Consiglio di Stato, Sez. Quinta, Sentenza n. 4470 del 2013, pubbl. il 09/09/2013

[…]

FATTO

1. Con il ricorso di primo grado l’odierno appellante proponeva impugnazione avverso l’ordinanza n. [..] in data […]2001, e le note di contestazione di occupazione abusiva prot. […] in data […]2001 e prot. […] in data […]2001, adottate dal Comune […]. L’amministrazione comunale, infatti, accertata la presenza, su un terreno di proprietà comunale in prossimità della […] e sull’antistante terreno demaniale statale della sponda del […], sottoposti a vincolo paesistico, di manufatti abusivi, con ordinanza n. […] in data […]2001 ne ordinava al ricorrente la demolizione. Inoltre, con nota prot. […] in data […]2001, configurata l’occupazione dell’area suddetta come abusiva, veniva imposto al ricorrente il pagamento della somma complessiva di lit. 5.022.220, per canone maggiorato e sanzione amministrativa, ai sensi degli artt. 17 e 32 del regolamento comunale per la concessione in uso di spazi ed aree pubbliche. Infine, accertata a seguito del rilevamento topografico l’esatta estensione dell’occupazione abusiva (per mq 84, anziché mq 48,90), con nota prot. 35985 in data 22 novembre 2001 veniva imposto al ricorrente il pagamento della somma di lit. 8.592.780.

1.1. Avverso i suindicati atti insorgeva […], proponendo ricorso davanti al Tribunale amministrativo per l’Umbria.

2. La sentenza oggetto di gravame respingeva il ricorso sulla scorta dei seguenti motivi: 1) in ordine alla mancata comunicazione dell’avvio del procedimento prima dell’adozione dell’ingiunzione a demolire, il primo Giudice rileva che il ricorrente aveva avuto notizia dell’avvio del procedimento sanzionatorio mediante il sopralluogo effettuato dalla Polizia Municipale in data […] (cfr. verbale prot. […] in data […]2001) e già in quella sede gli era chiesto, se fosse in possesso di eventuali autorizzazioni, ed egli aveva avuto modo di prospettare le proprie considerazioni in ordine all’epoca di realizzazione ed all’utilizzazione dei manufatti oggetto dell’ordinanza di ripristino. Per quanto concerne, poi, le note di contestazione dell’occupazione abusiva, è vero che la prima di esse è intervenuta senza che previamente fosse mai stato espressamente contestato al ricorrente oltre che la natura abusiva dei manufatti, anche l’omesso pagamento del canone concessorio per l’area comunale, tuttavia detta nota ha determinato nel ricorrente una adeguata conoscenza del procedimento attivato, consentendogli di svolgere ogni opportuna partecipazione. Cosicché, la seconda nota – che sostituisce la prima, assorbendone integralmente gli effetti – non richiedeva alcuna ulteriore comunicazione preventiva; 2) è inconferente ogni considerazione sulla rilevanza paesistica degli interventi di manutenzione che il ricorrente assume di essersi limitato ad effettuare; 3) l’adozione dell’ordine di demolizione di opere edilizie abusive discende soltanto dalla constatata loro realizzazione in assenza o in difformità dalla concessione, con la conseguenza che, nella sussistenza di tale presupposto, il provvedimento costituisce atto dovuto ed è sufficientemente motivato con l’affermazione dell’accertata abusività del manufatto, essendo “in re ipsa” l’interesse pubblico alla sua rimozione, anche quando la sanzione sia adottata a distanza di anni dalla realizzazione dell’abuso. Mentre, un eventuale obbligo di motivazione risiede nella realizzazione del manufatto a lunga distanza di tempo dai provvedimenti sanzionatori, ma il ricorrente non ha fornito una simile prova; 4) nessuna tutela può vantare il ricorrente per effetto della proprietà statale del manufatto esistente sul terreno concesso, che non è mai stato compreso nella concessione. Senza contare che la concessione è scaduta due giorni dopo l’emanazione dell’ordinanza di ripristino e non risulta essere stata presentata una istanza di rinnovo. Riguardo al manufatto su terreno comunale, resta da precisare che nessuna disposizione di legge fonda l’acquisto della proprietà del terreno a favore del privato realizzatore di un manufatto abusivo su suolo pubblico. D’altro canto, l’art. 936 cod.civ., invocato dal ricorrente, disciplina le opere fatte da un terzo con materiali propri su fondo altrui e limita temporalmente la possibilità per il proprietario del suolo di obbligare il realizzatore alla rimozione. Tale limitazione rappresenta un criterio di composizione dei contrasti di tipo prettamente civilistico e non può operare nei confronti del Comune proprietario del terreno, il quale viceversa è tenuto in ogni caso, con i soli limiti relativi alla ponderazione degli interessi sopra ricordati, a sanzionare l’abusiva realizzazione.

3. In data 14 luglio 2002 […] ha notificato atto d’appello, con il quale ha contestato la correttezza della pronuncia gravata, ritenendola erronea per le seguenti ragioni: a) dal sopralluogo della polizia municipale poteva desumersi, che fosse in corso un procedimento amministrativo volto all’adozione di un provvedimento sanzionatorio e non demolitorio, quindi, sarebbe erronea la sentenza nella parte in cui non ha favorevolmente apprezzato la censura di legittimità in ordine all’omesso avviso di avvio; b) sarebbe erronea la sentenza nella parte in cui non ha fatto corretta applicazione dell’art. 152, d.lgs., n. 490/99; c) la pronuncia de qua non avrebbe operato una corretta ricostruzione fattuale nella parte in cui non ha ritenuto provato che vi fossero in relazione al bene oggetto di provvedimenti impugnati utenze sin dal 1980. Ed, in ogni caso ha sottovalutato la circostanza che, per ritenere fondate le censure di legittimità esposte sarebbe stato sufficiente prendere atto della sua esistenza dal 1994 al 2001; d) a riprova dell’assenza del carattere abusivo delle opere sarebbe sufficiente osservare che nella concessione si faceva riferimento alla circostanza che eventuali opere realizzate sarebbero devolute nella proprietà del comune. In ogni caso, sarebbe applicabile l’art. 936 c.c. per mancata opposizione del comune nei successivi sei mesi.

3.1. In via istruttoria l’appellante ha avanzato richiesta di acquisizione di documenti (contratti originari di elettricità, gas, e acquedotto), nonché richiesta di acquisizione di testimoni e relazione della Guardia Fluviale.

4. In data 11 febbraio 2003 l’amministrazione appellata ha depositato memoria di costituzione, esponendo le proprie difese: 1) il sopralluogo sostituirebbe l’avviso di avvio del procedimento atteso che tra le conseguenze sanzionatorie dell’accertamento vi è anche la demolizione; 2) l’art. 152, d.lgs. n. 490/1999, non sarebbe applicabile, perché non si tratta di attività di manutenzione, ma di ampliamento e modifica che obbligano a richiedere apposita concessione e il parere delle autorità preposte; 3) non sarebbe vero che il manufatto esiste dal 1980, tanto che il parere favorevole all’allacciamento del metano è del 2000 e le fotocopie di bollette sono del 2001. Inoltre l’appellante sarebbe mero detentore, situazione che decorre del 1994, quindi, non potrebbe invocare situazioni anteatte, invocando un’aspettativa che al più, se si può ingenerare in capo al detentore va dal 1994. Sarebbe irrilevante che il p.r.g. non abbia tenuto conto di opere che restano comunque illecite, anche se il p.r.g. non ne accerti la presenza; 4) sarebbe irrilevante la concessione nella parte in cui fa riferimento alla possibilità di realizzare opere che non possono comunque prescindere dai necessari atti autorizzatori. Non potrebbe comunque applicarsi l’art. 936 c.c., non essendo l’appellante per sua stessa ammissione l’originario edificatore. Inoltre il termine di opposizione di sei mesi decorre dalla notizia e non vi sarebbe prova del decorso a danno dell’amministrazione comunale del decorso del suddetto termine atteso che la stipulazione dei contratti per la fornitura di energia elettrica, acqua e gas non intercorre con l’amministrazione appellata; 5) anche se l’appellante non è responsabile dell’abuso edilizio, potrebbe risultare destinatario dell’ordine di demolizione, perché lo occupa.

4.1. Infine, l’appellata si è opposta alle istanza istruttorie avanzate dal […].

5. All’udienza del 2 luglio 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato e va respinto, trovando piena conferma le ragioni a sostegno della sentenza di primo grado.

2. Circa la censura con la quale l’appellante lamenta la mancata adozione dell’avviso di avvio del procedimento a monte dell’ordinanza di demolizione, occorre ribadire che la partecipazione procedimentale dell’interessato deve essere assicurata o attraverso l’invio della comunicazione di avvio del procedimento o attraverso un suo effettivo coinvolgimento nell’attività istruttoria che caratterizza la tipologia procedimentale in questione. Nel caso in questione l’adozione dell’ordine di demolizione è subordinato all’accertamento del carattere abusivo delle opere, desumibile sulla base di accertamenti tecnici. Pertanto, ciò che appare necessario è che al privato sia data la possibilità di partecipare a quelle attività di rilevamento fattuale che preludono alla valutazione circa l’adozione dell’ordine di demolizione. Il contraddittorio sulle prime esclude che l’attività istruttoria dell’amministrazione si sottragga al contraddittorio con l’amministrato e che quest’ultimo, avvisato di fatto dell’avvio dell’iter procedimentale, possa utilizzare tutte le altre facoltà di accesso infraprocedimentale, di impulso istruttorio, di dialettica per iscritto, che gli consentono di tutelare la propria posizione di interesse legittimo. Del resto, accertato l’abuso, la disciplina dell’art. 14, l. 47/1985, impone l’adozione dell’ordine di demolizione (cfr. Cons. St., Sez. IV, 12 aprile 2011, n. 2266). Nella controversia in esame l’appellante è stata reso edotto della presenza di un procedimento teso ad accertare la presenza di un abuso edilizio in costanza del sopralluogo effettuato dalla Polizia Municipale in data 2 maggio 2001 (cfr. verbale prot. […] in data […]2001) e già in quella sede gli era chiesto, se fosse in possesso di eventuali autorizzazioni, ed egli aveva avuto modo di prospettare le proprie considerazioni in ordine all’epoca di realizzazione ed all’utilizzazione dei manufatti oggetto dell’ordinanza di ripristino. Inoltre, la seconda nota di contestazione dell’occupazione abusiva, che confermava la prima, era da quest’ultima preannunciata a guisa di avviso della presenza di un procedimento sanzionatorio in capo all’appellante. Pertanto, non si riscontra lesione alcuna dei diritti partecipativi del […], essendo stato quest’ultimo sempre in grado di interloquire con l’amministrazione prima dell’adozione dei provvedimenti recanti gli effetti lesivi della sua sfera giuridica.

3. Del tutto erroneo è il richiamo da parte dell’appellante del regime contenuto nell’art. 152 d.lgs. 490/1999, secondo il quale: “Non è richiesta l’autorizzazione prescritta dall’articolo 151 (autorizzazione ad alterare beni ambientali):

a) per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici;…” La norma in questione si applica solo laddove gli interventi non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici (Cass. pen., Sez. III, 3 marzo 2003, n. 9519), circostanza che nella fattispecie non ricorre, stante la consistenza degli abusi accertati.

4. Infondata appare anche l’ulteriore censura con la quale l’appellante pone l’accento sul decorso temporale tra la realizzazione del manufatto abusivo ed il momento di adozione del provvedimento sanzionatorio, che avrebbe dovuto trovare congrua valutazione in sede motivazionale. A tal fine l’appellante insiste nell’invocare un supplemento istruttorio in sede d’appello. La richiesta istruttoria appare inutile, atteso che a fronte della motivazione in re ipsa che incontra l’ordine di demolizione all’esito dell’accertamento dell’abuso, il lasso temporale che fa sorgere l’onere di una motivazione rafforzata in capo all’amministrazione non è quello che intercorre tra il compimento dell’abuso ed il provvedimento sanzionatorio. Ma quello che intercorre tra la conoscenza da parte dell’amministrazione dell’abuso ed il provvedimento sanzionatorio adottato. In mancanza di conoscenza dell’illecito da parte dell’amministrazione non può consolidarsi in capo al privato alcun affidamento giuridicamente apprezzabile, il cui sacrificio meriti di essere adeguatamente apprezzato in sede motivazionale. Nella fattispecie l’appellante risulta detentore solo a partire dal 1994, pertanto, non può comunque invocare un affidamento per un periodo temporale antecedente, mentre non vi è prova che l’amministrazione fosse a conoscenza dell’abuso come accertato nel sopralluogo del 2001 prima di quella data. Né l’appellante offre un principio di prova che possa essere integrato attraverso un soccorso istruttorio da parte dell’odierno giudicante.

5. Anche le ultime doglianze con le quali si fa leva sul contenuto della concessione per invocare tutela in ordine al manufatto realizzato su demanio dello Stato e l’art. 936 c.c. in relazione al manufatto su terreno comunale sono del tutto destituite di fondamento. Quanto alla prima, è agevole osservare come anche a non voler ritenere, e non si vede come, corrette le argomentazioni offerte dal primo Giudice secondo le quali: “Nessuna tutela può vantare il ricorrente per effetto della proprietà statale del manufatto esistente sul terreno concesso, che non è mai stato compreso nella concessione. Senza contare che la concessione è scaduta due giorni dopo l’emanazione dell’ordinanza di ripristino e non risulta essere stata presentata una istanza di rinnovo”, va in ogni caso escluso che il provvedimento concessorio potesse derogare all’obbligo di munirsi dei necessari atti autorizzatori.

5.1. In ordine, invece, alla presunta operatività dell’art. 936 c.c., va evidenziato come la norma in questione regoli i rapporti privatistici e non influisca sul potere di vigilanza edilizia assegnato all’ente comunale. Pertanto, il limite temporale di sei mesi alla rimozione delle opere realizzate dal terzo con propri materiali su fondo altrui non può interferire con le altre azioni giurisdizionali (Cass. civ., Sez. II, 10 febbraio 1984, n. 1018; Id., 26 febbraio 1993, n. 2455) o gli altri strumenti giuridici tra i quali i quali i provvedimenti edilizi sanzionatori deputati a perseguire fini differenti da quelli presi di mira dalla norma in questione. In questo senso merita di essere ricordata la massima espressa da Cass., civ., Sez. II, 15 dicembre 2008, n. 29340, secondo la quale: “Deve escludersi il riconoscimento dell’indennizzo, richiesto ex art. 936 cod. civ. nei confronti della P.A., da parte di chi abbia costruito illecitamente un’opera edilizia nel vigore della legge n. 47 del 1985 su suolo pubblico, senza, neanche, avere successivamente provveduto al versamento degli oneri dovuti al fine di ottenere la sanatoria, in quanto l’applicazione dell’art. 14 della legge n. 47 del 1985, che impone la demolizione dell’opera abusiva realizzata su suolo pubblico e il ripristino dello stato dei luoghi ad opera del sindaco, esclude che l’Amministrazione proprietaria possa esercitare la scelta della ritenzione dell’incorporazione, così come prevista, per le ipotesi di costruzioni non abusive, nell’art. 936 secondo comma cod. civ.”, per porre nella giusta relazione la disciplina di cui all’art. 936 c.c. e quella di cui all’art. 14, l. n. 47/1985.

6. L’appello deve essere conseguentemente respinto […]