Consiglio di Stato, Sezione Seconda, Sentenza n. 561 del 2020, pubbl. il 23/01/2020

[…]

FATTO e DIRITTO

Con il presente atto di appello il signor […] ha impugnato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio-sezione di Latina n. 182 del 2008, che ha respinto il ricorso avverso il provvedimento del … 2007 del Comune […] di demolizione delle opere abusive realizzate in via […] in difformità dal permesso di costruire rilasciato il 21 novembre 2003 per la realizzazione di un garage interrato di 73,60 metri quadri, di un portico con sovrastante veranda per metri quadri 41,20 ciascuno, di un muro di contenimento e il rifacimento della copertura dell’edificio esistente ( munito della concessione in sanatoria n. 399 del 10 febbraio 1996).
Il provvedimento di demolizione era stato preceduto dal sopralluogo del … 2007 dei tecnici del Comune, che avevano rilevato la totale difformità delle opere realizzate rispetto a quanto assentito con il permesso di costruire del … 2003. In particolare sono stati accertati il completo tamponamento del portico e della veranda e la realizzazione di una ulteriore struttura in cemento armato per complessivi 87 metri quadri; la realizzazione di un garage fuori terra invece che interrato per 74 metri quadri e la sopraelevazione di un piano per 25 metri quadri; la realizzazione di un ulteriore manufatto di 42 metri quadri, un manufatto realizzato a seguito di demolizione e ricostruzione con aumento di volumetria di 100 metri cubi rispetto a quello demolito; muri di recinzione per complessivi 80 metri di lunghezza e altezza da 1 a 1,5 metri; 2 accessi carrabili.
Con il ricorso di primo grado erano state proposte le seguenti censure:
-violazione dell’art. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241 del 1990 per la mancata comunicazione di avvio del procedimento di repressione degli abusi edilizi;
-violazione dell’art. 34 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, non avendo operato il Comune alcuna valutazione circa la possibilità di eseguire la demolizione senza pregiudizio per la parte legittima.
Con ordinanza n. 847 del 2007 il Tribunale amministrativo ha disposto adempimenti istruttori a carico del Comune.
La sentenza di primo grado, pronunciata in forma semplificata, ha respinto tali motivi richiamando, con riferimento alla mancata comunicazione di avvio del procedimento, l’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990, in quanto il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato; ha escluso l’applicazione dell’art. 34 del d.P.R. 380 del 2001, trattandosi di totale difformità dal titolo edilizio, di cui all’art. 31 del D.P.R. 380/2001.
Con i motivi di appello si ripropongono le censure del primo grado, deducendo a sostegno della violazione dell’art. 7 della legge n. 241/90 che il Tribunale amministrativo prima di assumere la causa in decisione aveva disposto istruttoria (eseguita dal Comune), riconoscendo quindi la necessità di chiarimenti in fatto; con riferimento alla violazione dell’art. 34 del d.P.R. 380/01, è stata contestata la qualificazione delle opere abusive come rientranti nella ipotesi di cui all’art. 21 del d.P.R. 380, sostenendo che non tutte le opere sarebbero soggette a permesso di costruire, essendo alcune soggette a titoli edilizi minori, altre nelle ipotesi di ristrutturazione edilizia; è stata poi dedotta la circostanza delle pericolosità della demolizione per la stabilità della parte legittimamente realizzata depositando, a sostegno di tale circostanza, una perizia tecnica.
Successivamente al decesso del signor […] si sono costituiti nel corso del presente giudizio di appello […].
Nessuno si è costituito per il Comune appellato a cui l’appello risulta ritualmente notificato.
In vista dell’udienza pubblica la parte appellante ha presentato memoria insistendo per l’accoglimento dell’appello; è stato altresì depositato un certificato di residenza degli appellanti. All’udienza pubblica del 26 novembre 2019 l’appello è stato trattenuto in decisione.
L’appello è infondato.
Con riferimento alla violazione dell’art. 7 delle legge n. 241 del 1990, ritiene il Collegio di richiamare l’orientamento giurisprudenziale consolidato, anche della Sezione, per cui il provvedimento di demolizione, avendo natura vincolata, non deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, non essendo prevista la possibilità per l’amministrazione di effettuare valutazioni di interesse pubblico relative alla conservazione del bene (Cons. Stato, Sez. II, 29 luglio 2019, n. 5317; sez. VI, 25 febbraio 2019, n. 1281).
Poiché l’ordine di demolizione conseguente all’accertamento della natura abusiva delle opere edilizie, come tutti i provvedimenti sanzionatori edilizi, è un atto dovuto, non deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di una misura sanzionatoria per l’accertamento dell’inosservanza di disposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato dalla legge per reprimere un abuso edilizio; inoltre, il presupposto di fatto del provvedimento di demolizione, ossia l’abuso, costituisce un elemento di cui il ricorrente deve essere ragionevolmente a conoscenza, rientrando nella propria sfera di controllo (Consiglio di Stato, Sez. II, 26 giugno 2019, n. 4386; Sez. VI, 5 giugno 2017, n. 2681; id., 25 febbraio 2019, n. 1281).
In ogni caso, la natura vincolata del provvedimento di demolizione comporta, l’applicazione anche dell’art. 21 octies, secondo comma, prima parte, della legge n. 241 del 1990, per cui “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
Tale disposizione, inoltre, non richiede come la seconda parte della disposizione del comma 2 che “l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”, con la conseguente irrilevanza anche della mancata costituzione in giudizio del Comune rispetto alla presente controversia.
Quanto alla istruttoria disposta dal Tribunale amministrativo alla prima camera di consiglio, ritiene il Collegio, la irrilevanza di tale circostanza processuale, in primo luogo poiché l’ordinanza istruttoria tendeva ad acquisire la documentazione in mancanza della costituzione in giudizio del Comune; inoltre, la natura abusiva delle opere accertate nel corso del sopralluogo neppure risulta contestata dalla parte appellante, che deduce solo che per alcune di esse non fosse necessario il permesso di costruire.
Con ulteriore motivo di appello la parte appellante contesta la mancata applicazione della disciplina della art. 34 del d.P.R. 380 del 2001 e quindi la mancata irrogazione di una sanzione pecuniaria in luogo della demolizione.
Anche tale motivo è infondato.
Ai sensi dell’art. 34 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, nel testo vigente al momento di adozione del provvedimento di sanatoria annullato dalla sentenza di primo grado, “gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire sono rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell’abuso entro il termine congruo fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile dell’ufficio. Decorso tale termine sono rimossi o demoliti a cura del comune e a spese dei medesimi responsabili dell’abuso.
2. Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale.
2-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi di cui all’articolo 22, comma 3, eseguiti in parziale difformità dalla denuncia di inizio attività”.
Il D.P.R. n. 380 del 2001 distingue, quindi, in primo luogo, ai fini sanzionatori, gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, dagli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, la cui disciplina sanzionatoria è recata dall’art. 34.
Per i primi, è senz’altro prevista la demolizione delle opere abusive; mentre solo per i secondi la legge prevede la demolizione, a meno che, non potendo avvenire la demolizione senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, debba essere applicata una sanzione pecuniaria (Consiglio di Stato VI, 8 maggio 2018, n. 2739; id, 24 giugno 2019, n. 4331).
Secondo il giudice di primo grado non vi sarebbe il presupposto della parziale difformità per l’applicazione dell’art. 34.
La difesa appellante contesta tale circostanza deducendo che non tutte le opere realizzate sarebbero soggette al regime del permesso di costruire, in particolare facendo riferimento al punto 5) del provvedimento di demolizione, che riguarda i muri di recinzione e gli accessi carrabili; per altre difformità realizzate deduce che si tratterebbe di volumi tecnici; di ipotesi ristrutturazione edilizia per la parte demolita e ricostruita; per le opere di cui ai punti 1) e 2) dell’ordinanza di demolizione (completo tamponamento del portico e della veranda e la realizzazione di una ulteriore struttura in cemento armato per complessivi 87 metri quadri; realizzazione di un garage fuori terra invece che interrato per 74 metri quadri e la sopraelevazione di un piano per 25 metri quadri) ammette che si tratta di aumenti volumetrici deducendo, peraltro, la completa e inscindibile unificazione alla parte legittimamente realizzata.
Il Collegio non condivide tale ricostruzione.
La consolidata giurisprudenza, infatti, considera realizzato in “totale difformità” l’intervento edilizio che, sulla base di una comparazione unitaria e sintetica fra l’organismo programmato e quello che è stato realizzato con l’attività costruttiva, risulti integralmente diverso da quello assentito per caratteristiche tipologiche, plano-volumetriche, di utilizzazione o di ubicazione, mentre, invece, in “parziale difformità” l’intervento che, sebbene contemplato dal titolo abilitativo, risulti realizzato secondo modalità diverse da quelle previste a livello progettuale; tale valutazione, inoltre, deve essere effettuata sulla base di una valutazione complessiva e non parcellizzata delle singole difformità, non potendosi dunque ammettere una qualificazione di ognuna di esse come difformità solo parziale dell’immobile assentito rispetto a quello realizzato (Cons. Stato Sez. IV, 13 novembre 2017, n. 5204). Il concetto di parziale difformità presuppone che un determinato intervento costruttivo, pur se contemplato dal titolo autorizzatorio rilasciato dall’autorità amministrativa, venga realizzato secondo modalità diverse da quelle previste e autorizzate a livello progettuale, quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell’opera; mentre si è in presenza di difformità totale del manufatto o di variazioni essenziali, sanzionabili con la demolizione, quando i lavori riguardino un’opera diversa da quella prevista dall’atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione (Cons. Stato Sez. VI, 24 giugno 2019, n. 4331).
Nel caso di specie, la consistenza degli interventi realizzati con aumenti volumetrici complessivi di molti metri cubi, la totale modificazione dei manufatti originariamente assentiti, nonché la realizzazione di manufatti ex novo comportano la qualificazione delle opere come realizzate in totale difformità dal titolo edilizio.
Quanto ai muri di recinzione, in giurisprudenza la loro realizzazione viene qualificata come intervento di nuova costruzione, con quanto ne consegue ai fini del previo rilascio del necessario titolo abilitativo, qualora abbia l’effettiva idoneità di determinare significative trasformazioni urbanistiche ed edilizie; la realizzazione di un muro di recinzione necessita del previo rilascio del permesso a costruire allorquando, avuto riguardo alla sua struttura e all’estensione dell’area relativa, lo stesso sia tale da modificare l’assetto urbanistico del territorio (Cons. Stato, sez. VI, 4 luglio 2014, n. 3408; Cons. Stato, sez. VI, 4 gennaio 2016, n. 10).
Nel caso di specie, i muri di recinzione considerate le dimensioni complessive in relazione alla lunghezza, non possono considerarsi solo una estrinsecazione della facoltà dello ius excludendi del proprietario avendo comportato la trasformazione urbanistica di una area estesa.
Con riferimento, poi, alla parte oggetto di demolizione e ricostruzione, si deve rilevare la infondatezza delle argomentazioni difensive circa l’applicazione dell’art. 33 del D.P.R. 380 del 2001, dovendosi escludere, nel caso di specie, la qualificazione come ristrutturazione edilizia, anche considerando da sola la parte oggetto di demolizione e ricostruzione.
Ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera d) del D.P.R. 380 del 2001, nel testo allora vigente, infatti, rientravano nella nozione di ristrutturazione edilizia gli interventi di demolizione e ricostruzione “con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente”, mentre l’intervento realizzato ha comportato un aumento di volumetria – con riguardo solo alla parte demolita e ricostruita – di 100 metri cubi.
Comunque, in linea generale, anche gli interventi edilizi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire sono soggetti alla sanzione demolitoria, a meno che, non potendo essa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, si debba applicare la sanzione pecuniaria (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 4 giugno 2018, n. 3371; id. 21 maggio 2019, n. 3280; id. 16 marzo 2018, n. 1693).
La consolidata giurisprudenza interpreta poi le disposizioni dell’art. 34 nel senso che la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria posta da tale normativa debba essere valutata dall’Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all’ordine di demolizione, fase esecutiva nella quale le parti possono dedurre in ordine alla situazione di pericolo di stabilità del fabbricato, presupposto per l’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, con la conseguenza che tale valutazione non rileva ai fini della legittimità del provvedimento di demolizione. Infatti, la costante giurisprudenza ritiene altresì che la norma abbia valore eccezionale e derogatorio, e di conseguenza non sia l’amministrazione a dover valutare, prima di emettere l’ordine di demolizione dell’abuso, se essa possa essere applicata, ma è il privato interessato a dover dimostrare, in modo rigoroso, nella fase esecutiva, l’obiettiva impossibilità di ottemperare all’ordine stesso senza pregiudizio per la parte conforme (cfr. Consiglio di Stato, Sez. II, 12 settembre 2019, n. 6147; Sez. VI, 15 luglio 2019, n. 4939; id. 21 maggio 2019, n. 3280; id, 9 luglio 2018, n. 4169; id, 19 novembre 2018, n. 6497; 29 novembre 2017, n. 5585).
Ritiene, dunque, il Collegio in conformità a tali consolidati orientamenti che, nel caso di specie, il Comune non potesse, comunque, che ordinare la demolizione delle opere abusivamente realizzate, salva la facoltà per le appellanti di dedurre, al momento della concreta esecuzione del provvedimento di demolizione, in ordine all’eventuale situazione di pericolo di stabilità del fabbricato derivante dall’esecuzione della demolizione delle opere abusive e per le opere realizzate in parziale difformità dal titolo edilizio.
L’appello è dunque infondato e deve essere respinto […]