. 3, n. 32706 del 27/04/2004, Giardina, Rv. 229388; Sez. 3, n. 35972 del 22/09/2010, Lembo, Rv. 248569), secondo cui l’impossibilità tecnica di demolire un manufatto abusivo, nel caso in cui la sospensione condizionale della pena sia subordinata alla sua demolizione, non rileva come causa di revoca del beneficio solo se non dipenda da causa imputabile al condannato. Sul punto, questa Corte (in una fattispecie sostanzialmente analoga alla presente, nella quale il condannato aveva giustificato la mancata demolizione del manufatto posto al piano terra in quanto tecnicamente impedita dalla presenza dì un piano superiore non abusivo), aveva precisato che la dedotta impossibilità fosse imputabile al condannato per aver realizzato, o comunque tollerato, l’esecuzione di una sopraelevazione in violazione della normativa urbanistica e del vincolo cautelare. La Corte d’appello, quale giudice dell’esecuzione, ha quindi fatto coerente applicazione del predetto principio di diritto, confutando correttamente le argomentazioni sul punto espresse dai ricorrenti nel motivo di ricorso, sottolineando anche, peraltro, la accertata realizzabilità della demolizione (avvalendosi della tecnica dei sottocantieri e predisponendo un programma delle demolizioni, che descriva l’ordine e la metodologia delle operazioni, da eseguire sotto la sorveglianza di un preposto, con il compito di provvedere a verificare le condizioni di conservazione e stabilità delle strutture da demolire e a curare l’esecuzione delle opere di rafforzamento e di puntellamento necessarie ad evitare che, durante la demolizione, si verifichino crolli indesiderati), con la conseguente infondatezza del motivo di ricorso.
5. Il ricorso deve, quindi, essere rigettato […]