Consiglio di Stato, Sez. Sesta, Sentenza n. 317 del 2017, pubbl. il 25/01/2017

[…]

FATTO

Con sentenza n. 217/2010 del 16-7-2010 il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa – Sezione autonoma di Bolzano rigettava il ricorso proposto dal signor […], inteso ad ottenere l’annullamento dell’ingiunzione di pagamento n. […]7 del 4-9-2008 del Sindaco del Comune […], avente ad oggetto “ […] – Ingiunzione di pagamento spese esecuzione di ufficio lavori in via […]”.

La predetta sentenza esponeva in fatto quanto segue.

“E’ impugnata l’ordinanza sindacale dd. […]2008, notificata il 25.09.2008, avente per oggetto l’ingiunzione nei confronti dell’odierno ricorrente per la riscossione dell’importo di Euro 16.400,85, riguardante le spese sostenute dal Comune […] per l’esecuzione d’ufficio di lavori di rimessa in pristino di un’area in via […], di proprietà del ricorrente stesso. Vengono dedotti i seguenti motivi di impugnazione: 1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990. Violazione e falsa applicazione dell’art. 85 del Regolamento Edilizio del Comune […], approvato con Delibera della Giunta di […] dd. 12.02.2007. Eccesso di potere per carenza di istruttoria. Violazione del principio generale del giusto procedimento. 2) Eccesso di potere per motivazione insufficiente”.

Avverso la prefata sentenza il signor […] ha proposto appello dinanzi a questo Consiglio di Stato, deducendone l’erroneità e chiedendone l’annullamento e/o la riforma.

Ha dedotto: 1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990 – violazione e falsa applicazione dell’art. 85 del Regolamento Edilizio del Comune […] – carenza di istruttoria – violazione del principio generale del giusto procedimento; 2) Eccesso di potere per insufficienza della motivazione.

Si è costituito in giudizio il Comune […], deducendo l’infondatezza dell’appello e chiedendone il rigetto.

Le parti hanno depositato memorie.

La causa è stata discussa e trattenuta per la decisione all’udienza del 15-12-2016.

DIRITTO

Con il primo motivo di appello il signor […] lamenta: violazione e falsa applicazione dell’articolo 7 della legge n. 241/1990; violazione e falsa applicazione dell’art. 85 del Regolamento edilizio del Comune […]; eccesso di potere per carenza istruttoria; violazione del principio del giusto procedimento.

Evidenzia che egli aveva acquistato in data 23-6-99 la particella 1028/7, e il 30-9-1999 le particelle 1028/5 e 634/1 con contratti di compravendita stipulati con i signori […].

L’ordinanza di esecuzione di ufficio, datata 7-9-99 era stata emessa tre mesi dopo la compravendita della particella n. 1028/7 e, dunque, il Comune avrebbe dovuto comunicargli avviso di avvio del procedimento della stessa o comunque notificargli il relativo provvedimento, in quanto in tal modo egli avrebbe avuto possibilità di evitare le conseguenze spiacevoli della successiva ingiunzione di pagamento, conseguente alla esecuzione di ufficio.

D’altra parte, la verifica da parte del Comune sarebbe stata agevole in considerazione della pubblicità tavolare operante nella Regione Trentino-Alto Adige.

E, dunque, il Comune avrebbe potuto notificargli sia l’ordinanza di ripristino o quanto meno una comunicazione di avvio, essendo egli il reale proprietario dell’immobile interessato.

L’ordinanza è stata, invece, notificata nel mese di settembre del 1999 solamente ai precedenti proprietari, i quali avevano già venduto gran parte del terreno al […] nel mese di giugno, onde, non avendo disponibilità dell’area, non avrebbero potuto evitare l’esecuzione di ufficio.

Risulterebbe, pertanto, erronea la sentenza di primo grado nella parte in cui afferma che non incomberebbe all’Amministrazione verificare il proprietario iscritto al Libro Fondiario all’atto della notifica dell’ordinanza di esecuzione di ufficio dei lavori di rimessa in pristino.

Non convincerebbe la statuizione del Tribunale, laddove assume che “la vendita di immobili, interessati all’abuso, non esaurisce la responsabilità scaturente dall’abuso, rimanendo, appunto a carico del venditore le dovute garanzie a tutela del compratore”.

Invero, vi sarebbe un evidente fraintendimento, in quanto la domanda azionata trae origine da un quadro di illegittimità procedimentale, a nulla rilevando la persistenza, o meno, dell’abuso contestato anche successivamente alla vendita dei terreni.

Aggiunge, inoltre, che la sanzione amministrativa di riduzione in pristino è sanzione punitiva, mentre il provvedimento amministrativo di esecuzione è sanzione ripristinatoria, onde le stesse restano distinte e non possono essere assimilate neppure sotto il piano procedimentale.

La pronunzia del TAR viene, pertanto, censurata anche nella parte in cui assume che si tratti di un unico procedimento instaurato, per cui non spetterebbe all’Amministrazione verificare, nel corso dell’iter, eventuali modifiche della proprietà intervenute.

Richiama, infine, l’art. 85 del Regolamento edilizio di […], il quale prevede che “all’esecuzione di ufficio disposta dal sindaco previo avviso notificato alla parte, provvederanno gli organi esecutivi dell’Amministrazione comunale”.

Il Comune di […] non ha inviato detto avviso al […] né gli ha dato comunicazione di avvio del procedimento, in quanto soggetto nei cui confronti il provvedimento era destinato a produrre effetti.

Il motivo non è meritevole di favorevole considerazione, condividendosi sul punto la determinazione reiettiva del giudice di primo grado.

Tanto sulla base delle considerazioni che di seguito si svolgono.

Va premesso in fatto che l’appellante ha acquistato ( in data 23-6-99) precedentemente alla ordinanza di esecuzione di ufficio (intervenuta il 7-9-1999) unicamente la particella n. 1028/7, mentre le altre particelle (1028/5 e 634/1) risultano essere state acquistate successivamente alla adozione del provvedimento di demolizione di ufficio.

Per queste ultime, pertanto, non si pone assolutamente un problema di omessa comunicazione dell’avvio del procedimento ovvero dell’ordinanza di esecuzione di ufficio al […], considerandosi che alla data di adozione del provvedimento, questi non era proprietario dell’immobile.

Quanto alla particella 1028/7 (acquistata, ripetesi, solo tre mesi prima dell’emanazione del provvedimento), il Collegio evidenzia che l’omessa comunicazione all’appellante non produce l’illegittimità del gravato provvedimento.

Va, invero, osservato che il procedimento di repressione dell’abuso edilizio, disciplinato dagli articoli 80 e 81 della legge regionale n. 13/1997 si connota in termini unitari, essendo costituito da una molteplicità di adempimenti provvedimentali da parte del Comune connotati da consequenzialità necessaria, finalizzati tutti al ripristino dell’equilibrio urbanistico violato.

L’attività amministrativa sanzionatoria dell’illecito edilizio si caratterizza, poi, per il suo carattere essenzialmente “reale”, incidendo sul bene in relazione al quale si è concretizzato l’abuso, mentre non assume portata dirimente l’appartenenza soggettiva dello stesso.

Invero, la repressione dell’abuso risulta modulata attraverso l’emanazione di una ingiunzione di demolizione, cui segue, in caso di accertamento dell’inottemperanza da parte del privato, l’adozione di una ordinanza di esecuzione di ufficio.

Quest’ultima riveste la precipua finalità di legittimare il Comune ad eseguire direttamente l’attività ripristinatoria che il privato non ha posto in essere.

Ciò posto, tenuto conto della necessaria consequenzialità degli atti che connotano il procedimento di repressione dell’abuso edilizio e degli specifici contenuto ed effetti del provvedimento di demolizione di ufficio, la Sezione ritiene che sia onere dell’Amministrazione individuare il proprietario del bene solo al momento dell’accertamento dell’abuso e, dunque, precedentemente alla adozione dell’ingiunzione di demolizione.

Essa, pertanto, avviato il procedimento sanzionatorio, non è tenuta a verificare, nel corso dell’ulteriore svolgersi dello stesso, se nelle more l’assetto proprietario sia mutato, risultando sufficiente che gli ulteriori atti della procedura sanzionatoria siano portati a conoscenza del soggetto precedentemente (e correttamente) individuato quale proprietario.

Ove vi siano, nel corso del procedimento, mutamenti degli assetti proprietari, dovranno essere i privati a farne comunicazione all’ente locale.

Sicché, sotto tale profilo, non produce illegittimità alcuna la circostanza che il provvedimento di esecuzione di ufficio risulti essere stato notificato ai soggetti proprietari dell’area al momento dell’ingiunzione di demolizione e non a quello che successivamente ne aveva acquisito la proprietà a seguito di compravendita.

D’altra parte, come sopra sottolineato, l’ordinanza di demolizione di ufficio è provvedimento che è previamente diretto a legittimare l’intervento diretto del Comune nell’attività di rimessione in pristino e non anche ad ordinarne l’attuazione da parte del privato, disposizione in particolare contenuta nell’ingiunzione di demolizione, la quale è nella specie rimasta inattuata.

Né, a giudizio della Sezione, risulta errata la considerazione del giudice di primo grado, secondo cui “la vendita degli immobili, interessati all’abuso, non esaurisce le responsabilità scaturente dall’abuso, rimanendo appunto, a carico del venditore le dovute garanzie a tutela del compratore (cfr. artt. 1476 e ss. c.c.)”.

Invero, attesa la natura reale delle sanzioni urbanistiche, è evidente che le conseguenze dell’abuso, in termini di interventi di ripristino dell’equilibrio urbanistico violato, finiscono per colpire colui il quale si trovi in rapporto con il bene al momento dell’adozione del provvedimento. Questi, tuttavia, non rimane privo di tutela, atteso che in sede civilistica ben può agire nei confronti del venditore che non lo abbia reso edotto della esistenza di abusi sul bene venduto e di procedimenti repressivi in corso da parte del Comune.

Allo stesso modo, non può essere accolta la doglianza fondata sulla asserita distinzione tra la sanzione amministrativa di riduzione in pristino che, a dire dell’appellante, sarebbe sanzione punitiva e il provvedimento amministrativo di esecuzione che sarebbe, invece, sanzione ripristinatoria, ritenendosi in proposito che le stesse costituiscono momenti diversi di un’azione amministrativa unitaria, la quale è nella sua interezza finalizzata al ripristino dell’equilibrio urbanistico violato, richiedendosi con il primo provvedimento l’esercizio della relativa attività al privato, mentre, nel secondo, autorizzandosi il Comune a porre in essere gli interventi all’uopo necessari in presenza dell’inadempimento da parte del primo soggetto.

Non può, d’altra parte, essere non considerata la circostanza che, essendo il provvedimento di demolizione di ufficio adottato nel 1999 ma concretamente eseguito solo nel 2001, il signor […] ha avuto in tale lasso temporale, una volta divenuto proprietario dei terreni, tutto il tempo di verificare la situazione urbanistico-edilizia degli stessi e la regolarità delle opere ivi insistenti, all’uopo effettuando presso il Comune ogni accertamento che la ordinaria diligenza del proprietario avrebbe richiesto.

Sulla base delle considerazioni tutte sopra svolte deve, di conseguenza, ritenersi l’infondatezza del primo motivo di appello.

Con il secondo motivo il signor […] lamenta: eccesso di potere per insufficienza della motivazione.

Deduce che l’articolo 3 della legge n. 241/1990 prevede l’obbligo di motivare i provvedimenti emessi, con indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione assunta.

Lamenta che il Comune si è limitato a “liquidare” le contestazioni addotte da esso appellante definendole “non pertinenti”, nonostante egli avesse ragionevolmente richiesto che gli importi ingiunti a pagamento fossero decurtati delle spese dei lavori di sgombero effettuati nelle zone limitrofe, tenendo conto non solo delle superfici interessate ma anche della quantità dei rifiuti rimossi.

Censura, pertanto, la gravata sentenza nella parte in cui ha rilevato che “trattasi di apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità”.

Evidenzia che la motivazione del Comune è inadeguata ed incompleta, in quanto non opera riferimento alla documentazione prodotta dall’appellante (planimetrie e riprese fotografiche per dimostrare dove si trovassero gli orti e i manufatti rimossi) né spiega perché gli siano state addebitati anche costi per la rimozione di materiale raccolto totalmente altrove.

Erroneamente, pertanto, la sentenza afferma che dall’atto impugnato emerge che il riparto è stato effettuato attenendosi alla quota parte delle superfici interessate e ciò costituirebbe un metodo logico, ragionevole e trasparente, essendosi trattato di area utilizzata ad orto.

Né risponde a vero che egli non abbia mosso rilievi sulla somma globale richiesta ma solo sulla ripartizione delle spese.

Difatti, egli aveva contestato la somma globale sia in relazione ad interessi non dovuti, in quanto maturati a causa delle lungaggini dell’Amministrazione, sia in relazione all’addebito di costi non dovuti fatturati dalla ditta […].

Il motivo di appello non è meritevole di favorevole considerazione, dovendosi sul punto confermare la determinazione reiettiva del giudice di primo grado.

Occorre al riguardo preliminarmente richiamare la documentazione presente nel fascicolo di primo grado.

Il signor […] con comunicazione del 5-4-2004 contesta il provvedimento di ingiunzione, limitandosi ad asserire che egli non è soggetto responsabile dell’abuso ( doc. 3 produzione di I grado);

Si rinviene, poi, in atti una nota del 15-6-2004 ( doc. 5), con la quale il privato trasmette planimetrie del rilievo topografico compiuto dal geom. […], dalle quale si evidenzierebbe che le aree di proprietà dell’appellante coprono circa 1/3 della superficie interessata. In essa si afferma pure che i manufatti più ingombranti erano posizionati, come da foto aeree, proprio nella parte di proprietà non dell’appellante.

Tali considerazioni vengono ribadite nella comunicazione del 10-1-2005.

Orbene, rileva la Sezione che dalla produzione documentale effettuata in giudizio dal signor […] non risulta affatto depositato il rilievo topografico al quale si opera riferimento nella citata missiva del 15-6-2004 e dalla quale risulterebbe che le aree di proprietà del privato coprirebbero unicamente 1/3 della superficie complessiva interessata.

Né risulta documentazione dalla quale si evincano analiticamente gli errori di conteggio effettuati dalla impresa che ha proceduto materialmente alla esecuzione delle opere di demolizione.

Vi è, invece, in atti nota del 17 marzo 2008 (v. doc. n. 9 della produzione del privato di primo grado), con la quale il Comune comunica che tramite il SIT ha calcolato le rispettive superfici, verificando che la superficie di proprietà […] è pari allo 0,554 di quella totale e che, di conseguenza la somma dovuta, sulla base di tale superficie, è pari ad euro 14.912,65, alla quale vanno aggiunti gli interessi maturati ammontanti ad euro 1.488, 20.

Nella produzione del Comune […] si rinvengono, inoltre, copie delle relative planimetrie, con rappresentazione delle superfici.

Alla richiamata nota del 17 marzo 1988 segue una nota di osservazioni del privato del 5-5-2008, con la quale viene contestata la determinazione dell’amministrazione evidenziandosi che “tutte queste p.f. sopracitate compresa la p.ed. 634/1 sono da voi contrassegnate con un indice 0,152 e non trovando una corretta corrispondenza sono a richiedervi una verifica dei calcoli effettuati riferiti alle superfici di mia proprietà”.

Ciò posto, rileva la Sezione che, sulla base degli atti depositati in giudizio, il dedotto vizio motivazionale non risulta sussistente.

Va in primo luogo rilevato che nella motivazione del provvedimento impugnato vengono sufficientemente confutate le osservazioni dell’appellante, atteso che correttamente il Comune, rispetto alla contestazione avanzata con la nota del 5-5-2008, ha fatto presente che il calcolo della somma è avvenuto con esclusivo riferimento alle superfici interessate senza utilizzo di indice alcuno, onde la valutazione di “non pertinenza” risulta corretta ed esaustivamente esternata.

Va, poi, evidenziato che il computo delle superfici è stato effettuato utilizzando il Sistema Informativo Territoriale, con conseguente redazione di elaborati planimetrici, comunicati all’interessato, che rendono adeguato conto delle ragioni sottese alle determinazioni comunali.

Né può giungersi a diverse conclusioni alla luce degli atti di causa, considerandosi l’assenza nella produzione documentale dell’appellante di qualsivoglia elaborato tecnico o elemento documentale utile a ritenere che effettivamente, in maniera assolutamente evidente, siano state poste a carico dell’appellante spese sostenute per la rimozione di materiali insistenti in aree non di sua proprietà.

D’altra parte, emerge che il Comune ha proceduto in proposito a verifiche e che, all’esito delle stesse, risulta essere stata scomputata una somma erroneamente richiesta dalla ditta […], che aveva proceduto alla esecuzione dei lavori.

Non risultano, dunque, elementi per ritenere che all’appellante siano state addebitate somme non dovute, in relazione ai lavori eseguiti nella sua proprietà.

Sicchè, in tale contesto risulta condivisibile l’affermazione del giudice di primo grado, secondo cui “la ripartizione è avvenuta attenendosi alla quota parte delle superfici interessate, un metodo sicuramente logico, ragionevole e trasparente, essendosi trattato, appunto, di area utilizzata ad orto (con realizzazione di diversi manufatti di svariate dimensioni e materiali, quali baracche, muri a secco, recinzioni, stradine, etc)….Tale ripartizione costituisce apprezzamento di merito sottratto in via generale al sindacato di legittimità”.

D’altra parte, in assenza di elementi concreti che dessero conto, in maniera evidente, di una rilevante differenza dei lavori di sgombero da eseguirsi nelle diverse proprietà, il criterio della ripartizione superficiaria risulta senz’altro condivisibile ed immune dai vizi denunziati.

Non può, inoltre, non considerarsi che con il nuovo provvedimento, proprio in relazione all’utilizzato criterio superficiario del riparto, la somma ingiunta

all’appellante risulta sensibilmente ridotta da euro 26.918,15 ad euro 16.400, 85.

Ritiene, infine, il Collegio che la richiesta al privato di pagamento degli interessi risulti legittima, atteso che, per disposizione legislativa, le spese conseguenti alla demolizione di ufficio sono a carico del privato e dunque, ove l’amministrazione le anticipi, essa è tenuta a recuperarle, correttamente includendovi anche gli accessori derivanti dal decorso del tempo intercorrente tra l’anticipazione e l’effettivo pagamento da parte del privato.

Va, poi, considerato che la richiesta per le somme conseguenti alla demolizione di ufficio era già stata formulata al signor […] con la prima ingiunzione del 22-4-2004, la quale era stata revocata unicamente al fine della verifica in ordine alla quantificazione concreta della somma dovuta, “al fine della emissione di un nuovo analogo provvedimento che tenga conto delle eseguende verifiche”.

Sulla base delle considerazioni sopra svolte risulta, pertanto, infondato anche il secondo motivo di gravame.

In conclusione, dunque, l’appello deve essere rigettato, con conseguente conferma della sentenza di primo grado.

Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso […]