Consiglio di Stato, Sez. Sesta, Sentenza n. 7305 del 2018, pubbl. il 31/12/2018

[…]

FATTO e DIRITTO

1. – Con ricorso in appello il Comune […] ha chiesto a questo Consiglio la riforma della sentenza del T.A.R. per la Puglia, sede di Lecce, Sez. III, 18 marzo 2014 n. 786, con la quale è stato accolto il ricorso (R.G. 684/2013) promosso dalla […] S.r.l. avverso la determinazione del […] 2013 con la quale il dirigente della 10^ direzione Lavori pubblici del Comune […] aveva respinto la domanda proposta dalla predetta società volta ad ottenere la concessione in sanatoria di alcuni manufatti realizzati in assenza di titolo abilitativo, annullando la determinazione dirigenziale impugnata.

2. – La documentazione prodotta in giudizio dalle parti controvertenti in sede di appello (nonché nel giudizio di primo grado) consente di ricostruire la odierna vicenda contenziosa come segue:

– la […] S.r.l. è stata affidataria, in project financing, dei lavori di costruzione e gestione del cimitero comunale […] in virtù di contratto stipulato con il medesimo comune in data […] 2004 rep. […] (poi aggiornato dall’atto aggiuntivo rep. n. […] del […]2010). La predetta società, per l’esattezza, subentrò, in qualità di società di progetto, alla società aggiudicataria a titolo originario […] nel rapporto di concessione avente ad oggetto la “progettazione, costruzione, ampliamento e gestione del cimitero di […]” a far data dal 6 aprile 2005 (il rapporto concessorio, con l’odierna appellata, si è chiuso per effetto della dichiarazione unilaterale di risoluzione del contratto di concessione operata dal Comune […] il […]2013);

– in particolare le attività da realizzarsi a fronte della concessione di cui sopra erano le seguenti: la progettazione definitiva ed esecutiva delle opere cimiteriali; la realizzazione di tutte le opere necessarie per consentire l’ampliamento del cimitero di […], su un terreno avente estensione di 81.000 mq limitrofo al cimitero già esistente; il diritto di gestione funzionale e di sfruttamento economico delle aree interessate agli interventi di ampliamento e infrastrutturazione;

– la convenzione accessiva al contratto di concessione e regolante il rapporto concessorio, quindi, affidava alla società concessionaria la realizzazione delle opere infrastrutturali, mentre dalla stessa convenzione restava esclusa la costruzioni delle singole cappelle, posto che queste sarebbero state realizzate autonomamente dagli assegnatari, direttamente e per il tramite di ditte di fiducia, per come individuati sulla base delle domande presentate all’amministrazione comunale e secondo l’ordine della relativa graduatoria;

– era accaduto che il Comune […], durante la vigenza del rapporto convenzionale, avesse accertato la violazione della disciplina concessoria in quanto la società aveva realizzato cappelle private, peraltro in assenza dei necessari titoli edilizi nonché altre irregolarità (per l’esattezza si trattava di […]), rispetto alle quali il comune ingiungeva la demolizione (con ordinanze dirigenziali nn. […] del […]2012), oltre ad avviare la procedura per la risoluzione del contratto, mentre […] chiedeva l’accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380;

– all’esito di un procedimento nel quale veniva coinvolta, quale contraddittore necessario, la stessa società […], il Comune […] disponeva, con determina n. […] del […] 2013, la risoluzione della convenzione ex art 1454 c.c., dichiarando la società decaduta dalla concessione e disponendo, nel contempo, la presa in possesso e gestione diretta del cimitero, effetto che si realizzava in virtù dell’ordinanza n. […] del […] 2013 con la quale, il dirigente della Direzione lavori pubblici del comune, ordinava alla […] di rilasciare gli immobili che venivano conseguentemente presi in consegna;

– successivamente, con nota prot. n. […] del […] 2013, il dirigente della 10^ Direzione lavori pubblici del Comune […] respingeva le richieste volte ad ottenere il rilascio del permesso di costruire in sanatoria sulla scorta del principale impedimento costituito dalla circostanza che “la società […] non ha titolo a richiedere i permessi a costruire”;

– proposto ricorso giurisdizionale da parte della […], dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sede di Lecce, avverso il suindicato provvedimento, il giudice di primo grado lo accoglieva, annullando nel contempo il provvedimento di diniego di sanatoria, ritenendo che “ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 e relativamente all’accertamento di conformità, il responsabile dell’abuso può ottenere il permesso in sanatoria purché ricorrano le condizioni normativamente previste”

3. – La sentenza 18 marzo 2014 n. 786 del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sede di Lecce, viene fatta ora oggetto di appello ad opera del Comune […] che ne sostiene l’erroneità in quanto il Tribunale:

– ha errato nel ritenere applicabile il generale principio di cui all’art. 36 DPR 380/2001 anche agli enti pubblici territoriali, in quanto ai sensi dell’art. 32 l. 28 febbraio 1985 n. 47, per le opere eseguite da terzi su aree di proprietà di Enti pubblici territoriali, in assenza di un titolo che abiliti al godimento del suolo, il rilascio della concessione in sanatoria è subordinato alla disponibilità dell’ente proprietario a concedere onerosamente, alle condizioni previste dalle leggi statali o regionali vigenti, l’uso del suolo su cui insiste la costruzione, e la disponibilità, nel caso di specie, era espressamente (e documentalmente) esclusa dal momento il Comune […], con la deliberazione della Giunta comunale n. […] del […] 2013, aveva risolto che il contratto con la […] S.r.l., stabilendo espressamente di voler gestire l’opera cimiteriale in via diretta, sicché la predetta società era priva di legittimazione a formulare la domanda di concessione in sanatoria per effetto della inesistenza o, in ogni caso, a causa della perdita ex tunc di ogni rapporto con l’amministrazione comunale concedente;

– erra inoltre la sentenza quando afferma che è applicabile al caso di specie il principio secondo il quale, in via generale, l’autore dell’abuso può chiedere il rilascio del titolo edilizio a sanatoria, dal momento che accanto a tale presupposto deve sussistere anche quello della presenza di un titolo legittimante a chiedere il rilascio del provvedimento abilitativo, circostanza che nella specie non può rinvenirsi a causa dell’effetto ex tunc della risoluzione intervenuta, in ragione della quale è esclusa ogni legittimazione a chiedere l’accertamento di conformità in capo alla […].

Da qui la richiesta di annullamento della sentenza di primo grado.

4. – Si è costituita in giudizio la società […] S.r.l. contestando la fondatezza di quanto dedotto dal Comune […] nell’atto di appello e confermando la correttezza della sentenza assunta dal Tribunale amministrativo regionale. In particolare la società appellata sostiene che è il comune a cadere in errore – e non i giudici di primo grado nella sentenza fatta oggetto di appello, come invece il medesimo comune sostiene – nel momento in cui “valuta l’istanza formulata dalla società appellata non già sulla scorta della previsione normativa specificatamente richiamata (art. 36, d.P.R. 380/01), bensì sulla scorta dell’art. 32, 1. 47/1985 che, in quanto recante la disciplina delle condizioni di ammissibilità del “condono” (inteso quale strumento eccezionale di recupero a legittimità di opere abusivamente realizzate), è totalmente estranea alla fattispecie di interesse nell’ambito della quale non è punto invocata” (così, testualmente, a pag. 3, del controricorso in appello della […]).

Ne deriva che la […], contrariamente a quanto asserito dalla difesa comunale, era legittimata a presentare la domanda di permesso di costruire in sanatoria, anche al fine di determinare la cessazione dell’efficacia dei provvedimenti sanzionatori alla medesima società rivolti.

Il ricorso in appello, ad avviso della società appellata, va quindi respinto e confermata la sentenza di primo grado.

5. – Con ordinanza 4 agosto 2014 n. 3545 la Sezione ha respinto l’istanza di sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata, proposta dal comune appellante, per carenza del presupposto del periculum.

Le parti depositavano ulteriori memorie, anche di replica, con documenti confermando quanto già sostenuto nelle conclusioni dei rispettivi atti.

Alla udienza pubblica del 10 maggio 2018 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione.

6. – La contestazione principale che il Comune […] pone nei confronti della sentenza appellata è costituita dalla circostanza di non avere, i giudici di primo grado, in quest’ultima considerato la carenza di legittimazione in capo alla società […] a presentare la domanda di rilascio del titolo edilizio in sanatoria, atteso che la stessa società aveva perso la qualità di concessionario per effetto dell’intervenuta decadenza dalla concessione.

Aggiunge il Comune […] nella memoria prodotta in occasione della fase cautelare del presente giudizio che, a tacere della intervenuta “revoca” della concessione con effetti ex tunc, la […] non è mai stata legittimata ad effettuare opere di costruzione di cappelle, essendo tale intervento escluso dalla convenzione concessoria, sicché essa non era neppure legittimata a chiedere il rilascio del titolo in sanatoria per conformità urbanistica, ai sensi dell’art. 36 DPR 380/2001.

7. – Vale la pena di chiarire che la presente vicenda contenziosa non è sovrapponibile con la parallela vicenda, complessa perché in essa si raccolgono più gravami, intercorrente tra le medesime parti ed attienente alla legittimità della risoluzione ad opera del Comune della convenzione concessoria con la […].

La questione giuridica qui in esame è limitata, invece, a verificare se un soggetto autore di un abuso debba possedere una ulteriore qualificazione al fine di presentare una istanza di accertamento di conformità, ai sensi dell’art. 36 DPR 380/2001, oltre a quella di avere realizzato opere abusive in merito alle quali intende chiedere l’abilitazione postuma alla realizzazione e se la sussistenza di tale legittimazione sia condizionata dall’assenza di autorizzazione da parte del proprietario dell’area (il comune concedente) a realizzare tali lavori ovvero dal venir meno del titolo (concessorio) in base al quale l’autore delle opere abusive aveva la disponibilità dell’area sulla quale esse sono state realizzate.

8. – Sotto il profilo legislativo va rammentato che, con riferimento alla legittimazione a chiedere il rilascio di un titolo abilitante alla realizzazione di un intervento edilizio, l’art. 11, comma 1, D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 stabilisce che “il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”; quanto poi alla sanatoria di un abuso edilizio il successivo art. 36 del medesimo testo unico prevede che l’accertamento di conformità – da rapportare sia al momento di realizzazione delle opere che a quello di presentazione della domanda – possa essere richiesto dal “responsabile dell’abuso”, o da “l’attuale proprietario dell’immobile”.

In giurisprudenza è, poi, pacifico che, dalla lettura delle norme contenute negli art. 11, comma 1 e 36 DPR 380/2001, nell’ottica della necessaria conformità degli interventi edilizi alla disciplina urbanistica, nell’esclusivo interesse pubblico ad una programmata e disciplinata trasformazione del territorio, l’impulso ad effettuare tale trasformazione debba provenire da un soggetto, che si trovi in posizione di detenzione qualificata del bene, anche nell’ambito di un rapporto di locazione (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. VI, 26 gennaio 2015 n. 316).

Quanto alla necessità che sia chiara e incontestabile la proprietà dell’immobile sul quale è stato realizzato l’abuso, sembra opportuno sottolineare che il rilascio del titolo abilitativo (anche in sanatoria) fa comunque salvi i diritti dei terzi e non interferisce, pertanto, nell’assetto dei rapporti fra privati, ferma restando la possibilità per l’Amministrazione di verificare la sussistenza di limiti di matrice civilistica, per la realizzazione dell’intervento edilizio da assentire (cfr. in tal senso, per il principio, Cons. Stato, Sez. IV, 5 giugno 2012 n. 3300, 4 aprile 2012 n. 1990, 16 marzo 2012 n. 1488).

9. – Non appare casuale, tuttavia, che in materia di sanatoria la normativa di riferimento (art. 36 T.U. cit.) ammetta la proposizione dell’istanza da parte non solo del proprietario, ma anche del “responsabile dell’abuso”, tale dovendo intendersi lo stesso esecutore materiale, ovvero chi abbia la disponibilità del bene, al momento dell’emissione della misura repressiva (ivi compresi, evidentemente, concessionari o conduttori dell’area interessata, fatte salve le eventuali azioni di rivalsa di questi ultimi – oltre che dei proprietari – nei confronti degli esecutori materiali delle opere, sulla base dei rapporti interni intercorsi: cfr. anche, per il principio, mai più messo in discussione, Cons. Stato, Sez. V, 8 giugno 1994 n. 614 e Cons. giust. amm. Sic. 29 luglio 1992 n. 229).

La relativamente maggiore ampiezza della legittimazione a richiedere la sanatoria, rispetto al preventivo permesso di costruire, trova d’altra parte giustificazione nella possibilità da accordare al predetto responsabile – ove coincidente con l’esecutore materiale delle opere abusive – l’utilizzo di uno strumento giudiziario utile al fine di evitare le conseguenze penali dell’illecito commesso, ferma restando la salvezza dei diritti di terzi (cfr., ancora sulla sussistenza della legittimazione a presentare la domanda di sanatoria in capo all’autore dell’abuso, Cons. Stato, Sez. IV, 8 settembre 2015 n. 4176).

Con la formula utilizzata nella redazione dell’art. 36 D.P.R. n. 380/2001 il legislatore ha voluto ricomprendere la legittimazione a chiedere la sanatoria in capo a più soggetti che, astrattamente, possono aver concorso a realizzare l’abuso, fermo restando che non tutti, indifferenziatamente, possono richiedere, senza il consenso dell’effettivo titolare del bene sul quale insistono le opere (il quale potrebbe essere completamente estraneo all’abuso ed avere anzi un interesse contrario alla sua sanatoria), una concessione che potrebbe risolversi in danno dello stesso.

Nel caso di specie, tuttavia, la contestazione sul titolo concessorio sul quale fonda la disponibilità dell’area da parte di […] (venuto meno ex tunc e comunque non idoneo a consentire alla società di realizzare le cappelle private), che fa da sfondo alla contesa amministrativa (anche) sulla sanatoria dell’abuso, riguarda la legittimità e la permanenza del diritto di disponibilità dell’area (ovviamente non può riguardare anche il consenso o meno da parte del comune a realizzare opere abusive, trattandosi di una situazione inverosimile giuridicamente, sicché la circostanza che nell’ambito della convenzione era esclusa la realizzazione di cappelle private non incide in alcun modo sulla legittimazione della società a chiedere la sanatoria di quanto realizzato abusivamente, seppur ben conscia di non essere titolare di un diritto convenzionale a realizzarle) da parte dell’autrice dell’abuso autodichiaratasi tale.

Ciò consente di affermare, al pari di quanto sostenuto dai giudici di primo grado, che la […] fosse legittimata a chiedere il rilascio del permesso in sanatoria, rebus sic stantibus, tenendo quindi conto della sussistenza del titolo di concessionario (vantato) all’epoca della realizzazione delle costruzioni abusive, che giustificava e giustifica la richiesta di sanatoria.

10. – Per quanto riguarda il richiamo che il comune appellante sviluppa con riguardo alla disposizione contenuta nell’art. 32, comma 5, l. 47/1985 esso non ha pregio in questa sede.

La norma in questione è inserita nel Capo IV dell’articolato della l. 47/1985 intitolato “Opere sanabili. Soggetti legittimati. Conservazione dei rapporti sorti sulla base di decreti-legge non convertiti” e quindi è legata alla presentazione di una istanza di “condono legislativo”; l’art. 32, comma 5, nella parte qui di interesse, così recita: “Per le opere eseguite da terzi su aree di proprietà di enti pubblici territoriali, in assenza di un titolo che abiliti al godimento del suolo, il rilascio della concessione o dell’autorizzazione in sanatoria è subordinato anche alla disponibilità dell’ente proprietario a concedere onerosamente, alle condizioni previste dalle leggi statali o regionali vigenti, l’uso del suolo su cui insiste la costruzione. La disponibilità all’uso del suolo, anche se gravato di usi civici, viene espressa dagli enti pubblici territoriali proprietari entro il termine di centottanta giorni dalla richiesta. (…)”.

L’art. 36, comma 1, DPR 380/2001 così recita: “In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio attività nelle ipotesi di cui all’articolo 23, comma 01, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda infatti, senza considerare che la stessa ben poteva essere legittimata a proporre la sanatoria da un mero titolo di detenzione o di uso dell’immobile medesimo (…)”.

Quest’ultima norma, evidentemente, è svincolata dall’attivazione di procedimento di condono legislativo, ma produce l’effetto di introdurre un istituto utile a sanare abusi edilizi, sempre che sussista il noto presupposto della “doppia conformità”, indipendentemente dal rispetto dei termini previsti dalle speciali leggi sul condono edilizio ed addirittura indipendentemente dall’attivazione del procedimento repressivo-sanzionatorio da parte dell’ente (comunale) preposto alla tutela del regolare assetto edilizio del territorio di competenza.

D’altronde, se per un verso la legittimazione a chiedere il rilascio del provvedimento in sanatoria ha anche lo scopo di consentire all’autore dell’abuso di far venire meno le conseguenze amministrative dell’intervento repressivo-sanzionatorio del comune che è a lui direttamente indirizzato (oltre che agli altri soggetti indicati dalle norme di settore), per altro verso l’eventuale riconoscimento della possibilità di sanare in via postuma l’abuso, come si è già in parte segnalato precedentemente, ha effetti limitati ai soli rapporti tra l’amministrazione comunale ed il soggetto al quale si riferisce l’opera sanata, sul presupposto che i terzi vantano un autonomo diritto di fronte al trasgressore per cui la sanatoria non costituisce rimozione della illegalità erga omnes, ma soltanto nei confronti del Comune che rinuncia a far osservare coattivamente il regolamento a tutela del proprio interesse sostanziale. La giurisprudenza civilistica è, infatti, concorde nel ritenere che “il permesso di costruire, assentito in via normale o in sanatoria, viene comunque rilasciato fatti salvi ed impregiudicati i diritti dei terzi: esso, invero, riflette rapporti intercorrenti fra coloro che intendono costruire e la pubblica amministrazione, e non può mai pregiudicare diritti soggettivi altrui” (cfr., ex multis, Cass., Sez. III, 27 gennaio 2009 n. 3593).

Peraltro, nel caso di specie, la conferma anche nella sede di appello della fondatezza del ricorso introduttivo proposto dalla […] non incide, non avendo il giudice amministrativo tale potere in quanto l’amministrazione deve ancora esercitare la propria potestà autoritativa in merito (cfr. l’art. 34, comma 2, primo periodo, c.p.a. nella parte in cui sancisce che: “In nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati”), sulla valutazione che gli uffici comunali competenti dovranno porre in essere in ordine alle istanze di accertamento di conformità edilizia, essendo l’esito del presente processo limitato ad affermare la illegittimità dell’impugnato diniego di sanatoria motivato sulla esclusiva affermazione della carenza di legittimazione da parte della richiedente, lasciando quindi impregiudicata ogni altra valutazione comunale sul merito della richiesta avanzata ex art. 36 DPR 380/2001.

11. – L’accertata infondatezza del complesso motivo d’appello, sotto entrambi i profili segnalati nel relativo atto processuale, dal Comune […] conduce alla reiezione dell’appello, con conseguente conferma della sentenza qui appellata nonché dell’accoglimento del ricorso originario ed annullamento del provvedimento con esso impugnato in primo grado.

Le spese del doppio grado di giudizio possono compensarsi, sussistendo i presupposti di cui all’art. 92 c.p.c., per come espressamente richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a. collegati alla peculiarità della vicenda oggetto del presente contenzioso, stabilendosi nondimeno la restituzione del contributo unificato versato dalla società […]