Consiglio di Stato, Sezione Seconda, Sentenza n. 6323 del 2020, pubbl. il 20/10/2020

[…]

FATTO

1. Espone l’appellante di essere proprietario di un’unità immobiliare ad uso residenziale, sita in […].
Con provvedimento P.G. n. … dell’…2007, il Comune negava il rilascio del titolo edilizio in sanatoria, in quanto l’art. 32, comma 25, del decreto legge 30 settembre 2003 n. 269, ammetteva la sanatoria delle opere ultimate entro il 31 marzo 2003, mentre l’opera de qua non risultava esistente nel fotorilievo del dicembre 2003.
Seguiva l’adozione di provvedimento ripristinatorio, recante data … 2010, fondato sui rilievi effettuati dalla Polizia Municipale a seguito di accesso.
In tale circostanza, veniva accertato che, nell’unico ambiente posto al secondo piano dell’immobile, erano in corso lavori ed erano state realizzate nuove opere, consistenti nella realizzazione di un nuovo ambiente (stanza provvista di una porta finestra, attraverso la quale si accedeva ad una terrazza di nuova costruzione, ricavata eliminando parte del tetto, di superficie pari a mt. … x …); veniva, inoltre, appurato che sui tre lati della terrazza era stato realizzato un muretto in pietrafoglio e che, sul lato opposto di detta stanza, ne era stata realizzata un’altra, ricavata su una parte del tetto, avente estensione di mt. … x …, dotata di una porta finestra, dalla quale si accedeva ad una ulteriore terrazza di nuova costruzione.

2. Con ricorso N.R.G. 874 del 2010, proposto innanzi al T.A.R. dell’Emilia-Romagna, […] chiedeva l’annullamento del provvedimento ripristinatorio anzidetto.
Costituitasi l’Amministrazione comunale intimata, il Tribunale ha respinto il ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite, in favore di quest’ultima, per € 3.500,00.

3. Avverso tale pronuncia, […] ha interposto appello, notificato il 5 maggio 2011 e depositato il successivo 3 giugno, rappresentandone i seguenti profili inficianti:

3.1) Erroneità della sentenza per carenza di motivazione e pronuncia su quanto evidenziato nel primo motivo di ricorso e nella memoria del 30 settembre 2010, del contenuto del verbale di accertamento, delle due relazioni tecniche dell’ … e dell’… del Comune […]. Violazione di legge, per violazione ed errata applicazione dell’art. 10, comma 2, della legge regionale dell’Emilia-Romagna 21 ottobre 2004, n. 23, dell’Allegato alla legge regionale n. 31 del 2002, dell’art. 11 delle Disposizioni sulla legge in generale, dell’art. 1 della legge 689 del 1981, dell’art. 37 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Eccesso di potere per errata identificazione dei presupposti di fatto e di diritto, carenza di istruttoria, carenza e contraddittorietà di motivazione, violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione per violazione dei principi di legalità ed irretroattività delle sanzioni amministrative.
Avrebbe errato il Tribunale nel ritenere che l’abuso accertato dall’Autorità comunale fosse diverso – e più grave – rispetto alle opere per le quali l’odierno appellante aveva chiesto il rilascio di titolo in sanatoria.

L’intervento descritto nel verbale redatto dalla Polizia municipale, rappresentava infatti il risultato di due fasi di lavori, la prima delle quali (svoltasi in data anteriore alla presentazione della domanda di condono del … 2004, e in essa descritta) aveva avuto ad oggetto la realizzazione di una loggia con superficie accessoria di mq. …, e la trasformazione di un ripostiglio in bagno; mentre la seconda, era consistita nella chiusura delle predetta loggia, e nella realizzazione di un’ulteriore terrazza, di larghezza pari circa ad un metro, a servizio della stessa camera.

La sentenza appellata sarebbe, quindi, viziata da carenza di motivazione, non avendo pronunciato sulle considerazioni svolte dal ricorrente di prime cure, ove era stato sottolineato che il provvedimento impugnato era inficiato per travisamento dei presupposti e carenza di motivazione e di istruttoria, avendo applicato retroattivamente, a tutti gli interventi, la sanzione della demolizione prevista dall’art. 10, comma 2, della legge regionale n. 23/2004, sul presupposto della indimostrata affermazione che le opere “sono state completate nell’anno 2005”.

Diversamente, per i lavori aggiuntivi, successivi alla presentazione della domanda di condono e descritti nel predetto verbale dell’11 febbraio 2005, difetterebbe alcuna prova circa l’entità degli interventi, ed in ordine al fatto che gli stessi siano stati eseguiti in data successiva al 22 ottobre 2004 (entrata in vigore della legge regionale 23 del 2004).
Il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che sia stato posto in essere “un ben diverso e più grave intervento mediante il quale erano in corso di realizzazione un nuova terrazza ed una nuova camera mediante l’eliminazione di parte del tetto dell’edificio”, laddove sarebbe documentalmente dimostrato che non è stato diminuito il tetto dell’edificio, e che la ritenuta “nuova camera” (costituita dalla chiusura della loggia già preesistente e oggetto di domanda di condono) era già stata realizzata.
Parte appellante sostiene, poi, che non possano essere qualificati come interventi di “nuova costruzione” gli interventi pertinenziali, quali appunto le terrazze, che non comportino, come nella fattispecie, la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale (con riveniente inapplicabilità della sanzione ripristinatoria).

3.2) Erroneità della sentenza per carenza ed erroneità della motivazione, nella parte in cui ha ritenuto infondato il secondo motivo di ricorso. Violazione di legge, per violazione dell’art. 10, comma 2, della legge regionale 23 del 2004. Dell’art. 9, commi 1, 2, 3 e 4 della legge 47 del 1985, dell’art. 33 del D.P.R. 380 del 2001. Eccesso di potere per errata individuazione dei presupposti e carenza di motivazione.

L’appellata sentenza sarebbe, poi, erronea nella parte in cui ha ritenuto non necessaria la verifica della fattibilità della demolizione, prima dell’emissione del relativo ordine, e ha ritenuto corretto il procedimento sanzionatorio, pur non risultando espressi dall’Amministrazione “criteri e modalità diretti a ricostruire l’originario organismo edilizio”.

Secondo la tesi di parte, l’ingiunzione a demolire deve essere preceduta da un doveroso accertamento tecnico dell’ufficio sulla fattibilità dell’intervento di ripristino, incombendo sull’Amministrazione l’onere di accertare i presupposti prescritti dalla legge per l’esercizio dei poteri a questa conferiti, a prescindere dall’apporto che in sede di partecipazione al procedimento gli interessati possano dare.

Sul punto, rappresenta il […] di avere documentato, nel corso del giudizio di primo grado, l’impossibilità della demolizione, per i gravi rischi che sarebbero derivati dalla medesima, nonché l’inesistenza di effettive ragioni di sicurezza che imponessero la rimozione di tutti gli interventi effettuati.
Nell’osservare che, anche ove ritenuto applicabile alla fattispecie l’art. 10, comma 2, della legge regionale 23/2004, la rimessione in pristino dell’immobile sarebbe, comunque, di impossibile attuazione in assenza di effettivo parere tecnico della Commissione per la qualità architettonica e il paesaggio (in quanto la predetta norma impone che, qualora venga ordinata la rimessione in pristino a seguito di intervento eseguito su immobile vincolato, l’autorità competente a vigilare sull’osservanza del vincolo deve indicare concreti criteri e modalità, diretti a ricostituire l’originario organismo edilizio), lamenta parte appellante che la sentenza gravata abbia omesso di valutare la effettiva mancanza di precisazione dei criteri da seguire nella rimessione in pristino.

Conclude, pertanto, l’appellante per l’accoglimento dell’appello e, in riforma della sentenza impugnata, del ricorso di primo grado, con ogni statuizione conseguenziale anche in ordine alle spese del doppio grado di giudizio.

4. In data 14 gennaio 2012, l’Amministrazione appellata si è costituita in giudizio; ed ha, in pari data, depositato in atti memoria difensiva, con la quale viene articolatamente controdedotto alle censure articolate con l’atto introduttivo.

5. In vista della trattazione nel merito del ricorso, parte appellante ha depositato in atti (alla data del … 2020), conclusiva memoria, con la quale, ribadite le argomentazioni già esposte con l’atto introduttivo, ha insistito per l’accoglimento del proposto mezzo di tutela.

6. L’Amministrazione comunale appellata, con memoria di replica depositata il … 2020, ha eccepito l’inammissibilità dell’argomentazione, dal […] esposta con la suindicata memoria del … 2020, circa l’affermata assoggettabilità di “tutte le misure di carattere punitivo afflittivo … alla medesima disciplina della sanzione penale”, con riveniente esclusione della “applicazione retroattiva delle stesse”; ed ha, inoltre, analiticamente contestato la fondatezza delle considerazioni dall’appellante esposte con il suindicato atto difensivo, conclusivamente insistendo per la reiezione del gravame.

7. Alla data dell’… 2020, parte appellante ha depositato in atti conclusiva memoria, nella quale vengono ribadite le argomentazioni già dedotte con l’atto introduttivo del giudizio.

8. L’appello viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 29 settembre 2020.

DIRITTO

1. Giova, preliminarmente alla disamina degli articolati motivi di appello, procedere ad una breve ricognizione dei contenuti motivazionali della gravata pronunzia del T.A.R. dell’Emilia-Romagna.

Il giudice di prime cure, in particolare, ha respinto la prima doglianza (illegittimità del provvedimento impugnato per violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma 2, della L.R. Emilia-Romagna n. 23 del 2004 e dell’art. 37 D.P.R. n. 380 del 2001), rilevando che “dal sopralluogo operato dalla Polizia Municipale l’… 2005, risulta … che l’intervento abusivo per il quale era stata respinta dal Comune l’istanza di condono edilizio del ricorrente (realizzazione di una loggia mediante utilizzo di superficie accessoria) era stato sostituito da un ben diverso e più grave intervento mediante il quale erano in corso di realizzazione una nuova terrazza e un’ulteriore camera mediante l’eliminazione di parte del tetto dell’edificio”.

Nel dare atto della legittimità del gravato provvedimento di demolizione, “trattandosi di abuso diverso e più grave del precedente oggetto di diniego di condono ed essendo i relativi lavori ancora in corso in data successiva all’entrata in vigore della citata L.R. n. 23 del 2004”, il T.A.R. ha, poi, ritenuto “parimenti infondata … la seconda censura, con la quale si rileva violazione dell’art. 10, comma 2, della L.R. n. 23 del 2004, in quanto il provvedimento impugnato non conterrebbe le necessarie indicazioni e prescrizioni della Commissione comunale per la qualità architettonica e del paesaggio circa le modalità dell’operazione di riduzione in pristino del fabbricato in questione”.
Secondo il giudice di prime cure, se alla Commissione è rimessa l’espressione di parere sulla sanzione demolitoria, tale adempimento non deve, tuttavia, “intendersi esteso a dettare, in ogni caso, prescrizioni in ordine alle modalità di esecuzione della riduzione in pristino”; per l’effetto, dimostrandosi “del tutto irrilevante, ai fini della legittimità del provvedimento impugnato, che la stessa abbia ritenuto non necessarie ulteriori precisazioni circa le modalità esecutive della sanzione ripristinatoria”.

Quanto, da ultimo, alla mancata irrogazione di sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, il Tribunale ha sostenuto che, ai sensi dell’art. 10 della L.R. n. 23 del 2004, deve essere il soggetto interessato “a presentare motivata richiesta in tal senso al Comune successivamente all’ordinanza di sospensione dei lavori”; sul punto, osservando che, “pur essendo stata adottata ordinanza di sospensione dei lavori da parte del Comune, il ricorrente non abbia presentato alcuna istanza diretta a ottenere la commutazione della sanzione”.

2. In punto di fatto, la consecuzione delle vicende che hanno dato luogo all’adozione del provvedimento repressivo gravato in prime cure, evidenzia la giustapposizione, nell’ambito dell’unità abitativa dall’appellante posseduta in …, di una duplice serie di interventi, parimenti caratterizzati dall’assenza di titolo abilitativo.

In particolare, veniva dal […] dapprima realizzato un ampliamento di superficie accessoria mediante costruzione di una loggia.

Con provvedimento in data … 2007, il Comune negava il rilascio del richiesto titolo edilizio in sanatoria, in quanto l’art. 32, comma 25, del decreto legge 30 settembre 2003 n. 269 escludeva la sanabilità delle opere ultimate successivamente al 31 marzo 2003 (laddove l’intervento di che trattasi non risultava rappresentato nel fotorilievo del dicembre 2003).

La stessa opera, peraltro, nelle more degli accertamenti condotti dall’Amministrazione (sopralluogo della Polizia Municipale in data … 2005) veniva ad essere “sostituita” da altri interventi, parimenti privi di titolo ad aedificandum.

In tale circostanza, segnatamente, veniva accertata la realizzazione:

– di un nuovo ambiente, consistente in una stanza provvista di una porta finestra, attraverso la quale si accedeva ad una terrazza di nuova costruzione, ricavata eliminando parte del tetto (con superficie di metri … x …);

– di un muretto, sui tre lati della terrazza;

– di una ulteriore terrazza, ricavata su una parte del tetto che misurava metri … x …, dotata di una porta finestra, dalla quale si accedeva ad una ulteriore terrazza di nuova costruzione.

Da qui, l’adozione di provvedimento ripristinatorio e l’irrogazione di sanzione amministrativa pecuniaria, dalla parte in prime cure avversata.

3. Ciò premesso, le censure articolate con il presente mezzo di tutela non si prestano a condivisione.

3.1 In primo luogo, priva di pregio è la doglianza relativa alla determinazione dell’epoca in cui gli abusi anzidetti hanno avuto realizzazione, che parte appellante assume non sia stata con univoca concludenza dimostrata dalla procedente Amministrazione, segnatamente per quanto riguarda il discrimen in proposito integrato dalla data del 31 marzo 2003 (non operando, per gli interventi sine titulo posti in essere successivamente, le disposizioni di cui al decreto legge 269/2003).

È appena il caso di rammentare, in proposito, il consolidato orientamento di questo Consiglio (cfr., ex multis, Sez. II, 18 marzo 2020, n. 1929; Sez. IV, 1° aprile 2019, n. 2115; Sez. VI, 3 giugno 2019, n. 3696; id., 5 marzo 2018, n. 1391), per cui grava sul richiedente l’onere di provare la data di realizzazione e la consistenza originaria dell’immobile abusivo, in quanto solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che possano radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto.

Nell’osservare come neppure alla presenza di dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ove non si riscontrino elementi dai quali risulti univocamente l’ultimazione dell’edificio entro la data fissata dalla legge, sia in tal senso ricongiungibile concludenza probatoria, dalla domanda di condono in un primo tempo presentata dal […] emerge, inequivocabilmente, la presenza di interventi affatto dissimili rispetto a quelli descritti nel verbale successivamente formato dalla Polizia Municipale a seguito di sopralluogo.

Deve essere, altresì, richiamato l’orientamento giurisprudenziale, per cui la normativa sul condono postula la permanenza dell’immobile da regolarizzare e non ammette, in pendenza del procedimento, interventi edilizi sul manufatto oggetto dell’istanza di condono, al di fuori degli interventi diretti a garantirne l’integrità e la conservazione (Cons. Stato, sez. V, 27 agosto 2014, n. 4386).

Conseguentemente, in presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori (quand’anche riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o del risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche), ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale alla quale ineriscono strutturalmente: di tal guisa, che non può ammettersi la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente legittimità dell’intervento ripristinatorio adottato dalla competente Amministrazione comunale.

3.2 Privo di pregio si dimostra, per l’effetto, il rilievo, dalla parte appellante dedotto, relativo alla preesistenza di una loggia aperta ed alla realizzazione di interventi qualificati come manutenzione straordinaria, atteso che, secondo quanto ammesso dallo stesso tecnico di parte, il […] – nelle more della suindicata verifica posta in essere in loco dal Comune – aveva realizzato, per asserite esigenze familiari, la chiusura della loggia (già) oggetto di richiesta di sanatoria, con ampliamento della camera del piano secondo, nonché un’altra terrazza, con relativo coperto con accesso dalla parte ampliata, ed un’ulteriore terrazza scoperta.

Interventi, questi, che ictu oculi integrano la presenza di un complessivo abuso totalmente diverso dal precedente, con ampliamento del manufatto edilizio esistente all’esterno della sagoma qualificabile, alla stregua di quanto previsto dall’art. 3 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, quale “nuova costruzione”.

3.3 Quanto alla sanzione applicabile, parte appellante, come in narrativa esposto:

– nel contestare la retroattiva applicazione, a tutti gli interventi, della sanzione ripristinatoria di cui all’art. 10, comma 2, della legge regionale n. 23/2004 (sostenendo che sia indimostrato il completamento delle opere successivamente alla relativa entrata in vigore);
– ha, ulteriormente, sostenuto che per i lavori aggiuntivi, successivi alla presentazione della domanda di condono e descritti nel predetto verbale dell’… 2005, non sussisterebbe evidenza alcuna in ordine all’epoca di effettuazione (e, quindi, alla relativa realizzazione successivamente al … 2004, data di entrata in vigore della legge regionale anzidetta).

Tale argomentazione – relativa all’affermata irretroattività della più severa disciplina sanzionatoria volta alla repressione degli interventi edilizi abusivi – è appieno inconferente, ove si consideri che, come in giurisprudenza reiteratamente affermato (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 21 marzo 2019, n. 1892), allorquando il Comune eserciti il potere repressivo a distanza di tempo dalla commissione dell’abuso, la disciplina sanzionatoria applicabile è quella vigente al momento dell’esercizio del potere sanzionatorio.

Ciò in quanto l’abuso edilizio, rivestendo i caratteri dell’illecito permanente, si pone in perdurante contrasto con le norme tese al governo del territorio sino al momento in cui non venga ripristinata la situazione preesistente; l’illecito sussistendo anche quando il potere repressivo si fondi su di una legge entrata in vigore successivamente al momento in cui l’abuso è stato compiuto.

Da ciò discende che, ai fini della repressione dell’illecito edilizio, è comunque applicabile il regime sanzionatorio vigente al momento in cui l’Amministrazione dispone la sanzione, in quanto, attesa la natura permanente dell’illecito stesso, colui che ha realizzato l’abuso mantiene inalterato nel tempo l’obbligo di eliminare l’opera illecita, onde il potere di repressione può essere esercitato retroattivamente, anche per fatti verificatisi prima dell’entrata in vigore della norma che disciplina tale potere.

Questo stesso Consiglio (cfr. Sez. IV, 24 novembre 2016, n. 4943) ha avuto modo di affermare che il regime sanzionatorio applicabile agli abusi edilizi è, in conformità al principio del tempus regit actum, quello vigente al momento della sanzione, e non già quello in vigore all’epoca di consumazione dell’abuso; e la natura della sanzione demolitoria, finalizzata a riportare in pristino la situazione esistente e ad eliminare opere abusive in contrasto con l’ordinato assetto del territorio, impedisce di ascrivere la stessa al genus delle pene afflittive, cui propriamente si attaglia il divieto di retroattività.

3.4 Sostiene, poi, parte appellante che da una interpretazione sistematica delle vigenti norme derivi il principio, secondo cui, relativamente alle ristrutturazioni edilizie abusive di immobili sottoposti a vincolo, l’art. 9, comma 3 della legge 47 del 1985, va interpretato nel senso che la sanzione ripristinatoria trova applicazione congiuntamente a quella pecuniaria solo se il ripristino sia ancora possibile; in caso diverso, dimostrandosi irrogabile la sola sanzione pecuniaria.

Anche tale prospettazione non si presta a condivisione.

Come da questa Sezione recentemente affermato (cfr. sentenza 13 luglio 2020, n. 4506), le disposizioni (già) dettate dai commi 2 e 3 dell’art. 9 della legge 47 del 1985 (ed ora, riprodotte dall’art. 33, commi 2 e 3, del D.P.R. 380 del 2001), prevedono che:

– qualora, sulla base di motivato accertamento dell’Ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, il dirigente o il responsabile dell’Ufficio irroga una sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento di valore dell’immobile;

– l’irrogazione della sanzione pecuniaria da € 516,00 ad € 5.164,00, ha carattere alternativo rispetto alla sanzione demolitoria, peraltro con riferimento allo specifico ambito di competenza dell’Amministrazione proposta alla tutela degli immobili vincolati ai sensi del D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 (“Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’art. 1 della legge 8 ottobre, n. 352”, vigente alla data di emanazione del D.P.R. n. 380/2001): Amministrazione cui la legge rimette la valutazione sulla demolizione, o meno, del bene vincolato oggetto dell’abuso, al fine di evitare che la scelta demolitoria sia affidata a sole valutazioni di natura edilizia e non anche a considerazioni inerenti il rispetto di vincoli culturali e/o ambientali.

Il successivo comma 4 riguarda invece gli abusi edilizi (“Interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità”) su immobili non vincolati, ma posti nei centri storici (“compresi nelle zone omogenee A, di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444”).
Anche questa disposizione richiede la partecipazione procedimentale, con apposito parere vincolante, dell’Amministrazione competente alla tutela dei beni culturali e ambientali, circa l’opzione tra la restituzione in pristino o la irrogazione della lieve sanzione pecuniaria da € 516,00 ad € 5.164,00 di cui al precedente comma 3, espressamente richiamato dal presente comma 4.

Ma, come nel comma che precede, questa partecipazione procedimentale è riferita alla particolare esigenza che la scelta sanzionatoria tenga conto anche di vincoli culturali e/o ambientali, in questo caso relativi ai centri storici.

Una volta esclusa, dall’Amministrazione competente alla tutale dei vincoli, la scelta demolitoria, residua l’irrogabilità della (sola) sanzione pecuniaria da € 516,00 ad € 5.164,00: “ma ciò solo con riferimento al profilo culturale e ambientale, non anche con riferimento al profilo più propriamente edilizio”, in quanto, “relativamente a quest’ultimo profilo resta la disposizione generale di cui al precedente comma 2 del medesimo art. 33, che in caso di interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità prevede, qualora non sia possibile la demolizione, la sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento di valore dell’immobile”.

La concludenza di tale interpretazione appieno rileva, ove si consideri che, come dalla Sezione rilevato, “risulterebbe abnorme un’interpretazione del citato art. 33, commi 4 e 3, secondo cui un abuso … realizzato nel centro storico, sarebbe passibile, in alternativa alla demolizione, non già della sanzione pecuniaria di importo pari al doppio dell’aumento di valore dell’immobile ma alla sola sanzione pecuniaria di importo da 516 a 5164 euro”.

In ossequio a quanto stabilito dal comma 2 dell’art. 10 della legge regionale del 2004, nella vicenda all’esame risulta essere stato acquisito il parere della Commissione Edilizia, la quale non ha ritenuto di indicare particolari prescrizioni per eseguire la disposta rimessione in ripristino: conseguentemente, dovendo escludersi, diversamente rispetto a quanto sostenuto dall’appellante, che siffatto apporto non sia stato reso.

3.5 Quanto, poi, alle criticità che si affermano intrinseche all’esecuzione della misura ripristinatoria, si rammenta che l’art. 31 del D.P.R. 380/2001 contempla l’irrogazione dell’ordine demolitorio per gli interventi eseguiti in assenza del permesso di costruire, ovvero in totale difformità da esso.

Il successivo art. 34 consente l’applicazione di una sanzione pecuniaria, qualora la demolizione non possa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, in presenza di interventi e/o opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire.

Nell’osservare come si verta, quanto alla fattispecie all’esame, nel caso di realizzazione non assistita da titolo edificatorio, deve conseguentemente escludersi che potesse darsi luogo, a fronte dell’accertata abusività dell’intervento posto in essere, all’irrogazione di sanzione pecuniaria.

Né, sotto altro profilo, rileva il lamentato pregiudizio addotto con riferimento alla statica delle restanti parti del manufatto.

Il citato art. 34 del D.P.R. n. 380 del 2001, nel disciplinare gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire, prevede, al secondo comma, che “quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione”.

La possibilità di sostituire la misura ripristinatoria con la sanzione pecuniaria, stabilita dalla disposizione sopra riportata, deve essere valutata dall’Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva – ed autonoma – rispetto all’ordine di demolizione (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 12 aprile 2013, n. 2001): il dato testuale della legge dimostrandosi univoco ed insuperabile, in coerenza con il principio per il quale, accertato l’abuso, l’ordine di demolizione va senz’altro emesso.

Se, quindi, la valutazione di che trattasi pertiene all’attuazione dell’ordine ripristinatorio (la legittima adozione del quale, al ricorrere dei previsti presupposti, non viene ad essere inficiata per effetto della mancata ponderazione di tale aspetto, strettamente inerente alla successiva fase di realizzazione della rimessione in pristino), rileva inoltre il Collegio come nella fattispecie in esame non sussistano, comunque, i presupposti applicativi previsti dalla suddetta normativa, atteso che parte appellante ha realizzato la contestata opera in assenza di titolo abilitativo, e non già in parziale difformità da esso.

Né, quand’anche possa accedersi alla prospettazione, per cui le opere poste in essere si sarebbero risolte nell’ampliamento di un’opera preesistente, la norma in esame rivela utile applicabilità quanto alla sottoposta vicenda, atteso che l’operatività della disposizione implica che vengano in rilievo gli stessi lavori edilizi posti in essere a seguito del rilascio del titolo abilitativo e in parziale difformità da esso, ma non anche un intervento edilizio affatto privo di permesso ad aedificandum.

4. La constatata infondatezza delle doglianze articolate con il presente appello, impone la reiezione del predetto mezzo di tutela.
[…]