[…]
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 4 e il 10 maggio 1984 la società […] S.r.l., corrente in […], in persona del legale rappresentante pro-tempore, assumendo che i coniugi […], gestori del bar sito all’interno dell’Istituto […], in violazione del contratto stipulato il 7 febbraio 1984 con il quale avevano assunto l’obbligo di acquistare un quantitativo mensile di kg. 1.560 di caffè del tipo “[…]” al prezzo di L. 12.000 al chilo, si erano limitati a ritirare soltanto Kg. 45 della suddetta miscela nell’arco di tempo di circa due mesi, conveniva i menzionati coniugi davanti al Tribunale di Bari per sentirli condannare al pagamento della penale pari a lire 1.500 per ogni chilo di caffè non ritirato, nonché all’esecuzione del contratto ed al pagamento delle spese. I convenuti, costituitisi, eccepivano di essere stati costretti ad interrompere il rapporto con la società attrice a causa della pessima qualità del caffè fornito loro che aveva determinato l’allontanamento della clientela abituali, il cui recupero era stato possibile solo con il cambio della miscela, acquistata presso altro fornitore.
Assunta la prova testimoniale articolata delle parti, il Tribunale con sentenza 21 ottobre 1987 – 19 febbraio 1988, rigettava la domanda della società attrice, condannandola al pagamento delle spese.
Proposto gravame dalla società […] S.r.l. la corte d’appello di Bari, con sentenza 26 gennaio – 16 febbraio 1990, rigettava l’impugnazione condannando l’appellante alle maggiori spese del grado.
Osservava la Corte del merito che ogni doglianza dell’appellante in ordine all’utilizzo da parte del primo giudice delle risultanze della prova testimoniale assunta doveva ritenersi preclusa perché la stessa si era limitata ad una generica opposizione di stile all’ammissione della prova per testi articolata dalla controparte, senza alcuna indicazione delle ragioni della propria opposizione, consentendone l’assunzione senza alcuna obiezione e valutandone e discutendone l’incidenza in sede comparsa conclusionale. Rilevava altresì che i testi escussi ad istanza degli appellanti non avevano formulato apprezzamenti tecnici, ma avevano riferito del fatto oggettivo da essi descritto secondo la percezione ricevutane. Di tal che, essendo risultato che in effetti il prodotto fornito dalla società appellante era di qualità scadente, l’impugnata decisione meritava piena conferma.
Ha proposto ricorso per cassazione la S.r.l. […] sulla base di due motivi.
Resistono con controricorso […].
Motivi della decisione
Con i due motivi del ricorso, da esaminarsi congiuntamente, stante la loro connessione, si denunzia, in riferimento all’art. 360 n.ri 3 e 5 CPC, violazione e falsa applicazione degli artt. 244 e 253 dello stesso codice, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, per avere la Corte del merito fondato il suo convincimento sulle risultanze di una prova testimoniale che andava dichiarata inammissibile, come da tempestiva opposizione proposta dalla società ricorrente, in quanto i testi escussi, invece di riferire fatti, avevano espresso apprezzamenti e giudizi in merito alla qualità del caffè fornito dalla predetta. Le doglianze sono del tutto prive di fondamento.
Premesso che secondo il consolidato insegnamento giurisprudenziale di questo Supremo collegio (da ultima Cass. Sez. 3 sent. n. 9427 del 18 dicembre 1987) essendo le formalità relative all’assunzione della prova testimoniale stabilite non per ragioni di ordine pubblico, bensì per la tutela degli interessi delle parti, eventuali nullità derivanti dall’inosservanza di esse non sono rilevabili d’ufficio dal giudice ma debbono essere immediatamente dedotte dalla parte interessata, dovendosi considerare sanate per acquiescenza ove la stessa parte abbia mostrato esplicitamente o implicitamente di non volersene avvalere, non opponendosi al compimento dell’atto ovvero discutendone le risultanze o la rilevanza rispetto al merito della controversia, cosicché non possono essere neppure fatte valere in sede di impugnazione, ha osservato la Corte barese che, alla luce di tale principio, ogni doglianza dell’attuale ricorrente in ordine all’utilizzo da parte del primo giudice delle risultanze della testimoniale assunta, doveva ritenersi preclusa. Invero la […] S.r.l. non solo si era limitata, ad una generica opposizione di stile all’ammissione della prova per testi articolata dalla controparte, senza alcuna indicazione delle ragioni della propria opposizione (nella memoria istruttoria dell’11 febbraio 1985 testualmente, sul punto, poteva leggersi:
“A maggior ragione appare inammissibile la prova testimoniale richiesta sulle stesse circostanze …”), ma non aveva neppure sollevato alcuna obiezione avverso l’ordinanza del giudice istruttore che ne disponeva l’ammissione (tanto che non risultava la proposizione di alcun reclamo al collegio) e, soprattutto, ne aveva consentito l’assunzione senza alcuna obiezione, valutandone e discutendone l’incidenza in sede di comparsa conclusionale. Ha rilevato la Corte territoriale che la valutazione delle deposizioni testimoniali dei testi escussi ad istanza dei coniugi […] era stata effettuata in conformità al principio ripetutamente enunciato dalla giurisprudenza di questo Supremo Collegio (Cass. Sez. 3 sent. n. 3249 del 25 ottobre 1972; sez. 2 del 21 luglio 1971 n. 2393) in base al quale la regola secondo cui la prova testimoniale deve avere ad oggetto fatti e non apprezzamenti o giudizi, se deve essere intesa nel senso che tale prova non può tradursi in un’interpretazione del tutto soggettiva o indiretta ed in apprezzamenti tecnici o giuridici del fatto, non significa però che essa non possa esprimere anche il convincimento che del fatto e delle sue modalità sia derivato al teste per sua stessa percezione. Ed ha precisato, in particolare, che comunque l’esperita prova testimoniale aveva evidenziato dell’allontanamento della clientela abituale dal bar gestito dai coniugi […] in concomitanza con l’uso del caffè fornito dall’attuale ricorrente, che non aveva incontrato il gradimento degli avventori, ponendo in luce altresì l’altra circostanza obiettiva del recupero della clientela in questione da parte degli stessi gestori soltanto in seguito alla sostituzione del caffè “[…]” prodotto dalla […] S.r.l. con altro di diversa qualità acquistato presso un nuovo fornitore.
E poiché dalle stesse testimonianze era risultato anche che la macchina per confezionare gli “espressi” era sempre la stessa, la Corte del merito aveva conclusivamente ricavato il convincimento che in effetti il prodotto fornito dalla venditrice era di qualità scadente, non potendo peraltro sospettarsi che i gestori avessero mutato il loro abituale sistema di confezionamento e preparazione soltanto in occasione dell’uso della nuova miscela sì da potersi ascrivere a colpa dei medesimi il degrado di ciò che veniva offerto ai consumatori.
Ebbene, pare proprio a questo Supremo Collegio, in ordine alle eccepite violazioni e false applicazioni di norme di diritto, che i giudici di secondo grado abbiano invece correttamente applicato la normativa processuale concernente l’ammissibilità e rilevanza della prova testimoniale (la cui valutazione, tra l’altro, essendo rimessa al giudice del merito, sfugge al sindacato di quello di legittimità ove, come nella specie, congruamente motivata – Cass. n. 766/82), in particolare, con riguardo all’art. 253 C.P.C., uniformandosi al principio (ribadito in sentenza Cass. n. 5460 del 22 agosto 1983) secondo cui il giudice del merito deve negare valore probatorio decisivo soltanto alla deposizione testimoniale che si traduca in una interpretazione del tutto soggettiva o in un mero apprezzamento tecnico del fatto, senza indicare, come invece si è verificato nel caso che se ne occupa, dati obiettivi e modalità specifiche della situazione concreta, tali da far uscire la percezione sensoria da un ambito puramente soggettivo, sì da trasformarla in un convincimento scaturente obiettivamente dal fatto medesimo.
E quanto poi al denunciato vizio di motivazione va rilevato come è pacifico che l’art. 360 n. 5 C.P.C. non conferisce alla corte Suprema il potere di procedere ad una valutazione autonoma del materiale probatorio raccolto nel processo, ma solo quello di esaminare la motivazione della sentenza di merito, al fine di controllare se quel giudice pervenne al convincimento sancito con un ragionamento esauriente sui mezzi di prova, privo di contraddizioni ossia di argomentazioni tali di elidersi vicendevolmente, condotto secondo i canoni della corretta induzione e deduzione, senza salti logici o scevro di errori giuridici; controllo che deve essere condotto alla stregua della stessa motivazione, non potendosi ricavare criteri di critica e di accertamento “aliunde” (Cass. n. 2301/76 e n. 1239/79). E poiché dall’esame della motivazione dell’impugnata sentenza si ricava che la stessa è, sui punti controversi, del tutto adeguata ed immune sia da vizi logici, sia da errori giuridici, la stessa si sottrae a qualsiasi appunto nell’attuale sede.
Sulla base delle svolte argomentazioni il proposto ricorso va rigettato […]