Corte Costituzionale, Sentenza n. 140 del 2018, dep. il 05/07/2018

[…]

Considerato in diritto

1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 2, e 4, comma 1, lettera e), della legge della Regione Campania 22 giugno 2017, n. 19 (Misure di semplificazione e linee guida di supporto ai Comuni in materia di governo del territorio), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, della Costituzione.

2.- In via preliminare, deve essere dichiarata l’inammissibilità dell’intervento in giudizio spiegato dall’Associazione Italiana […].
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, «il giudizio di costituzionalità delle leggi, promosso in via d’azione ai sensi dell’art. 127 Cost. e degli artt. 31 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), si svolge esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa e non ammette l’intervento di soggetti che ne siano privi, fermi restando, per costoro, ove ne ricorrano i presupposti, gli altri mezzi di tutela giurisdizionale eventualmente esperibili» (da ultimo, sentenza n. 170 del 2017, punto 3. del Considerato in diritto; nello stesso senso, ex plurimis, sentenze n. 110 e n. 63 del 2016, n. 251, n. 118 e n. 31 del 2015).

3.- Il ricorrente impugna, anzitutto, l’art. 2, comma 2, legge reg. Campania n. 19 del 2017.

3.1.- Il comma 1 di tale articolo prevede che, al fine di perseguire indirizzi uniformi in ambito regionale, la Giunta regionale «adotta linee guida non vincolanti per supportare gli enti locali nella regolamentazione ed attuazione, se ne ricorrono i presupposti, di misure alternative alla demolizione degli immobili abusivi ai sensi dell’articolo 31, comma 5 del D.P.R. n. 380/2001» (primo periodo). Tali linee guida sono approvate dalla Giunta regionale entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge regionale, su proposta della struttura amministrativa regionale competente in materia di governo del territorio, «con riferimento a quanto previsto dal comma 2» (secondo periodo).

L’impugnato comma 2 stabilisce quindi che, «[f]erma restando l’autonoma valutazione dei Consigli comunali sull’esistenza di prevalenti interessi pubblici rispetto alla procedura di demolizione dei beni acquisiti al patrimonio comunale, i Comuni, nell’ambito delle proprie competenze, possono avvalersi delle linee guida di cui al presente articolo per approvare, in conformità e nel rispetto della normativa nazionale vigente in materia, atti regolamentari e d’indirizzo riguardanti: a) i parametri e criteri generali di valutazione del prevalente interesse pubblico rispetto alla demolizione; b) i criteri per la valutazione del non contrasto dell’opera con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico; c) la regolamentazione della locazione e alienazione degli immobili acquisiti al patrimonio comunale per inottemperanza all’ordine di demolizione, anche con preferenza per gli occupanti per necessità al fine di garantire un alloggio adeguato alla composizione del relativo nucleo familiare; d) i criteri di determinazione del canone di locazione e del prezzo di alienazione ad onerosità differenziata fra le superfici adeguate alla composizione del nucleo familiare e quelle in eventuale eccedenza; e) i criteri di determinazione del possesso del requisito soggettivo di occupante per necessità, anche per quanto riferito alla data di occupazione dell’alloggio; f) i criteri di determinazione del limite di adeguatezza dell’alloggio alla composizione del nucleo familiare; g) le modalità di accertamento degli elementi di cui alle lettere e), f) e del possesso dei requisiti morali di cui all’articolo 71, comma 1, lettere a), b), e), f) del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi del mercato interno); h) le modalità di comunicazione delle delibere consiliari approvate ai sensi dell’articolo 31, comma 5 del D.P.R. n. 380/2001 all’autorità giudiziaria che abbia ordinato, per gli stessi immobili, la demolizione ai sensi dell’articolo 31, comma 9 del D.P.R. n. 380/2001».

3.2.- Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, l’impugnato comma 2, prevedendo che i Comuni della Regione Campania possano non demolire gli immobili abusivi acquisiti al proprio patrimonio a seguito dell’inottemperanza all’ordine di demolizione – in particolare, che possano locarli o alienarli, anche agli occupanti (e anche quando questi siano i responsabili dell’abuso) – indipendentemente dalla verifica delle circostanze in presenza delle quali l’art. 31, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)», consente di non procedere alla demolizione degli stessi, violerebbe: l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., perché «incide, sminuendone la portata deterrente e repressiva, sulle norme statali poste a tutela dell’ambiente»; l’art. 117, terzo comma, Cost., perché contrasta con il principio fondamentale della materia «governo del territorio» stabilito dall’art. 31, commi da 3 a 6, d.P.R. n. 380 del 2001, i quali «configura[no] l’acquisizione al patrimonio del comune dell’immobile abusivo come una sanzione […] preordinata principalmente alla demolizione dello stesso».

Sempre ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, l’impugnato comma 2 e, in particolare, le disposizioni delle lettere c) e d), dello stesso, sarebbero in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, Cost., anche perché «realizza, nella sostanza, un effetto analogo a quello di un “condono edilizio straordinario”, in quanto consente che immobili abusivi siano ‘regolarizzati’ e assegnati agli autori degli abusi stessi».

3.3.- La Regione Campania ha eccepito l’inammissibilità di tali questioni perché «ipotetiche o astratte o premature».

Secondo la Regione, in particolare, considerato che la disposizione impugnata «riguarda l’adozione di linee guida per atti comunali meramente facoltativi, e quindi ipotetici ed eventuali, di cui non è dato ipotizzare […] alcuna lesione delle competenze legislative statali», sarebbe «precluso impugnare una legge lamentando la mera possibilità che un atto attuativo della […] medesima possa contrastare, eventualmente ed ipoteticamente, con l’art. 117 della Costituzione».

L’eccezione non è fondata.

Deve anzitutto osservarsi che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Regione Campania, le qualificazioni di questione ipotetica, questione astratta e questione prematura sono state elaborate e utilizzate da questa Corte esclusivamente con riferimento alle questioni di legittimità costituzionale in via incidentale e non anche in via principale; segnatamente, in relazione al requisito della rilevanza delle questioni incidentali, requisito per cui si richiede che esse abbiano a oggetto disposizioni effettivamente (e non solo eventualmente o solo successivamente) applicabili nel giudizio a quo.

In secondo luogo, diversamente da quanto affermato dalla Regione resistente, nel ricorso è lamentata la violazione dell’art. 117 Cost. non da parte degli atti regolamentari o di indirizzo che i Comuni campani potranno eventualmente approvare in attuazione dell’art. 2, comma 2, legge reg. Campania n. 19 del 2017, ma da parte di questa stessa disposizione.

Né è possibile dubitare dell’interesse dello Stato all’impugnazione di essa. La previsione dell’adozione, da parte della Giunta regionale della Campania, di linee guida per le misure alternative alle demolizioni di immobili abusivi, con riferimento, in particolare, a quanto previsto dall’impugnato comma 2, aventi la funzione di fornire criteri che possano orientare i Comuni nell’esercizio della discrezionalità amministrativa loro riconosciuta dall’art. 31, comma 5, d.P.R. n. 380 del 2001, appare potenzialmente idonea a recare un vulnus alle invocate competenze statali in materia.

3.4.- La risoluzione del merito delle questioni sopra indicate richiede, preliminarmente, di individuare l’ambito materiale cui la disposizione impugnata deve essere ricondotta.

Il comma 2 dell’art. 2 legge reg. Campania n. 19 del 2017 riguarda – come esplicitamente risulta dalla rubrica («Linee guida per le misure alternative alle demolizioni di immobili abusivi»), oltre che dal contenuto di tale articolo – interventi edilizi, qualificati, dalla stessa disposizione regionale, «abusivi», e in particolare fa riferimento alla disciplina della demolizione o, «alternativamente», della conservazione di essi.

Ne consegue che viene in rilievo «l’insegnamento costante di questa Corte secondo cui l’urbanistica e l’edilizia vanno ricondotte alla materia “governo del territorio”, di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.» (sentenza n. 68 del 2018, punto 9.1. del Considerato in diritto; nello stesso senso, ex plurimis, sentenza n. 84 del 2017). La sentenza n. 233 del 2015, in particolare, ha ascritto alla materia «governo del territorio» una disciplina regionale attinente alla esclusione della sanzione della demolizione (nonché della «succedanea acquisizione gratuita delle aree al patrimonio comunale, in caso di inadempimento dell’ordine di demolizione») di opere e interventi edilizi abusivi (punto 3.1. del Considerato in diritto).

In tale «materia di legislazione concorrente […] lo Stato ha il potere di fissare i principi fondamentali, mentre spetta alle Regioni il potere di emanare la normativa di dettaglio» (sentenza n. 84 del 2017, punto 7. del Considerato in diritto; nello stesso senso, ex plurimis, sentenza n. 233 del 2015).

3.5.- Individuato nel «governo del territorio» l’ambito materiale cui va ascritto l’impugnato comma 2 dell’art. 2 legge reg. Campania n. 19 del 2017, deve ora essere esaminata la censura con cui il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., il contrasto di tale comma con il principio fondamentale, stabilito dall’art. 31, commi da 3 a 6, d.P.R. n. 380 del 2001, secondo cui l’acquisizione dell’immobile abusivo al patrimonio del Comune a seguito dell’inottemperanza all’ordine di demolirlo si «configura come una sanzione […] preordinata principalmente alla demolizione dello stesso».

La questione è fondata.

3.5.1.- Ai fini dello scrutinio della stessa, è anzitutto necessario considerare, nel più ampio contesto dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001, il contenuto precettivo dei commi da 3 a 6, invocati dal ricorrente a parametro interposto, e valutare se esso sia qualificabile come principio fondamentale della materia «governo del territorio».

3.5.1.1.- Inserito nel Capo II (intitolato «Sanzioni») del Titolo IV (intitolato «Vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, responsabilità e sanzioni») del d.P.R. n. 380 del 2001, il citato art. 31 appresta l’apparato sanzionatorio per le violazioni più gravi della normativa urbanistico-edilizia – segnatamente, gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali rispetto a esso – prevedendo, di conseguenza, le sanzioni più rigorose.

Per cogliere appieno la funzione assegnata a tali sanzioni, è utile ricostruire le due fasi in cui l’irrogazione delle stesse si articola.

Nella prima fase – disciplinata dal comma 2 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001 – il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali rispetto a esso, notifica al proprietario e al responsabile dell’abuso l’ingiunzione a demolire le opere (o a rimuovere gli effetti degli interventi posti in essere senza la realizzazione di trasformazioni fisiche), indicando l’area che, in caso di inottemperanza all’ordine, sarà acquisita al patrimonio del Comune ai sensi del comma 3.

A tale riguardo, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la recente sentenza 17 ottobre 2017, n. 9, ha affermato il principio di diritto che il provvedimento con cui si ingiunge la demolizione di un immobile abusivo, «per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso». Tale principio «non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino» (nello stesso senso, successivamente, Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 11 dicembre 2017, n. 5788). Il menzionato potere di repressione degli abusi edilizi non è soggetto a termini di decadenza o di prescrizione (ex plurimis, Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 5 gennaio 2015, n. 13). Quanto alle caratteristiche della sanzione amministrativa della demolizione, il Consiglio di Stato ha affermato che essa «ha ad oggetto esclusivamente la res abusiva; non consiste in una misura afflittiva volta a punire la condotta illecita bensì a ristabilire l’equilibrio urbanistico violato»; sicché lo stesso Consiglio l’ha definita «sanzione ripristinatoria» (sezione sesta, sentenza 22 maggio 2017, n. 2378).

Se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi entro novanta giorni dalla notificazione dell’ingiunzione a demolire, si apre la eventuale seconda fase della procedura sanzionatoria, contemplata dagli invocati commi da 3 a 6 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001.

Il bene immobile abusivo e l’area di sedime (nonché quella necessaria, secondo le prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive) sono acquisiti, di diritto e gratuitamente, al patrimonio del Comune (comma 3 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001).

L’atto con cui si accerta l’inottemperanza all’ingiunzione a demolire entro il termine di novanta giorni costituisce, previa notifica all’interessato, titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari (comma 4 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001).

A proposito dell’acquisizione dell’immobile abusivo e dell’area di sedime al patrimonio comunale, questa Corte ha chiarito che essa costituisce una sanzione in senso stretto, distinta dalla demolizione, che «rappresenta la reazione dell’ordinamento al duplice illecito posto in essere da chi, dapprima esegue un’opera abusiva e, poi, non adempie all’obbligo di demolirla» (sentenza n. 345 del 1991, punto 2. del Considerato in diritto; nello stesso senso, sentenza n. 427 del 1995 e ordinanza n. 82 del 1991; analogamente, Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 26 gennaio 2006, n. 1693).

Infatti, «l’operatività dell’ingiunzione a demolire non presuppone sempre necessariamente la preventiva acquisizione dell’immobile al patrimonio comunale, perché l’ingiunzione è un provvedimento amministrativo di natura autoritativa che, in quanto tale, è assistito […] dal carattere della esecutorietà insito nel potere di autotutela». Sicché «appare evidente che, qualora non ricorrano i presupposti per l’acquisizione gratuita del bene, come nel caso in cui l’area sia di proprietà del terzo [estraneo all’illecito], la funzione ripristinatoria dell’interesse pubblico violato dall’abuso, sia pur ristretta alla sola possibilità della demolizione, rimane affidata al potere-dovere degli organi comunali di darvi esecuzione d’ufficio» (sentenza n. 345 del 1991, punto 3. del Considerato in diritto).

L’inottemperanza all’ordine di demolizione è presidiata anche dalla sanzione pecuniaria prevista dal comma 4-bis dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001 (comma aggiunto dall’art. 17, comma 1, lettera q-bis, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, recante «Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive», convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 2014, n. 164).

Il fatto che, con l’acquisizione al patrimonio comunale, il bene diventi pubblico non comporta, tuttavia, che l’opera diventi legittima sotto il profilo urbanistico-edilizio. Essa è destinata a essere «demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell’abuso» (comma 5 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001).

La regola della demolizione ammette una deroga. Lo stesso comma 5, in via eccezionale, prevede la possibilità di conservare l’opera quando, «con deliberazione consiliare […] si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera [stessa] non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico».

Queste ultime disposizioni hanno, all’evidenza, un ruolo decisivo nello scrutinio della questione in esame. Il legislatore statale ha dettato innanzi tutto la regola secondo cui l’opera abusiva acquisita al patrimonio comunale deve essere demolita e ha consentito, in via di eccezione a tale regola, ai singoli Comuni – con attribuzione della relativa competenza al consiglio comunale – di utilizzare, anziché demolire, l’opera abusiva quando ritengano l’esistenza di un interesse pubblico alla conservazione e la prevalenza di esso sul concorrente interesse, anch’esso pubblico, al ripristino della conformità del territorio alla normativa urbanistico-edilizia. L’interesse pubblico alla conservazione dell’opera, inoltre, può essere preso in considerazione – e ritenuto, eventualmente, prevalente – sempre che non sussistano le situazioni preclusive costituite dal contrasto dell’opera «con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico».

Per gli interventi abusivamente eseguiti su terreni sottoposti, in conformità a leggi statali o regionali, a vincoli di inedificabilità, l’acquisizione gratuita, nel caso di inottemperanza all’ingiunzione a demolire, «si verifica di diritto a favore delle amministrazioni cui compete la vigilanza sull’osservanza del vincolo», le quali «provvedono alla demolizione delle opere abusive ed al ripristino dello stato dei luoghi», sempre a spese dei responsabili dell’abuso (primo e secondo periodo del comma 6 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001).

È infine utile ricordare che, per le opere abusive contemplate nello stesso art. 31, il giudice penale, con la sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 44 d.P.R. n. 380 del 2001, ne ordina la demolizione, qualora non sia stata altrimenti eseguita (comma 9 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001).

3.5.1.2.- Ricostruito il contenuto precettivo dei commi da 3 a 6 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001, occorre ora valutare se la demolizione dell’immobile abusivo acquisito al patrimonio comunale – con le sole deroghe previste dal comma 5 dello stesso articolo – costituisca o no un principio fondamentale della materia «governo del territorio».

La risposta non può che essere affermativa.

L’aver previsto che, a fronte delle violazioni più gravi della normativa urbanistico-edilizia – quali sono la realizzazione di opere in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali rispetto a esso – si debba fare luogo, da parte dello stesso responsabile dell’abuso o, in difetto, del Comune che abbia perciò acquisito il bene, alla demolizione dell’opera abusiva, esprime una scelta fondamentale del legislatore statale. Quest’ultimo, in considerazione della gravità del pregiudizio recato all’interesse pubblico dai menzionati abusi, ha inteso imporne la rimozione – e, con essa, il rispristino dell’ordinato assetto del territorio – in modo uniforme in tutte le Regioni.

Le deroghe al principio della demolizione degli immobili abusivi acquisiti al patrimonio del Comune – previste dall’art. 31, comma 5, d.P.R. n. 380 del 2001 – sono fondate su un rapporto di stretta connessione con la regola base. In ragione di questo collegamento esse contribuiscono a definire la portata del principio fondamentale.

Pertanto, se pure si volesse ignorare l’autoqualificazione, in questo caso corretta, data dall’art. 1, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, vi sono solide ragioni per affermare che la demolizione degli immobili abusivi acquisiti al patrimonio del Comune, con le sole deroghe previste dal comma 5 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001, costituisce un principio fondamentale della legislazione statale che vincola la legislazione regionale di dettaglio in materia di «misure alternative alle demolizioni».

3.5.2.- Alla luce di quanto detto, l’impugnato art. 2, comma 2, legge reg. Campania n. 19 del 2017 viola il principio fondamentale, espresso dai commi da 3 a 6 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001, perché, attraverso gli atti regolamentari e d’indirizzo, i Comuni della Regione Campania, avvalendosi delle linee guida, possono eludere l’obbligo di demolire le opere abusive acquisite al proprio patrimonio.

Come si è visto (punto 3.1.), oltre al comma 1 e alla previsione dell’adozione di linee guida non vincolanti per supportare gli enti locali nella regolamentazione e attuazione di misure alternative alla demolizione degli immobili abusivi «ai sensi dell’articolo 31, comma 5 del D.P.R. n. 380/2001», si deve tenere presente l’alinea dell’impugnato comma 2, in cui si precisa che i Comuni se ne possono avvalere per approvare atti regolamentari e d’indirizzo «in conformità e nel rispetto della normativa nazionale vigente in materia», ferma restando l’autonoma valutazione dei consigli comunali sull’esistenza di prevalenti interessi pubblici rispetto alla demolizione dei beni acquisiti al patrimonio comunale.

Tuttavia, i richiami alle disposizioni della legislazione statale – su cui insiste la difesa della Regione Campania – sono contraddetti da quanto stabilito nelle lettere da a) ad h) dell’impugnato comma 2, ovvero dai contenuti degli atti regolamentari e d’indirizzo adottabili dai Comuni.

A un esame complessivo risulta che, dopo l’indicazione nelle lettere a) e b), rispettivamente dei «parametri e criteri generali di valutazione del prevalente interesse pubblico rispetto alla demolizione» e dei «criteri per la valutazione del non contrasto dell’opera con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico», la lettera c) prevede, specificamente, che gli atti regolamentari e d’indirizzo dei Comuni «regolament[ino la] locazione e alienazione degli immobili acquisiti al patrimonio comunale per inottemperanza all’ordine di demolizione, anche con preferenza per gli occupanti per necessità al fine di garantire un alloggio adeguato alla composizione del relativo nucleo familiare». Tutte le successive lettere, da d) a g), riguardano aspetti connessi e strumentali rispetto alla locazione e alla alienazione.

La citata lettera c) dell’impugnato comma 2 riveste un ruolo centrale per la definizione della questione in esame.

Più nel dettaglio, col prevedere la regolamentazione della locazione e dell’alienazione degli immobili abusivi acquisiti al patrimonio comunale «anche con preferenza per gli occupanti per necessità», essa comporta che le stesse potrebbero essere a favore sia degli occupanti per necessità, anche «con preferenza» (al fine di garantire loro un alloggio adeguato alla composizione del nucleo familiare), sia di qualsiasi altro soggetto, persona fisica o ente, non occupante per necessità.

In entrambe tali ipotesi, la lettera c) non esclude – e, quindi, consente – che la locazione o l’alienazione siano a favore del responsabile dell’abuso. Nella prima ipotesi si può plausibilmente affermare che l’occupante per necessità si trovi solitamente a coincidere con il responsabile dell’abuso e che a questi venga accordata una «preferenza» nella locazione e alienazione degli immobili.

Quale che sia il soggetto cui gli immobili abusivi, acquisiti al patrimonio comunale, potrebbero essere locati o alienati, è di tutta evidenza che locazione e alienazione sono contemplate dall’impugnato comma 2 come esiti “normali” verso cui destinare i suddetti immobili.

Ne consegue che l’impugnato comma 2, considerato nel suo insieme per le strette implicazioni delle disposizioni in esso contenute, viola il principio fondamentale espresso dai commi da 3 a 6 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001. Tale principio implica che l’opera abusiva acquisita al patrimonio comunale debba, di regola, essere demolita e che possa essere conservata, in via eccezionale, soltanto se, con autonoma deliberazione del consiglio comunale relativa alla singola opera, si ritenga, sulla base di tutte le circostanze del caso, l’esistenza di uno specifico interesse pubblico alla conservazione della stessa e la prevalenza di questo sull’interesse pubblico al ripristino della conformità del territorio alla normativa urbanistico-edilizia, nonché l’assenza di un contrasto della conservazione dell’opera con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico. Si noti che la facoltà riconosciuta ai Comuni, di non demolire le opere abusive di cui qui si discute deve implicare un’analisi puntuale delle caratteristiche di ognuna di esse, rispettosa dei canoni individuati dalla legge statale, che sola può garantire uniformità sull’intero territorio nazionale.

Il disallineamento della disciplina regionale rispetto al principio fondamentale della legislazione statale – quello che individua nella demolizione l’esito “normale” della edificazione di immobili abusivi acquisiti al patrimonio dei comuni – finisce con intaccare e al tempo stesso sminuire l’efficacia anche deterrente del regime sanzionatorio dettato dallo Stato all’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001, incentrato, come si è visto, sulla demolizione dell’opera abusiva, la cui funzione essenzialmente ripristinatoria non ne esclude l’incidenza negativa nella sfera del responsabile.

L’effettività delle sanzioni risulterebbe ancora più sminuita nel caso di specie, in cui l’interesse pubblico alla conservazione dell’immobile abusivo potrebbe consistere nella locazione o nell’alienazione dello stesso all’occupante per necessità responsabile dell’abuso.

Per queste ragioni, l’art. 2, comma 2, legge reg. Campania n. 19 del 2017 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

3.6.- L’accoglimento della questione promossa in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., sotto il profilo indicato, comporta l’assorbimento delle altre censure mosse dal ricorrente avverso l’art. 2, comma 2, legge reg. Campania n. 19 del 2017.

4.- Il ricorrente impugna, in secondo luogo, l’art. 4, comma 1, lettera e), legge reg. Campania n. 19 del 2017.

4.1. – Tale lettera inserisce, dopo il comma 4-bis dell’art. 44 della legge della Regione Campania 22 dicembre 2004, n. 16 (Norme sul governo del territorio), un comma 4-ter, in cui si prevede che, «[n]ei Comuni sprovvisti di strumento urbanistico comunale, nelle more dell’approvazione del Piano urbanistico comunale, per edifici regolarmente assentiti, adibiti ad attività manifatturiere, industriali e artigianali, sono consentiti ampliamenti che determinano un rapporto di copertura complessivo fino ad un massimo del 60 per cento».

4.2. – Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, tale disposizione, col consentire, nei Comuni della Campania sprovvisti di strumento urbanistico, nelle more dell’approvazione del piano urbanistico comunale, ampliamenti degli edifici regolarmente assentiti adibiti ad attività manifatturiere, industriali e artigianali in deroga ai più ristretti limiti previsti, per l’attività edilizia nei Comuni sprovvisti di pianificazione urbanistica, dall’art. 9 d.P.R. n. 380 del 2001, si porrebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., perché invaderebbe l’ambito materiale della «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali»; e con l’art. 117, terzo comma, Cost., perché violerebbe il principio fondamentale della materia «governo del territorio» espresso dal predetto art. 9.

4.3. – In ordine a tali questioni, deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.

4.3.1. – Al riguardo, si deve anzitutto confermare il costante orientamento di questa Corte secondo cui la materia del contendere «cessa solo se lo ius superveniens ha carattere satisfattivo delle pretese avanzate con il ricorso e se le disposizioni censurate non hanno avuto medio tempore applicazione» (sentenza n. 68 del 2018, punto 14.1. del Considerato in diritto; nello stesso senso, tra le più recenti, sentenze n. 44, n. 38 e n. 5 del 2018).

Entrambe tali condizioni ricorrono nel caso di specie.

4.3.1.1. – Quanto alla prima, il comma 4-ter dell’art. 44 della legge reg. Campania n. 16 del 2004 – cioè il comma aggiunto a tale articolo dall’impugnato art. 4, comma 1, lettera e) – è stato abrogato dal successivo art. 14, comma 2, della legge della Regione Campania 29 dicembre 2017, n. 38 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione finanziario per il triennio 2018-2020 della Regione Campania – Legge di stabilità regionale per il 2018), con effetto evidentemente satisfattivo delle doglianze mosse con il ricorso avverso la suddetta impugnata disposizione.

4.3.1.2. – Quanto alla seconda condizione, premesso che il comma 4-ter dell’art. 44 legge reg. Campania n. 16 del 2004 è rimasto in vigore dal 22 giugno 2017 al 31 dicembre 2017, la Regione Campania, in prossimità dell’udienza pubblica, ha depositato nella cancelleria della Corte due note (numeri 344158 e 344256 del 29 maggio 2018) della Direzione generale per il governo del territorio, i lavori pubblici e la protezione civile in cui si attesta che, dall’esame delle banche dati, i Comuni della Regione Campania che, nel periodo della vigenza del citato comma 4-ter, erano sprovvisti di pianificazione urbanistica erano quindici. Oltre alla specifica indicazione degli stessi, sono prodotte le attestazioni di ciascuno di essi di non avere rilasciato, nel medesimo periodo, titoli abilitativi in base allo stesso comma 4-ter.

Tale documentazione risulta idonea a comprovare – in assenza, tra l’altro, di contestazioni da parte del ricorrente – la mancata applicazione medio tempore della disposizione impugnata.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibile l’intervento dell’Associazione Italiana […];
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, della legge della Regione Campania 22 giugno 2017, n. 19 (Misure di semplificazione e linee guida di supporto ai Comuni in materia di governo del territorio);
3) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, lettera e), della legge reg. Campania n. 19 del 2017, promosse, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2018.