Consiglio di Stato, Sez. Sesta, Sentenza n. 180 del 2019, pubbl. il 08/01/2019

[…]

FATTO

Con l’ordinanza […]/2007 meglio indicata in epigrafe, il Comune intimato appellato ha ingiunto al ricorrente appellante di demolire, in quanto abusivo, un manufatto che si trova a […], in via […], e consiste in una costruzione delle dimensioni di circa mt. 5.50 x 5 in pianta e mt. 2,75 in altezza.

Successivamente, dato che l’immobile abusivo era rimasto al proprio posto, il Comune stesso, con l’atto […]2007 pure meglio indicato in epigrafe, ha disposto, sempre nei confronti del ricorrente appellante, la “notifica” del “verbale di inottemperanza”: in concreto, l’atto consta di un’informativa, atto […]2007 prot. n.[…], della Polizia municipale, in cui si dà atto appunto che le opere non sono state demolite, e di un atto allegato, che dichiara di notificare il predetto “verbale di sopralluogo… ai sensi e per gli effetti dell’art. 31 del D.P.R. 6 giugno 2001 n.380”, avvertendo altresì che “avverso il contenuto del presente atto è ammesso ricorso in via ordinaria al TAR” nei termini di legge (doc. 1 in I grado allegato ai motivi aggiunti).

Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha respinto il ricorso principale, proposto contro l’ordinanza di demolizione, e dichiarato inammissibili i motivi aggiunti, proposti contro l’atto 19 ottobre 2007. In motivazione, quanto al ricorso principale ha anzitutto ritenuto che per edificare il manufatto in questione si sarebbe dovuto richiedere un permesso di costruire, escludendo quindi che lo stesso si potesse considerare pertinenza; ha ancora ritenuto che non vi fossero i presupposti per irrogare una sanzione pecuniaria al posto di quella demolitoria, ed ha infine ritenuto irrilevante la mancata indicazione nell’atto dell’area da acquisire in caso di inottemperanza. Quanto ai motivi aggiunti, ha invece escluso che la nota […]2007 fosse un provvedimento lesivo autonomamente impugnabile, qualificandolo come semplice comunicazione della “verificata mancanza di spontanea esecuzione” dell’ordine di demolire (p. 5 in fine della motivazione).

Contro tale sentenza, il ricorrente ha proposto impugnazione, con appello che contiene i seguenti quattro motivi, il primo di critica al capo della sentenza impugnata che respinge il ricorso principale, i restanti di riproposizione dei motivi aggiunti di primo grado. In dettaglio:

– con il primo motivo, deduce propriamente violazione dell’art. 31 del T.U. 380/2001, nel senso che il manufatto per cui è causa non sarebbe comunque passibile di demolizione, sia perché sarebbe da considerare quale pertinenza dell’edificio principale, sia perché dovrebbe ritenersi frutto non di nuova costruzione, ma di ristrutturazione edilizia, e quindi soggetto in caso di abuso a semplice ordine di riduzione in pristino senza possibilità di acquisizione gratuita;

– con il secondo motivo, premette che l’atto […]2007 va qualificato, dato il suo tenore letterale, come vero e proprio provvedimento di acquisizione gratuita, quindi autonomamente impugnabile, e deduce violazione dell’art. 33 T.U. 380/2001, perché, per le ragioni sopra esposte nel primo motivo, la sanzione della acquisizione coattiva non sarebbe applicabile;

– con il terzo motivo, deduce ulteriore violazione dell’art. 31 T.U. 380/2001, perché a suo dire sarebbe stato nella impossibilità di ottemperare all’ordine di demolizione, dato che il bene sarebbe stato sotto sequestro;

– con il quarto motivo, deduce infine difetto di istruttoria, perché neanche nell’atto di acquisizione il Comune avrebbe indicato l’area che ne è oggetto.

Il Comune non si è costituito.

Alla pubblica udienza del giorno 20 dicembre 2018, infine, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è parzialmente fondato, nei termini di seguito spiegati.

2. Il primo motivo di appello, centrato sulla asserita qualità di pertinenza dell’opera abusiva per cui è causa, è infondato e va respinto.

2.1 L’art. 3 comma 1 lettera e) del T.U. 6 giugno 2001 n.380 definisce gli “interventi di nuova costruzione” per i quali, ai sensi del successivo art. 10 comma 1 lettera a), è richiesto il permesso di costruire, e che, in mancanza di esso, sono sanzionati con la demolizione in base all’art. 33 comma 1 che segue. In particolare, l’art. 3 comma 1 lettera e.1) definisce intervento di nuova costruzione “la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l’ampliamento di quelli esistenti all’esterno della sagoma esistente, fermo restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previsto alla lettera e.6”. A sua volta, la lettera e.6 prevede che siano nuove costruzioni “gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale”. Se ne deduce, secondo logica, che un manufatto il quale possa essere effettivamente qualificato pertinenza non richiede, di regola, il permesso di costruire.

2.2 La nozione di pertinenza ai fini urbanistici, ciò posto, è stata approfondita dalla giurisprudenza, secondo la quale, per indirizzo costante, la pertinenza in senso urbanistico si differenzia dall’omonima nozione del diritto civile: può essere qualificata pertinenza ai fini urbanistico edilizi soltanto un’opera di modesta entità, accessoria rispetto ad un’opera principale e non suscettibile di diversa utilizzazione economica rispetto al servizio a quest’ultima, opera quindi che non incide sul carico urbanistico, e non altera in modo significativo l’assetto del territorio: così per tutte C.d.S. sez. V 29 settembre 2018 n.5590, sez. VI 17 maggio 2017 n.2348 e sez. V 23 marzo 2000 n.1600. In particolare, si è escluso che costituisca pertinenza un deposito, il quale consta di volumetria aggiuntiva: sul punto specifico, C.d.S. sez. VI 5 marzo 2018 n.1391.

2.3 Applicando al caso di specie i principi sopra delineati, l’immobile per cui è causa non si può definire pertinenza. Così come affermato, e non specificamente contestato, nella sentenza di I grado, si tratta di una costruzione di volumetria non modesta, dato che ha una superficie di 27,5 mq ed un’altezza di 2,75 mt, costruzione della quale nemmeno la parte ricorrente appellante (appello, p. 6) contesta un utilizzo come deposito di materiali, se pure “eventuale e potenziale”. In tal senso, quindi, non vale a ritenere che si tratti di un semplice vano tecnico pertinenziale la circostanza secondo la quale all’interno di essi si troverebbero un serbatoio di acqua e un gruppo elettrogeno (appello, p. 5), che certo non ne esauriscono lo spazio disponibile. Si tratta quindi di una nuova costruzione che avrebbe richiesto il permesso di costruire, anche perché il ricorrente appellante non spiega in alcun modo perché si dovrebbe parlare di ristrutturazione, la quale secondo logica presupporrebbe una preesistenza non abusiva.

3. Il secondo e il quarto motivo di appello vanno esaminati congiuntamente e risultano invece fondati. In ordine logico, l’atto […]2007 prot. n.[…] (allegato ai motivi aggiunti in I grado) va qualificato come provvedimento impugnabile se non altro perché, recando in calce l’usuale avvertimento della possibilità di presentare ricorso giurisdizionale al TAR, si è autoqualificato come tale, e ciò comporta che vada accolto il secondo motivo, inerente appunto la qualificazione di esso. Va poi accolto anche il quarto motivo, perché effettivamente l’atto in questione non individua in alcun modo l’area da acquisire al patrimonio comunale in caso di inottemperanza. E’ senz’altro vero quanto afferma la sentenza di I grado, ovvero che tale indicazione può essere contenuta nel solo provvedimento di acquisizione, e quindi come nella specie poteva essere omessa nell’ordinanza di demolizione. Sta però di fatto che essa non è presente in alcuno dei due atti, e sotto tale profilo, dedotto nel quarto motivo di appello, il provvedimento di acquisizione è illegittimo e va annullato.

4. Va invece respinto il terzo motivo di appello, che deduce un ulteriore asserito profilo di illegittimità del provvedimento di acquisizione. Infatti, secondo la giurisprudenza della Sezione, per tutte la sentenza 7 maggio 2018 n. 2700, la circostanza per cui un dato immobile è sottoposto a sequestro penale, che peraltro nel caso di specie è asserito e non provato, non impedisce in assoluto che esso sia demolito, se il Giudice penale lo consenta, sul presupposto della cessazione delle esigenze probatorie che il sequestro intendeva assicurare.

Il destinatario dell’ordine di demolizione, pertanto, deve dare per lo meno la prova, che nella specie non consta, di essersi diligentemente attivato in tal senso, richiedendo al Giudice penale stesso di pronunciarsi al riguardo.

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