[…]
FATTO e DIRITTO
1 – Gli appellati (ricorrenti in primo grado) sono proprietari di un fabbricato sito nel Comune di […], insistente su un’area sottoposta a vincolo paesaggistico, in quanto compresa nella fascia di 150 metri da un corso d’acqua (art. 142, lett. C, del D. Lgs. 42/2004).
1.1 – Tale fabbricato veniva realizzato negli anni ’80 e successivamente condonato con la concessione in sanatoria n. …1995, corredata dal parere della Commissione Edilizia Integrata, ma in assenza della valutazione di compatibilità con il vincolo da parte della Soprintendenza.
2 – I ricorrenti riferiscono che l’immobile ha conservato lo stato di fatto esistente al momento del condono, risultando non ultimato e privo di rifiniture interne ed esterne e, per tale ragione, esposto alle intemperie; per ovviare a tale inconveniente, in data … 2018, hanno presentato un’istanza tesa ad ottenere il permesso di costruire, previa autorizzazione paesaggistica, per il completamento dell’immobile.
3 – La Soprintendenza di …, con l’atto n. … del 20.10.2020, ha espresso parere contrario all’istanza di autorizzazione paesaggistica relativa all’esecuzione di lavori di completamento del fabbricato residenziale, rilevando che quest’ultimo, dal punto di vista paesaggistico, non risultava autorizzato.
3.1 – Con la successiva nota n. … dell’11 dicembre 2020, il Comune di […] ha disposto la negativa conclusione del procedimento di autorizzazione.
4 – Gli appellati hanno impugnato tali provvedimenti avanti il TAR per la Campania che, con la sentenza indicata in epigrafe, ha accolto il ricorso, considerando che:
– il parere contrario della Soprintendenza ed il diniego definitivo del Comune, fondandosi (entrambi) sull’assenza del nulla osta paesaggistico a supporto dei precedenti titoli edilizi che assistono il fabbricato, ne avrebbero sostanzialmente disconosciuto gli effetti;
– tale esito sarebbe illegittimo, in quanto concretizzante un esercizio implicito di un potere di annullamento dei titoli edilizi.
5 – Avverso tale statuizione ha proposto appello il Ministero per i motivi di seguito esaminati.
Si è costituita in giudizio l’originaria parte ricorrente, che ha riproposto i motivi di ricorso non esaminati dal TAR.
6 – In punto di fatto, giova ricordare che:
– i proprietari del fabbricato oggetto di causa hanno inoltrato istanza di autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 146 del D.Lgs n. 42 dei 22.01.2004 per lavori di completamento, con cambio di destinazione d’uso ad abitazione, realizzazione di pareti divisorie, tettoia ecc.;
– il fabbricato originario, al quale accedono i lavori oggetto della predetta istanza, risulta assistito dai seguenti titoli edilizi: a) concessione in sanatoria ex lege 47/85 rilasciata in data …1995; b) concessione edilizia in variante rilasciata in data …1996; c) S.C.I.A del …2018;
– è pacifico tra le parti in causa che i suddetti titoli edilizi sono stati rilasciati in assenza del parere paesaggistico della Soprintendenza competente.
7 – La sommaria ricostruzione in fatto della vicenda porta all’accoglimento dell’appello Ministeriale laddove contesta il presupposto sul quale si basa la sentenza impugnata, secondo cui sarebbe necessario intervenire nelle forme dell’autotutela sui pregressi titoli edilizi.
Tale assunto non può essere condiviso.
Al riguardo, deve osservarsi che gli effetti dei provvedimenti impugnati in questa sede si limitano a negare l’autorizzazione all’esecuzione dei lavori di completamento dell’immobile, non incidendo sulla legittimità edilizia del fabbricato originario e dunque sui precedenti titoli che lo assistono.
7.1 – Sul piano generale, deve ricordarsi che l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio.
I due atti di assenso, quello paesaggistico e quello edilizio, operano su piani diversi, essendo posti a tutela di interessi pubblici diversi, seppur parzialmente coincidenti. Ne deriva che il parametro di riferimento per la valutazione dell’aspetto paesaggistico non coincide con la disciplina urbanistico edilizia, ma nella specifica disciplina dettata per lo specifico vincolo (cfr. Cons. St. 5327/2015, vedasi anche Cons. St. 5273/2013: “la valutazione di compatibilità paesaggistica è connaturata all’esistenza del vincolo paesaggistico ed è autonoma dalla pianificazione edilizia”). Ne deriva che il fatto che siano stati rilasciati i titoli edilizi, pur in assenza dell’autorizzazione paesaggistica, non può in alcun modo legittimare anche sotto il profilo paesaggistico il fabbricato. Tale esito si porrebbe in contrasto con il principio espresso dalla Corte Costituzionale (cfr. Corte Cost. 196/2004), secondo la quale l’interesse paesaggistico deve sempre essere valutato espressamente anche nell’ambito del bilanciamento con altri interessi pubblici, nonché con la giurisprudenza di questo Consiglio che, nelle materie che coinvolgono interessi sensibili, quale quello paesaggistico, limita l’istituto del silenzio assenso solo al ricorrere di previsioni normative specifiche e nel rispetto di tutti i vincoli ordinamentali (cfr. Cons. St. n. 6591/2008).
Risulta in sintonia con quanto appena ricordato il dato per cui esiste un principio di autonomia anche tra l’illecito urbanistico-edilizio e l’illecito paesaggistico, come anche un’autonomia tra i correlati procedimenti e regimi sanzionatori (cfr. Cons. St. 2150/2013).
7.2 – Alla luce delle considerazioni che precedono, deve prendersi atto che, nel caso di specie, il fabbricato originario al quale accedono le opere di completamento non è mai stato sottoposto ad alcuna valutazione da parte della Soprintendenza.
Pertanto, non risulta censurabile quanto espresso nel parere impugnato, con il quale la Soprintendenza ha sostanzialmente rilevato l’impossibilità di esprimere una valutazione paesaggistica limitata ai lavori di completamento, in assenza di una valutazione di compatibilità con il vincolo dell’originario fabbricato.
8 – L’accoglimento dell’appello ministeriale sotto il profilo innanzi precisato implica anche il rigetto e/o l’inammissibilità dei restanti motivi di ricorso di primo grado, ritualmente riproposti in appello dagli originari ricorrenti, salve le precisazioni di seguito svolte.
Nello specifico, gli appellati hanno dedotto:
a) violazione di legge (art. 146 d. lgs. 42 del 2004, art. 3 legge n. 241 del 1990, art. 10 bis legge n. 241 del 1990), poiché il diniego reso dalla Soprintendenza presenta una palese carenza di motivazione con riguardo all’omessa valutazione delle osservazioni al preavviso di rigetto;
b) violazione di legge (art. 146 d. lgs. 42 del 2004, art. 3 legge n. 241 del 1990), per l’intervenuta inefficacia del carattere vincolante del parere, in quanto reso oltre il termine perentorio di 45 giorni previsto dall’art. 146 del D. Lgs. 42/2004, che inficerebbe il mero recepimento di tale parere da parte del comune nel provvedimento finale;
c) violazione di legge (art. 146 d. lgs. 42 del 2004, art. 3 legge n. 241 del 1990, art. 10 bis legge n. 241 del 1990) e violazione del principio del legittimo affidamento, deducendo che: – la positiva valutazione paesaggistica prima della commissione edilizia integrata, poi della commissione per il paesaggio, hanno consolidato la convinzione della liceità del fabbricato sotto il profilo paesaggistico; – il diniego reso dalla Soprintendenza è illegittimo in quanto, appiattendosi esclusivamente sulla presunta abusività del fabbricato, non esprime alcuna valutazione circa la compatibilità urbanistica dell’opera con il vincolo; – i ricorrenti, avversando il preavviso di rigetto, avevano evidenziato la possibilità per l’ufficio ministeriale di esprimere il parere paesaggistico, precluso in occasione della concessione in sanatoria num. …1995, “ora per allora”.
8.1 – Risulta in primo luogo infondata la censura sub b), tenuto conto che, in base alla giurisprudenza, la Soprintendenza può esprimere il proprio parere anche dopo il termine perentorio di 45 giorni; in tal caso lo stesso perde la sua valenza vincolante, ma ben può essere valutato dall’ente locale (cfr. Cons. St. 2640/2021).
In tale ipotesi, e tenuto conto che nel caso in esame il parere (tardivo) non reca una valutazione (discrezionale) di incompatibilità dell’opera con l’ambiente circostante, limitandosi ad evidenziare una causa ostativa all’autorizzazione, non appare censurabile l’atto comunale che si limita a richiamare tale circostanza, senza motivare la condivisione del parere della Soprintendenza, posto che l’esito negativo non deriva da una valutazione discrezionale, bensì da un dato oggettivo atto a condizionare l’esito del procedimento.
8.2 – Le censure di cui ai punti a) e c), che possono essere esaminate congiuntamente, appaiono invece sostanzialmente irrilevanti, tenuto conto che la supposta violazione delle facoltà partecipative, nel peculiare caso in esame, non si è riflessa sull’esito del procedimento, in considerazione dell’oggettiva situazione che caratterizza il fabbricato; invero, da un lato, la peculiare situazione giuridica che caratterizza l’immobile, come detto, condiziona in senso deteriore la possibilità di valutare sotto il profilo paesaggistico i soli lavori di completamento oggetto dell’istanza, senza incidere sul fabbricato; dall’altro, non avendo espresso, in ragione della situazione in cui versa l’immobile (riconosciuta dagli stessi proprietari), alcuna valutazione di compatibilità paesaggistica con il vincolo, l’apporto partecipativo degli interessati deve ritenersi inidoneo a portare ad un diverso esito.
9 – Fermo tale approdo ed il conseguente rigetto del ricorso originario, stante l’affermata disponibilità degli appellati di sottoporre l’intero fabbricato a quella valutazione che all’epoca non era stata completata, deve ritenersi possibile, e finanche doveroso a fronte di una specifica istanza in tal senso, procedere a tale vaglio “ora per allora”, al quale deve poi ritenersi subordinato l’eventuale riesame dell’istanza relativa ai lavori di completamento per cui è causa.
Sotto tale profilo, deve valorizzarsi il fatto che il fabbricato era stato comunque valutato dalla Commissione Edilizia Integrata e non è dato conoscere le ragioni della mancata trasmissione della pratica alla Soprintendenza, dovendosi ragionevolmente escludere, in base alle evidenze in atti, che tale esito sia stato determinato da una consapevole condotta degli interessati volta ad ovviare al controllo soprintendizio; ne è indiretta conferma il fatto che gli stessi si sono dimostrati ben disponibili a sottoporre a valutazione sotto il profilo paesaggistico l’intero fabbricato.
La peculiarità della situazione come innanzi descritta ben può allora consentire alle amministrazioni coinvolte di rideterminarsi sul medesimo fabbricato, ora per allora.
Deve precisarsi che, da un lato, tale soluzione non si pone in contrasto con il principio di tipicità del provvedimento amministrativo, il quale non comporta che il momento di esercizio del potere amministrativo non possa essere spostato in avanti in tutti i casi in cui sia ancora possibile effettuare le valutazioni che ne sono alla base (cfr. Cons. St., 30 marzo 2004, n. 1695); dall’altro, detta soluzione, per la particolarità che contraddistingue la vicenda, appare quella che contempera nel miglior modo i diversi interessi in conflitto.
Per le ragioni esposte, deve ritenersi possibile che le amministrazioni coinvolte si rideterminino, valutando la compatibilità paesaggistica del fabbricato originario, nonché, se del caso, delle successive opere di completamento per cui è causa.
10 – La peculiarità del giudizio giustifica la compensazione delle spese di lite del doppio grado di giudizio. […]