Consiglio di Stato, Sez. Quarta, Sentenza n. 5115 del 2018, pubbl. il 30/08/2018

[…]

FATTO

1.Con l’appello in esame, la signora […] e gli altri ricorrenti indicati in epigrafe impugnano la sentenza 9 settembre 2016 n.2073, con la quale il TAR per la Campania, sez. I della sezione staccata d Salerno, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto per l’accertamento dell’illegittimità del silenzio serbato dal […], in ordine alla diffida del 23 febbraio 2016 prot. n. 0005000, con la quale si è chiesto di procedere all’immediata sospensione del titolo abilitativo per silenzio rilasciato in favore di […], unitamente alla revoca dell’attestato 3 dicembre 2015 n. […], essendo stato reso su presupposti inesistenti.
L’oggetto concreto della presente controversia (e, quindi, della diffida innanzi indicata) è costituito dalla realizzazione, da parte della […], di lavori di manutenzione straordinaria, relativi all’istallazione di impianti tecnologici ed opere annesse, occorrenti per la propria attività; lavori consistenti, in particolare, nella apposizione di un tubo di sfiato sulla facciata dell’edificio condominiale.
Tali lavori, eseguiti sulla base di Scia depositata il 19 dicembre 2014, prot. n. […], non erano stati preventivamente autorizzati da parte degli altri condomini.
1.1.La sentenza impugnata afferma, innanzi tutto, l’inammissibilità del ricorso, in quanto rivolto avverso il silenzio serbato in ordine alla richiesta revoca dell’attestato del Responsabile dell’area urbanistica del Comune 3 dicembre 2015 n. […].
Afferma la sentenza che, “costituendo detto attestato null’altro che una dichiarazione di scienza. . . circa l’avvenuta presentazione della Scia da parte del legale rappresentante della società controinteressata in data […] 2014, con trasmissione di documentazione integrativa in data […] 2015, e circa l’assenza, successivamente a tale presentazione e fino alla data odierna di provvedimenti sospensivi dell’efficacia della Scia in questione”, non è dato comprendere come un attestato di fatti “esistenti e veritieri” possa essere revocato.
Quanto alla diffida ad adottare provvedimenti di sospensione dell’efficacia della Scia, la sentenza dichiara l’inammissibilità del ricorso “per essere stato chiesto l’esercizio di poteri in autotutela, da parte dell’ente, in materia sottratta alla sfera di competenza giurisdizionale del G.A.”.
Ciò in quanto, secondo la sentenza (che richiama sul punto giurisprudenza di questa Sezione: sent. n. 2116/2016) “in sede di esame dell’istanza per il rilascio di un titolo edilizio. . . la Pubblica Amministrazione non deve verificare ogni aspetto civilistico che potrebbe venire in rilievo, ma deve vagliare esclusivamente quelli urbanistici”.
Inoltre, nel caso di specie, trattandosi non di “innovazioni”, bensì dell’uso a fini esclusivamente propri di un bene comune da parte di un condomino “senza evidenti alterazioni dello stesso e senza l’impedimento all’uso paritetico della facciata da parte degli altri comproprietari dell’immobile” non era “necessario l’assenso degli altri contitolari all’istallazione sulla stessa facciata, del tubo di sfiato”.
1.2. Avverso tale decisione vengono proposti i seguenti motivi di appello:
a) error in iudicando et in procedendo; difetto del presupposto; difetto di motivazione; illogicità manifesta; contraddittorietà; violazione art. 11 DPR n. 380/2001, in combinato disposto con il DPR n. 542/1994; ciò in quanto a1) il principio secondo il quale i titoli edilizi vengono rilasciati con salvezza dei diritti dei terzi “significa che i diritti dei terzi non possono venire lesi dal provvedimento finale amministrativo e non già che l’ente locale non li debba considerare, nell’ambito della fase istruttoria di rilascio del titolo, tanto più allorquando detti diritti assunti come lesi siano appositamente segnalati con atto di diffida rimasto inevaso”; in sostanza, “sussiste l’obbligo per il Comune di verificare il rispetto, da parte dell’interessato, dei limiti privatistici, a condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili e/o non contestati”; a2) poiché “la Scia non determina la confezione di alcun provvedimento materiale, l’attestato . . . compenetra l’assenso ricevuto, sicchè è logico che se il dedotto assenso è stato illegittimamente reso su falsi, quanto inesistenti, presupposti, più che legittimo si appalesa la richiesta di revoca dell’invocato attestato (recte annullamento)”;
b) error in iudicando et in procedendo; difetto del presupposto; difetto di motivazione; illogicità manifesta; contraddittorietà; poiché la sentenza “in modo sorprendente, finisce con lo statuire la sussistenza di un ipotetico, quanto fantasioso, difetto di giurisdizione”;
c) error in iudicando et in procedendo; difetto del presupposto; difetto di motivazione; illogicità manifesta; contraddittorietà; poiché la sentenza, laddove ha qualificato l’intervento come non costituente innovazione, ma uso esclusivo di un bene comune da parte di un condomino, ha debordato dai limiti della giurisdizione amministrativa, travalicando in quella civile. Peraltro, “la clausola “fatti salvi i diritti dei terzi”, da un punto d vista generale e secondo l’interpretazione dell’atto amministrativo alla stregua dei canoni civilistici, potrebbe operare addirittura come condizione risolutiva dell’atto amministrativo espansivo di facoltà dei privati, comportandone ipso facto l’inefficacia, ove la lesione dei diritti dei terzi sia accertata da sentenza passata in giudicato”.
1.3. Si è costituito in giudizio il Comune di […], che ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità dell’appello, laddove vengono formulaste censure del tutto nuove rispetto al ricorso instaurativo del giudizio di I grado.
In particolare, viene dedotta l’illegittimità della Scia “in relazione a pretese carenze di standard urbanistici, alla mancanza del nulla osta delle Ferrovie dello Stato e al contrasto con il Regolamento edilizio del Comune di […], censure queste mai proposte o prospettate né nella diffida stragiudiziale prot. n. […]/2016, né nel ricorso di I grado.
Il Comune di […] ha comunque concluso richiedendo il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.
1.4. Si è altresì costituita in giudizio la società […], che ha anch’essa concluso per il rigetto dell’appello.
1.5. Dopo il deposito di ulteriori memorie, all’udienza di trattazione in camera di consiglio, la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

2. L’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata, con le precisazioni di seguito esposte.
2.1. Al fine di meglio chiarire il thema decidendum appare opportuno precisare, in punto di fatto, che il presente giudizio trae origine dalla diffida presentata da […] al Comune di […] in data […] 2016, con la quale gli stessi diffidavano il Funzionario responsabile dell’area urbanistica del suddetto Comune “all’assunzione dell’immediato provvedimento di sospensione del titolo abilitativo per silenzio rilasciato, in uno alla revoca dell’attestato prot. n. […] del 3 dicembre 2015, essendo stato reso su inesistenti presupposti”.
I signori […] fondavano la propria diffida (in particolare alla emanazione di provvedimento di sospensione) su due argomentazioni:
– la prima, consistente nell’affermare che “l’amministrazione comunale avrebbe dovuto subordinare il rilascio dell’assenso edilizio a specifica autorizzazione di assenso dei comproprietari”;
– la seconda, consistente nel rilievo che “la richiesta di assenso edilizio non è stata corredata dalla indicazione delle autorizzazioni ottenute e contemplate dalla normativa di settore, così come previsto dal DPR 542/1994; in particolare non sono stati esplicitati appropriatamente natura e caratteristiche dell’impianto di RM da attivare e dunque della tipologia di assenso preventivo di cui si doveva già essere in possesso per la localizzazione dell’impattante impianto di sfiato”
Per maggior chiarezza, giova precisare:
– che l’attività edilizia contestata con la diffida era oggetto non già di un provvedimento amministrativo implicito (o per silentium), bensì di una Scia del 19 dicembre 2014 n. […], integrata con comunicazione 29 settembre 2015 n. […] e con trasmissione di documentazione integrativa in data 19 ottobre 2015 n. […];
– che l’attestato oggetto della richiesta di revoca certificava la presentazione della Scia e delle integrazioni alla medesima innanzi indicate, nonché l’assenza di provvedimenti sospensivi dell’efficacia della Scia dalla sua presentazione e fino alla data di emissione dell’attestato.
Stante il silenzio serbato dall’amministrazione sulla diffida 23 febbraio 2016, i signori […] (firmatari della diffida), nonché […], proponevano ricorso giurisdizionale per la declaratoria di illegittimità del silenzio, deciso poi dalla sentenza impugnata nella presente sede.
Oggetto, dunque, del presente giudizio, per il tramite della sentenza impugnata, è il silenzio serbato dall’amministrazione su quanto richiesto con diffida del 23 febbraio 2016, vale a dire l’adozione di un provvedimento di sospensione “del titolo abilitativo per silenzio rilasciato” e la revoca dell’attestato 3 dicembre 2015.
2.2. Tanto precisato, occorre ricordare che l’ambito del giudizio avverso il silenzio è definito:
– sul piano soggettivo, con riferimento ai soggetti che hanno presentato l’istanza rimasta insoddisfatta a causa del silenzio dell’amministrazione, e dunque titolari della legittimazione ad agire;
– sul pano oggettivo, dal provvedimento richiesto con l’istanza ed in ordine al quale l’amministrazione non ha esercitato il relativo potere, nemmeno in senso negativo.
Quanto al piano soggettivo, è appena il caso di osservare (poichè il punto non è stato trattato nella sentenza impugnata né ha formato motivo di appello) che, a fronte di tre soggetti presentatori della diffida, il ricorso instaurativo del giudizio di I grado ed il presente appello risultano proposti da cinque soggetti, per due dei quali sarebbe discutibile la sussistenza della legittimazione ad agire.
Quanto al piano oggettivo è da rilevare che il provvedimento di sospensione – in ordine alla mancata adozione del quale è attivato il presente giudizio – deve essere inteso (in applicazione di un favor interpretativo per i ricorrenti) come riferito alla Scia, non sussistendo, nel caso di specie, alcun “titolo abilitativo per silenzio rilasciato” (e, dunque, prescindendosi dal rilevare che ben avrebbe potuto il Comune ritenere la diffida presentata tamquam non esset, per mancanza di oggetto).
In definitiva, l’eventuale silenzio inadempimento dell’amministrazione deve essere verificato solo con riguardo ai due tipi di atto sollecitati con l’istanza e con riferimento ai presupposti indicati per l’adozione degli atti medesimi.
Ne consegue che ogni ulteriore valutazione esplicitata in giudizio – sia per il tramite del ricorso instaurativo del giudizio sia per il tramite dell’appello – è da considerarsi del tutto estranea al thema decidendum.
Tanto precisato, può prescindersi dall’eccezione di inammissibilità proposta dal […], attesa altresì la infondatezza dell’appello.
3. Il giudizio sul silenzio, attivato in primo grado dagli attuali appellanti, attiene a quanto previsto, in tema di Scia, dall’art. 19, co. 6-ter della legge 7 agosto 1990 n. 241, il quale, nel precisare che “la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili”, afferma altresì che gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1 e 2” del Cpa.
3.1. Come è noto, l’art. 31 Cpa prevede che “decorsi i termini per a conclusione del procedimento amministrativo, e negli altri casi previsti dalla legge, chi vi ha interesse può chiedere l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere”.
Come la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha avuto modo di chiarire, il giudizio sul cd. silenzio inadempimento della pubblica amministrazione presuppone, innanzi tutto, che si verta in tema di tutela di interessi legittimi, non potendo il giudizio afferire, sia pure mediatamente, alla tutela di posizioni di diritto soggettivo, in tal modo aggirandosi i limiti di giurisdizione del giudice amministrativo (Cons. Stato, sez. III, 22 giugno 2018 n. 3858); sez. V, 8 maggio 2018 n. 2751 e 6 febbraio 2017, n. 513).
La sussistenza delle condizioni dell’azione in capo al soggetto che instaura il giudizio in oggetto deve, dunque, essere verificata in relazione alla titolarità di una posizione di interesse legittimo (pretensivo), tale da avergli consentito l’attivazione di un procedimento amministrativo non conclusosi nel termine previsto mediante l’adozione di alcun provvedimento espresso (ovvero non essendo prevista l’ipotesi di cd. silenzio assenso ex art. 20 l. n. 241/1990).
3.2. Più specificamente, nel caso previsto dall’art. 19, co.6-ter, l. n. 241/1990 – non avendo il legislatore inteso introdurre una speciale forma di giudizio sul silenzio inadempimento riferito alla tutela di diritti soggettivi – ciò che fonda la sussistenza delle condizioni dell’azione è la titolarità di una posizione giuridica che legittimi l’istante a chiedere all’amministrazione la verifica delle condizioni che consentono di edificare in base a Scia, in relazione al pregiudizio che egli può ricevere da detta attività.
Tale posizione giuridica – sulla quale si fonda la facoltà di richiedere all’amministrazione gli accertamenti previsti – è di interesse legittimo (pena, come si è detto, lo “sconfinamento” nell’ambito della giurisdizione del giudice ordinario), il che comporta che ogni accertamento richiesto deve concernere aspetti inerenti all’interesse pubblico (violato) in materia di edilizia e urbanistica, non già la (eventuale) violazione di norme afferenti alla tutela del diritto dominicale o simili (se non in quanto la violazione di norme “civilistiche” e/o afferenti alla regolamentazione di rapporti tra privati non rilevi innanzi tutto dal punto di visto della tutela dell’interesse pubblico, risolvendosi, ma solo indirettamente, anche in una tutela obiettiva di diritti soggettivi).
Inoltre, l’accertamento della illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione presuppone, come tradizionalmente chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, la sussistenza di un obbligo di provvedere violato o eluso dall’amministrazione medesima (Cons. Stato, sez. V, 11 giugno 2018 n. 3598; sez. IV, 7 giugno 2017 n. 2751; sez. VI, 27 dicembre 2017 n. 4525).
Nel caso dell’attivazione del sindacato giurisdizionale sul silenzio serbato dall’amministrazione sull’istanza di verifica proposta ai sensi dell’art. 19, co. 6-ter cit., l’obbligo di verifica dell’amministrazione concerne i soli aspetti di illegittimità segnalati dall’istante, e nei limiti in cui detti aspetti riguardino una violazione di norme che, poste a tutela dell’interesse pubblico in materia edilizia e urbanistica, comportino (anche) una lesione di posizioni di interesse legittimo.
Inoltre, tale obbligo di verifica – così come generalmente affermato dalla giurisprudenza amministrativa in ordine ai presupposti per la sussistenza dell’illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione – non può ritenersi violato le volte in cui l’istanza proposta sia manifestamente infondata o costituisca defatigatoria riproposizione di precedente istanza già in precedenza respinta (Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 2017 n. 2751).
Diversamente opinando (e cioè scollegando la tutela offerta dalla verifica dell’interesse dell’istante e, successivamente, delle condizioni dell’azione in capo al medesimo nella veste di ricorrente), l’istanza di verifica di cui all’art. 19, co. 6-ter, lungi dall’essere lo strumento (unico) di tutela offerto al privato avverso la Scia innanzi al giudice amministrativo (Cons. Stato, sez. IV, 6 ottobre 2017 n. 4659), finirebbe con il risolversi in una “denuncia” non meglio qualificata avverso presunti “abusi edilizi” da accertare.
D’altra parte, così come non sussiste un obbligo di provvedere coercibile in capo all’amministrazione riferito alla generica istanza di attivazione dei propri discrezionali poteri di autotutela, e dunque non sussiste in questi casi il conseguente silenzio inadempimento (Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 2017 n. 2751), allo stesso modo non può sussistere un obbligo di verifica “generale” dell’attività edilizia intrapresa in base a Scia da parte dell’amministrazione sulla base dell’istanza ex art. 19, co. 6-ter.
Tale obbligo sussiste solo per quegli aspetti che, collegandosi alla tutela procedimentale di posizioni soggettive di interesse legittimo, distinguono l’istante – in tal modo “qualificandolo” – dalla posizione di mero denunciante.
3.3. Ovviamente, nulla vieta all’amministrazione di verificare, con riferimento ai presupposti e limiti previsti dall’ordinamento, la regolarità di quanto sia in corso di realizzazione in base a Scia, ma ciò a tutta evidenza prescinde da quanto previsto dall’art. 19, co. 6-ter l. n. 241/1990 e dal rapporto che si instaura sulla base di detta norma tra pubblica amministrazione e privato istante.
Allo stesso tempo, laddove l’attività edilizia realizzata o in corso di realizzazione in base a Scia violi norme regolatrici dei rapporti tra privati, quale che ne sia la fonte (pubblicistica, contrattuale, etc.), il privato che si ritenga leso ben potrà esercitare il proprio diritto alla tutela giurisdizionale innanzi al giudice ordinario, nei limiti previsti dall’ordinamento.
4. Alla luce delle considerazioni innanzi esposte, appare evidente come non sussiste alcun obbligo di provvedere dell’amministrazione in ordine ad una istanza volta a sollecitarne l’esercizio dei poteri di autotutela della medesima su una propria precedente certificazione. Ciò in quanto:
– per un verso, non è configurabile il potere di autotutela decisionale in ordine agli atti che costituiscono l’oggetto di precedente esercizio di potere certificativo (presupponendo il potere di autotutela il previo esercizio di un potere costitutivo dell’amministrazione);
– per altro verso, ove anche – per mera ipotesi argomentativa – fosse configurabile l’esercizio del potere di autotutela, in ordine all’istanza che ne sollecita l’esercizio, non sussiste – come si è detto – obbligo di provvedere;
– per altro verso ancora, non sussiste, nel caso di specie, alcun titolo od interesse del privato a che l’amministrazione intervenga in rettifica di attestazione di fatti obiettivamente verificatisi e riscontrati.
Né è dato comprendere, contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti, come l’attestato del quale si è richiesta la revoca e/o l’annullamento possa “compenetrare” l’assenso ricevuto, non presupponendo la disciplina della Scia alcun “assenso” (espresso o implicito) dell’amministrazione, né potendo tale assenso minimamente configurarsi con riferimento ad una mera asseverazione di scienza su fatti effettivamente verificatisi.
Da quanto esposto consegue il rigetto del relativo motivo di appello (sub lett. a2) dell’esposizione in fatto).
5. Altrettanto infondati sono gli ulteriori motivi di appello.
5.1. Si sono già innanzi esposti i limiti entro i quali l’accertamento delle norme civilistiche poste a tutela dei diritti soggettivi (e, più specificamente, dominicali) del privato possa rilevare ai fini dell’esercizio dei poteri della pubblica amministrazione.
Giova ulteriormente distinguere (anche con riferimento alle norme afferenti ai diritti reali sul bene oggetto di intervento) tra verifica della sussistenza della legittimazione a richiedere il titolo edilizio e verifica del rispetto della normativa civilistica lato sensu inerente al bene oggetto della richiesta e a quanto si intende realizzare sullo stesso.
5.2. Quanto al primo aspetto, la giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di osservare (Con. Stato, sez. VI, 22 settembre 2014 n. 4776; sez. IV, 25 settembre 2014 n. 4818), che il permesso di costruire può essere rilasciato non solo al proprietario dell’immobile, ma a chiunque abbia titolo per richiederlo (così come previsto dall’art. 11, co. 1, DPR n. 380/2001), e tale ultima espressione va intesa nel senso più ampio di una legittima disponibilità dell’area, in base ad una relazione qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso del proprietario.
Si è precisato, inoltre, che, “il Comune, prima di rilasciare il titolo, ha sempre l’onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando che questi sia il proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria” (Cons. Stato, sez. IV, n. 4818/2014 cit.; in senso conforme, sez. V, 4 aprile 2012 n. 1990).
Quanto ora esposto (ed il concetto di “sufficienza” riferito al titolo, elaborato dalla giurisprudenza) comporta, in generale, che è onere del Comune ricercare la sussistenza di un titolo (di proprietà, di altri diritti reali, etc.) che fonda una relazione giuridicamente qualificata tra soggetto e bene oggetto dell’intervento, e che dunque possa renderlo destinatario di un provvedimento amministrativo autorizzatorio; ma non comporta anche che l’amministrazione debba comprovare prima del rilascio (ciò mediante oneri di ulteriore allegazione posti al richiedente o attraverso propri approfondimenti istruttori), la “pienezza” (nel senso di assenza di limitazioni) del titolo medesimo.
Ed infatti, ciò comporterebbe, in sostanza, l’attribuzione all’amministrazione di un potere di accertamento della sussistenza (o meno) di diritti reali e del loro “contenuto” non ad essa attribuito dall’ordinamento.
5.3. Quanto al secondo aspetto, la giurisprudenza amministrativa ha affermato che, in sede di esame dell’istanza volta al rilascio di un titolo edilizio, l’amministrazione non deve verificare ogni aspetto civilistico che potrebbe venire in rilievo, ma deve vagliare esclusivamente i profili urbanistici ed edilizi connessi al titolo richiesto (Cons. Sato, sez. IV, 23 maggio 2016 n. 2116).
Si è, in particolare, ricordato che il permesso di costruire non incide sulla titolarità della proprietà o di altri diritti reali relativi agli immobili realizzati per effetto del suo rilascio, né tantomeno pregiudica la titolarità o l’esercizio di diritti relativi ad immobili diversi da quelli oggetto d’intervento (Cos. Stato, sez. VI, 27 aprile 2017 n. 1942).
Con particolare riguardo all’istanza di titolo ad edificare sulla cosa comune si è affermato:
“ogni questione in ordine agli eventuali limiti dell’esercizio in concreto del diritto del comproprietario (ivi compreso quanto inerisce all’uso della cosa comune, ex art. 1102 c.c.) esula dalle valutazioni dell’amministrazione, nei casi in cui l’immobile considerato non sia oggetto “diretto” del titolo edificatorio, nel senso che attraverso quest’ultimo si realizza una trasformazione dell’immobile, sia attraverso la realizzazione di una volumetria su di esso insistente, sia attraverso la realizzazione di altre opere che ne trasformino in modo decisivo caratteristiche e destinazioni del bene ovvero che incidano su pattuizioni tra i comproprietari in ordine all’uso del medesimo . . . Ovviamente, in ordine a tali aspetti, resta ferma la tutela dei diritti reali assicurata dal giudice ordinario, ma ciò . . . non può condizionare l’esercizio del potere autorizzatorio in materia edilizia della Pubblica Amministrazione, al punto da rendere illegittimo il permesso di costruire rilasciato”.
5.4. E’ alla luce delle considerazioni innanzi esposte che deve essere interpretata l’espressione “fatti salvi eventuali diritti dei terzi”, o simili, che normalmente compare nei provvedimenti autorizzatori in materia edilizia.
Con tale espressione si intende circoscrivere l’ambito di efficacia del provvedimento autorizzatorio in materia edilizia.
Si intende cioè ribadire che il provvedimento amministrativo, rilasciato ad un soggetto che è titolare di una situazione qualificata di giuridica relazione con il bene oggetto di intervento, autorizza un intervento di trasformazione del territorio che è compatibile con l’assetto edilizio ed urbanistico previsto per il medesimo ed è, dunque, in tale ordine e limiti, legittimo.
Tale provvedimento inerisce, quanto all’oggetto della istanza presentata, al rapporto pubblicistico tra soggetto richiedente e pubblica amministrazione in esercizio del potere autorizzatorio edilizio. Al tempo stesso, tale provvedimento non incide (perché “non può” incidere) sui distinti rapporti giuridici tra privati, che restano dallo stesso del tutto impregiudicati.
Il che comporta che quanto autorizzato, se non costituisce illecito dal punto di vista amministrativo (proprio per le stesse ragioni per cui risulta autorizzabile), ben può costituire illecito civile, in quanto incidente su una sfera di rapporti cui la Pubblica Amministrazione è (e deve rimanere) estranea.
Ne consegue che eventuali limitazioni alle facoltà e poteri del proprietario (o del comproprietario), sia riferite alla “piena” titolarità del suo diritto, sia al concreto esercizio dello jus aedificandi in relazione a diritti di terzi, per un verso esulano dal piano della “legittimità” del provvedimento amministrativo, per altro verso restano da questo impregiudicate e quindi soggetti terzi che intendono tutelarsi ben potranno farlo, a prescindere dall’atto amministrativo, innanzi al giudice ordinario.
In definitiva, se il provvedimento autorizzatorio edilizio, quanto al suo ambito di efficacia, è estraneo ai rapporti interprivati, (non potendoli condizionare, limitare o comunque su di essi incidere), è del tutto evidente che una violazione delle norme regolatrici di tali rapporti non può rilevare come vizio di legittimità dell’atto.
5.5. Quanto ora affermato con riferimento al provvedimento autorizzatorio edilizio che l’amministrazione è chiamata a (eventualmente) rilasciare su istanza del privato, a maggior ragione deve essere ribadito nel caso di attività edilizia che si intende realizzare in base a Scia.
In questo caso, l’art. 19, co. 6-ter l. n. 241/1990 ha tenuto ad escludere che la Scia costituisca provvedimento amministrativo, anche tacito.
Il che comporta che l’attività edilizia che il privato intende realizzare si svolge su un piano dove non è previsto l’esercizio di poteri amministrativi e, dunque, a maggior ragione, è estranea alla Pubblica Amministrazione ogni verifica della sussistenza delle condizioni che legittimano ad essere destinatari di un titolo edilizio.
Si intende affermare che, in conseguenza della ricostruzione dell’istituto offerta dall’art. 19 l. n. 241/1990, ogni questione relativa alla titolarità del bene oggetto di intervento attiene direttamente ai rapporti tra privati, non essendo configurabile, per le ragioni esposte, alcun coinvolgimento (neanche “mediato”, cioè nei limiti di verifica dei presupposti ad essere destinatario di un provvedimento amministrativo) della Pubblica Amministrazione.
Ne consegue che ciò che il privato può richiedere, per il tramite dell’istanza di cui all’art. 19, co. 6-ter l.n. 241/1990, e nei limiti del suo interesse ad agire, è solo la verifica obiettiva della compatibilità di quanto si intende realizzare con la disciplina urbanistica ed edilizia applicabile al caso di specie.
Ma il privato non può certo richiedere all’amministrazione di verificare – in capo al soggetto che agisce sulla base di una Scia – la sussistenza delle condizioni perché questi possa essere destinatario di un titolo edilizio ex art. 11 DPR n. 380/2001, proprio perché il medesimo articolo esclude che la Scia possa essere ricondotta ad un provvedimento amministrativo.
6.1. Nel caso di specie, come si è già detto, la verifica richiesta all’amministrazione (e, dunque, l’emanazione da parte della medesima di un provvedimento di sospensione degli effetti della Scia), concerneva, in primo luogo, la necessità di verificare la sussistenza dell’assenso dei comproprietari.
Ma tale verifica, per le ragioni innanzi esposte, non può essere richiesta alla Pubblica Amministrazione, a maggior ragione nel caso di una attività edilizia intrapresa sulla base di una Scia:
– sia in quanto essa afferisce alla natura dei rapporti tra comproprietari (ed ai limiti di uso della cosa comune) e coinvolge quindi diritti soggettivi, come tali esulanti l’ambito del giudizio sull’illegittimità del silenzio;
– sia in quanto la tematica della legittimazione ad essere destinatari di un titolo edilizio ex art. 11 DPR n. 380/2001 è estranea alla Scia ed ai poteri di verifica su di essa della Pubblica Amministrazione.
E’ in questo senso che deve essere intesa la sentenza impugnata, laddove essa afferma l’inammisibilità del ricorso “per essere stato chiesto l’esercizio di poteri in autotutela da parte dell’Ente, in materia sottratta alla sfera di competenza giurisdizionale del G.A.”.
6.2. Altrettanto priva di rilevanza, ai fini edilizi, è la richiesta di verifica della sussistenza delle autorizzazioni previste dal DPR n. 542/1994 per gli impianti RM (risonanza magnetica).
Le autorizzazioni previste dal DPR 8 agosto 1994 n. 542 (Regolamento recante norme per la semplificazione del procedimento di autorizzazione all’uso diagnostico di apparecchiature a risonanza magnetica nucleare sul territorio nazionale), relative alla “collocazione” delle stesse (v. in particolare, art. 4), attengono ad aspetti di programmazione della assistenza sanitaria ovvero alle caratteristiche dell’apparecchio, aspetti che non interferiscono con le diverse valutazioni proprie dell’amministrazioni sotto il profilo urbanistico-edilizio.
6.3. In definitiva, in presenza di una istanza presentata ai sensi dell’art. 19, co. 6-ter l. n. 241/1990, fondata su presupposti chiaramente non afferenti la materia edilizia, l’amministrazione non aveva alcun obbligo di provvedere e, conseguentemente, il silenzio dalla stessa serbato non è qualificabile come illegittimo inadempimento.
7. Per tutte le ragioni sin qui esposte, l’appello deve essere rigettato […]