Corte di Cassazione, Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 2018, dep. il 29/10/2018

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FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

I. Con citazione notificata in data 8 gennaio 2003 … (eredi di .., convenuto insieme agli altri coeredi … dall’attore … con domanda di scioglimento della comunione ereditaria del … 1982) proposero appello avverso la sentenza non definitiva del 19 settembre 1985, che aveva respinto la domanda riconvenzionale di usucapione di quota, nonché avverso la sentenza definitiva del Tribunale di Roma del 24 novembre 2001, la quale aveva suddiviso in lotti il compendio aderendo parzialmente all’espletata CTU. La comunione ereditaria aveva ad oggetto alcuni appezzamenti di terreno, quattro fabbricati ed un ulteriore terreno coltivato ad uliveto siti nel comune di … e comprendeva, come già considerato, gli eredi … . In seguito alla morte di …, il giudizio è stato proseguito dai rispettivi eredi. Gli appellanti … sostennero la nullità della sentenza non definitiva del 19 settembre 1985, nonché di tutti gli atti processuali successivi, mancando quella di motivazione, visto che il Tribunale aveva rigettato la domanda riconvenzionale di usucapione perché non supportata da sufficiente materiale probatorio, limitandosi a richiamare l’ordinanza del 16 settembre 1983, con cui il giudice istruttore aveva dichiarato inammissibile la prova testimoniale richiesta. Quanto alla pronuncia del 24 novembre 2001, gli appellanti dedussero che la stessa, al fine di individuare il valore delle singole quote ereditarie, avesse preso come riferimento le valutazioni effettuate nella c.t.u., considerate non condivisibili in quanto affette da errori di metodo e di stima, come desumibile dalle variazioni dell’importo calcolato per le spese attinenti ai miglioramenti verificatesi nelle successive stesure dell’elaborato peritale (da lire … a lire … fino a lire …). La Corte d’Appello rigettò la richiesta di rinnovo della CTU, evidenziando come le valutazioni degli immobili, operate anche in considerazione delle richieste di chiarimenti, fossero state ritenute corrette altresì nelle osservazioni del 10 novembre 1991 dell’architetto … , consulente di parte degli appellanti. La Corte di Roma ritenne poi infondata l’eccezione di nullità della sentenza non definitiva per difetto di motivazione, in quanto, a fronte dell’ordinanza del giudice istruttore del 21 settembre 1983 (relativa all’inammissibilità del capitolo 1 della dedotta prova testimoniale, giacché inidoneo a “fornire la dimostrazione della sussistenza di tutti i requisiti imposti dalla legge per l’operatività della usucapione”, e del capitolo 2, perché concernente “un fatto – divisione di immobili – che non è suscettibile di prova testimoniale”) gli attori in riconvenzionale, rinviata la causa per la decisione all’udienza collegiale del 28 marzo 1985, chiesero il passaggio a sentenza sulla base delle conclusioni precisate davanti al G.I., senza riproporre al collegio, ex art. 178, comma 1, c.p.c. “vecchio rito”, la questione relativa ai mezzi di prova. Di conseguenza, il Tribunale reputò la domanda di usucapione non sufficientemente provata, seppur attraverso il mero richiamo delle motivazioni del G.I.; non avendo, cioè, proposto reclamo al collegio né reiterato la richiesta in sede di precisazioni delle conclusioni, il Tribunale intese rinunciato il mezzo di prova.
II. Il primo motivo di ricorso lamenta la nullità della sentenza parziale del Tribunale di Roma n. 11248/1985 e di tutti gli atti processuali successivi a tale pronuncia. Si spiega così dai ricorrenti: “La Corte d’Appello applica falsamente e viola gli artt. 714 c.c., 1158 c.c., art. 115 c.p.c., art. 354, ult. co ., c.p.c.; violazione del principio costituzionale del contraddittorio art. 111 cost.; art. 24 cost.; art. 101 c.p.c.; omesso uso delle presunzioni nella valutazione dell’usucapione – violazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ. – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti art. 360 c.p.c. n.ro 5; omissione di esame di documenti decisivi (art. 360 n.ro 5 c.p.c.); nullità della sentenza per mancanza di motivazione o motivazione non corretta (art. 360, n.ro 4, c.p.c.)”. La Corte di appello avrebbe, cioè, omesso di enunciare le ragioni del proprio convincimento relativamente all’eccezione di nullità sollevata, limitandosi ad esporre una “mera petizione di principio determinata dal giudice istruttore” e violando il diritto di difesa. La stessa ordinanza istruttoria sarebbe essa stessa viziata, perché fondata su un giudizio soggettivo e non ancorato a riferimenti legislativi; ancora, la Corte d’appello avrebbe errato nel non ammettere la richiesta istruttoria reiterata come prova del possesso esclusivo ai fini dell’eccepita usucapione, nonché nel non rilevare la violazione del contraddittorio a causa del mancato uso delle presunzioni nella dimostrazione dei fatti costitutivi dell’usucapione.
Il secondo motivo di ricorso è rubricato “nullità della sentenza qui impugnata per errore di fatto – art. 360 c.p.c. n. ro 5 omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; omissione di esame di documenti decisivi (art. 360 n.ro 5 c.p.c.); nullità della sentenza per mancanza di motivazione o motivazione non corretta (art. 360, n.ro 4, c.p.c.)”. La Corte di Appello, sulla base della lettura del foglio di precisazione delle conclusioni prese all’udienza del 23 febbraio 1998, che viene trascritto in ricorso, avrebbe errato nel ritenere che i convenuti in primo grado non avessero reiterato le istanze istruttorie in oggetto, considerandoli così decaduti dal relativo diritto o facoltà e violando di conseguenza il loro diritto al contraddittorio.
Il terzo motivo di ricorso è rubricato “violazione istruttoria – denegazione di rinnovo della CTU – violazione del diritto di difesa e del contraddittorio omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti: art. 360 c.p.c. n.ro 5; omissione di esame di documenti decisivi (art. 360 n.ro 5 c.p.c.); nullità della sentenza per mancanza di motivazione o motivazione non corretta (art. 360, n.ro 4 c.p.c.)”. I ricorrenti evidenziano come, nel corso del giudizio, avessero più volte contestato le risultanze peritali, per essere le stesse “il frutto di valutazione certamente opinabili”, e richiesto più volte la convocazione del perito incaricato affinché fornisse chiarimenti su “questioni irrisolte”; ciò nonostante, ribadisce parte ricorrente, il Tribunale ha ritenuto di disattendere la richiesta di rinnovo della c.t.u., ritenendo le conclusioni della consulenza espletata “basate su indagini approfondite e su argomentazioni logicamente corrette”.
Il quarto motivo di ricorso lamenta la “violazione del principio di non contestazione, di rilievo costituzionale – art. 115 c.p.c. – La Corte di Appello non prende minimamente in considerazione la circostanza della mancata contestazione dell’avvenuta usucapione da parte degli odierni ricorrenti – mancanza di motivazione o motivazione non corretta (art. 360, n.ro 5 c.p.c.) – violazione del principio costituzionale del contraddittorio art. 111 cost.; art. 24 cost.; art. 101 c.p.c.; – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n.ro 5, c.p.c.): la non contestazione dell’avvenuta usucapione – omissione di esame di documenti decisivi sulla non contestazione dell’usucapione (art. 360 n.ro 5 c.p.c.) – nullità della sentenza per mancanza di motivazione o motivazione non corretta (art. 360, n. ro 4, c.p.c.)”. Si dice che il fatto del possesso ultraquarentennale dedotto dai convenuti non era stato contestato e non era perciò bisognoso di prova.
II.1. Tutti i motivi di ricorso, accomunati dall’invocazione del parametro di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c., rivelano diffusi profili di inammissibilità. L’interpretazione di questa Corte ha chiarito come l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). Costituisce, pertanto, un “fatto”, agli effetti dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. Sez. 1, 04/04/2014, n. 7983; Cass. Sez. 1, 08/09/2016, n. 17761; Cass. Sez. 5, 13/12/2017, n. 29883; Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152; Cass. Sez. U., 23/03/2015, n. 5745; Cass. Sez. 1, 05/03/2014, n. 5133). Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.: le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. Sez. 2, 14/06/2017, n. 14802: Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152); gli elementi istruttori; una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (Cass. Sez. L, 21/10/2015, n. 21439). E’ quindi inammissibile l’invocazione del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. per sostenere il mancato esame di deduzioni istruttorie, di documenti, di eccezioni di nullità della sentenza non definitiva e degli atti conseguenti, di critiche rivolte agli elaborati peritali (ovvero di semplici allegazioni difensive a contenuto tecnico), o della “non contestazione dell’avvenuta usucapione” (un fatto che non sia stato “oggetto di discussione tra le parti” è, d’altro canto, fuori dall’ambito dell’art. 360 n. 5 c.p.c. per sua stessa definizione), o per lamentarsi di una “motivazione non corretta”.
Il primo ed il secondo motivo, esaminabili congiuntamente, sono per il resto infondati.
Essi sono relativi all’assunta nullità per difetto di motivazione della sentenza non definitiva n. 11248/1985 resa il 19 settembre 1985, con la quale il Tribunale di Roma rigettò per difetto di prova la domanda riconvenzionale di usucapione in favore dei coeredi per la rispettiva quota, richiamando l’ordinanza istruttoria del 21 settembre 1983 che aveva negato l’ammissibilità della dedotta prova per testi. La Corte d’appello di Roma ha esplicitato le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione sul primo motivo di gravame, richiamandosi ad un orientamento interpretativo consolidato nella vigenza della disciplina operante per i giudizi (come quello in esame) iniziati in primo grado in epoca anteriore al 30 aprile 1995, ai quali non è, cioè, applicabile il regime introdotto dalla legge n. 353 del 1990. Tale orientamento affermava che la mancata proposizione del reclamo immediato ex art. 178 c.p.c. avverso l’ordinanza che avesse respinto l’istanza di ammissione di una prova non impediva il successivo controllo del collegio sull’ordinanza stessa (non essendo la decisione finale del giudice, del resto, vincolata dai provvedimenti inerenti all’istruzione della causa), sempre che la parte interessata avesse, però, riproposto la questione in sede di precisazione delle conclusioni o altrimenti richiesto espressamente la revoca di detta ordinanza, restando in caso contrario la questione sull’ammissibilità della prova preclusa anche in sede di impugnazione (cfr., fra le tante, Cass. Sez. 2, 22/05/1995, n. 5618; Cass. Sez. 1, 30/03/1995, n. 3773; Cass. Sez. 2, 06/09/1994, n. 7672; Cass. Sez. 2, 24/08/1991, n. 9083). I ricorrenti, senza riferirsi specificamente così alla decisione impugnata, fondano il contenuto delle censure non sul comportamento difensivo da loro assunto all’udienza di precisazione delle conclusioni svoltasi in occasione della rimessione in decisione sulla domanda riconvenzionale di usucapione, conclusioni su cui pronunciò la sentenza resa il 19 settembre 1985, ma sulle conclusioni poi precisate per la sentenza definitiva all’udienza svoltasi tredici anni dopo quella prima sentenza, ovvero il 23 febbraio 1998, quando infatti domandarono al Tribunale di Roma, tra l’altro, di “dichiarare la nullità della sentenza parziale” emessa dallo stesso Tribunale nel 1985 e di ammettere le prove richieste all’udienza del 14 luglio 1983. D’altro canto, il principio desumibile dalle norme di cui agli artt. 132 n. 4 c.p.c. e 118, comma 1, disp. att. c.p.c., pur nelle formulazioni qui applicabili ratione temporis, secondo cui la motivazione della sentenza deve riassumere concisamente il contenuto sostanziale della controversia e gli elementi atti a giustificare le ragioni del decidere, induce ad escludere la nullità della pronuncia che rigetti la domanda ritenendola non provata, facendo richiamo dell’ordinanza istruttoria che abbia respinto una richiesta inammissibile di prove, in quanto espressione del giudizio che la parte avrebbe dovuto dare impulso alla prova con la richiesta di mezzi ammissibili e concludenti. I ricorrenti neppure trascrivono nei motivi di ricorso, agli effetti dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., quali fossero le circostanze oggetto della prova negata, in maniera da consentire a questa Corte il controllo della decisività dei fatti da provare. Al quarto motivo di ricorso è dato per incontestato “il possesso ultraquarantennale” dedotto a sostegno della domanda di usucapione, ma l’elaborazione giurisprudenziale ribadisce costantemente che il coerede può, prima della divisione, usucapire in tutto o in parte i beni ereditari dimostrando non soltanto il proprio potere di fatto o che gli altri coeredi si siano astenuti dall’uso, ma altresì che egli ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, tale da evidenziare un’inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus (cfr. ad esempio Cass. Sez. 2, 25/09/2002, n. 13921).
Sul terzo motivo di ricorso, deve ribadirsi soltanto che rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative di quelle già espletate, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico di ufficio ovvero di disporre addirittura la rinnovazione delle indagini con la nomina di altri consulenti, e l’esercizio di un tale potere (così come il mancato esercizio), ove ne sia data adeguata motivazione (dimostrando, come nel caso in esame a pagina 3 di sentenza, di essersi data risposta, alla stregua dell’elaborato peritale, ai problemi posti dalle parti circa la valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione), non è censurabile in sede di legittimità (Cass. Sez. 1, 03/04/2007, n. 8355; Cass. Sez. 2, 20/12/1994, n. 10972).
Il quarto motivo è, infine, inammissibile: i ricorrenti affermano che il possesso ultraquarantennale da loro dedotto non fosse stato contestato dagli attori, senza però indicare, come prescritto dall’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., in quale specifico atto del giudizio di merito quel fatto fosse stato tempestivamente allegato e quale preciso contenuto avessero avuto le difese avversarie sul punto (si vedano, tra le tante, Cass. Sez. 6 – 3, 22/05/2017, n. 12840; Cass. Sez. 3, 13/10/2016, n. 20637).
III. Il ricorso va dunque rigettato […]