[…]
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO La Corte d’appello di Milano con sentenza del 16 novembre 2010 ha accolto l’impugnazione avverso la decisione del Tribunale di Varese del 18 settembre 2007, dichiarando la risoluzione per inadempimento dei contratti di compravendita dei titoli di debito argentino conclusi tra […] ed […], e condannando quest’ultima al pagamento della somma di C 112.741,78, oltre interessi legali dalla domanda. La corte territoriale, per quanto ora rileva, ha ritenuto che: a) l’espressione, apposta sugli ordini di acquisto, secondo cui – Nonostante l’avvertenza che la suddetta disposizione non appaia a me adeguata sono a richiederVi comunque l’esecuzione dell’operazione” dimostra che si trattava di un acquisto inadeguato all’investitore, come del resto palesa la stessa difesa della banca; b) l’assenza di una indicazione specifica circa le avvertenze rivolte al cliente qualifica la banca come inadempiente, con conseguente fondatezza della domanda di risoluzione; c) è dovuto in restituzione l’importo dell’esborso iniziale di € 168.208,57, detratte le quattordici cedole riscosse per € 55.466,79, per un totale di € 112.741,78. Avverso questa sentenza propone ricorso la banca soccombente, affidato a sei motivi. Resiste l’intimato con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale per un motivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
l. – I motivi del ricorso principale censurano la sentenza impugnata per: 1) violazione e falsa applicazione degli art. 1350 c.c. e 29 reg. Consob 1 °luglio 1998, n. 11522, oltre alla contraddittoria motivazione, per avere la corte territoriale ritenuto necessario che fosse riportato per iscritto sull’ordine il contenuto delle avvertenze rivolte dalla banca al cliente, e non soltanto la menzione di esse, come palesato dall’espressione di cui all’art. 29 cit., che parla di “ordine impartito per iscritto in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute – , potendo in sé l’informazione essere resa anche in forma orale;
2) motivazione contraddittoria circa l’inadeguatezza dell’operazione, posto che si tratta di ordini del 1997 e 1998, quando il default dello Stato estero era lontano e di esso non vi era alcuna percezione sul mercato, come affermato dalla stessa corte territoriale: la quale, tuttavia, ha aggiunto che l’informazione resa dalla banca al cliente circa l’inadeguatezza dell’operazione integrerebbe in sé la prova di tale carattere, invece che procedere essa ad un’autonoma e necessaria valutazione in tal senso; il quale avrebbe dovuto condurre ad opposte conclusioni, essendo stato accertato trattarsi di investitore esperto, il quale aveva investito abbondantemente in titoli azionari ed obbligazionari ad alto rischio, come quelli messicani;
3) violazione dell’art. 2730 c.c. ed omessa motivazione circa l’efficacia confessoria della dichiarazione dell’investitore, laddove ha dichiarato di avere ricevuto gli avvertimenti relativi all’operazione per lui inadeguata;
4) violazione dell’art. 1455 c.c. ed omessa motivazione, quanto all’importanza del preteso inadempimento, ai fini degli interessi dell’investitore;
5) violazione o falsa applicazione dell’art. 1453 c.c., perché l’ordine di acquisto non è contratto e non rileva con propria causa negoziale, trattandosi di atto esecutivo, onde non era autonomamente risolvibile;
6) motivazione contraddittoria con riguardo alla quantificazione del danno, non essendosi tenuto conto che la somma investita – avendo il cliente comperato i titoli a prezzo inferiore al valore nominale – fu di € 148.257,03 e non di € 168.208,57, per un totale dovuto, detratte le cedole, di € 92.790,24.
Con l’unico motivo del ricorso incidentale, si deduce il vizio di motivazione, per avere la sentenza impugnata detratto il valore delle cedole percepite in buona fede, pari ad € 55.466,79, non dovendo esse essere restituite, ai sensi dell’art. 2033 c.c.
2. – Il primo motivo, pur dovendosi operare alcune precisazioni, non può condurre all’accoglimento del
ricorso. Esso pone la questione interpretativa dell’art. 29 reg. Consob n. 11522 del 1998, quanto ai requisiti di contenuto che debba presentare l’ordine scritto del cliente, volto ad effettuare un’operazione in strumenti finanziari che la banca gli abbia segnalato come inadeguata.
2.1. – L’art. 29 reg. Consob n. 11522 del 1998, applicabile nella specie, impone agli intermediari di astenersi dall’effettuare “operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione” e, a fronte di un ordine concernente operazione non adeguata come sopra individuata, di informare il cliente della circostanza e delle “ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione”; ove, poi, l’investitore intenda comunque darvi corso, essi “possono eseguire l’operazione stessa solo sulla base di un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordini telefonici, registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute”. Si impone, dunque, all’intermediario l’obbligo di segnalare la non adeguatezza dell’operazione e le ragioni di essa, nonché – se il cliente intenda procedere – di raccogliere l’ordine scritto (o telefonico registrato) da cui risulti un “esplicito riferimento alle avvertenze ricevute”.
2.2. – Sull’interpretazione della locuzione e sulla sua portata conformativa delle clausole contenute negli ordini di acquisto, con riguardo all’assolvimento del particolare obbligo di informazione attiva della banca, questa Corte ha espresso alcuni orientamenti. Si è condivisibilmente affermato, così, che non può parlarsi di requisito di forma circa il contenuto delle informazioni fornite dall’intermediario: “Il legislatore non ha disposto alcunché in ordine alla modalità di trasmissione delle dette notizie, e ciò conseguentemente comporta che non è comunque correttamente ipotizzabile in proposito un vincolo normativo nelle relative formalità di comunicazione“. Proprio la precisazione circa la registrazione su nastro magnetico lascia intendere, secondo la sentenza, come la detta specificazione non sia riconducibile al manifestato intento di prescrivere una forma predeterminata dell’atto (appunto quella scritta) ai fini della sua validità, ma che al contrario la detta forma sia prescritta al fine di garantire l’operatore dall’esonero da ogni responsabilità in ordine all’operazione da compiere. Aggiunge la sentenza che, se si trattasse di previsione incidente sulla validità dell’atto, non avrebbe alcun senso la previsione di un obbligo di registrazione nel caso di ordini telefonici, mentre quest’ultima prescrizione trova all’evidenza fondamento, da una parte, nell’intento di favorire soluzioni meditate e non determinate dall’impulso di un momento e, dall’altra, nell’obiettivo di pervenire ad una più corretta semplificazione dell’onere probatorio sul punto (Cass. 26 luglio 2013, n. 18140). Secondo alcune decisioni, la dichiarazione del cliente ex art. 29 Reg. Consob n. 11522 del 1998 deve essere “ corredata da una, sia pure sintetica, indicazione delle caratteristiche del titolo, in relazione al profilo dell’investitore ed alla sua propensione al rischio, tali da poterne sconsigliare l’acquisto” (Cass. 26 gennaio 2016, n. 1376). In concreto, la sentenza ha reputato inidonea la seguente clausola: “con riferimento alle informazioni acquisite (….) la banca segnala che la presente operazione non appare adeguata e per tale ragione non intende dar seguito all’ordine“; sebbene fosse in atti la prova che la banca avesse informato il cliente della rischiosità dell’investimento perché emesso da un “Paese emergente”, informazione ritenuta inidonea nella specie (ove si era in presenza di titoli di uno Stato prossimo al default finanziario emessi da un ente locale territoriale, di una propensione al rischio del cliente medio-bassa e dell’investimento nell’operazione della totalità dei suoi risparmi). Secondo altra decisione (Cass. 6 marzo 2015, n. 4620) è invece idonea la seguente clausola: “Prendiamo atto delle indicazioni sotto riportate e tuttavia vi autorizziamo comunque ad eseguire l’operazione: titolo non quotato – operazione non allineata alla linea di ínv. concordata – comunicazione: lettera“, in quanto il testo contiene esplicito riferimento alle avvertenze ricevute circa l’inadeguatezza dell’ordine, sia per la mancata quotazione del titolo sia per la sua non rispondenza alla scelta prudenziale di investimenti operata sino ad allora.
Altre pronunce non sono ascrivibili ad un preciso orientamento al riguardo, non dando in realtà conto della situazione concreta. Così Cass. 25 giugno 2008, n. 17340, la quale censura la sentenza di merito, che non aveva indicato se la banca avesse “osservato la norma che consente di darvi corso soltanto a seguito di un ordine impartito per iscritto in cui sia fatto esplicito riferimento alle
avvertenze ricevute”, senza nulla specificare circa l’esigenza che le informazioni siano date per iscritto. Ed enuncia il principio di diritto che esordisce come segue: “In tema di servizi di investimento, la banca intermediaria, prima di effettuare operazioni, ha l’obbligo di fornire all’investitore una informazione adeguata in concreto, tale cioè da soddisfare le specifiche esigenze del singolo rapporto, in relazione alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria del cliente”, ma che nulla dice quanto alla forma delle informazioni.
Parimenti, Cass. 29 ottobre 2010, n. 22147, ribadisce solo la necessità che gli intermediari informino “adeguatamente il cliente sulla natura, sul rischi e sulle implicazioni della specifica operazione E, se questi comunque intende dar corso all’operazione, devono acquisirne una precisa disposizione scritta in cui si fa riferimento alle avvertenze ricevute Ha invece rilievo tranciante il dato riscontrato dalla Corte di merito che l’ordine scritto proveniente dal cliente, prodotto in atti, non contiene l’esplicito riferimento alle avvertenze ricevute”. E fissa il seguente principio di diritto: “In tema di servizi di investimento, la banca intermediaria, prima di effettuare operazioni, ha l’obbligo di fornire all’investitore una informazione adeguata in concreto, tale cioè da soddisfare le specifiche esigenze del singolo rapporto, in relazione alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria del cliente”: ma nulla dice circa la forma di tali informazioni.
Cass. 25 settembre 2014, n. 20178, esamina il profilo della “sequenza temporale” o “precisa cadenza imposta dall’art. 29 del citato regolamento della CONSOB”: “la doppia sottoscrizione, infatti, non consente, di per sé, di ritenere dimostrato che l’intermediario, ossia la Banca, si sia dapprima rifiutato di compiere l’operazione e vi abbia poi dato esecuzione dietro un preciso ordine scritto del cliente” Ciò che la sentenza condivisibilmente richiede è dunque specificamente il perfezionamento dell’Iter cosi come imposto dalla citata norma regolamentare: ossia, che la banca si sia – prima – rifiutata di compiere l’operazione e vi abbia – poi – dato esecuzione dietro un preciso ordine scritto del cliente.
Anche la più recente Cass. 17 aprile 2015, n. 7922, è anodina al riguardo: si trattava di un investimento di C 32.000.000,00 in un unico titolo da parte di investitori reputati non esperti in primo grado e con la retrodatazione di un foglio aggiuntivo, nel quale si dava conto che quantitativamente il capitale investito superava la soglia consentita del patrimonio gestito: “retrodatazione incompatibile con le ‘modalità attraverso le quali l’intermediario autorizzato può ottenere l’effetto liberatorio dell’obbligo di informativa posto a suo carico’”.
2.3. – Il Collegio reputa di operare al riguardo le precisazioni che seguono. Nel dettato dell’art. 29 Reg. Consob n. 11522 del 1998 devono distinguersi in capo all’intermediario distinti obblighi: a) valutare l’operazione richiesta sotto i profili ivi indicati (tipologia, oggetto, frequenza, dimensione); b) fornire al cliente le dettagliate spiegazioni e ragioni che, sotto gli stessi profili, sconsigliano l’operazione; c) acquisire l’ordine scritto “In cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute“.
La norma, nella sua interezza, prescrive dunque un particolare procedimento.
Posta l’esigenza del rispetto di tali obblighi nella loro sequenza procedimentale, la questione che si pone riguarda quello sub c), quanto ai contenuti che l’ordine scritto deve rivestire: se, cioè, detto
“riferimento” scritto debba operare con riguardo all’an delle avvertenze, oppure anche al contenuto delle medesime.
Reputa il Collegio che – ferma restando l’esigenza dell’assolvimento dei primi due obblighi, ed, in particolare, di quello volto a fornire al cliente tutte le informazioni e le motivazioni che sconsigliano l’operazione – ai sensi dell’art. 29 cit. non sia obbligatoria l’integrale esplicazione scritta dell’avvenuto assolvimento di essi, essendo sufficiente il riferimento alla circostanza dell’avere l’intermediario rivolto le avvertenze al cliente, ottenendone l’ulteriore richiesta di eseguire comunque l’operazione. Infatti, alla luce sia della lettera, sia della ratio della norma, né la prima si presta ad un’interpretazione estensiva, né la seconda la postula, considerando che la disposizione intende enfatizzare al cliente la rilevanza della sua decisione, nonché precostituire una prova per la banca, ma non impone nessuna forma con la quale veicolare le dovute informazioni. Occorre, invero, considerare che l’ordine scritto di eseguire l’operazione in strumenti
finanziari necessariamente li identifica, onde appare sufficiente che il cliente, sottoscrivendolo, attesti pure di esserne stato dissuaso: l’indicazione dell’adempimento dell’obbligo della banca circa l’avere essa reso le “avvertenze -soddisfa l’esigenza probatoria, quale modalità tipica – produzione in giudizio dell’ordine stesso – predisposta ad integrare la prova (presuntiva) dell’esistenza dell’avvertimento di inadeguatezza. La norma mira ad assicurare che l’investitore abbia ricevuto l’informazione concernente la circostanza che l’operazione stessa non fosse adatta a lui, alla luce delle sue specifiche caratteristiche e di quelle del prodotto de quo.
Certamente, pertanto, a tal fine non sarebbe sufficiente un avvertimento (orale) generico ed astratto, ossia privo dei riferimenti concreti alle caratteristiche del cliente in comparazione con il titolo (alla stregua delle indicazioni ex art. 29 cit., per tipologia, oggetto, frequenza, dimensione): l’informazione da rendere prima che la banca intermediaria, ai sensi dell’art. 29, 3 °comma, del reg. citato, dia attuazione all’ordine inadeguato, infatti, deve essere sufficiente in concreto, tale cioè da soddisfare le specifiche esigenze del singolo rapporto, in relazione alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria del cliente (così le condivisibili Cass. 25 settembre 2014, n. 20178; 26 luglio 2013, n. 18140; 29 ottobre 2010, n. 22147). Ma la norma impone di rendere note le avvertenze in qualsiasi forma, posto che solo l’an delle medesime va attestato per iscritto.
A questo punto, tuttavia, ove il cliente alleghi l’inadempimento rispetto agli obblighi informativi da rendere oralmente, contestando che le avvertenze ricevute fossero adeguate ad assolvere agli obblighi sub a) e sub b), allora la banca resta onerata dal dimostrare che, viceversa, ad essi sia stata adempiente.
Al riguardo, questa Corte ha, invero, già chiarito come l’onere probatorio gravante sull’intermediario finanziario in ordine alle informazioni somministrate all’investitore è commisurato alla deduzione di inadempimento formulata da quest’ultimo, in sede di contestazione della lite e di successiva precisazione modificazione del thema decidendum e probandum, onde è onere dell’investitore indicare le informazioni che assuma di non aver ricevuto ed onere della banca provare di averle, invece, fornite (Cass. 21 marzo 2016, n. 5514). Tale prova, dunque, da parte della banca potrà avvenire con ogni mezzo; anche se risponde ad un elementare scrupolo prudenziale indicare in dettaglio le informazioni rese nella dichiarazione sulle avvertenze ricevute, sottoscritta dall’investitore prima di dar corso all’operazione inadeguata, potendo ciò garantire una maggiore economia processuale. Pertanto, ai sensi dell’art. 29 citato il giudice dovrà verificare se, in presenza di un’operazione inadeguata, l’intermediario abbia informato il cliente delle concrete ragioni che la rendano inopportuna, anche se tali ragioni non devono poi necessariamente emergere dall’ordine scritto, in cui è sufficiente il riferimento all’avere ricevuto le avvertenze. Sarà, del pari, compito del giudice del merito valutare, di volta in volta, se quella condotta integrasse l’assolvimento dell’obbligo di completa e corretta informazione sul prodotto finanziario in questione. Detta lettura appare coerente con l’imposizione all’intermediario di doveri informativi commisurati alla ratio della tutela predisposta dal legislatore. Come si è osservato (Cass. 8 maggio 2015, n. 9326), le norme a tutela degli investitori costituiscono uno dei risvolti dei principi dettati dalla Costituzione a tutela del risparmio, che impongono di predisporre gli strumenti per evitare che l’operatore finanziario approfitti della inesperienza e più in generale della mancanza di una preparazione specifica dell’investitore, ma non intendono “ingessare” il mercato finanziario, configurando una sorta di assicurazione contro i rischi delle perdite finanziarie, né hanno lo scopo in sé di impedire la conclusione di operazioni rischiose. A contraria conclusione non potrebbe pervenirsi neppure per il paventato rischio che la clausola in questione si traduca in una vuota formula di stile, raramente letta davvero dal cliente: l’argomento, invero, prova troppo, dato che non vi è nessuna certezza che il cliente legga, invece, la clausola recante pure la ragione che sconsiglia l’operazione; o che la banca predisponga la più completa clausola senza assicurarsi che il cliente davvero l’abbia compresa ed assimilata. In conclusione, va sul punto enunciato il seguente principio di diritto: “La sottoscrizione, da parte del cliente, della clausola in calce al modulo d’ordine, contenente la segnalazione d’inadeguatezza dell’operazione sulla quale egli è stato avvisato, è idonea a far presumere assolto l’obbligo previsto in capo all’intermediario dall’art. 29, 3 0 comma, reg. Consob n. 11522 del 1998; tuttavia, a fronte della contestazione del cliente, il quale alleghi
quali specifiche informazioni furono omesse, grava sulla banca l’onere di provare, con qualsiasi mezzo, che invece quelle informazioni essa aveva specificamente reso”.
2.4. – Nella specie, la corte territoriale, nonostante si sia discostata da tale principio, ha anche affermato che, comunque, la prova testimoniale assunta in primo grado non ha consentito di provare l’assolvimento dell’onere probatorio da parte della banca, la cui unica testimone “oltre a riferire circostanze generiche o irrilevanti, ha dichiarato di non ricordare «di aver espressamente segnalato un rischio di mancato rimborso del capitale»” (p. 20).
Ne deriva che, corretta come sopra la motivazione, la decisione va tenuta ferma, noto essendo che non rilevano le carenze motivazionali della decisione impugnata, ove venga sottoposto a sindacato il giudizio di diritto, in cui il controllo del giudice di legittimità investe direttamente anche la decisione e non è limitato alla plausibilità della giustificazione: sicché un giudizio di diritto può risultare incensurabile anche se mal giustificato, in quanto, ai sensi dell’art. 384, 4° comma, c.p.c., la decisione erroneamente motivata in diritto non è soggetta a cassazione, ma solo a correzione da parte della Corte, quando il dispositivo sia conforme al diritto (e multis, Cass. 24 giugno 2015, n. 13086; Cass., sez. un., 25 novembre 2008, n. 28054).
3. – Il secondo motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile. Sotto il primo profilo, la sentenza impugnata ha accertato come la banca, nella specie, ebbe a valutare il titolo come inadeguato a quello specifico cliente, convincimento raggiunto in via presuntiva sulla base delle avvertenze al medesimo rivolte in tal senso e delle allegazioni stesse dell’intermediario: motivazione che non presenta mende argomentative. Sotto il secondo profilo, il motivo, sotto l’egida del vizio motivazionale, mira in realtà a sottoporre alla Corte un nuovo, inammissibile giudizio sul fatto.
4. – Il terzo motivo è infondato. Il ricorrente si duole della mancata qualificazione come confessione della dichiarazione resa dal cliente circa la completezza delle avvertenze ricevute. Oltre a quanto sopra esposto, è sufficiente qui ricordare il condivisibile orientamento secondo cui l’ordine scritto, impartito dal cliente laddove intenda compiere un’operazione segnalatagli come inadeguata e che operi riferimento alle avvertenze ricevute, non costituisce una confessione in senso tecnico, ai sensi dell’art. 2730 c.c., circa l’avere egli ricevuto informazioni “adeguate”, posto che la dichiarazione è rivolta alla formulazione di un giudizio e non all’affermazione di scienza e verità di un fatto obiettivo (Cass. 26 gennaio 2016, n. 1376; 6 marzo 2015, n. 4620; 25 settembre 2014, n. 20178; 19 aprile 2012, n. 6142).
5. – Il quarto motivo è infondato. La corte del merito, nel risolvere il contratto, ha affermato di avere valutato il grave inadempimento ai doveri dell’intermediario, in tal modo implicitamente valutato l’importanza dell’inadempimento per il cliente, indotto ad acquistare un titolo dannoso in mancanza di adeguate informazioni.
6. – Il quinto motivo è infondato. La sentenza impugnata ha risolto i contratti di compravendita dei titoli, conclusi tra il cliente e la banca, dopo avere accertato che essi si trovavano nel suo patrimonio. Non coglie, dunque, nel segno la questione, che resta estranea alla fattispecie, della risolubilità dell’ordine ad acquistare un titolo, rivolto dal cliente all’intermediario, sulla quale verte il motivo.
7. – Il sesto motivo è inammissibile, in quanto pone una questione nuova. Va, al riguardo, ribadito che, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni cui non sia fatto cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla suprema corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione(Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675). Nel caso in esame, la sentenza impugnata non reca traccia di una doglianza spiegata dalla banca circa l’acquisto dei titoli a prezzo inferiore al valore nominale, indicando anzi come entrambe le parti avessero allegato il medesimo prezzo di C 168.208,57 per essi pagato, pari a quello considerato come oggetto dell’obbligo restitutorio. Sicché, come si è premesso, il motivo è inammissibile.
8. – Il ricorso incidentale è infondato. Infatti, per l’art. 2033 c.c., a seguito della risoluzione del contratto venuta meno la ragione giustificativa del pagamento, il regime delle restituzioni comporta che gli interessi sulla somma da restituire decorrano dall’effettivo versamento, ovvero dalla data della domanda giudiziale, a seconda che racciplens fosse o no in mala fede. Ma tale regime riguarda, appunto, gli interessi sulla somma versata, non le cedole riscosse in esecuzione del contratto caducato.
9. – La reciproca soccombenza conduce alla compensazione delle spese di lite.
[…]