Consiglio di Stato, sez. I, parere, 13 luglio 2022 n. 1219

Adunanza di Sezione del 8 giugno 2022
[…]

OGGETTO:

Ministero delle infrastrutture e della mobilita’ sostenibili- Dipartimento per le opere pubbliche, le politiche abitative e urbane, le infrastrutture idriche e le risorse umane e strumentali.
Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dalla … contro il Comune .., per l’annullamento dei seguenti atti: 1) ordinanza di demolizione del Comune di … n. … del … 2017, notificata il … 2017, con la quale viene ingiunto il ripristino dello stato dei luoghi e la demolizione di opere realizzate in assenza di titolo edilizio; 2) ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, ivi compresa la relazione, a firma del Comandante della Stazione … inoltrata al Comune …a con prot. gen. n. … del … 2017, redatta a seguito di sopralluogo del … 2017.

LA SEZIONE

Vista la relazione, trasmessa con nota prot. n. … del … 2022, con la quale il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili- Dipartimento per le opere pubbliche, le politiche abitative e urbane, le infrastrutture idriche e le risorse umane e strumentali ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull’affare consultivo in oggetto;

Premesso:

Con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica del … 2018 la … ha impugnato i seguenti atti: 1) ordinanza di demolizione del Comune… n. … del … 2017, notificata il … 2017, con la quale viene ingiunto il ripristino dello stato dei luoghi e la demolizione delle seguenti opere realizzate in assenza di titolo edilizio: “1. Fabbricato abitativo in …; 2. Prefabbricato abitativo di mt. …; 3. Il lotto e il fabbricato è provvisto di ….”; 2) ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, ivi compresa la relazione, a firma del Comandante della Stazione …..

Ne ha dedotto l’illegittimità e ne ha chiesto, pertanto, l’annullamento.

Con il primo motivo di ricorso lamenta: Eccesso di potere per difetto di istruttoria, per errore e travisamento dei presupposti di fatto e di diritto.

Evidenzia che il suo fabbricato è situato in una lottizzazione che ricade in zona C del PRG, regolarmente autorizzata negli anni 1964/1967, le cui opere di urbanizzazione e la relativa convenzione erano state approvate nel 1968 dal Commissario Prefettizio e collaudate.

L’avvenuta realizzazione delle opere di urbanizzazione rende, come da costante giurisprudenza, comunque efficace il Piano di lottizzazione pur se è trascorso il termine decennale per darvi attuazione.

Ne consegue l’erroneità dell’affermazione del Comune, contenuta nell’atto impugnato, secondo cui “Prima dell’approvazione dei Piani particolareggiati non potranno essere consentite costruzioni non comprese in un Piano di lottizzazione planovolumetrico convenzionato”.

Rileva, inoltre, che l’area è quasi completamente edificata e sussistono le opere di urbanizzazione, sicchè la concessione edilizia può essere rilasciata anche in assenza di piano attuativo.

L’atto impugnato sarebbe, dunque, illegittimo in quanto l’amministrazione non ha effettuato alcuna istruttoria sul punto.

Con il secondo motivo di ricorso la … lamenta: Eccesso di potere per difetto di istruttoria, per contraddittorietà tra atti differenti della stessa amministrazione, relativi al medesimo oggetto, e per illogicità manifesta – sviamento di potere, violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione.

Rileva che con delibera di GM n. … del … 2018, ad oggetto “Indirizzo per la pianificazione attuativa dei comprensori in località …”, il Comune ha confermato l’orientamento, già espresso con delibera di GM n. … 2015, di voler procedere alla redazione di piani di iniziativa pubblica per l’attuazione dei comprensori in località … , zona C- Espansione residenziale, interessati da fenomeni di edilizia spontanea; individuando nella variante speciale per il recupero urbanistico dei nuclei edilizi abusivi, di cui all’articolo 4 della L.R. Lazio n. 28/80, lo strumento da impiegare a tal fine, nonché attribuendo, in data … 2018, al Responsabile del Settore … l’incarico di attivare una procedura ad evidenza pubblica per l’individuazione di un professionista cui conferire l’incarico di perimetrare i comprensori e redigere la variante speciale.

Orbene, a dire della ricorrente, l’iter intrapreso dall’amministrazione indica la volontà di realizzare un duplice interesse pubblico: garantire l’ordinato assetto del territorio e superare un problema sociale drammatico.

Nella specie, vi sarebbe contraddittorietà tra atti della medesima amministrazione e contrasto delle relative volontà ivi espresse, risultando incomprensibile la ragione per la quale il Comune ha deciso, da un lato, di procedere al recupero degli insediamenti abusivi e, dall’altro, ha ingiunto la demolizione dell’immobile della ricorrente.

Il fatto che si arrivi ad ordinare la demolizione di un immobile che in futuro potrà essere autorizzato in base all’adottanda variante speciale configura eccesso di potere per illogicità manifesta e violazione del principio del buon andamento della p.a.

Con il terzo motivo lamenta: Violazione dell’articolo 31 del DPR n. 380 del 2001- violazione dell’articolo 3 della legge n. 241 del 1990 e dei principi di ragionevolezza e proporzionalità- violazione dell’articolo 1 della legge n. 241 del 1990.

Con tale mezzo di gravame la ricorrente censura l’ordinanza impugnata nella parte in cui prevede che, in caso di inottemperanza all’ordine di demolizione, venga acquisita al patrimonio comunale, oltre al bene e all’area di sedime, anche un’area accessoria di circa … mq.

Evidenzia che l’abuso ha una superficie di circa mq. … e che, ai sensi dell’articolo 31 del DPR n. 380 del 2001, non può essere acquisita un’area superiore a 10 volte la superficie dei manufatti abusivi.

Vi è, inoltre, carenza di motivazione, atteso che non vengono esplicitate le ragioni di interesse pubblico che giustifichino l’esigenza di realizzare su tali pertinenze urbanistiche opere necessarie ai fini urbanistico-edilizi.

Deduce, inoltre, l’irragionevolezza e la sproporzione della previsione della irrogazione di una sanzione amministrativa determinata nel massimo edittale di euro …, trattandosi di un fabbricato in legno di ridotte dimensioni, realizzato per le esigenze abitative di essa ricorrente e del coniuge.

Il Comune … ha rassegnato, con memoria pervenuta al Ministero al prot. n. … del …2020 in uno ad allegata documentazione, le proprie controdeduzioni al ricorso straordinario, deducendone l’infondatezza.

Il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili- Dipartimento per le opere pubbliche, le politiche abitative e urbane, le infrastrutture idriche e le risorse umane e strumentali, con nota prot. n…. del …2022, ha trasmesso la prescritta relazione, chiedendo a questo Consiglio di Stato l’espressione del parere.

L’autorità riferente ha espresso l’avviso che il ricorso debba essere rigettato in quanto infondato.

Considerato:

Il ricorso non è meritevole di accoglimento.

E’ infondato il primo mezzo di gravame con il quale … lamenta eccesso di potere per difetto di istruttoria, errore e travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, censurando, in particolare, il provvedimento impugnato laddove evidenzia, in relazione alla classificazione dell’area interessata dai manufatti abusivi in zona C del PRG, che “Prima dell’approvazione dei Piani particolareggiati non potranno essere consentite costruzioni non comprese in un Piano di lottizzazione planovolumetrico convenzionato”.

Rileva in primo luogo il Collegio che la suddetta specificazione, nel provvedimento impugnato, vale ad affermare il contrasto dell’opera realizzata con lo strumento urbanistico, in quanto, trattandosi di zona di espansione residenziale, non è consentito l’intervento edificatorio diretto, a mezzo di rilascio di permesso di costruire, occorrendo la previa redazione dello strumento urbanistico attuativo del Piano di lottizzazione.

Essa, peraltro, ove anche fosse erronea, non incide sulla legittimità dell’impugnato ordine di demolizione.

Questo, infatti, ai sensi dell’articolo 31 del DPR n. 380/2001 e dell’articolo 15 della legge regionale Lazio n. 15 del 2008 (norme espressamente citate nel provvedimento impugnato), trova il suo presupposto normativo nella realizzazione di opere edilizie in assenza del permesso di costruire e non anche nel contrasto dell’opera con gli strumenti urbanistici vigenti.

L’illecito edilizio degli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire si configura, dunque, quando la trasformazione edilizia del territorio viene realizzata senza il previo rilascio del prescritto titolo abilitativo ed assume la connotazione, ai fini della irrogazione della sanzione ripristinatoria, di un illecito formale, risultando in proposito irrilevante la conformità dell’opera realizzata con lo strumento urbanistico ovvero il contrasto con esso.

Tale elemento rileva, infatti, ai fini dell’eventuale sanatoria dell’opera attraverso l’istituto dell’accertamento di conformità, disciplinato dall’articolo 36 del Testo Unico Edilizia, utilmente praticabile ai fini del recupero della legalità nel caso in cui l’opera risulti, sia all’atto della sua realizzazione che al momento della richiesta della sanatoria, conforme alla normativa ed agli strumenti urbanistici vigenti.

Sicché il provvedimento demolitorio impugnato, fondato sulla espressa considerazione che le opere sono state realizzate “in assenza di titolo edilizio”, risulta comunque legittimo anche ove, conformemente a quanto sostenuto dalla ricorrente, l’area di insistenza dei fabbricati si trovasse nell’ambito di una lottizzazione convenzionata ancora valida ed efficace.

L’esistenza di un Piano di lottizzazione operativo, invero, legittimerebbe l’iniziativa del privato alla presentazione di una domanda di sanatoria per regolarizzare l’abuso ma non impedirebbe affatto al Comune, prima della presentazione della domanda di accertamento di conformità, di esercitare i propri poteri sanzionatori nei confronti di opere edilizie che risultano indiscutibilmente essere state realizzate senza il previo rilascio del permesso di costruire.

D’altra parte, per costante affermazione giurisprudenziale, l’attività di repressione degli abusi edilizi è attività doverosa e vincolata per il Comune ed al suo esercizio l’ente locale, in relazione al particolare rilievo che l’interesse pubblico all’ordinato assetto del territorio assume per l’ordinamento, non può certamente sottrarsi quando, pur in presenza di uno strumento pianificatorio attuativo, l’opera edilizia sia stata edificata senza il previo rilascio del permesso di costruire.

In disparte le assorbenti considerazioni di cui innanzi che denotano la legittimità della gravata ordinanza di demolizione e l’infondatezza della censura proposta, deve comunque essere rilevato che l’affermazione del Comune in ordine alla necessità nella specie, ai fini della lecita trasformazione del territorio, di un piano di lottizzazione convenzionato (oltre che naturalmente di un titolo edilizio) non è affetta da erroneità, travisamento o difetto di istruttoria.

La ricorrente richiama, a sostegno del motivo di ricorso, la circostanza che l’area di insistenza delle opere ricadrebbe in una lottizzazione regolarmente autorizzata negli anni 1964/1967, evidenziando altresì che le relative opere di urbanizzazione e lo schema di convenzione erano stati approvati dal Commissario Prefettizio nel 1968, con successivo collaudo nel 1970.

Rileva, peraltro, la Sezione che dagli atti depositati dal Comune … emerge che il provvedimento del Commissario prefettizio invocato dalla ricorrente ed allegato al ricorso straordinario, nella specie la deliberazione n. … del … 1968, con la quale sarebbe stata approvata la lottizzazione interessante il terreno di proprietà della …, è stato annullato (dunque, con efficacia ex tunc) dall’ente con delibera di Giunta Municipale n. … del … 1970.

Ed, invero, con detta deliberazione il Comune ha rilevato l’illegittimità dell’atto commissariale, in ragione delle circostanze: che la lottizzazione risulta approvata dal Sindaco, mentre doveva essere sottoposta al Consiglio comunale, derivando da ciò l’inapplicabilità delle disposizioni dell’articolo 8 della legge n. 765; che alla base della convenzione risultava l’autorizzazione sindacale n. … del …1964, intestata al signor …, che non risultava tra i soggetti consorziati.

L’annullamento della delibera commissariale n. … del … 1968 esclude, pertanto, che all’atto di emanazione dell’ordinanza demolitoria impugnata (…2017) potesse dirsi esistente, per l’area di proprietà della ricorrente, un piano di lottizzazione efficace, con conseguente erroneità della affermazione del Comune di mera insistenza dell’area in zona C e conseguente impossibilità di edificazione senza la previa approvazione del piano attuativo.

Risultano, infatti, in ragione del prefato annullamento, pienamente operative le previsioni del PRG comunale che normano l’area in termini di zona C, di espansione residenziale, e che non consentono l’intervento edilizio diretto, dovendo essere la trasformazione del territorio preceduta dall’approvazione dello strumento urbanistico di secondo livello.

Neppure giova a parte ricorrente, ai fini della invocata illegittimità dell’ordine di demolizione, il richiamo all’orientamento giurisprudenziale in base al quale il piano attuativo, pur se previsto dallo strumento urbanistico generale, non è necessario tutte le volte in cui, come nella specie, l’area sia comunque caratterizzata dalla presenza di sufficienti opere di urbanizzazione primaria e secondaria.

Ed, invero, lo stato di sufficiente urbanizzazione della zona consente l’intervento edilizio diretto, attraverso il rilascio del permesso di costruire pur in assenza del piano di lottizzazione, ma certamente non legittima l’edificazione in assenza di tale titolo, come avvenuto nel caso in esame, ove … ha realizzato i manufatti senza richiedere ed ottenere il permesso di costruire; comportamento questo che, ai sensi dei citati articoli 31 del DPR n. 380 del 2001 e 15 della LR n. 15 del 2008, impone al Comune la doverosa irrogazione della sanzione demolitoria.

Il primo motivo di ricorso è, pertanto, infondato

Può a questo punto passarsi all’esame del secondo motivo di ricorso, con il quale viene lamentato: eccesso di potere per difetto di istruttoria, per contraddittorietà tra atti della medesima amministrazione, illogicità e sviamento di potere.

In sintesi, la ricorrente lamenta l’illegittimità della disposta ordinanza di demolizione (n. … del …2017), in quanto in illogica contraddizione con la volontà, espressa dal Comune con la delibera di GM n. … del …2018, confermativa di precedente atto di GM n. …2015, di voler recuperare le situazioni di abusivismo esistenti nella località … con la redazione di piani di iniziativa pubblica e, in particolare, con lo strumento della variante speciale per il recupero urbanistico dei nuclei edilizi abusivi di cui all’articolo 4 della LR Lazio n. 28 del 1980.

La ingiunta demolizione dei manufatti abusivi evidenzierebbe, pertanto, illogicità e contraddittorietà dell’azione amministrativa, in quanto in evidente contrasto con la manifestata volontà di recupero degli immobili abusivi.

Il motivo non è meritevole di accoglimento.

L’articolo 4 della legge regionale Lazio n. 28 del 1980, recante “Norme concernenti l’abusivismo edilizio ed il recupero dei nuclei edilizi sorti spontaneamente”, prevede una “Variante speciale per il recupero urbanistico dei nuclei edilizi abusivi”, disponendo che “I Comuni del Lazio, dotati di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione approvato, nel cui territorio siano individuati nuclei edilizi abusivi in contrasto con le destinazioni di zona previste dallo strumento urbanistico, provvedono ad adottare una speciale variante diretta al recupero urbanistico dei nuclei abusivi…”.

L’adozione della suddetta variante deve essere preceduta da una attività di rilevamento delle costruzioni e dei nuclei edilizi abusivi, prevedendo il precedente articolo 1 che “ I comuni del Lazio sono tenuti a procedere, mediante apposite ed organiche iniziative: al rilevamento delle costruzioni abusive esistenti nel territorio del comune; alla individuazione dei nuclei edilizi abusivi sorti in contrasto con le destinazioni di zona previste dagli strumenti urbanistici generali ovvero con le norme di legge nazionali e regionali comportanti, anteriormente all’approvazione dello strumento urbanistico generale, limiti di edificabilità; alla individuazione dei nuclei edilizi abusivi che, ancorchè non in contrasto con le destinazioni di zona previste negli strumenti urbanistici generali, siano sorti senza la preventiva approvazione dello strumento attuativo ovvero in violazione di altre norme di attuazione stabilite negli strumenti urbanistici”.

In proposito, l’articolo 2 della legge prevede che “Il Consiglio comunale…delibera il programma, le iniziative ed i mezzi per il compimento delle attività di cui al precedente articolo 1, ovvero dà atto della esistenza nel territorio del Comune delle costruzioni abusive specificamente indicate ovvero della inesistenza di costruzioni abusive”.

Vi è, dunque, che il recupero delle costruzioni abusive previsto dalla richiamata legge regionale è la risultante di una complessa attività amministrativa, la quale vede l’intervento, quale organo comunale competente, del Consiglio, che deve procedere ad approvare la sopra esposta perimetrazione dei nuclei abusivi e successivamente ad adottare la variante urbanistica di recupero.

Attesa la complessità del procedimento e la necessità dell’intervento, quale organo competente alle relative deliberazioni, del Consiglio comunale, deve ritenersi che la mera volontà espressa dalla Giunta municipale, mediante mero atto di indirizzo, di voler procedere al recupero degli insediamenti abusivi attraverso lo strumento della variante di cui alla richiamata legge regionale non determini illogicità o contraddittorietà dei provvedimenti di demolizione adottati dal Comune successivamente alle predette determinazioni della Giunta municipale.

Vi è, invero, da considerare che il carattere rigidamente doveroso e vincolato che connota l’attività di repressione degli abusi edilizi esclude che tale attività, ove posta in essere successivamente agli intenti di recupero espressi dalla Giunta municipale, possa ritenersi affetta dal vizio di eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà.

Deve, al riguardo, in primo luogo essere evidenziato che il vizio di eccesso di potere è configurabile solo per l’attività discrezionale della pubblica amministrazione e non anche per quella vincolata; con la conseguenza che tale forma di invalidità non può in radice manifestarsi laddove si verta, come nella specie, in ipotesi di azione obbligatoria e vincolata, quale è quella di ordinare la demolizione di opere edilizie realizzate in assenza di titolo abilitativo.

In tale contesto, infatti, l’attività di repressione degli abusi edilizi potrebbe essere ritenuta illegittima solo ove vi sia un parametro normativo certo ed efficace che imponga all’autorità amministrativa di astenersi dal relativo esercizio, configurandosi in tal caso un obbligo per l’amministrazione di non adottare provvedimenti sanzionatori e, di conseguenza, un vizio di violazione di legge nei provvedimenti demolitori che tale obbligo abbiano violato.

La Sezione ritiene, pertanto, che l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione possa affermarsi solo nel caso in cui la suddetta variante di recupero degli insediamenti abusivi sia stata adottata dal Consiglio comunale e l’immobile abusivo in contestazione rientri nelle previsioni della stessa quale bene concretamente suscettibile di regolarizzazione.

In tal caso, infatti, dalla esistenza e dalla efficacia della predetta variante può trarsi un obbligo in capo all’ente locale di astenersi dal reprimere l’abuso in attesa della sua regolarizzazione e, comunque, sarebbe configurabile, in presenza della stessa, una violazione dei principi di efficacia, economicità e buon andamento dell’azione amministrativa, in quanto il Comune reprimerebbe un abuso che è in tutta certezza suscettibile di essere ricondotto alla legalità.

Al contrario, tale obbligo di astensione dall’azione repressiva non è certamente sussistente quando vi sia una mera dichiarazione di intenti della Giunta municipale (senza l’intervento del Consiglio comunale) in ordine al recupero degli insediamenti abusivi ed all’utilizzo a tale fine dello strumento della variante di cui alla richiamata legge regionale; non risultando lo stesso sufficiente, sia in ragione dell’organo che lo ha espresso sia in relazione allo stato meramente embrionale del procedimento, a far venir meno il carattere doveroso e vincolato dell’azione sanzionatoria degli illeciti edilizi, che nell’ordinanza di demolizione trova la sua espressione.

E tanto a maggior ragione nel caso in cui, come nella vicenda in esame, la delibera di intenti e di indirizzo ( atto di GM n. … del …2018) sia stata nelle more revocata, con successiva deliberazione di GM n. … del …2019, con la quale si è disposto “…di revocare l’atto deliberativo di Giunta comunale del …2018 n. … ‘Indirizzo per la pianificazione attuativa dei comprensori in località …’, non rilevandosi ragionevoli motivi di condivisione della volontà espressa di applicazione della LR 28/80 nell’atto citato e nella considerazione dell’evoluzione del quadro di riferimento dell’azione amministrativa nel quale la volontà si inserisce…e di confermare l’indirizzo della pianificazione contenuto nel Piano Regolatore Generale vigente, relativamente all’attuazione delle previsioni urbanistiche dei comprensori edificabili in località … secondo quanto regolamentato dalle norme del medesimo PRG e nel rispetto delle disposizioni e procedure di legge in materia urbanistica e di tutela del territorio e dell’ambiente”.

Difettano, pertanto, i presupposti per poter considerare il provvedimento sanzionatorio adottato illogico e contraddittorio rispetto a precedenti atti della medesima amministrazione, non avendo il solo atto di indirizzo espresso dalla Giunta alcuna efficacia ostativa sull’attività di repressione degli abusi edilizi.

Sotto altro profilo, deve poi osservarsi che la concreta operatività della invocata legge regionale Lazio n. 28 del 1980 deve essere comunque valutata anche in relazione ai successivi provvedimenti normativi che hanno in via generale disciplinato le possibilità di recupero alla legalità degli insediamenti abusivi.

Occorre in proposito considerare che la richiamata legge regionale risale all’anno 1980 ed essa prevede (articoli 16 e ss.) la possibilità di rilascio di concessione edilizia in sanatoria, una volta approvata la variante di recupero ed i conseguenti strumenti attuativi, per quegli immobili che, al momento del rilascio del titolo, siano “conformi alle previsioni di detti strumenti ed alle altre norme vigenti”.

La regolarizzazione degli immobili abusivi viene, dunque, consentita sulla base della mera conformità delle opere edilizie alla variante di recupero approvata al momento del rilascio della concessione in sanatoria.

Deve, peraltro, essere evidenziato che successivamente all’entrata in vigore della richiamata legge regionale, il legislatore è espressamente intervenuto nella materia della regolarizzazione delle opere abusive, sia con strumenti ordinari che straordinari.

Quanto al primo aspetto, la legge n. 47/85 prima e successivamente il DPR n. 380 del 2001 hanno previsto l’istituto dell’accertamento di conformità, consentendo in via ordinaria la sanatoria dei soli abusi formali e richiedendo per la regolarizzazione degli stessi il requisito della “doppia conformità”, dovendo l’opera essere conforme agli strumenti urbanistici ed alla normativa urbanistica vigenti sia all’atto della realizzazione dell’illecito sia al momento di presentazione della domanda di sanatoria.

Di poi, il legislatore ha previsto la possibilità di condono edilizio dei manufatti abusivi in tre distinte occasioni (legge n. 47/1985; legge n. 724/1994; legge n. 326/2003), stabilendo la possibilità di regolarizzazione degli abusi edilizi, realizzati entro specifici ambiti temporali ed in presenza di peculiari condizioni limitative ad una indiscriminata regolarizzazione (limiti di cubatura non derogabili, limiti ulteriori in relazione alla insistenza delle opere in area sottoposta a vincolo, in particolare paesaggistico, come nella vicenda oggetto del presente contenzioso).

Orbene, la successiva normativa statale, sia di carattere generale che straordinaria, disciplinatrice della sanatoria dei manufatti abusivi ha determinato l’abrogazione delle previgenti disposizioni della legge regionale Lazio n. 28/1980, laddove questa, al Capo III (“Rilascio delle concessioni edilizie”), e, in particolare, all’articolo 16 (“Condizioni per il rilascio della concessione edilizia in sanatoria”), consente la regolarizzazione delle costruzioni abusive “se conformi alle previsioni” degli strumenti urbanistici attuativi approvati a seguito dell’adozione della variante speciale di recupero “ e delle altre norme vigenti al momento del rilascio”, richiedendo in tal modo non il requisito della “doppia conformità” ovvero della esistenza delle medesime condizioni limitative previste dalla sopravvenuta normativa statale in materia di condono edilizio, ma unicamente la conformità dell’opera al momento del rilascio del titolo in sanatoria.

Tanto in virtù del disposto di cui agli articoli 9 e 10 della legge 10 febbraio 1953, n. 62 (cd. “legge Scelba”).

L’articolo 9, rubricato “Condizioni per l’esercizio della potestà legislativa da parte della Regione”, prevede, al comma 1, che “L’emanazione di norme legislative da parte delle Regioni nelle materie stabilite dall’articolo 117 della Costituzione si svolge nei limiti dei principi fondamentali quali risultano dalle leggi che espressamente li stabiliscono per le singole materie o quali si desumono dalle leggi vigenti”.

Il successivo articolo 10, rubricato “Adeguamento delle leggi regionali alle leggi della Repubblica”, dispone, al comma 1, che “Le leggi della Repubblica che modificano i principi fondamentali di cui al primo comma dell’articolo precedente abrogano le norme regionali che siano in contrasto con esse”, aggiungendo, al comma 2, che “I Consigli regionali dovranno portare alle leggi regionali le conseguenti necessarie modificazioni entro novanta giorni”.

Alla luce delle richiamate disposizioni, pertanto, la sopravvenienza di una norma statale di principio in materia di legislazione concorrente (qual è quella del governo del territorio) determina l’automatica abrogazione della preesistente norma regionale in contrasto con essa (cfr. Corte Cost., 25-6-2015, n. 117; 21-6-2007, n. 223; 31-12-1993, n. 498), derivando l’obbligo della Regione di adeguare la propria legislazione in modo che la norma statale di principio venga rispettata.

L’effetto abrogativo deve, a giudizio del Collegio, essere nella specie affermato, in ragione dei principi costantemente affermati in materia dalla Corte Costituzionale.

La funzione del “governo del territorio”, tipica della disciplina urbanistica ed edilizia, è rimessa alla potestà legislativa delle Regioni nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti con leggi dello Stato (art. 117, comma 3, Cost.), ed, in particolare di quelli “desumibili” dal testo unico dell’edilizia (cfr. Corte Cost., sentenze n. 2 del 2019 e n. 77 del 2021).

In generale, in tema di condono edilizio, la giurisprudenza della Corte ha reiteratamente chiarito che spettano alla legislazione statale, oltre ai profili penalistici, le scelte di principio e, in particolare, sia quelle relative all’an, al quando e al quantum, ossia la decisione sul se disporre un titolo abilitativo edilizio straordinario, quella relativa all’ambito temporale di efficacia della sanatoria e l’individuazione delle volumetrie condonabili (cfr. Corte Cost., sentenze n. 77 del 2021, n. 70 del 2020, n. 208 del 2019, n. 68 del 2018 e n. 73 del 2017); evidenziando, altresì, che solo nel rispetto di tali disposizioni di principio, competono alla legislazione regionale l’articolazione e la specificazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale (cfr. Corte Cost., sentenze n. 70 del 2017 e n. 233 del 2015).

Orbene, la verifica della cd. “doppia conformità” costituisce un principio fondamentale della materia governo del territorio, trattandosi di un adempimento “finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità” (così Corte Cost., sentenza n. 232 del 2017, nonché sentenze n. 107 del 2017 e n. 101 del 2013).

E’ evidente, quindi, che la sopravvenuta disciplina statale sull’accertamento di conformità (introdotta con la legge n. 47/85 e successivamente mantenuta con il DPR n. 380 del 2001) contiene una normativa di principio rispetto alla quale le previsioni di sanatoria degli immobili abusivi recate dalla richiamata legge regionale del 1980 si pongono in evidente contrasto, determinandosene, dunque, l’abrogazione.

Analoghe considerazioni possono svolgersi anche con riferimento alla normativa statale specifica sul condono edilizio straordinario, introdotta dalle richiamate leggi n. 47/1985, n. 724/1994 e n. 326/2003, atteso che questa, rispetto alla previgente legge regionale del Lazio, contiene disposizioni di principio di carattere limitativo (relative all’an ed al quantum della sanatoria) non riscontrabili nella citata normativa regionale, la quale ricollega la sanatoria al solo presupposto della conformità alla variante speciale di recupero nelle more adottata.

Di conseguenza, nel sopra indicato contesto abrogativo discendente dalla sopravvenienza di norme statali di principio incompatibili, deve ritenersi che nell’attuale sistema normativo la variante speciale di cui alla legge regionale n. 28/80 sia diretta alla mera riqualificazione urbanistica delle aree interessate da insediamenti abusivi, nel senso di prevedere quegli interventi infrastrutturali e quelle opere di urbanizzazione che assicurino il corretto inserimento degli immobili abusivi nel tessuto urbanistico del territorio comunale.

La variante, al contrario, non determina in sé la legittimazione edilizia delle singole opere abusive, la cui regolarizzazione resta, di conseguenza, rimessa all’espletamento delle procedure di condono e di sanatoria previste nell’attualità dall’ordinamento ed al loro favorevole esito.

Le considerazioni innanzi svolte rendono, quindi, adeguata giustificazione delle conclusioni (pur non perspicuamente motivate, ma comunque condivisibili per le ragioni sopra esposte) cui è giunta la giurisprudenza intervenuta in materia (cfr. TAR Lazio, II quater, 4-2-2019, n. 1372; 4-2-2019, n. 1370; 17-4-2018, n. 4220), secondo cui la variante speciale “pertiene alla riqualificazione urbanistica delle aree, ma non direttamente ai profili di stretta legittimazione dei singoli manufatti ivi edificati, i quali rimangono assoggettati alla normativa statale in materia di condono ed alla connessa rigorosa verifica, strettamente vincolata, della sussistenza dei presupposti di legge per il rilascio dell’eventuale sanatoria”.

Vale, in proposito, altresì sottolineare che la separazione tra la funzione di recupero ‘urbanistico’ degli insediamenti abusivi affidata all’istituto della variante (diretta in via esclusiva a consentire l’inserimento degli stessi in un tessuto urbanistico dotato di infrastrutture necessarie alla loro coerente inclusione nel contesto territoriale di riferimento) e la funzione di regolarizzazione dei singoli manufatti abusivi (affidata, invece, agli istituti dell’accertamento di conformità e del condono straordinario) trova conferma normativa nell’impianto della sopravvenuta legislazione statale, laddove la legge n. 47/1985 differenzia espressamente le varianti agli strumenti urbanistici generali finalizzate al recupero “urbanistico” degli insediamenti abusivi (articolo 29) dall’accertamento di conformità (articolo 13) e dal condono edilizio (artt. 31 e segg.); espressamente sancendo, al comma 2 dell’articolo 29, che “gli insediamenti avvenuti in tutto o in parte abusivamente…possono formare oggetto di apposite varianti… al fine del loro recupero urbanistico” “salvo restando gli effetti della mancata presentazione dell’istanza di sanatoria previsti dall’articolo 40” (cioè la loro sottoposizione alle misure repressive e sanzionatorie).

La variante di recupero, pertanto, non è sufficiente alla regolarizzazione dei singoli episodi di illecito edilizio, occorrendo necessariamente che questi siano legittimati dall’esito favorevole di un procedimento di accertamento di conformità o di condono edilizio, svolto nel rispetto delle disposizioni di principio stabilite in proposito dalla legge statale.

Anche per tali ragioni, pertanto, deve ritenersi l’infondatezza del secondo motivo di ricorso.

La Sezione ritiene, infine, che neppure il terzo mezzo di gravame sia meritevole di favorevole considerazione.

Quanto alla denunciata sproporzione, in considerazione della lieve entità dell’abuso, della sanzione amministrativa pecuniaria ex articolo 31, comma 4 bis del DPR n. 380/2001, prospettata nell’ordinanza di demolizione nella misura massima di euro …, il Collegio rileva che la censura è infondata, avendo il Comune correttamente applicato la richiamata norma.

Il comma 4 bis del TU Edilizia prevede, infatti, che “L’autorità competente, constatata l’inottemperanza, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra 2000 euro e 20.000 euro…La sanzione, in caso di abusi realizzati sulle aree e sugli edifici di cui al comma 2 dell’articolo 27, ivi comprese le aree soggette a rischio idrogeologico elevato o molto elevato, è sempre irrogata nella misura massima”.

Stante il chiaro disposto della norma, la prospettazione dell’applicazione della misura massima, contenuta nel provvedimento impugnato, si palesa legittima, considerandosi che l’immobile abusivo ricade in area vincolata (l’ordinanza di demolizione evidenzia che “la zona interessata dagli interventi abusivi è individuata dagli strumenti urbanistici sovra comunali, PTP- PTPR, tra le aree sottoposte a vincolo paesaggistico, ai sensi degli artt. 134 c. 1, lett. a ‘beni paesaggistici’ già individuata nel DM 19-01-1977”) e che in tale fattispecie il richiamato comma 4 bis non consente la graduazione della sanzione, ma impone al Comune, in termini doverosi e vincolati, l’applicazione del massimo edittale, a prescindere dall’entità e dalla consistenza delle opere abusive.

Quanto, infine, ai denunciati difetto di motivazione e violazione dell’articolo 31, comma 3, del DPR n. 380/2001, in relazione alla prospettazione dell’acquisizione, per il caso di inottemperanza, di un’area relativa a “pertinenze urbanistiche” di circa … mq. (particella … del foglio …) ben superiore al decuplo della superficie abusivamente realizzata, la Sezione osserva che, per tale parte, l’ordinanza di demolizione non ha natura provvedimentale lesiva della sfera giuridica del ricorrente.

Va, infatti, evidenziato che l’ordinanza n. …2017 non è l’atto dispositivo dell’acquisizione gratuita, atteso che esso, nel richiamare l’articolo 31 del testo unico, si limita a disporre che, ove vi sia inottemperanza all’ingiunzione demolitoria, “si procederà” all’acquisizione gratuita al patrimonio del Comune.

La determinazione acquisitiva non è, dunque, contenuta nell’atto odiernamente impugnato ma è rimessa ad un successivo provvedimento, il quale costituisce la sede elettiva per la relativa determinazione e per la concreta e definitiva individuazione dell’area da acquisire.

Tanto è possibile, in quanto la giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, VI, 16-4-2019, n. 2484; VI, 6-2-2018, n. 755; VI, 5-1-2015, n. 13; IV, 27-10-2016, n. 4508) ha chiarito che l’indicazione delle aree da acquisire non deve essere necessariamente contenuta nell’ordinanza di demolizione, potendo essere individuata nel successivo momento in cui si procede all’acquisizione del bene.

E’, dunque, nel successivo atto di acquisizione che il Comune dovrà operare corretta applicazione del comma 3 dell’articolo 31 del DPR n. 380/2001, secondo il quale “Se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisite di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L’area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita”.

In particolare, l’ente locale in tale provvedimento, ferma restando l’acquisizione del bene abusivo e dell’area di sedime, dovrà individuare la superficie dell’area accessoria (cd. pertinenze urbanistiche) facendo corretta applicazione della regola generale fissata dalla norma per la sua quantificazione, costituita dalla “area necessaria, secondo le vigenti previsioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive”. Solo ove, applicando tale parametro, l’area risultasse superiore al decuplo della superficie utile abusivamente realizzata, l’acquisizione dovrà limitarsi a detta misura multipla e giammai superarla.

E’ evidente, altresì, per costante giurisprudenza (cfr., ex multis, Cons. Stato, VI, 5-4-2013, n.1881; V, 17-6-2014, n. 3097), che il provvedimento di acquisizione gratuita, in cui l’area acquisita sia concretamente determinata, dovrà recare motivazione del criterio di calcolo seguito e dei parametri applicati per detta individuazione; specificandosi, peraltro, che alcuna motivazione è dovuta in ordine alle ragioni di pubblico interesse che giustifichino l’acquisizione di tale area ulteriore, trattandosi di un effetto sanzionatorio direttamente previsto dalla legge in caso di inottemperanza all’ordine demolitorio, in relazione al quale alcun potere discrezionale è configurabile in capo all’amministrazione.

In disparte le assorbenti considerazioni di cui innanzi, deve comunque essere evidenziato che le opere abusive indicate nell’ordinanza di demolizione, consistenti in un fabbricato abitativo in legno, una veranda ed un prefabbricato abitativo, presentano, nella descrizione contenuta nel provvedimento, una superficie complessiva di oltre … mq., onde la prospettazione dell’acquisizione, quale pertinenza urbanistica, di una particella di circa 700 mq. appare rispettosa del limite massimo (decuplo della superficie abusivamente realizzata) contemplato dall’articolo 31 del DPR n. 380/2001; ferma evidentemente restando la previa applicazione, da parte dell’amministrazione, del parametro principale di calcolo previsto dalla medesima norma ed innanzi indicato.

Sulla base delle considerazioni tutte sopra svolte, il ricorso straordinario non può essere accolto, risultando infondati tutti i mezzi di gravame proposti.

In conclusione, pertanto, la Sezione esprime il parere che lo stesso debba essere rigettato.

Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (cfr., ex multis, Cass.civ. 16-5-2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. […]