[…]
RITENUTO IN FATTO
1. — La ditta […] s.p.a., […], la ditta […] s.n.c. e […] convennero in giudizio la […], proponendo e opposizione avverso le ordinanze-ingiunzione, con le quali furono loro comminate sanzioni amministrative volte al recupero del contributo pubblico (maggiorato dei relativi interessi) precedentemente erogato alla ditta […] ai fini dell’esecuzione di opere di ammodernamento di impianti di depurazione di acque.
Nella resistenza dell’ente convenuto, il Tribunale di Ascoli Piceni accolse l’opposizione e annullò le ordinanze impugnate. Ritenne il primo giudice che il provvedimento di erogazione delle sanzioni non avrebbe potuto essere emesso prima che fosse divenuto definitivo il provvedimento col quale era stata pronunciata la decadenza dal contributo e disposto il recupero della somme erogate, provvedimento quest’ultimo che — impugnato dinanzi al T.A.R. — era stato sospeso dal giudice amministrativo.
2. — Sul gravame proposto dalla […], la Corte di Appello di Ancona fu di contrario avviso, accolse quindi l’appello e rigettò l’opposizione alle ordinanze-ingiunzione.
3. — Avverso la sentenza di appello propongono ricorso per cassazione […], formulando quattro motivi.
Resiste con controricorso la […].
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. — Col primo e col terzo motivo di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 5-28 della legge n. 689 del 1981,3 della legge n. 898 del 1989 e 112 cod. proc. civ., nonché il vizio di motivazione della sentenza impugnata. Si deduce, in particolare, che ai sensi dell’art. 3 della legge n. 898 del 1989, soltanto il percettore della indebita erogazione pubblica sarebbe tenuto alla restituzione dell’indebito e al pagamento della sanzione, essendo detto art. 3 una norma speciale derogatoria rispetto ai principi generali di cui alla legge n. 689 del 1981, cosicché non potrebbero risponderne soggetti diversi dalla […] s.p.a.; si deduce ancora la prescrizione dell’illecito amministrativo.
Le censure non possono trovare accoglimento.
È vero che l’art. 3 della legge 23 dicembre 1986 n. 898 stabilisce che, nel caso di indebita percezione di erogazione pubblica, il percettore è tenuto, oltre alla restituzione dell’indebito, al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria pari all’importo indebitamente percepito. Tale previsione, tuttavia, non deroga ai principi generali; al contrario, anche in tale ipotesi va applicato l’art. 5 legge 689 del 1981, a tenore del quale, quando più persone concorrono in una violazione amministrativa, ciascuna di esse soggiace alla relativa sanzione.
Sul punto, va richiamata la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in tema di sanzioni amministrative, l’art. 5 della legge n. 689 del 1981, il quale contempla il concorso di persone, recepisce i principi fissati in materia dal codice penale, rendendo così applicabile la pena pecuniaria non soltanto all’autore, o ai coautori, dell’infrazione, ma anche a coloro che abbiano comunque dato un contributo causale, anche se esclusivamente sul piano psichico. Pertanto, la circostanza che un soggetto estraneo ad una azienda, o partecipe di una compagine sociale non personalizzata, sia l’autore materiale del fatto, non esclude che altro contitolare della stessa impresa collettiva sia a sua volta coautore, sia pure con apporto causale sul piano psichico, della stessa condotta sanzionata (Sez. 1, Sentenza n. 3288 del 09/04/1996, Rv. 496879; Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 13134 del 24/06/2015, Rv. 635700); la pena pecuniaria è applicabile a tutti coloro che abbiano offerto un contributo alla realizzazione dell’illecito, concepito come una struttura unitaria, nella quale confluiscono tutti gli atti dei quali l’evento punito costituisce il risultato, anche se detti atti, atomisticamente considerati, possono non essere illeciti, sempre che sussista nei singoli partecipi la consapevolezza del collegamento finalistico dei vari atti, cioè la coscienza e volontà di portare un contributo materiale e psicologico alla realizzazione dell’illecito perseguito da tutti (Sez. 3, Sentenza n. 1876 del 18/02/2000, Rv. 534104; Sez. 1, Sentenza n. 9837 del 19/07/2001, Rv. 548324).
La Corte di merito ha fatto applicazione di tali principi, con conseguente infondatezza della relativa censura.
Non può trovare accoglimento neppure la censura relativa alla dedotta prescrizione, che risulta inammissibile, sia perché la censura risulta nuova/ non risultando essere stata dedotta nel giudizio di appello (né il ricorrente si duole che la Corte territoriale non l’abbia esaminata), sia perché non supera la soglia della assoluta genericità.
2. — Col secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 345 e 112 cod. proc. civ., nonché il vizio di motivazione della sentenza impugnata; si deduce, in particolare, che la Corte territoriale, facendo cenno al pericolo di prescrizione come ragione giustificatrice della emanazione delle ordinanze-ingiunzione impugnate, avrebbe introdotto nella causa un profilo non considerato dai provvedimento impugnati.
La censura non è fondata.
Invero, la censura in esame si ferma su un argomento della motivazione non decisivo e non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale risiede piuttosto nel principio, affermato da questa Corte, secondo cui, in tema di sanzioni amministrative per indebita percezione di sovvenzioni pubbliche, sull’accertamento in sede di opposizione del legittimo esercizio del potere sanzionatorio non incide l’eventualità che sia in corso anche il procedimento amministrativo di recupero, che segue alla revoca del beneficio concesso, ancorché possa accadere che le circostanze da esaminare siano coincidenti, neppure se viene emesso in sede amministrativa un provvedimento di sospensione cautelare dal provvedimento di decadenza (Sez. 1, Sentenza n. 13678 del 13/06/2006, Rv. 590309).
3. — Col quarto motivo di ricorso, si deduce l’omessa motivazione della sentenza impugnata con riferimento alle posizioni delle singole persone fisiche destinatarie delle ordinanze-ingiunzione.
Questa censura è fondata.
I giudici di merito, nel confermare l’affermazione della concorrente responsabilità di tutti coloro che risultano destinatari delle ordinanze-ingiunzione, avrebbero dovuto — nel rispondere alla doglianza sul punto contenuta nell’atto di appello — specificamente motivare in ordine alla posizione di ciascuno di essi, spiegando le ragioni per le quali doveva ritenersi la sussistenza di un contributo materiale o psicologico alla realizzazione dell’illecito da parte di ciascuno dei soggetti sanzionati, accompagnato dalla relativa coscienza e volontà.
Sul punto, la sentenza di appello risulta gravemente carente, in quanto o svolge argomenti che non risultano sufficienti per dimostrare il raggiungimento della prova del contributo causale alla commissione dell’illecito e della relativa coscienza e volontà (così relativamente alla posizione di […] Gianfranco e alla redazione, da parte sua, del computo metrico estimativo) ovvero manca del tutto di motivazione (così per gli altri concorrenti).
Non rimane, pertanto, che cassare la sentenza impugnata per difetto della motivazione e rinviare ad altro giudice di merito per nuovo giudizio sul punto.
4. — In definitiva, il ricorso va accolto in relazione al quarto motivo e va rigettato relativamente ai primi tre motivi. La sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra Corte di Appello […]