Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1203 del 2007, pubbl. il 12-03-2007

[…]

Svolgimento del processo

La Società oggi appellata ha realizzato, in base a concessioni edilizie nn. […] del 1994 e […] del 1995 rilasciate dal comune di […], un edificio di tre piani fuori terra avente – per quanto qui rileva – un’altezza maggiore rispetto a quella assentita.
Con istanza in data 30.9.1998 la Società ha quindi richiesto al comune l’accertamento di conformità ex art.13 della legge n. 47 del 1985.
A fronte del diniego comunale, la Società forniva integrazioni documentali evidenziando che l’eccesso di altezza non poteva essere demolito senza pregiudizio per la restante parte dell’edificio.
Con determinazione dirigenziale n. […] del 8.5.2000 il comune ingiungeva, ai fini del rilascio della concessione in sanatoria, il versamento di una sanzione ex art. 12 di Lire 68.745.288.
Con la sentenza in epigrafe indicata il T.A.R. Bari, adito dall’interessata, ha accolto il ricorso, ritenendo illegittimo il calcolo effettuato dal Comune per la determinazione della sanzione in quanto basato su un incremento di superficie solo virtuale.
La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello all’esame dal comune il quale ne ha chiesto l’integrale riforma deducendo che nel caso di immobili residenziali, come nella specie, la sanzione non deve essere calcolata sul valore venale bensì sul costo di produzione determinato dalla legge n.392/78, applicandosi ai soli immobili non residenziali il calcolo in base al valore venale.
In presenza di violazioni in altezza, sostiene il Comune che è legittimo l’utilizzo del criterio della superficie virtuale, in quanto la legge sanziona ogni parziale difformità e non solo quelle relative ad incremento di superficie.
Si è costituita per resistere la […] s.r.l. la quale torna a dedurre che la maggiore altezza di un fronte del fabbricato (erroneamente determinata dall’Amministrazione in cm. 22, ma che in realtà non è superiore a cm. 5) non ha comunque comportato maggiori superfici utili o un quid pluris che rappresenti in sé un bene economicamente apprezzabile, e non poteva quindi essere convertita in maggiore volumetria generale.
L’appellata ha riproposto inoltre le censure dichiarate assorbite dalla sentenza di primo grado.
Con decisione interlocutoria n. 4677 del 2006 la Sezione ha disposto una verificazione, incaricandone il S.I.I.T. per la Regione Puglia.
Con nota del 13.10.2006 il Provveditore interregionale per le Opere Pubbliche di Puglia e Basilicata ha trasmesso la relazione di verificazione predisposta dall’ing. […].
Con nota pervenuta il 26.10.2006 il predetto ing. […] ha precisato che l’incarico è stato svolto al di fuori dell’orario di ufficio, chiedendo la liquidazione di onorari e rifusione di spese documentate.
All’Udienza del 24 ottobre 2006 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione
L’appello è in parte fondato e va quindi accolto per quanto di ragione.
Fondato è infatti il primo motivo mediante il quale l’appellante deduce che, nel caso di immobili destinati ad uso residenziale, la sanzione applicabile va rapportata non già al valore venale dell’abuso ma in via convenzionale al doppio del costo di produzione determinato ai sensi della legge n. 392 del 1978 sull’equo canone.
Come è noto. l’art. 12 della legge n. 47 del 1995 impone al primo comma la rimozione o demolizione degli interventi o opere realizzati in difformità dalla concessione, a cura del responsabile o ad opera del comune e in danno di questi.
Ai sensi del comma secondo del citato articolo, quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il comune applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge n.392 del 1978, della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato dall’U.T.E., per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale.
La normativa ora richiamata è stata nel prosieguo trasfusa nell’art. 34 del T.U. n. 380 del 2001 il quale tiene fermo il riferimento, per la quantificazione della sanzione su edifici residenziali,alla legge n. 392 del 1978, ancorchè come è noto l’art. 12 di tale legge (proprio relativo alla determinazione dell’equo canone) fosse stato già abrogato per le locazioni abitative dall’art. 14 della legge n. 431 del 1998.
Ne deriva che il rinvio disposto dall’art. 12 della legge n.47 del 1985 (e poi dall’art. 34 del T.U. n. 380 del 2001) alla normativa sull’equo canone va inteso in senso materiale, come riferito cioè ad una specifica metodologia di calcolo del costo di produzione degli immobili, metodologia da utilizzare anche dopo la intervenuta modifica del regime delle locazioni abitative.
Tanto chiarito, è in primo luogo evidente che il Tribunale ha errato allorchè ha applicato ad un immobile pacificamente destinato ad uso residenziale il parametro del valore venale, che riguarda invece gli immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo.
Ne consegue che esattamente, sotto il profilo del criterio metodologico, il comune ha determinato la sanzione facendo riferimento al parametro del costo di produzione.
Tale parametro, considerando la tipologia dell’abuso, non poteva che essere applicato sulla maggiore superficie convenzionale, pena la completa vanificazione – nel caso di interventi come quello in esame che non si traducono in un immediato aumento della superficie utile – della stessa previsione sanzionatoria.
Nel merito, il comune ha quantificato la sanzione in relazione ad un incremento di altezza dell’edificio (rispetto a quella assentita) pari a cm. 22 mentre la Società sostiene con la censura assorbita in primo grado che tale incremento va quantificato in cm. 5.
Al riguardo la disposta verificazione – sulla base di criteri tecnici pienamente attendibili – ha acclarato sia l’altezza dell’edificio misurata all’estradosso della copertura sia l’altezza media dello stesso.
In concreto, tenendo appunto presenti le risultanze della verificazione, l’incremento di altezza rispetto all’assentito va quantificato a giudizio del Collegio in cm. 18 (diciotto).
Sulla base di tale incremento va dunque rettificata – in diminuzione rispetto ai calcoli comunali di cui al prospetto in data 8.5.2000 – la misura del volume eccedente rispetto a quello assentito.
Con ulteriore censura assorbita in prime cure la Società aveva peraltro dedotto l’irrilevanza dell’incremento di altezza, in quanto determinato da opere di coibentazione, volte ad incrementare l’isolamento termico dell’immobile e non computabili ai fini edilizi ai sensi dell’art. 2 della legge regionale 13.8.1998 n. 23.
Questa censura va però disattesa in quanto – a prescindere da ogni ulteriore considerazione – il comma 1 dell’art. 2 della legge ora citata consente la decurtazione non di tutte le eccedenze in altezza derivanti da coperture ai fini di isolamento termico acustico etc. ma soltanto di un massimo di cm. 25 da calcolarsi al disopra dello spessore di cm. 30.
In altri termini, la norma consente, come è logico, di scomputare dall’altezza solo lo spessore isolante e non l’intera copertura.
E di tale prescrizione, a giudizio del Collegio, tiene ben conto la verificazione, laddove – dopo aver stimato lo spessore complessivo della copertura i cui elementi essenziali sono il solaio e il vespaio aereato – in sostanza perviene alla definizione dell’altezza dell’edificio all’estradosso proprio decurtando da tale spessore complessivo la parte isolante e tenendo invece conto del solaio.
Sulla scorta delle considerazioni che precedono l’appello va quindi accolto con riforma della sentenza impugnata: il ricorso di primo grado resta accolto con esclusivo riferimento all’errato calcolo da parte del comune dell’incremento di altezza dell’edificio, che va definito in cm. 18 anzichè 22.
Le spese del giudizio sono integralmente compensate tra le Parti, vista la reciproca parziale soccombenza.
Le spese della verificazione sono poste a carico di ciascuna Parte nella misura del cinquanta per cento, con vincolo di solidarietà […].