Certificato di agibilità

Qualora il promittente venditore non provveda a consegnare il certificato di agibilità dell’immobile (ora segnalazione certificata di agibilità), il promissario acquirente può legittimamente rifiutare di firmare il rogitoAnche se è già stato stipulato il contratto preliminare. La consegna del certificato agibilità dell’immobile non costituisce una condizione essenziale della vendita ma un obbligo del venditore. L’obbligo di consegna del certificato di agibilità grava sul venditore in base all’art. 1477, terzo comma, cod. civ.
L’inadempimento comporta il legittimo rifiuto del promissario acquirente alla stipula del contratto definitivo, nonché un danno in caso di acquisto definitivo. È quanto chiarito dalla pronuncia della S. C. di seguito riportata.

Corte di Cassazione, Sez. II, Sent. n. 2438, dep. 8 febbraio 2016

[…]

Con il primo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1453-1460, 1477, terzo comma, 1490, primo e secondo comma, 2932 cod. civ., nonché vizio di motivazione. I ricorrenti si dolgono che la Corte d’appello abbia ritenuto ingiustificato il loro rifiuto di stipulare il contratto definitivo a fronte della mancata consegna del certificato di agibilità dell’immobile oggetto del trasferimento. La consegna del certificato costituiva prestazione essenziale del promittente venditore, con la conseguenza che erano privi di significato i rilievi della Corte d’appello in ordine alla mancanza assunzione di uno specifico impegno in tal senso da parte del promittente venditore, e alla mancata deduzione, da parte dei promissari acquirenti, dell’impossibilità di ottenere il certificato.

– La doglianza è fondata. L’obbligo di consegnare il certificato di agibilità grava ex lege sul venditore, in base all’art. 1477, terzo comma, cod. civ., e a ciò consegue che il rifiuto del promissario acquirente di stipulare la compravendita definitiva di un immobile privo dei certificati di abitabilità o di agibilità e di conformità alla concessione edilizia, pur se il mancato rilascio dipende da inerzia del Comune — nei cui confronti peraltro è obbligato ad attivarsi il promittente venditore – è giustificato, poiché l’acquirente ha interesse ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la funzione economico-sociale e a soddisfare i bisogni che inducono all’acquisto, e cioè la fruibilità e la commerciabilità del bene (ex plurimis, Cass., sez. 2, sentenza n. 15969 del 2000; sentenza n. 16216 del 2008).

– Nel caso di specie, incontestata la circostanza che al momento della stipula del contratto definitivo il promittente venditore non era in grado di consegnare il certificato di agibilità, risultava legittimo il rifiuto di stipulare dei promissari acquirenti, né gravava su questi ultimi l’onere di allegare la circostanza negativa che il certificato non potesse essere rilasciato, come erroneamente ritenuto dalla Corte d’appello, essendo nell’interesse esclusivo del promittente venditore, ai fini della valutazione della gravità dell’inadempimento, l’allegazione del fatto positivo e contrario, e cioè che il certificato potesse essere rilasciato.

– Con il secondo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e ss., 1213 e ss. cod. civ., nonché vizio di motivazione. I ricorrenti lamentano il mancato accoglimento della domanda di risarcimento del danno provocato dall’omessa consegna del certificato di abitabilità relativo all’appartamento acquistato con rogito del 5 settembre 2001, che […] si era impegnato a consegnare con scrittura privata in pari data. La Corte territoriale, infatti, aveva condannato […] a consegnare il certificato o, in alternativa, a rimborsare le spese a tal fine necessarie, ed aveva motivato il rigetto della pretesa risarcitoria sul rilievo che gli appellanti […] non avevano allegato che il certificato fosse stato rifiutato o non potesse essere rilasciato. Oltre all’erronea applicazione dei principi in tema di onere di allegazione, la Corte territoriale non aveva tenuto conto che […] non aveva contestato la circostanza che, a distanza ormai di molti anni, non era stata ottenuta l’abitabilità dell’immobile. A tale ultimo proposito, i ricorrenti precisano che il certificato non è stato rilasciato per difetti di costruzione dell’appartamento, e che pertanto essi sono tenuti a far eseguire a loro spese i lavori necessari.

– La doglianza è fondata. La Corte territoriale ha erroneamente escluso che l’accertata mancata consegna del certificato di abitabilità dell’appartamento integrasse inadempimento contrattuale, ponendo a carico degli acquirenti l’onere di dimostrare che il certificato non potesse essere ottenuto.

– Come già evidenziato nell’esame del precedente motivo, la consegna del certificato di abitabilità dell’immobile oggetto del contratto, ove questo sia un appartamento da adibire ad abitazione, pur non costituendo di per sé condizione di validità della compravendita, integra un’obbligazione incombente sul venditore ai sensi dell’art. 1477 cod. civ., attenendo ad un requisito essenziale della cosa venduta, in quanto incide sulla possibilità di adibire legittimamente la stessa all’uso contrattualmente previsto. Il venditore-costruttore ha dunque l’obbligo di consegnare all’acquirente dell’immobile il certificato, curandone la richiesta e sostenendo le spese necessarie al rilascio, e l’inadempimento di questa obbligazione è ex se foriero di danno emergente, perché costringe l’acquirente a provvedere in proprio, ovvero a ritenere l’immobile tal quale, cioè con un valore di scambio inferiore a quello che esso diversamente avrebbe, a prescindere dalla circostanza che il bene sia alienato o comunque destinato all’alienazione a terzi (ex piurimis, Cass., sez. 2, sentenza n. 23157 del 2013).

– Sulla base dei principi richiamati e di quelli in tema di inadempimento contrattuale, non è dubitabile che l’onere di allegazione e di prova della perdurante possibilità di procurare il certificato gravi sulla parte che è tenuta alla consegna. Nel caso di specie, la parte promittente venditrice non ha dimostrato di poter onorare l’impegno, e quindi sussiste l’inadempimento e, con esso, il relativo danno.

– Nell’accoglimento dei motivi che precedono, rimane assorbito il terzo motivo del ricorso principale, relativo alla regolamentazione delle spese di lite disposta dalla Corte d’appello. 4. – Il ricorso incidentale è infondato.

– Con il primo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 342 cod. proc. civ.. Si contesta il rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’appello principale per genericità.

– Con il secondo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 342 cod. proc. civ. in relazione agli artt. 163, 164, 359 cod. proc. civ.. Si contesta l’omessa motivazione sulla eccezione di nullità dell’atto di appello, che non conteneva le conclusioni degli appellanti principali, ma soltanto la generica richiesta di una pronuncia rescindente.

– Le doglianze, che possono essere esaminate congiuntamente per l’evidente connessione, sono infondate. Non sussiste la lamentata genericità dei motivi di appello, come correttamente statuito dalla Corte territoriale, che ha implicitamente, ma chiaramente confutato in tal modo anche l’eccezione fondata sul rilievo che l’atto di appello sarebbe stato carente di specifiche conclusioni. Il requisito della specificità dei motivi di appello – richiesta dall’art. 342 cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis, anteriore alle modificazioni introdotte dal decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 – assorbe i contenuti di cui ai numeri 3) e 4) del terzo comma dell’art. 163 cod. proc. civ. (Cass., sez. 3, sentenza n. 25751 del 2013). Nella specie, come risulta anche dalla sentenza impugnata, gli appellanti principali avevano concluso, in riforma della decisione di primo grado, l’accoglimento delle domande da essi proposte.

– Con il terzo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 112 cod. proc. civ. e 1381 cod. civ.. Si contesta l’ultrapetizione della pronuncia di condanna del ricorrente […]. alla consegna del certificato di abitabilità dell’appartamento di proprietà […], sul rilievo che i predetti avevano formulato domanda di risarcimento danni per la mancata consegna del certificato. La pronuncia era peraltro erronea in quanto, anche ammettendo che il ricorrente avesse assunto l’obbligo di consegnare il certificato, si trattava di obbligo incoercibile.

– Con il quarto motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 112 cod. proc. civ. e 1381 cod. civ.. Si assume l’erroneità ed illogicità della già contestata pronuncia di condanna del ricorrente […] al rimborso delle spese affrontate dalla controparte per il rilascio del certificato di abitabilità, non essendo emerso che fossero state sostenute spese a tal fine, e, comunque, in assenza di domanda sul punto.

– Con il quinto motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1346, 1348 e 1349 cod. civ.. Il ricorrente censura ulteriormente la pronuncia di condanna al pagamento delle spese che la controparte sosterrà per il conseguimento del certificato di abitabilità dell’appartamento, difettando i requisiti dell’attualità della prestazione e della determinazione o determinabilità dell’oggetto della prestazione, che sarebbe rimesso all’arbitrio dei sigg. […]. Costoro, infatti, potrebbero eseguire lavori non necessari al rilascio del certificato di abitabilità.

— Le doglianze contenute nel quarto e nel quinto motivo del ricorso incidentale, che hanno ad oggetto la statuizione di condanna di […], rimangono assorbite nell’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale.

— Il ricorso principale è quindi accolto- in riferimento ai primi due motivi, e la sentenza impugnata è cassata con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale provvedere a riesaminare le domande delle parti facendo applicazione dei principi consolidati, richiamati ai paragrafi 1.3.1. e 2.1.1. […]

Sentenza della Corte di Cass. 9 maggio 2016 n. 9318, dep. 09/05/2016

Col primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 101-183 cod. proc. civ., 111 Cost., nonché la nullità del procedimento, per avere i giudici di merito rilevato d’ufficio l’impossibilità di procedere al trasferimento, ex art. 2932 cod. civ., della proprietà dell’immobile promesso in vendita a causa della mancata produzione della domanda di condono e delle ricevute delle prime due rate dell’oblazione, senza aver previamente instaurato il contraddittorio sulla questione. La censura non ha fondamento.

Invero, la questione relativa alla regolarità urbanistica del fabbricato faceva parte ab initio del thema decidendum posto dall’attore, costituendo la detta regolarità edilizia presupposto giuridico del chiesto trasferimento coattivo della proprietà. Era pertanto dovere del giudice accertare la sussistenza dei presupposti fattuali e giuridici necessari per raccoglimento della domanda attorea. Il motivo, peraltro, sottintende un insussistente obbligo del giudice di invitare le parti a fornire la prova, che è incompatibile con le preclusioni previste dal codice di rito in tema di deduzione delle prove.

2. — Col secondo motivo di ricorso, si deduce poi la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., nonché la nullità del procedimento, per avere la Corte territoriale, una volta che l’attore aveva esibito la domanda di condono, omesso di disporre consulenza tecnica d’ufficio al fine di verificare la regolarità urbanistica dell’immobile.

Anche questa doglianza è infondata.

Premesso che il giudizio sulla necessità ed utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, la cui decisione è incensurabile in cassazione, salvo che la decisione della controversia dipenda unicamente dalla risoluzione di una questione tecnica e i fatti da porre a base del giudizio non possano essere altrimenti accertati (Sez. 1, Sentenza n. 4853 del 01/03/2007, Rv. 595177), va rilevato che la consulenza tecnica d’ufficio non può essere disposta al

fine di esonerare la parte dall’onere di fornire la prova di quanto assume ed è, quindi, legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati (Sez. 3, Sentenza n. 3191 del 14/02/2006, Rv. 590615).

Nella specie, l’accertamento della regolarità amministrativa del fabbricato avrebbe potuto e dovuto essere provata dall’attore con la produzione della relativa documentazione; non può, pertanto, l’attore dolersi del fatto che i giudici di merito non abbiano supplito alla sua inerzia probatoria.

3. — Col terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 345 cod. proc. civ., 2932 cod. civ., 40 legge n. 47 del 1985, nonché la nullità del procedimento, per avere la Corte di Appello omesso di valutare l’ammissibilità ex art. 345 cod. proc. civ. della documentazione relativa ai versamenti delle due rate di oblazione prodotta nel giudizio di appello, ritenendo che la valutazione della ammissibilità della detta documentazione fosse preclusa per il fatto nel contratto preliminare mancava l’indicazione degli estremi della concessione edilizia e della intervenuta sanatoria; con ciò, secondo il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe errato, in quanto l’art. 40 della legge n. 47 del 1985 commina la nullità (per la mancata indicazione degli estremi del titolo abilitativo) solo per i contratti ad effetti reali, e non anche per quelli ad effetti obbligatori, potendo invece la detta documentazione essere depositata in corso di giudizio fino alla pronuncia della sentenza ex art. 2932 cod. civ.

Questa censura è fondata.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, la sanzione della nullità prevista dall’art. 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e succ. mod., con riferimento a vicende negoziali relative ad immobili privi della necessaria concessione edificatoria, trova applicazione nei soli contratti con effetti traslativi e non anche con riguardo ai contratti con efficacia obbligatoria, quale il preliminare di vendita, ben potendo essere resa la dichiarazione o prodotta La documentazione relative alla regolarità dell’edificazione, all’eventuale concessione in sanatoria o alla domanda di oblazione e ai relativi primi due versamenti, all’atto della stipulazione del definitivo contratto traslativo, ovvero in corso di giudizio e prima della pronunzia della sentenza ex art. 2932 cod. civ., che tiene luogo di tale contratto (Sez. 2, Sentenza n. 13117 del 28/05/2010, Rv. 613173).
non poteva farsi luogo alla valutazione della indispensabilità della documentazione di cui si chiedeva l’ammissione in appello perché il contratto preliminare mancava della indicazione degli estremi della concessione edilizia e della sanatoria — ha erroneamente inteso il precetto dell’art. 40 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, incorrendo nella sua violazione, in quanto l’indicazione di tali elementi non era affatto necessaria ai fini della validità del contratto preliminare e i documenti comprovanti la concessione edilizia e la sanatoria ben potevano essere prodotti in sede di pronunzia della sentenza ex art. 2932 cod. civ. A tal fine, la Corte avrebbe dovuto valutare la indispensabilità della documentazione prodotta dall’attore ai fini della pronuncia sulla domanda di trasferimento coattivo della proprietà dell’immobile.

La sentenza impugnata va pertanto cassata sul punto, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Lecce, perché valuti la indispensabilità della documentazione di cui in appello l’attore ha chiesto l’ammissione.

4. — Logicamente pregiudiziale rispetto al quarto e al quinto motivo di ricorso, è l’esame del sesto motivo, col quale si deduce la violazione e la falsa applicazione degli ara. 101-112-183 cod. proc. civ., 24-111 Cost., nonché la nullità del procedimento, per avere la Corte territoriale rilevato d’ufficio la nullità del contratto per indeterminabilità del suo oggetto, senza previamente sottoporre alle parti la relativa questione.

Anche questa censura è fondata.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel caso in cui il giudice esamini d’ufficio una questione di puro diritto, senza procedere alla sua segnalazione alle parti onde consentire su di essa l’apertura della discussione (c.d. “terza via”), non sussiste la nullità della sentenza, in quanto da tale omissione non deriva la consumazione di un vizio processuale diverso dall’error iuris in iudicando ovvero dall’error in iudicando de iure procedendi, la cui denuncia in sede di legittimità consente la cassazione della sentenza solo se tale errore si sia in concreto consumato; qualora invece si tratti di questioni di fatto ovvero questioni miste, di fatto e di diritto, la parte soccombente può dolersi della decisione, sostenendo che la violazione di quel dovere di indicazione ha vulnerato la facoltà di chiedere prove o, in ipotesi, di ottenere una eventuale rimessione in termini, con la conseguenza che, ove si tratti di sentenza di primo grado appellabile, potrà proporsi specifico motivo di appello solo al fine di rimuovere alcune preclusioni (specie in materia di contro-eccezione o di prove non indispensabili), senza necessità di giungere alla più‘ radicale soluzione della rimessione in primo grado, salva la prova, in casi ben specifici e determinati, che sia stato realmente ed irrimediabilmente vulnerato lo stesso valore del contraddittorio (Sez. U, Sentenza n. 20935 del 30/09/2009, Rv. 610517; Sez. 1, Sentenza n. 2984 del 16/02/2016, Rv. 638556).

Questo principio vale non solo per le cause instaurate successivamente all’entrata in vigore del secondo comma dell’art. 101 cod. proc. civ. (a norma del quale il giudice, se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, deve assegnare alle parti «a pena di nullità» un termine «per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione»), aggiunto dall’art. 45 comma 13 della legge n. 69 del 2009, ma anche per -che le, cause — come quella in esame, promossa con atto di citazione del 29.9.2001 — instaurate precedentemente.

Invero, questa Corte suprema ha affermato il principio — condiviso dal Collegio — secondo cui anche nel sistema anteriore all’introduzione del secondo comma dell’art. 101 cod. proc. civ., il dovere costituzionale di evitare sentenze cosiddette “a sorpresa” o della “terza via”, perché adottate in violazione del principio della “parità delle armi”, aveva un preciso fondamento normativo, costituito dall’art. 183 cod. proc. civ., che al terzo comma (oggi quarto, in virtù di quanto disposto dall’art. 2, comma 3, lettera c-ter, del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito in legge 28 dicembre 2005, n. 263) fa carico al giudice di indicare alle parti «le questioni rilevabili d’ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione» (Sez. 3, Sentenza n. 25054 del 07/11/2013, Rv. 629138).

Nella specie, pertanto, la Corte territoriale non avrebbe potuto sollevare d’ufficio la questione della mancata individuazione catastale dell’immobile da trasferire e dei suoi confini senza indicare alle parti la relativa questione e dare loro la possibilità di difendersi sul punto, anche con la eventuale rimessione in termini ai fini della produzione dei documenti indispensabili. Anche su tale punto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio.
applicazione degli artt. 934, 1346 e 1418 cod. civ., per non avere la Corte territoriale considerato che l’indicazione esatta nel contratto preliminare dei dati catastali del suolo consentiva di individuare il fabbricato oggetto di sanatoria su di esso realizzato) e il quinto motivo di ricorso (col quale si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, per aver la Corte di Appello omesso di considerare, violando così le norme sulla interpretazione dei contratti, che l’oggetto del preliminare era determinabile sulla base del tenore del testo contrattuale) rimangono assorbiti.

6. — In definitiva, vanno rigettati il primo e il secondo motivo di ricorso; vanno accolti il terzo e il sesto motivo; vanno dichiarati assorbiti il quarto e il quinto. La sentenza impugnata va cassata in relazione alle censure accolte, con rinvio ad altra sezione della

[…].