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FATTO e DIRITTO
1 – L’appellante, […], è proprietario di un fabbricato rurale sito in […]. Lo stesso ha ivi realizzato una recinzione in pali di castagno e rete metallica, una tettoia ed un box in lamiera per ricovero attrezzi.
2 – Con il provvedimento n. […] del […]1996 è stata ordinata la demolizione di dette opere in quanto prive della relativa concessione edilizia.
3 – Avverso tale atto, […] ha proposto ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana che, con la sentenza n. 391 del 2012, ha accolto il motivo con il quale si contestava la legittimità dell’ordine di demolizione in riferimento alla recinzione, rigettando le restanti censure.
Avverso quest’ultimo capo della sentenza è stato proposto appello.
4 – Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 7 della l.47/85, oggi art. 31 del d.p.r. 380/2001 e art. 132 della l. reg. 01/2005.
Più precisamente, si censura la sentenza impugnata nel punto in cui afferma che “l’indicazione dell’area di sedime non deve essere contenuta nel provvedimento di demolizione, bensì nell’atto in cui l’Amministrazione accerta l’inottemperanza all’ordine di demolizione”.
Secondo l’appellante, la sanzione che determina l’acquisizione della proprietà del bene altrui – anche in relazione alla sua particolare gravità – richiederebbe una esatta individuazione del bene che il Comune intende acquisire e tale indicazione dovrebbe essere contenuta già nell’ingiunzione.
4.1 – La censura non può essere accolta, contrastando con l’orientamento di gran lunga maggioritario a cui il Collegio intende aderire.
Al riguardo, deve infatti ricordarsi che l’acquisizione gratuita al patrimonio dell’ente costituisce un’autonoma sanzione (cfr. Corte Cost. n. 82/1991, Corte Cost. n. 345/1991), derivante dall’inottemperanza dell’ingiunzione di demolizione. In altre parole, essa rappresenta la reazione dell’ordinamento al duplice illecito posto in essere dal privato che, dapprima, esegue un’opera abusiva e, successivamente, non adempie all’obbligo di demolire entro il termine fissato dall’amministrazione (cfr. Cons. St., sez. IV, 3 maggio 2011, n. 2639; Cons. St., sez. V, 15 luglio 2016, n. 3834). Alla luce dei principi esposti, deve ritenersi che le questioni relative all’acquisizione dell’area, ed i relativi presupposti, attenendo ad un successivo momento procedimentale, non possono essere introdotte nel giudizio con il quale si impugna l’ordine di demolizione, bensì avverso l’eventuale provvedimento di acquisizione laddove venga effettivamente emesso.
Per tale ragione, l’omessa o imprecisa indicazione di un’area che verrà acquisita di diritto al patrimonio pubblico non costituisce motivo di illegittimità dell’ordinanza di demolizione; invero, l’indicazione dell’area è requisito necessario ai fini dell’acquisizione, che costituisce distinta misura sanzionatoria (cfr. Cons. St., sez. IV, 25 n. 5593 del 2013; Cons. St., sez. V. n. 3438 del 2014; Cons. St., sez. IV, n. 4659 del 2008; Cons. St. sez. VI, n. 1998 del 2004).
5 – Con il secondo motivo di appello si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 l. n. 241/90.
A tal fine, l’appellante rileva che il provvedimento impugnato si riferisce genericamente ad “opere abusive” così come descritte nel verbale della P.M., ma non distinguerebbe le singole fattispecie, che sarebbero soggette a discipline diverse.
5.1 – Può essere esaminata in questa sede anche la censura con la quale si contesta il difetto di motivazione dell’ordinanza impugnata nel punto in cui ha disposto la demolizione della tettoia e del box-container.
In particolare, l’appellante contesta la decisione del T.A.R. che, rispetto a tale censura, avrebbe preso in considerazione la situazione del solo box – container, senza fare alcun riferimento alla tettoia.
6 – Le censure sono infondate.
In generale, quanto al rispetto del dovere di motivazione, deve ricordarsi che il provvedimento con cui viene ingiunta la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso(cfr. Cons. St., Ad. Plen., 17 ottobre 2017, n. 9).
6.1 – Nel caso in esame, come già osservato dal Giudice di prime cure, il provvedimento impugnato contiene sufficienti elementi in fatto e diritto per evidenziare il tipo di abuso edilizio e le norme in violazione delle quali lo stesso è stato commesso, come meglio specificato nel rapporto della polizia municipale, al quale l’ordinanza rinvia per relationem.
A questo riguardo, va ricordato che l’obbligo per l’Autorità di motivare il provvedimento amministrativo non può ritenersi violato attraverso il richiamo per relationem degli atti procedimentali, se questi offrano comunque elementi sufficienti e univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni e l’iter motivazionale posti a sostegno della determinazione assunta(cfr. Cons. Stato, Sez. V, 21 aprile 2015, n. 2011).
Le considerazioni che precedono valgano evidentemente sia per il box che per la tettoia, dal momento che anche quest’ultima è contemplata nel verbale di accertamento del 21 ottobre 1996.
7 – Con un’ulteriore censura si deduce la violazione dell’art. 7 della l. 47/85 in relazione all’art. 1 l. 28 gennaio 1977 n. 10 e all’art. 7 d. l. 663 del 1981.
Secondo la prospettazione dell’appellante, la realizzazione della tettoia e del box-container non necessitavano della concessione edilizia, bensì della autorizzazione ex art. 10 della legge 47/1985.
7.1 – La censura è infondata.
In primo luogo, deve evidenziarsi l’inconferenza della giurisprudenza citata nell’atto di appello riferibile alla differente sanzione dell’acquisizione gratuita, trattandosi, come già innanzi spiegato, di una sanzione differente ed autonoma rispetto alla demolizione.
Da un altro punto di vista, l’appellante non introduce alcun elemento concreto dal quale desumere che le opere in questione – tettoia e box – non debbano essere soggette a licenzia edilizia.
7.2 – In particolare, per quanto riguarda il box, valgono le considerazioni già espresse dal T.A.R., che ha sottolineato come la realizzazione di un box – container, stabilmente appoggiato al terreno (nel verbale di accertamento si specifica che il box poggia su pavimentazione di cemento), pur nella precarietà dei materiali e nella funzione pertinenziale alla quale il soggetto che lo installa intende impiegarlo in modo stabile nel tempo, costituisce permanente alterazione del terreno ai fini urbanistico- edilizi e richiede, pertanto, il rilascio del previo titolo edilizio (cfr. Cons. Stato, sez V, 24 febbraio 2003, n. 986).
7.3 – Vale un analogo discorso per la tettoia (“realizzata con vecchi pali di cemento e copertura in eternite”), che per dimensioni e caratteristiche non può certo considerarsi indifferente rispetto all’assetto del territorio nel quale si colloca.
La giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che la realizzazione di una tettoia necessita di permesso di costruire quale “nuova costruzione”, comportando una trasformazione del territorio e dell’assetto edilizio anteriore; essa arreca, infatti, un proprio impatto volumetrico e, se e in quanto priva di connotati di precarietà, è destinata a soddisfare esigenze non già temporanee e contingenti, ma durevoli nel tempo, con conseguente incremento del godimento dell’immobile cui inerisce e del relativo carico urbanistico (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 02715/2018 C.d.S. sez. IV 8 gennaio 2018 n.12 e sez. VI 16 febbraio 2017 n.694.).
7.4 – Infine, ad ulteriore conferma dell’infondatezza del motivo di appello in esame, deve evidenziarsi la circostanza che l’area sulla quale sono stati realizzate senza titolo le opere in discorso è soggetta anche a vincolo ambientale, con quanto ne consegue in termini di disciplina autorizzatoria e di repressione degli abusi.
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