Cassazione Penale, Sez. 4, 08 novembre 2005, n. 14175, dep. il 21/04/2006

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCEDIMENTO
Con sentenza del 6 maggio 2003, la Corte d’Appello di Milano ha confermato, quanto all’affermazione di responsabilità ed all’entità della pena inflitta, la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio, sezione distaccata di Saronno, in composizione monocratica, del 27.6.02, con la quale […], nella sua qualità di legale rappresentante della “[…]”, avente ad oggetto sociale la produzione di nastri adesivi, è stato condannato alla pena di due mesi e quindici giorni di reclusione, convertiti in Euro 2.850,00 di multa, per il reato previsto dall’articolo 590 c.p., commi 1 e 3, per avere, per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni e sicurezza nei luoghi di lavoro, in particolare delle disposizioni previste dal D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 47 e 72 e dal D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 38, cagionato a […], operaio addetto alla linea spalmatura dell’azienda, lesioni personali che ne hanno determinato un’incapacità ad attendere alle proprie occupazioni pari a circa 120 giorni; con la recidiva specifica infraquinquennale. La stessa Corte, in accoglimento di specifico motivo proposto dall’imputato, ha concesso il beneficio della non menzione.

In fatto era avvenuto che nella giornata del 29 novembre 1999, […], operaio addetto alla macchina spalmatrice a più postazioni di lavoro, nello svolgimento delle proprie mansioni era rimasto seriamente infortunato alla mano sinistra che aveva riportato un “trauma da schiacciamento…con frattura espansa ungueale del 3^ e 4^ dito”. Avviate le indagini per accertare le cause dell’incidente, era emerso che l’operaio, mentre era intento alle operazioni di preparazione delle materie prime necessarie per la produzione degli adesivi, aveva involontariamente appoggiato le mani, a seguito di caduta accidentale, sul gruppo rulli del macchinario ed era stato trascinato con la mano sinistra dal “moto a prendere” della macchina.
Era altresì emerso che era stata rimossa, per ragioni non individuate, la griglia di protezione che aveva proprio la funzione di impedire il contatto tra le mani degli operatori e gli elementi mobili del congegno, ed ancora, che il macchinario era privo del dispositivo di blocco automatico che entra in funzione in caso di incidente.
Era stato, quindi avviato procedimento penale a carico dello […] e di due dipendenti della società, […] e […], nella qualità, questi ultimi, rispettivamente, di responsabile di produzione del settore spalmatura e di capo reparto addetto allo stesso settore. Avendo il […] e l’ […] scelto di patteggiare la pena, il giudizio era proseguito solo nei confronti dello […] che, con la citata sentenza del 27.6.02, era stato ritenuto colpevole del delitto contestatogli e condannato alla pena sopra specificata.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno rilevato profili di colpa a carico dell’odierno ricorrente per non avere questi provveduto a fornire, all’operaio addetto all’impianto di spalmatura, pur genericamente informato del rischio connesso alla rimozione della griglia di protezione, l’addestramento necessario affinchè egli potesse usare in tutta sicurezza le macchine e le attrezzature dell’impianto; a tale proposito hanno rilevato i giudici di merito come solo dopo l’infortunio occorso al […] lo […] avesse predisposto idonei corsi di formazione. Altro profilo di responsabilità era stato rilevato nell’avere l’imprenditore omesso di dotare il macchinario del dispositivo di blocco automatico dei rulli.

Ricorre, dunque, lo […]. avverso la citata sentenza della Corte d’Appello di Milano e deduce:
A) Violazione di norme processuali in relazione agli artt. 522 e 604 c.p.p. per mancata correlazione tra l’accusa contestata e la sentenza. Riproponendo l’eccezione già formulata nei motivi d’appello, il ricorrente rileva che il giudice di prime cure, a fronte dall’indeterminatezza del capo d’imputazione, lo aveva motu proprio modificato inserendo, tra il nome dello […] e quello dei coimputati, già separatamente giudicati, le parole “in concorso”. La Corte d’Appello, sostiene il ricorrente, pur avendo giudicato la decisione del giudice “erronea ed estemporanea”, non ha ritenuto di individuare profili di nullità della sentenza. Profili che a parere dello […] sono ravvisabili ex art. 522 c.p.p..
B) Manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza del primo profilo di colpa, rappresentato dall’avere omesso di rendere edotto l’operaio delle condizioni di impiego dei macchinari utilizzati per le varie fasi di produzione. La illogicità sarebbe evidente laddove il giudice d’appello, dapprima, ritiene provata la condotta omissiva dell’imputato, per non essersi costui assicurato che il lavoratore fosse stato reso edotto delle condizioni d’impiego delle macchine, quindi, nel prosieguo della motivazione, da atto che l’operaio aveva ricevuto istruzioni in ordine all’uso delle stesse macchine ed alle cautele da adottarsi.
C) Mancanza o manifesta illogicità della motivazione circa la sussistenza del secondo profilo di colpa, rappresentato dall’assenza del dispositivo di blocco automatico delle macchine. La Corte di merito, rileva il ricorrente, richiamando la disposizione contenuta nel D.P.R. n. 547 del 55, artt. 72 , ha sostenuto che il dispositivo in questione era necessario per eliminare un rischio grave e specifico correlato all’uso normale del macchinario durante la lavorazione ed anche, più in generale, per prevenire generici rischi per chiunque si potesse trovare per caso fortuito a contatto con la macchina, pur nell’esercizio di un’attività del tutto atipica. Orbene, sostiene ancora il ricorrente, perchè sussista il nesso di causalità tra condotta ed evento, questo deve necessariamente rappresentare la realizzazione del rischio che la norma di riferimento mirava ad evitare. Nel caso di specie, l’affermata, da parte dei giudici d’appello, sussistenza del nesso di causalità tra omessa apposizione del blocco automatico ed evento ed il riferimento alla predetta norma cautelare sarebbe in palese contraddizione con l’affermazione che l’evento verificatosi non è la concretizzazione del rischio grave e specifico che la norma tende a prevenire, bensì di un rischio generico.
D) Mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla mancata assoluzione dell’imputato perchè il fatto non costituisce reato per le stesse considerazioni svolte nel precedente motivo di ricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
A) Certamente infondato è il primo motivo di ricorso.
Secondo l’insegnamento di questa Corte, perchè sussista mancanza di correlazione tra accusa e sentenza occorre che si verifichi una vera e propria trasformazione, innovazione, o sostituzione del fatto contestato al punto che questo risulti in sentenza completamente diverso rispetto a quello originariamente contestato, di guisa che ne derivi per la difesa un’effettiva menomazione. Occorre, cioè, che la fattispecie contestata sia modificata nei suoi elementi essenziali al punto che si determini incertezza sull’oggetto dell’imputazione che non abbia consentito all’imputato di proporre adeguate difese.
Ipotesi che, nel caso di specie, non si è certo verificata, posto che la pur anomala integrazione del capo d’imputazione, da parte del giudice di primo grado, della quale, peraltro, alcun conto ha tenuto la corte territoriale, non ha determinato menomazioni di sorta del diritto di difesa dell’imputato posto che si è trattato di modifica che non ha riguardato gli elementi strutturali dell’imputazione, rimasti del tutto immutati. Il ricorso, d’altra parte, appare, sul punto, caratterizzato da genericità, posto che è stata trascurata qualsiasi analisi delle notazioni al riguardo proposte nella sentenza impugnata.
B) Non sussiste, altresì, il vizio di manifesta illogicità della motivazione dedotto con il secondo motivo di ricorso. In realtà, l’individuazione, da parte della corte di merito, nella “mancata informazione” (non essendo stati predisposti i necessari corsi d’informazione) al dipendente infortunato del primo dei profili di colpa addebitati all’imputato, non si pone in contrasto con la successiva presa d’atto che il lavoratore aveva ricevuto “istruzioni solo in ordine all’utilizzo della spalmatrice ed alle cautele da adottarsi”. Al di là delle forse equivoche espressioni utilizzate, sembra evidente che la sentenza impugnata ha voluto sostenere che con le semplici “istruzioni” sull’uso della macchina e sulle cautele da adottarsi non poteva ritenersi adempiuto, da parte del datore di lavoro, l’obbligo di informazione che la legge gli impone a tutela della salute e dell’integrità fisica del lavoratore. Informazione che ha evidentemente portata ben più ampia e specifica rispetto alle generiche e routinarie istruzioni sull’uso della macchina. In ogni caso, ove anche volesse convenirsi con il ricorrente circa l’illogicità della motivazione sul punto sopra esaminato, il vizio rilevato, tuttavia, non avrebbe alcuna conseguenza sulla decisione finale posto che indiscutibilmente rilevabile a carico dell’imputato è il secondo profilo di colpa, al quale si riferiscono il terzo ed il quarto motivo di ricorso.
C)-D) A tale proposito, invero, correttamente e coerentemente motivata è la sentenza impugnata, laddove individua la colpa dell’imputato nel non avere egli dotato la macchina del dispositivo di blocco automatico dei rulli, normativamente previsto dal D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 72 . Del tutto inaccettabile è, in proposito, la tesi del ricorrente, secondo cui la norma in questione mirerebbe ad evitare solo il rischio specifico, cioè l’evento dannoso che la norma cautelare mira a scongiurare, non anche quello generico che riguarda chi, nell’esercizio di attività del tutto atipiche rispetto alle proprie mansioni, malauguratamente, a causa di una caduta, entra in contatto con il macchinario; tesi che consente al ricorrente di protestare la propria innocenza per la mancanza, nel caso di specie, del nesso di causalità tra l’azione omessa (mancata applicazione del dispositivo di blocco) e l’evento dannoso.
La verità è del tutto opposta. In realtà, il D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 72 intende evitare il rischio che chiunque, addetto o no alla macchina, dipendente della ditta o terzo estraneo, per qualsivoglia motivo, anche per una distrazione o un anomalo utilizzo della macchina da parte dello stesso lavoratore, ovvero per una caduta accidentale, possa venire a contatto con il gruppo rulli del macchinario e, dunque, ferirsi. Sul punto, questa Corte ha avuto modo di affermare che le norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro mirano ad evitare eventi lesivi connaturati all’esercizio di determinate attività di lavoro, anche nel caso in cui tali rischi siano conseguenti a condotte imprudenti o disattente dello stesso lavoratore, la cui incolumità deve essere, in ogni caso, protetta.
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