Corte Cass., Sez. 1, Sent. n. 1376 del 2016, dep.: 26/01/2016

[…]

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso, […] denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 299 cod. proc. civ. e, 74 e 87 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.

1.1. Rileva il ricorrente che l’atto di citazione di primo grado veniva notificato dal […] alla originaria […] il 19 marzo 2003, per l’udienza del 10 giugno 2003. Senonchè la società convenuta, in data 25 marzo 2003, era stata incorporata per fusione da […], che aveva contestualmente ceduto il ramo di azienda, già della originaria [….], alla neocostituita ed omonima […]. Alla suddetta udienza del 10 giugno 2003 si costituiva, pertanto, la nuova […], depositando comparsa di risposta con i documenti dei quali intendeva avvalersi. Alla successiva udienza del 14 ottobre 2003, la causa veniva, peraltro, dichiarata interrotta e, quindi, riassunta con ricorso dei 16 ottobre 2003, sia nei confronti de […], successore a titolo universale della vecchia […] e cedente il ramo di azienda in questione, sia nei confronti della nuova […], successore a titolo particolare nel ramo di azienda in questione. Si ricostituiva, quindi, in giudizio la nuova […], dichiarando espressamente di volersi riportare alla comparsa di risposta

depositata all’udienza di prima comparizione del 10 giugno 2003 dalla “originaria convenuta […]“, e nuovamente allegata in giudizio all’atto della seconda costituzione, dichiarando, altresì, di fare propri “i documenti allegati alla comparsa stessa”. […] rimaneva contumace.

1.2. Tanto premesso, il […] – muovendo dal rilievo secondo cui “l’originaria convenuta”, per tale dovendo intendersi, ad avviso dell’istante, la vecchia […], non si era mai costituita all’udienza del 10 giugno 2003 – deduce che i documenti dei quali la nuova banca aveva dichiarato di volersi avvalere non erano mai stati prodotti ritualmente in giudizio, ai sensi degli artt. 74 e 87 disp. att. cod. proc. civ., essendo rimasti allegati al fascicolo di parte della nuova banca, depositato all’udienza del 10 giugno 2003. Tale udienza sarebbe, peraltro, da ritenersi affetta da nullità per violazione degli artt. 299 e 304 cod. proc. civ., per effetto della già avvenuta, automatica, interruzione del processo conseguente alla fusione per incorporazione della vecchia […] da parte de […]. Né la nuova ed omonima […] aveva provveduto a produrre nuovamente i documenti prodotti all’atto della prima costituzione in giudizio, allegandoli alla seconda comparsa di costituzione o dando atto della nuova produzione nel verbale dell’udienza successiva alla riassunzione del giudizio. E neppure la medesima avrebbe potuto avvalersi – a parere del ricorrente – di documenti, per sua stessa ammissione, prodotti in causa dall’originaria convenuta”, posto che questa non si era mai costituita in giudizio.

1.3. La censura è del tutto infondata.

1.3.1. In tema di fusione di società, invero, l’art. 2504 bis cod. civ, introdotto dalla riforma del diritto societario (d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6), ha natura innovativa e non interpretativa e, pertanto, il principio, da esso desumibile, per cui la fusione tra società si risolve in una vicenda meramente evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo, non vale per le fusioni (per unione od incorporazione) anteriori all’entrata in vigore della nuova disciplina (1 gennaio 2004). Tali fusioni, sottratte all’applicazione della nuova norma succitata, pur dando luogo ad un fenomeno successorio, si diversificano, tuttavia, dalla successione “mortis causa” perché la modificazione dell’organizzazione societaria dipende esclusivamente dalla volontà delle società partecipanti, con la conseguenza che quella che viene meno non è pregiudicata dalla continuazione di un processo del quale era perfettamente a conoscenza, così come nessun pregiudizio subisce la incorporante (o la società risultante dalla fusione), che può intervenire nel processo ed impugnare la decisione sfavorevole. Neppure a dette fusioni – ancorchè non soggette al disposto dell’art. 2504 bis cod. civ. – si applica, dunque, la disciplina dell’interruzione di cui agli artt. 299 e ss. c.p.c. (cfr. Cass.S.U. 19698/2010; Cass. 4749/2011; 21916/2011; 8600/2014).

1.3.2. Ne discende, con riferimento al caso di specie, che, essendo la fusione per incorporazione della preesistente […] nel […] avvenuta […] prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 6 del 2003, l’udienza del 10 giugno 2003 e le attività in essa svolte, ivi compresa la produzione documentale in contestazione operata dalla nuova […] – originariamente costituitasi in giudizio, così dovendo correttamente intendersi il menzionato inciso “originaria convenuta” -, non possono considerarsi affette da nullità per la dedotta interruzione automatica del processo ex art. 299 cod. proc. civ., conseguente all’estinzione della vecchia […]. Tale disposizione processuale – per le ragioni suesposte – non si applica, infatti, nel caso di specie. 1.4. Il motivo in esame va, di conseguenza, disatteso.

2. Con il secondo motivo di ricorso, […] denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 cod. proc. civ., 1421 cod. civ. e 6 del d.igs. n. 58 del 1998, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.

2.1. Avrebbe errato il giudice di appello nel ritenere che il Tribunale avesse correttamente deciso di non prendere in esame l’eccezione di nullità del contratto quadro intercorso tra le parti, poiché sfornito di prova scritta, essendo stata tale eccezione dedotta solo nella comparsa conclusionale. La Corte territoriale, ritenendo – di conseguenza – l’eccezione tardiva, in relazione al disposto di cui all’art. 345 cod. proc. civ., sarebbe incorsa nei vizio di omessa pronuncia, giacchè – inerendo il profilo di nullità in parola alla questione di invalidità del contratto di investimento finanziario dedotta con l’atto di citazione – il giudice di appello avrebbe dovuto pronunciarsi sull’eccezione proposta, sostanzialmente, già nell’atto introduttivo del giudizio, e soltanto illustrata ulteriormente in comparsa conclusionale.

2.2. Il motivo è infondato.

2.2.1. Va, difatti, osservato, al riguardo, che nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, sebbene non sia indispensabile che il medesimo faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del co. 1 dell’art. 360 cod. proc. civ.., con riguardo all’art. 112 dello stesso codice, è, tuttavia, pur sempre necessario che il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Cass.S.U. 17931/2013; Cass. 24553/2013; 21165/2013).

2.2.2. Nel caso concreto, il […] lamenta la violazione degli artt. 112 e 345 cod. proc. civ., nonché dell’art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998, sub specie del vizio di cui all’art. 360, comma. 1, n. 3 cod. proc. civ., senza in alcun modo dedurre la nullità della sentenza di appello per omessa pronuncia, ex artt. 112 e 360, comma 1, n. 4 cod.

proc. civ. Sotto tale profilo, dunque, la censura in esame di palesa addirittura inammissibile.

2.2.3. Ad ogni buon conto, la dedotta nullità del contratto quadro per difetto di forma scritta è ancorata dal ricorrente alla nullità della produzione documentale operata dalla […] all’udienza del 10 giugno 2003, in conseguenza della quale il contratto di negoziazione – ad avviso dei ricorrente – dovrebbe considerarsi mancante dei tutto (p. 12 dei ricorso). E tuttavia tale nullità deve, per contro, essere esclusa, per le ragioni esposte in relazione al primo motivo di ricorso, sicchè il motivo in esame è altresì infondato nel merito.

2.3. Il mezzo va, pertanto, rigettato.

3. Con il terzo, quarto e sesto motivo di ricorso – che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente – […] denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 21, comma 1, lettere a) e b) del d.lgs. n. 58 del 1998, 28, comma 2 e 29 del Regolamento CONSOB 1 luglio 1998, n. 11522, 1337, 1338, 1374, 1375 e 1175 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. 3.1. Il ricorrente lamenta di avere ricevuto dalla banca negoziatrice dei titoli (bonds argentini) acquistati – in violazione dell’art. 28, comma 2, del Regolamento CONSOB n. 11522 dei 1998 – informazioni parziali ed incomplete circa la pericolosità dell’investimento in questione, non essendo stato informato né del rapporto rendimento/rischio relativo ai titolo in questione, né del rating assegnato all’emittente, e neppure del fatto che questi non fosse uno Stato estero, bensì un ente territoriale ad esso facente capo (Provincia di Buenos Aires), essendogli stato prospettato solo che la rischiosità dell’investimento sarebbe derivata dall’essere l’Argentina un “Paese emergente”.

3.2. Di più, a fronte di una propensione al rischio “medio – bassa”, l’Istituto di credito resistente si sarebbe limitato a segnalare – nell’ordine di acquisto dei bonds argentini – che l’operazione non appariva adeguata e che, per tale ragione, non avrebbe voluto dare seguito all’ordine, ma di essere stato indotto a farlo in virtù della volontà ribadita per iscritto dal cliente, ai sensi dell’art. 29, comma 3, del regolamento CONSOB n. 11522 del 1998. Sotto tale ultimo profilo, la Corte territoriale non avrebbe, peraltro, tenuto conto dei fatto che l’esecuzione di detto ordine presupponeva comunque, ai sensi del medesimo comma 3 del citato art. 29, una compiuta ed adeguata informazione da parte della banca al cliente, in ordine alla non adeguatezza dell’operazione, dovendo, in mancanza, l’ intermediaria astenersi dall’effettuare l’investimento, come testualmente prescrive il comma 1 dello stesso articolo 29.

3.3. Tale condotta dell’istituto di credito, oltre ad integrare una palese violazione delle succitate disposizioni del Regolamento CONSOB, si porrebbe, peraltro, in contrasto

anche con il generale dovere di diligenza, correttezza e trasparenza, che l’art. 21 del d.lgs. n. 58 del 1998 impone a tutti i soggetti abilitati al compimento dei servizi di investimento, derivandone, dunque, una palese responsabilità della banca nei confronti dell’odierno ricorrente, per il pregiudizio da lui sofferto. 3.4. Le censure sono fondate.

3.4.1. L’art. 21, comma 1, del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 prevede, in via generale, che: “1. Nella prestazione dei servizi di investimento e accessori i soggetti abilitati devono: a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati; b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati; (…..)”. Dispone, poi, l’art. 28 del Regolamento CONSOB n. 1522 del 1998 (abrogato con decorrenza dal 2 novembre 2007 dall’art. 113 del Regolamento CONSOB del 29 ottobre 2007 n. 16190, con il quale è stata attuata la Direttiva MIFID n. 2004/39/CE, ma applicabile alla fattispecie concreta ratione temporis), che: “1. (….) 2. Gli intermediari autorizzati non possono effettuare o consigliare operazioni o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all’Investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento”. Il successivo art. 29 del medesimo Regolamento stabilisce, infine, che: “1. Gli intermediari autorizzati si astengono dall’effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione. 2. Ai fini di cui al comma 1, gli intermediari autorizzati tengono conto delle informazioni di cui all’art. 28 e di ogni altra informazione disponibile in relazione ai servizi prestati. 3. Gli intermediari autorizzati, quando ricevono da un investitore disposizioni relative ad una operazione non adeguata, lo informano di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione. Qualora l’investitore intenda comunque dare corso all’operazione, gli intermediari autorizzati possono eseguire l’operazione stessa solo sulla base di un ordine impartito per iscritto ovvero, nei caso di ordini telefonici, registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute”.

3.4.2. Orbene, il suesposto quadro normativo di riferimento evidenzia, senza ombra di dubbio, che la pluralità degli obblighi facenti capo ai soggetti abilitati a compiere operazioni finanziarie (obbligo di diligenza, correttezza e trasparenza, obbligo di informazione, obbligo di evidenziare l’inadeguatezza dell’operazione che si va a compiere) convergono verso un fine unitario: segnalare all’ investitore la non adeguatezza delle operazioni di acquisto di prodotti finanziari che si accinge a compiere (cd. suitability rule). Alla base di siffatta finalità sta, invero, la considerazione secondo cui ogni investitore razionale è avverso al rischio, sicché il medesimo, a parità di rendimento, sceglierà l’investimento meno aleatorio ed, a parità di alea, quello più redditizio, se non si asterrà perfino dal compiere

l’operazione, ove l’alea dovesse superare la sua propensione al rischio. La scelta tra differenti opportunità di investimento è, quindi, essenzialmente un problema di raccolta e di valutazione di informazioni, ovvero di ogni dato sulla natura dello strumento finanziario, sul suo emittente, sul suo rendimento e sull’economia nel suo complesso, compresa l’informativa circa l’eventuale sussistenza, con riferimento alla singola operazione da porre in essere, di una situazione di cd. grey market, ovverosia di carenza di informazioni circa le caratteristiche concrete del titolo ed Il rating del prodotto finanziario nel periodo in considerazione, o – addirittura – di una situazione di imminente default economico dell’ente o dello Stato emittente. Ed è evidente che, essendo le informazioni finanziarie complesse e costose, nei rapporti di intermediazione finanziaria le imprese di investimento posseggono frammenti informativi diversi e superiori rispetto a quelli a disposizione degli investitori, o da essi acquisibili. Da tali considerazioni discende, dunque, la necessità che – come si dirà in prosieguo – l’operato della banca o dell’intermediario finanziario sia, nell’evidenziare l’eventuale non adeguatezza dell’ operazione, altamente professionale, prudente e diligente.

3.4.3. Nel senso dell’unitaria finalizzazione degli obblighi dei soggetti autorizzati a compiere le operazioni in parola a consentire la cd. suitability rule, depone, del resto, il richiamo che l’art. 29, comma 2, del Regolamento n. 11522 del 1998 opera al precedente art. 28, sancendo che “ai fini di cui al comma 1” – ossia per stabilire se l’operazione sia, o meno, adeguata, dovendo in caso di inadeguatezza dell’operazione l’intermediario astenersi dal compierla – “gli intermediari autorizzati tengono conto delle informazioni di cui all’art. 28 e di ogni altra informazione disponibile in relazione ai servizi prestati”. E’ di chiara evidenza, pertanto, che l’obbligo di informazione (art 21 del d.igs. n. 58 del 1998 e art. 28 del Regolamento n. 11522 del 1998) e l’obbligo di segnalare la non adeguatezza dell’operazione e di indicare “le ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione” (art. 29 del Regolamento cit.), confluiscono nell’unitario obbligo di diligenza, di correttezza e di trasparenza dell’intermediario finanziario, sanciti dall’art. 21 del d.lgs. n. 58 del 1998.

3.4.4. In tal senso si è, peraltro, già da tempo espressa la giurisprudenza di questa Corte, laddove ha affermato che, in tema di servizi di investimento, la banca intermediaria, prima di effettuare operazioni, ha l’obbligo di fornire all’investitore un’informazione adeguata in concreto, tale cioè da soddisfare le specifiche esigenze del singolo rapporto, in relazione alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria del cliente, e, a fronte di un’operazione non adeguata, può darvi corso soltanto a seguito di un ordine impartito per iscritto dall’investitore in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute (cfr. Cass. 17340/2008; Cass. 22147/2010). A tal fine, si è – tuttavia – osservato che la dichiarazione resa dal cliente, su modulo predisposto dalla banca e da lui sottoscritto, in ordine alla propria consapevolezza, conseguente alle informazioni ricevute, della rischiosità

dell’investimento suggerito e sollecitato dalla banca (nella specie in “bond” argentini) e della inadeguatezza dello stesso rispetto al suo profilo d’investitore, non può – di certo – costituire dichiarazione confessoria, in quanto è rivolta alla formulazione di un giudizio e non all’affermazione di scienza e verità di un fatto obiettivo (Cass. 6142/2012). Tale dichiarazione può, ai più, comprovare l’avvenuto assolvimento degli obblighi di informazione incombenti sull’intermediario, sempre che sia corredata da una, sia pure sintetica, indicazione delle caratteristiche del titolo, in relazione al profilo dell’investitore ed alla sua propensione al rischio, tali da poterne sconsigliare l’acquisto, come nel caso in cui venga indicato nella dichiarazione che si tratti di titolo non quotato o emesso da soggetto in gravi condizioni finanziarie (Cass. 4620/2015).

3.4.5. Tutto ciò premesso, va rilevato che nel caso di specie dall’esame degli atti si evince, per contro, che la è…] si è limitata – come accertato dalla stessa sentenza di appello – a rendere noto all’investitore quanto segue: “con riferimento alle informazioni acquisite (….) la banca segnala che la presente operazione non appare adeguata e per tale ragione non intende dar seguito all’ordine”. A fronte di tale segnalazione scritta che l’operazione doveva considerarsi inadeguata (ex art. 29 del Regolamento), il cliente avrebbe, nondimeno, confermato “espressamente la volontà ad effettuare l’operazione”. Orbene, è di tutta evidenza che detta segnalazione di inadeguatezza dell’operazione è del tutto generica, non contenendo indicazione alcuna circa ipotetiche avvertenze che il […] abbia ricevute dalla banca, in ordine alla natura dei titolo, al suo emittente, al rating nel periodo di esecuzione dell’operazione, ed alla sussistenza di eventuali situazioni di grey market o di default dell’emittente, ai finì suindicati. Non possono, invero, considerarsi sufficienti, a garantire il rispetto delle prescrizioni di cui ai menzionati artt. 28 e 29 del Regolamento CONSOB n. 11522 del 1998, ii fatto che risulti acquisito in causa che la banca aveva informato il […] della rischiosità dell’investimento perché emesso da un “Paese emergente”, ben potendo esservi Paesi emergenti i cui titoli sono connotati da un rating adeguato, nonché la generica dichiarazione contenuta nell’ordine di acquisto, nella quale l’istituto di credito si limitava a segnalare “che la presente operazione non appare adeguata”, in relazione al profilo finanziario del cliente, “e per tale ragione non intende dar seguito all’ordine”, eseguito, peraltro, su disposizione scritta dell’investitore. Si tratta, infatti, – com’è del tutto evidente – di avvertenze affatto generiche, come tali inidonee a concretare l’adempimento dei complessi obblighi gravanti sull’intermediario finanziario. Tale carenza informativa assume, peraltro, particolare rilievo nel caso di specie, considerato che: 1) sl trattava, come dianzi detto, di titoli di una Paese prossimo al default finanziario, e per di più emessi, non dallo Stato, bensì da un ente locale territoriale; 2) la propensione al rischio del […], come accertato anche dal giudice di appello, era medio-bassa; 3) il cliente investiva nell’operazione – come si evince anche dalla sentenza impugnata – la totalità dei propri risparmi. Tali considerazioni avrebbero dovuto, pertanto, indurre la banca a

tenere una condotta particolarmente oculata, diligente e prudente, astenendosi perfino dal compiere l’operazione in discussione, come impone il comma 1 dell’art. 29 del Regolamento succitato, ad onta della conferma scritta della volontà dell’ investitore di effettuare comunque l’operazione. 3.4.6. Ed invero, il comportamento della ricorrente non può, nella specie, ritenersi giustificato dal fatto che, a fronte della segnalazione di inadeguatezza dell’operazione – peraltro, come dianzi detto, del tutto priva di riferimenti alle informazioni date al cliente – quest’ultimo abbia ribadito per Iscritto la sua volontà di effettuare l’operazione.

3.4.6.1. Va, difetti, osservato, al riguardo, che – secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte ed alla quale si intende dare continuità – in tema di gestione di patrimonio mobiliare, è configurabile la responsabilità dell’intermediario finanziario che abbia dato corso ad un ordine, ancorchè vincolante, ricevuto da un cliente non professionale, concernente un investimento particolarmente rischioso. La professionalità del primo, su cui il secondo abbia ragionevolmente fatto affidamento in considerazione dello speciale rapporto contrattuale tra essi intercorrente, gli impone, invero, di valutare comunque l’adeguatezza di quell’operazione rispetto ai parametri di gestione concordati, con facoltà di recedere dall’incarico, per giusta causa, ai sensi degli artt. 1722, comma 1, n. 3 e 1727, comma 1, cod. civ., qualora non ravvisi tale adeguatezza. E’ bensì vero, infatti, che, a differenza della legge n. 1 del 1991, art. 8, lett. e), (“il cliente può impartire istruzioni vincolanti sulle operazioni da effettuare salvo il diritto di recesso della società ai sensi dell’art. 1727 c.c.”), l’art. 24, comma 1, lett. b) – nel testo vigente ratione temporis, precedente la novella introdotta dall’art. 4 del d.lgs. 17 settembre 2007, n. 164 – non ha fatto espressamente salvo il diritto di recesso del gestore ai sensi dell’art. 1727 c.c. Tuttavia, secondo la dottrina e la giurisprudenza di questa Corte, ciò non significa che le istruzioni del cliente siano in ogni caso vincolanti, posto che deve tenersi conto del più ampio diritto di recesso attribuito all’intermediario dall’art. 24, comma 1, lett. d), (nel testo vigente ratione temporis), esercitabile anche in presenza di ordini chiaramente rischiosi, idonei ad integrare gli estremi della giusta causa di recesso, ai sensi dell’art. 1727, comma 1, c.c. (cfr. Cass. 7922/2015; 12262/2015).

3.4.6.2. E, del resto, come si è in precedenza rilevato, la dichiarazione del cliente, contenuta nell’ordine di acquisto di un prodotto finanziario, quand’anche – ipotesi non ricorrente nel caso concreto – il medesimo dia atto di avere ricevuto le informazioni necessarie e sufficienti ai fini della completa valutazione del “grado di rischiosità”, non può essere comunque qualificata come confessione stragiudiziale, essendo a tal fine necessaria la consapevolezza e volontà di ammettere un fatto specifico sfavorevole per il dichiarante e favorevole all’altra parte, che determini la realizzazione di un obiettivo pregiudizio. Slffatta dichiarazione è, inoltre, inidonea ad assolvere gli obblighi informativi’ prescritti dagli artt. 21 del d.lgs. n. 58 del 1998 e 28 del Reg. Consob n. 11522 del 1998, integrando la stessa un’affermazione del tutto

riassuntiva e generica circa l’avvenuta completezza dell’informazione sottoscritta dal cliente (Cass. 11412/2012).

3.4.7. A tutto quanto suesposto va, dipoi, soggiunto che è certamente significativo dell’intento di accentuare i profili di responsabilità degli intermediarti finanziari, il fatto che l’evoluzione legislativa – per l’influenza di determinazioni assunte a livello comunitario – si sia posta nell’ottica di ampliare notevolmente i parametri di valutazione della correttezza informativa, da parte degli operatori del settore, da fornirsi ai clienti in sede di conclusione delle operazioni di investimento finanziario. Basti citare in proposito – ma una ben più lunga, dettagliata ed analitica indicazione degli specifici obblighi informativi è contenuta negli articoli successivi – l’art. 27 del Regolamento CONSOB del 29 ottobre 2007, n. 16190, con il quale è stata attuata la Direttiva MIFID n. 2004/39/CE, a norma del quale “1. Tutte le informazioni, comprese le comunicazioni pubblicitarie e promozionali, indirizzate dagli intermediari a clienti o potenziali clienti devono essere corrette, chiare e non fuorvianti. Le comunicazioni pubblicitarie e promozionali sono chiaramente identificabili come tali. 2. Gli intermediari forniscono ai clienti o potenziali clienti, in una forma comprensibile, informazioni appropriate affinché essi possano ragionevolmente comprendere la natura del servizio di investimento e del tipo specifico di strumenti finanziari interessati e i rischi ad essi connessi e, di conseguenza, possano prendere le decisioni in materia di investimenti in modo consapevole. Tali informazioni, che possono essere fornite in formato standardizzato, si riferiscono: a) all’impresa di investimento e ai relativi servizi; b) agli strumenti finanziari e alle strategie di investimento proposte, inclusi opportuni orientamenti e avvertenze sui rischi associati agli investimenti relativi a tali strumenti o a determinate strategie di investimento; c) alle sedi di esecuzione, e d) ai costi e oneri connessi”. Si è evidentemente in presenza di una presa di coscienza, da parte del legislatore nazionale – sulla scorta di sollecitazioni di rango europeo -, dell’estrema delicatezza e complessità delle operazioni di investimento che si vanno a compiere da parte di soggetti che, nella quasi totalità dei casi, sdno del tutto ignari ed inconsapevoli dei rischi, spesso assai elevati, che possono Incontrare nell’investire i propri risparmi nell’acquito di titoli non affidabili.

3.4.8. Nel caso concreto, la banca intermediaria – ad onta di tutte le carenze informative e. comportamentali suesposte – si è, nondimeno, determinata a compiere l’operazione, sebbene – come risulta dalla stessa sentenza impugnata – si fosse in presenza di un investimento ad alto rischio, concernente un’emittente in situazione di imminente default economico, avente ad oggetto una somma molto elevata, e – per di più – sulla base della generica indicazione che l’investimento non era ‘Adeguato, essendo l’emittente un “Paese emergente”.

3.5. Per tutte le considerazioni che precedono, i motivi di ricorso in esame, In quanto pienamente fondati, non possono, pertanto, che essere accolti.

4. Ne consegue l’assorbimento del quinto motivo di ricorso, con il quale – denunciando la violazione degli artt. 21, comma 1, lettere a) e b), 27 del Regolamento CONSOB n. 11522 del 1998 e 8 della e Delibera CONSOB n. 11768 del 23 dicembre 1998 – il ricorrente si duole del fatto che la resistente abbia operato in conflitto di interessi, avendo eseguita l’operazione de qua in “contropartita diretta”, per essersi la banca posta come diretta venditrice dei titoli per cui è causa, transitati dai suo portafoglio, e ad un prezzo da ritenersi speculativo.

5. L’accoglimento del terzo, quarto e sesto motivo di ricorso comporta la cassazione dell’impugnata sentenza, con rinvio alla Corte di Appello di Brescia in diversa composizione, che dovrà procedere a nuovo esame della controversia, facendo applicazione dei seguenti principi di diritto: “la pluralità degli obblighi, previsti dagli artt. 21 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, comma 1, lettere a) e b), 28, comma 2 e 29 del Regolamento CONSOB 1 luglio 1998, n. 11522, facenti capo ai soggetti abilitati a compiere operazioni finanziarie (obbligo di diligenza, correttezza e trasparenza, obbligo di informazione, obbligo di evidenziare l’inadeguatezza dell’operazione che si va a compiere) convergono verso un fine unitario, consistente nel segnalare all’investitore, in relazione alla sua accertata propensione al rischio, la non adeguatezza delle operazioni di investimento che si accinge a compiere (cd. suitability rule); per il perseguimento di tale finalità, la segnalazione di inadeguatezza dell’operazione, che l’intermediario deve effettuare nei confronti dell’investitore, in forza del combinato disposto: degli artt. 28 e 29 del Regolamento CONSOB n. 11522, deve;contenere specifiche indicazioni concernenti: 1) la natura e le caratteristiche peculiari del titolo, con particolare riferimento alla rischiosità del prodotto finanziario offerto; 2) la precisa individuazione del suo emittente (precisandosi, in particolare, se si tratta di uno Stato, di un ente locale, o di una società privata), non essendo sufficiente la mera indicazione che si tratta di un “Paese emergente”; 3) il rating nel periodo di esecuzione dell’operazione ed il connesso rapporto rendimento/rischio; 4) eventuali situazioni di greY market, ovverosia di carenza di informazioni circa le caratteristiche concrete del titolo; 5) l’avvertimento circa il pericolo di un imminente default dell’emittente; è configurabile la responsabilità dell’intermediario finanziario che abbia dato corso ad un ordine, ancorchè vincolante, ricevuto da un cliente non professionale, concernente un investimento particolarmente rischioso, dal momento che la professionalità del primo, su cui il secondo abbia ragionevolmente fatto affidamento in considerazione dello speciale rapporto contrattuale tra essi intercorrente, gli impone di valutare comunque l’adeguatezza di quell’operazione rispetto ai parametri di gestione concordati, con facoltà di recedere dall’incarico, per giusta causa, ai sensi degli artt. 1722, comma 1, n. 3, 1727, comma 1, cod. civ. e 24, comma 1, lett. d) del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (nel testo applicabile ratione temporis), qualora non ravvisi tale adeguatezza”.

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