Corte di Cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 26058 del 2013, dep. il 20/11/2013

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

[…], proprietari di un fondo rustico sito in …, concesso in affitto al sig. … fino al 1992, e di cui […] assumeva di essersi in parte impossessato usucapendone la proprietà, con citazione notificata il …2001 convenivano in giudizio quest’ultimo innanzi al Tribunale di Milano, affinché, accertato il loro diritto di proprietà, il convenuto fosse condannato a restituire il fondo.
Il convenuto resisteva chiedendo, in via riconvenzionale, l’accertamento dell’acquisto della proprietà del bene per usucapione.
Il Tribunale rigettava la domanda principale ed accoglieva quella riconvenzionale.
Tale sentenza era ribaltata dalla Certe d’appello di Milano, che dichiarava il diritto di proprietà degli attori, condannando il convenuto a rilasciare in loro favore il fondo.
Preliminarmente la Corte territoriale riteneva, contrariamente a quanto opinato dal giudice di prime cure, che la deposizione del teste … fosse ammissibile. Questi, infatti, era stato indicato sia nell’atto introduttivo del giudizio, sia nella memoria istruttoria del … 2002, anche se con il nome di … in luogo di … . Tale diversa indicazione era frutto di un evidente errore materiale, evidenziato dal fatto che il teste era stato dedotto come figlio del … che aveva coltivato il fondo degli attori fino all’anno 1992. E così il teste aveva poi dichiarato, con la sola precisazione che il padre, a differenza di quanto specificato nel capitolo di prova, si chiamava … e non …, quest’ultimo essendo il nome del nonno, che pure si era occupato della coltivazione del medesimo terreno in epoca precedente. Nel merito, giudicava maggiormente attendibili i testi di parte attrice, mentre non solo alcuni dei testi di parte convenuta risultavano aver avuto a vario titolo rapporti con il […], ma le loro deposizioni non erano state altrettanto puntuali nell’individuare la porzione di terreno oggetto di controversia. Per la cassazione di tale sentenza […] propone ricorso, affidato a tre motivi, successivamente illustrati da memoria.
Resistono con controricorso […].

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo parte ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 244 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 (rectius, 4). Tanto nell’atto di citazione, quanto nella memoria istruttoria gli attori avevano indicato a teste ….., senza indicarne residenza, dati anagrafici o altri elementi d’identificazione. Con la sentenza impugnata, invece, la Corte d’appello di Milano ha ritenuto ammissibile la deposizione di …, dichiaratosi poi figlio di …, ritenendo sufficientemente indicato il teste nel capitolo di prova n. 1) della memoria istruttoria, lì dove in essa si parla di … e del figlio di lui …. Formula, pertanto, il seguente quesito di diritto ex art. 266-bis c.p.c. (applicabile ratione temporis alla fattispecie): “dica l’Ecc.ma Corte di cassazione se vi è violazione e/o falsa applicazione dell’art. 244 c.p.c. nella parte in cui prescrive l’indicazione specifica delle persone da interrogare, nell’ipotesi in cui viene ammessa, nonostante la tempestiva opposizione dell’altra parte, la testimonianza di un teste, citato e fatto comparire da una parte all’udienza di assunzione delle prove, avente lo stesso cognome ma un diverso prenome da quello indicato nella memoria istruttoria, senza altri elementi di sicura identificazione diretta (residenza e/o data di nascita) o indiretta (rapporti di parentela); nella specie, se il teste … possa ritenersi identificato, a norma dell’art. 244 c.p.c., con l’indicazione del diverso nome …, anziché di … e con la qualifica di figlio di …, anziché di …”.

2. – Col secondo motivo è dedotta, in relazione all’art. 360 c.p.p., n. 5, l’omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata sulla medesima questione di cui al primo motivo, lamentando che la Corte territoriale – a prescindere dall’apprezzamento di fatto circa l’esistenza di un errore materiale della parte attrice nel dedurre il predetto teste – non avrebbe fornito una compiuta e congrua motivazione della propria decisione al riguardo.

3. – Il terzo mezzo denuncia l’omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, nella parte in cui sono state ritenute inattendibili le deposizioni testimoniali di parte convenuta, per avere i testi a vario titolo rapporto con […]. Parte ricorrente sostiene che nell’ordinamento non ha riscontro un giudizio d’inattendibilità testimoniale per l’esistenza di rapporti del teste con la parte che l’ha indotto, e che pertanto la sua credibilità non può essere aprioristicamente esclusa.

4. – I primi due motivi, da esaminare congiuntamente per la loro complementarietà, sono infondati.

4.1. – In materia di prova testimoniale e, in particolare, di indicazione dei testi, devono essere bilanciate le contrapposte esigenze processuali della parte che deduce la prova e di quella che vi si oppone (o che vi si potrebbe opporre). La prima non sempre è in grado di conoscere il nominativo esatto e completo del teste, specie se la relativa indicazione non è stata preceduta da un contatto preliminare (tutt’altro che necessitato e non sempre raccomandabile dal punto di vista deontologico); la seconda ha diritto di individuare preventivamente la persona chiamata a deporre per valutarne la capacità e comunque per predisporre al meglio un eventuale controesame.
La necessità di considerare anche l’esigenza della parte che deduce il mezzo di prova fino a che ciò non pregiudichi il contrapposto interesse della parte avversa, trova eco nella giurisprudenza di questa Corte lì dove è stata ritenuta ammissibile l’individuazione indiretta del testimone tramite la funzione espletata nell’ufficio o nell’ente di cui questi faccia parte, a condizione che tale modalità di designazione consenta di identificare con sicurezza la persona, onde consentire all’altra parte, nel rispetto delle regole del contraddittorio, di individuare il teste di cui l’istante intende avvalersi (Cass. n. 9159/03). Mentre, nelle controversie soggette al rito lavoristico il problema si è presentato sotto un altro aspetto, essendosi più volte affermato che qualora la parte abbia, con l’atto introduttivo del giudizio, proposto capitoli di prova testimoniale, specificamente indicando di volersi avvalere del relativo mezzo in ordine alle circostanze di fatto ivi allegate, ma omettendo l’enunciazione delle generalità delle persone da interrogare, tale omissione non determina decadenza dalla relativa istanza istruttoria, ma concreta una mera irregolarità, che abilita il giudice all’esercizio del potere – dovere di cui all’art. 421 c.p.c., comma 1 (cfr. per tutte, Cass. n. 17649/10).
4.2. – L’art. 244 c.p.c. stabilisce che la prova per testimoni deve essere dedotta mediante indicazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti, formulati in articoli separati, sui quali ciascuna deve essere interrogata.
L’introduzione di tale mezzo istruttorio è soggetta ad una formalità unitaria, composta dall’indicazione di persone e di circostanze di fatto, le une e le altre destinate a chiarirsi e integrarsi fra loro. Tale formalità di deduzione, non essendo altrimenti predefinita dal legislatore, deve essere funzionale allo scopo dell’atto, secondo il principio della nullità a rilevanza variabile che si enuclea dall’art. 156 c.p.c., comma 2, in base alla quale la nullità può essere pronunciata quando l’atto manchi dei requisiti di forma-contenuto indispensabili ai raggiungimento dello scopo.
Lo scopo dell’atto, a sua volta, consiste (non già in una comportante interna ad esso, ma) nel compimento dell’atto processuale successivo. Nello specifico, pertanto, esso è dato dall’assunzione come teste della persona a ciò indicata, una volta superato il vaglio di capacità a deporre in relazione al quale l’altra parte può sollevare le proprie eccezioni. Ne deriva che è inidonea allo scopo solo l’indicazione del teste che, per insufficienza o per altra causa, non consenta all’altra parte tale esercizio del diritto di difesa.
Coordinando, dunque, le due regole anzi dette, quella dell’art. 244 c.p.c. e quella dell’art. 156 c.p.c., comma 2 si ottiene che il teste deve essere indicato in maniera sufficientemente determinata o comunque determinabile, e che un’imperfetta o incompleta designazione degli elementi identificativi (nome, cognome, residenza ecc.) è idonea ad arrecare un vulnus alla difesa e al contraddittorio solo se provochi in concreto la citazione e l’assunzione come teste di un soggetto realmente diverso da quello previamente indicato, così da spiazzare l’aspettativa della controparte.
Nessun rilievo, invece, hanno le ulteriori precisazioni emerse in sede di esame testimoniale, allorché il teste ha ulteriormente chiarito di essere figlio di … e non di …, quest’ultimo essendo il nome del nonno. Si tratta di puntualizzazioni affatto estranee al tema dell’identificazione o dell’identità del teste e che rientrano nell’insieme delle risposte che quest’ultimo ha reso durante il suo esame. Pertanto, ogni considerazione svolta al riguardo nel motivo d’impugnazione fuoriesce da1’ambito del dedotto error in procedendo.

5. – Anche il terzo mezzo è infondato.
La sentenza impugnata si basa non solo e non tanto sull’esistenza – di per sè sola non decisiva – di rapporti fra il convenuto e i testi da lui indotti, ma anche e soprattutto su altra motivazione non attaccata dal motivo in esame, ossia quella per cui i testi di parte attrice sono stati ritenuti maggiormente attendibili per la maggiore sicurezza mostrata nell’identificare il fondo e la porzione di esso che è contesa fra le parti.
E tale apprezzamento di puro merito, di per sè sufficiente e logico, si sottrae in quanto tale al sindacato di legittimità di questa Corte.

6. – In conclusione il ricorso va respinto.

[…]