Consiglio di Stato, Sezione Sesta, Sentenza n. 1861 del 2016, pubbl. il 09/05/2016

[…]

FATTO e DIRITTO

1.La signora […] è proprietaria in […], […], di una porzione di terreno, identificata al Catasto al foglio 9, mappali nn. 398, 399 e 400. Sul mappale n. 398 è stata edificata una casa di abitazione monofamiliare a due piani in forza –si assume- di licenza edilizia assentita nel 1963. Nel 1990 è stato realizzato un abuso edilizio, consistente nell’aumento della superficie utile dell’unità immobiliare. L’abuso è stato condonato nel 1998 mediante concessione in sanatoria n. 184/724.

2.Nel 2010 […] ha domandato al Comune il rilascio di un permesso di costruire per la demolizione e la ricostruzione, con ampliamento, dell’edificio a uso residenziale, in base a quanto prevede l’art. 3 del c. d. Piano Casa del Veneto –l. r. n. 14 del 2009. Il permesso di costruire per “demolizione e ricostruzione di un edificio a uso residenziale –Piano Casa –l. r. 14/2009” è stato accordato con provvedimento in data 5 agosto 2011. Dagli atti risulta assentita la costruzione di una nuova villa unifamiliare sempre a due piani e avente una volumetria, a quanto consta, di circa 904 mc.
L’edificio risulta ricostruito e ampliato in una posizione più centrale dell’area di pertinenza. Dagli atti risulta che i lavori sono terminati nel giugno del 2013.

3.Ciò premesso il signor […], proprietario di un lotto di terreno e di un’abitazione nel Comune […], nelle vicinanze della proprietà […], ha impugnato dinanzi al Tar del Veneto il permesso di costruire assentito a quest’ultima.

4.Con sentenza in forma semplificata n. 959 del 2012 la seconda sezione del Tribunale amministrativo ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto di legittimazione e di interesse ad agire, ritenendo che il […] non avesse dimostrato una posizione differenziata e qualificata a vedere annullato il permesso di costruire.

5.Il […] ha appellato la sentenza e la IV sezione di questo Consiglio di Stato, con la decisione n. 3596 del 2013, in riforma della sentenza di primo grado, ha considerato sussistente l’interesse a ricorrere in capo all’appellante e, esaminato nel merito il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, lo ha accolto, giudicando illegittimo il permesso di costruire, sotto il profilo della violazione dell’art. 3 della l. r. n. 14 del 2009.
Per quanto riguarda in particolare la localizzazione dell’edificio ricostruito (e ampliato), sulla medesima, o su diversa, area di sedime; sul rapporto tra nuova localizzazione e localizzazione originaria, nella sentenza d’appello si legge che “esso manca del tutto (…vecchio e nuovo edificio insisterebbero su mappali diversi: da 398 a 399) o, tutt’al più, appare del tutto formale (come appare dalla tavola allegata alla relazione tecnica allegata all’istanza di autorizzazione paesaggistica vi sarebbe solo sovrapposizione di un modesto tratto di un muro perimetrale). In definitiva, il rapporto tra la precedente e la nuova costruzione si rivela del tutto labile, se non illusorio. E ciò, ad avviso del Collegio, è sufficiente per ritenere – in coerenza … con gli orientamenti della Regione (per i quali l’intervento di demolizione e di ricostruzione, per essere considerato conforme all’art. 3 della l. r. n. 14 del 2009, doveva avvenire sulla medesima area di sedime, e comunque l’edificio ricostruito doveva mantenere una relazione effettiva e concreta con la sua localizzazione originaria –n. di est.) e dello stesso Comune– che, nella fattispecie, non si sia trattato di demolizione e ricostruzione (nel senso voluto dalla legislazione regionale), ma di abbattimento e traslazione “ex novo” su suolo diverso da quello originario: (di qui la pronuncia d’) illegittimità del permesso di costruire … che deve pertanto essere annullato (con assorbimento degli) altri motivi di merito dell’appello”.

6.In seguito all’annullamento giurisdizionale […] ha presentato al Comune, in data 12 agosto 2013, domanda di applicazione dell’ art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001, e di conseguente rilascio di un nuovo permesso di costruire a seguito dell’eliminazione dell’elemento di contrasto dell’intervento con il citato art. 3 della l. r. n. 14 del 2009, stante la presentazione, effettuata contestualmente alla istanza predetta di applicazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001, di un piano urbanistico attuativo.
Successivamente è intervenuta la l. r. n. 32 del 2013 – c.d. terzo Piano Casa, entrata in vigore il 1° dicembre 2013, la quale ha sostituito l’art. 3, comma 3, della l. r. n. 14 del 2009 consentendo la realizzazione di interventi di demolizione e ricostruzione con ampliamento anche su un’area di sedime diversa senza la necessità alcuna di piano attuativo prevedendo che tale intervento sia assoggettato al rilascio di permesso di costruire.
Il Comune […] ha accolto l’istanza e con atto del 6 agosto 2014 ha rilasciato a[…] un provvedimento di “rimozione dei vizi ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001 -permesso di costruire n. 11534”.

7.Il […]ha proposto ricorso anche contro tale ultimo provvedimento e con la sentenza n. 69 del 2015, pronunciata in forma semplificata, la seconda sezione del Tribunale amministrativo regionale del Veneto l’ha accolto e, per l’effetto, ha annullato il provvedimento indicato.
In particolare, con la sentenza in epigrafe il Tar:
-ha giudicato infondata l’eccezione comunale di carenza di legittimazione e interesse a ricorrere in capo al […], osservando che “il ricorrente è legittimato a ricorrere, essendo in rapporto di “vicinitas” con l’abuso, che limita la veduta della sua abitazione”;
-nel merito, ha statuito che la sentenza del Consiglio di Stato n. 3596 del 2013 viene in rilievo, “essendo un giudizio in sede di legittimità e non di ottemperanza”, non sotto il profilo della violazione del giudicato, bensì sotto quello della causa dell’annullamento del primo permesso di costruire, presupposto ex art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001 per l’eventuale accertamento della possibilità di rimuovere i vizi delle procedure amministrative che hanno determinato l’annullamento. Il motivo di annullamento individuato dal Consiglio di Stato è stato non la mancanza di un PUA rilevata dalla PA ma l’avere ricostruito l’edificio su un’area di sedime completamente diversa e non solo parzialmente diversa (si passa dal mappale 398 al mappale 399 e vi è sovrapposizione solo di un breve tratto di muro perimetrale), in violazione dell’art. 3, comma 3, del secondo Piano Casa Veneto, nel testo vigente all’epoca dell’adozione del provvedimento contestato, alla stregua di un’interpretazione seguita dal giudice di appello nel 2013 e condivisa e fatta propria anche dal “presente collegio”;
– ha aggiunto che il nuovo art. 3, comma 3 della l. r. n. 14 del 2009, come sostituto dalla l. r. n. 32 del 2013 -terzo Piano Casa, che consente la demolizione e la ricostruzione con ampliamento anche su area di sedime diversa, disposizione richiamata nel “provvedimento di rimozione di vizi ex art. 38 –permesso di costruire” del 6 agosto 2014, rafforza la conclusione esposta sopra poiché, innovando, consente ricostruzioni su aree di sedime “completamente” diverse. L’impugnata rimozione di vizi ex art. 38 / sanatoria –si soggiunge in sentenza- non solo non rimuove il suddetto vizio sostanziale e originario dell’abuso, ma lo ribadisce in modo esplicito richiamando il citato art. 3, comma 3, con violazione evidente dell’art. 38 il quale, nell’ipotesi d’impossibilità di rimuovere i vizi, impone o la restituzione in pristino o la sanzione pecuniaria (cfr. Cons. Stato, IV, n. 5115 del 2013);
-ha specificato che il provvedimento impugnato richiama nel preambolo anche l’art. 3, comma 3, della l. r. n. 14 del 2009, nel suo nuovo testo, approvato con la l. r. n. 32 del 2013 –c. d. terzo Piano Casa il quale non è, tuttavia, applicabile al caso in esame, e ciò in primo luogo perché l’art. 14 della l. r. n. 32 del 2013 richiede un’apposita istanza dell’interessato che, nel caso di specie, non risulta essere stata presentata; e in secondo luogo perché l’art. 3, comma 3, del terzo Piano Casa, al pari della norma precedente, “non ha natura di sanatoria di abusi edilizi ma, al contrario,” un simile uso è vietato dall’art. 9 della l. r. n. 32 del 2013 il quale, nel disporre che “gli interventi previsti dagli artt. .. 3 … non trovano applicazione per gli edifici…anche parzialmente abusivi”, esclude in maniera esplicita l’ammissibilità degli interventi di ricostruzione e di ampliamento su area di sedime diversa per gli edifici abusivi evidenziando che viene in rilievo un’abusività originaria che ha causato l’annullamento del permesso di costruzione sanato e chiarendo che la norma non ha natura di sanatoria di abusi edilizi; – ha infine dichiarato assorbiti gli ulteriori profili di illegittimità e respinto la domanda risarcitoria per insussistenza del requisito psicologico del danno, trattandosi di questione nuova sui rapporti tra il secondo e il terzo Piano Casa

8.Nel ricorso in appello, con il primo motivo […] ritiene che la rimozione dei vizi di cui all’art. 38 del testo unico dell’edilizia possa trovare applicazione nel caso di specie, dato che non sussiste alcun contrasto insanabile tra la costruzione assentita e la disciplina urbanistico – edilizia del luogo, tale da impedire l’applicazione del citato art. 38. La disposizione di cui si discute, ovvero l’art. 3 della l. r. n. 14 del 2009, che il giudice amministrativo ha considerato applicata in maniera scorretta, è stata successivamente modificata, con la l. r. n. 32 del 2013, nel senso che ora essa consente la riedificazione del volume demolito e ampliato anche su area di sedime completamente diversa. La situazione venutasi a creare per effetto dell’annullamento giurisdizionale del permesso di costruire del 2011 non integra propriamente una condizione di abusività delle opere realizzate in base al titolo edilizio annullato in sede giudiziale. Nella disciplina di cui al citato art. 38, la demolizione dell’opera realizzata in base a un permesso annullato in sede giudiziale costituisce l’extrema ratio. E la ri-emissione del permesso di costruire emendato dai vizi riscontrati avverrà applicando la normativa vigente al momento dell’adozione del provvedimento. Diversamente da quanto si è ritenuto in sentenza, il provvedimento del 2014 di rimozione di vizi –rilascio di permesso di costruire oggetto della controversia non ha ribadito il vizio sostanziale del permesso di costruire originario, ma ha accertato e dichiarato che la costruzione eseguita in base al titolo edilizio viziato è ora conforme alle previsioni della legge regionale modificata e vigente al momento del rilascio del nuovo titolo.
Con il secondo motivo l’appellante, nel muovere dall’assunto che il Comune, nel 2014, ha inteso applicare l’art. 3 della l. r. n. 14 del 2009, come modificato dalla l. r. n. 32 del 2013, critica la statuizione con cui in sentenza è stato considerato non applicabile il su citato art. 3, comma 3, nuovo testo, che consente ricostruzioni e ampliamenti anche su aree di sedime diverse, posto che, a dire del Tar, l’applicazione della norma presuppone una istanza apposita dell’interessato, e ciò in base al disposto di cui all’art. 14 della l. r. n. 32 del 2013: istanza che non risulta essere stata avanzata. Ad avviso dell’appellante appare ragionevole e ispirata a criteri di economicità e di efficacia dell’azione amministrativa, oltre che al principio di collaborazione tra P. A. e privati, la scelta del Comune di applicare la disciplina di cui alla l. r. n. 32 del 2013 all’istanza del[…], quantunque presentata prima della entrata in vigore della l. r. n. 32 del 2013, e indipendentemente dalla presentazione, da parte della interessata, di una istanza integrativa o di una istanza ulteriore diretta a vedere applicata la nuova normativa. Quanto al richiamo, operato in sentenza, all’art. 9, lett. e), della l. r. n. 32 del 2013, che vieta gli interventi di ricostruzione e di ampliamento con riferimento agli edifici anche parzialmente abusivi, con il terzo motivo d’appello […] ritiene che l’art. 9/e) avrebbe l’unico scopo di impedire l’applicazione della disciplina del Piano Casa per dare attuazione a sanatorie improprie o a condoni edilizi indiretti, vale a dire per non assentire possibilità di edificazione a favore di soggetti responsabili di opere abusive: ma nella specie non viene in questione un’opera realizzati in assenza o in difformità da un titolo edilizio. Al contrario, il rinnovato utilizzo del Piano Casa è diretto in via esclusiva a porre rimedio a un vizio della sua applicazione originaria, e non per porre rimedio a un abuso edilizio anteriore, dato che l’edificio era stato costruito in osservanza del permesso di costruire rilasciato nel 2011 ex l. r. n. 14 del 2009, e poi annullato in sede giudiziale. Ad avviso dell’appellante non verrebbe in questione un abuso dato che l’istanza del 2013 consegue non a un abuso vero e proprio ma a un annullamento giurisdizionale di un titolo edilizio. Occorre distinguere cioè tra opera edilizia eseguita in base a un titolo edilizio annullato in sede giurisdizionale, e opera costruita in assenza o in difformità da esso. L’ipotesi dell’opera realizzata in base a concessione edilizia annullata a seguito di pronuncia giurisdizionale non integra propriamente una tipologia di abuso poiché è assentita da un atto della stessa Amministrazione.

9.Il Comune […] si è costituito per la riforma della sentenza appellata e per sentir dichiarare il ricorso del […] inammissibile o infondato, con integrale conferma della legittimità del permesso di costruire del 6 agosto 2014.
Il Comune ha in particolare proposto appello incidentale deducendo, sub I), erroneità, contraddittorietà e carenza di motivazione della sentenza impugnata in ordine al rigetto dell’eccezione comunale di inammissibilità del ricorso di primo grado per carenza di legittimazione e di interesse a ricorrere in capo al […]. L’Amministrazione sostiene che la sentenza avrebbe errato nell’avere considerato infondata la suddetta eccezione d’inammissibilità del ricorso., evidenziando la sussistenza di un rapporto di vicinitas tra la proprietà del […] e l’abitazione del[…].
Ad avviso dell’appellante incidentale la condizione di “vicinitas” non può essere di per sé sufficiente per fondare la legittimazione e l’interesse a ricorrere. A questo fine occorre anche la dimostrazione del danno concreto che deriverebbe dall’opera contestata: dimostrazione che nella fattispecie manca, dato che viene lamentata soltanto una del tutto generica lesione del “diritto alla panoramicità”. Tra l’altro le caratteristiche dei luoghi escluderebbero anche la stessa “vicinitas” in quanto lo stato dei luoghi – distanza tra le abitazione ben superiore a 70 metri, mancata sovrapposizione delle due abitazioni sul “fronte lago” e presenza, tra i due fondi, di alberi di alto fusto e fitte siepi- non consentirebbe di affermare che il […] sia titolare di una posizioni differenziata e qualificata. La posizione del […] sarebbe invece analoga a quella della generalità dei residenti sul territorio comunale di […].
Nel dedurre, sub II), erroneità, contraddittorietà e carenza di motivazione della sentenza impugnata in ordine al rigetto dell’eccezione di inammissibilità del ricorso per incompetenza, il Comune pone in risalto di nuovo la circostanza che il […], avendo censurato in primo grado il permesso di costruire ex art. 38 per asserita violazione o elusione del giudicato di cui alla sentenza Cons. Stato n. 3596 del 2013, avrebbe dovuto, non proporre azione di annullamento ex art. 29 del cod. proc. amm. , ma instaurare un giudizio di ottemperanza ai sensi dell’art. 112 cod. proc. amm. dinanzi al competente Consiglio di Stato il quale, con la sentenza n. 3596 del 2013, aveva riformato la sentenza del Tar Veneto del 2012 d’inammissibilità: dal che, la ribadita inammissibilità del ricorso di primo grado per incompetenza del Tar, essendo competente il Consiglio di Stato, deduzione erroneamente non accolta dal Tar sull’assunto che viene in rilievo un giudizio di legittimità e non di ottemperanza, e che si fa questione non di una violazione del giudicato ma di un’illegittimità del provvedimento comunale di “rimozione di vizi” ex art. 38.
Sub III) […], nel denunciare erroneità, contraddittorietà, travisamento e carenza di motivazione della sentenza impugnata in ordine all’applicazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001 e delle disposizioni di cui alla l. r. n. 14 del 2009, rileva in particolare che le modifiche introdotte con il terzo Piano Casa consentono il superamento del vizio di legittimità accertato dal Consiglio di Stato nel 2013 e la ri-emanazione del permesso di costruire già annullato. Inoltre, l’art. 14 della l. r. n. 32 del 2013 prevede la “possibilità” per il privato interessato di attivarsi presentando un’istanza integrativa, o una istanza nuova, allo scopo di richiedere l’applicazione della nuova normativa del terzo Piano Casa. Rimane il fatto che il Comune doveva necessariamente applicare la normativa vigente al momento della decisione sull’istanza del 2013 in base al principio “tempus regit actum” . Per il resto l’appellante in via incidentale formula deduzioni analoghe a quelle svolte dall’appellante in via principale.
Sub IV) -erroneità, contraddittorietà, travisamento e carenza di motivazione della sentenza impugnata in ordine all’applicazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001 sotto altri profili, il Comune osserva che l’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001 non esclude la possibilità di rimuovere vizi del permesso di costruire aventi natura sostanziale nelle ipotesi in cui, come è accaduto nella specie, l’intervento sia stato realizzato sulla base di un titolo edilizio poi annullato. Tale interpretazione sarebbe maggiormente garantista e tutelerebbe al meglio il privato che abbia fatto affidamento sulla legittimità dell’azione dell’Amministrazione, proteggendo così il suo interesse alla conservazione dell’opera. A seguito dell’introduzione della nuova normativa regionale, l’intervento risulterebbe conforme alle prescrizioni attuali e ciò solo escluderebbe la possibilità irrogare le sanzioni previste dall’art. 38 che fanno riferimento al caso in cui non sia stato possibile rimuovere il vizio. Nel caso di specie invece il vizio è stato rimosso grazie alla normativa sopravvenuta che la sentenza, errando, non considera applicabile alla fattispecie.

10. […] si è costituito per resistere e per chiedere il rigetto dell’appello principale e di quello incidentale, con conferma della sentenza appellata. Con la memoria di costituzione del 24 aprile 2015 il […] ha anche riproposto (da pag. 16) i –numerosi- motivi di ricorso dichiarati assorbiti dal giudice di primo grado.

11.L’esecutività della sentenza è stata sospesa dalla Sezione con l’ordinanza n. 1813 del 2015, considerando sussistente un pregiudizio grave e irreparabile.

12.In prossimità dell’udienza di discussione le parti hanno illustrato le rispettive posizioni con memorie e all’udienza del 7 aprile 2016 il ricorso è stato discusso e quindi trattenuto in decisione.

13. L’appello è infondato e va respinto. La sentenza appellata va confermata.

13.1.Per ragioni di priorità logica vanno esaminati i primi due motivi dell’appello incidentale del Comune […], riepilogati sopra al p. 9. e con i quali l’Amministrazione rileva l’erroneità della sentenza nelle parti in cui a) è stata respinta l’eccezione comunale d’inammissibilità del ricorso di primo grado per carenza di legittimazione e di interesse a ricorrere in capo al […] e b) è stata disattesa l’eccezione comunale d’incompetenza del Tar a decidere, per essere competente il Consiglio di Stato in unico grado in sede di giudizio di ottemperanza ai sensi dell’art. 112 cod. proc. amm. .

13.1.1. Sulla questione relativa alla carenza di legittimazione e d’interesse a ricorrere, è bene anzitutto rammentare che con la più volte citata sentenza n. 3596 del 2013 la IV di questo Consiglio di Stato, nel sovvertire la posizione assunta dal Tar del Veneto nel 2012, ha rilevato quanto segue: “che la regola sancita dall’art. 31, nono comma, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (secondo cui “chiunque può prendere visione presso gli uffici comunali, della licenza edilizia e dei relativi atti di progetto e ricorrere contro il rilascio della licenza edilizia in quanto in contrasto con le disposizioni di leggi o dei regolamenti o con le prescrizioni di piano regolatore generale e dei piani particolareggiati di esecuzione”) non abbia inteso introdurre una forma di azione popolare, è affermazione troppo consolidata da non richiedere il sostegno di specifici precedenti. Secondo una giurisprudenza costante, la norma riconosce una posizione qualificata e differenziata solo in favore dei proprietari di immobili siti nella zona in cui la costruzione è permessa e a coloro che si trovano in una situazione di “stabile collegamento” con la stessa. Di conseguenza, è legittimato a impugnare la concessione edilizia ad altri rilasciata chi, lamentando la lesione dell’interesse a godere della veduta, dimostri la titolarità di una costruzione in area limitrofa a quella di esecuzione dei lavori, anche se non abbia fornito la prova che questi ultimi abbiano cagionato un danno, costituendo questa una questione di merito irrilevante sulla condizione dell’azione (cfr. per tutte, in termini, Cons. Stato, sez. VI, 15 giugno 2010, n. 3744). Varrà anzi la pena di ricordare, per completezza di esposizione, che la giurisprudenza del Consiglio di Stato, pur notoriamente incline a richiedere – in punto di legittimazione e interesse a impugnare strumenti urbanistici generali – requisiti più stringenti di quelli necessari con riguardo ai permessi di costruire, ammette i proprietari confinanti a ricorrere, ad esempio, contro il piano attuativo di insediamento edilizio interessante un’area con la destinazione urbanistica di “aree per servizi – parchi a verde attrezzato”, con la realizzazione delle opere di urbanizzazione strumentali all’insediamento residenziale, quando la nuova destinazione urbanistica, al di là della possibile incidenza sul valore dei beni, possa apportare un pregiudizio in termini di sottrazione di visuale, luce ed aria (sez. IV, 13 novembre 2012, n. 5715; e si veda anche, da ultimo, sez. IV, 12 giugno 2013, n. 3257). Non vi era dunque alcuna ragione –ha concluso la IV Sezione nel 2013- per negare legittimazione e interesse ad agire al signor […], che lamenta la perdita della vista del lago di Garda e del contorno montano, per effetto della nuova costruzione, e il deprezzamento che, come conseguenza di ciò, l’immobile di sua proprietà verrebbe a subire. La sentenza di primo grado, pertanto, deve essere riformata…”. Tornando al giudizio odierno, vero è che la statuizione sopra trascritta, che riconosce al […] legittimazione e interesse, non ha, di per sé, autorità di cosa giudicata avendo un’efficacia soltanto endoprocessuale, con conseguente carattere vincolante solo all’interno del processo definito nel 2013.
Tuttavia, è vero anche che la questione relativa alla sussistenza, o meno, della legittimazione e dell’interesse a ricorrere in capo al […] si pone, nella controversia odierna, negli stessi, identici termini, in fatto e in diritto, esaminati nel 2013 dalla IV Sezione con argomentazioni e conclusioni che questo Collegio considera condivisibili e, appunto, trasferibili a questa causa.
In particolare, dagli atti risulta comprovata l’esistenza di una “vicinitas” adeguata tra la proprietà e l’abitazione del […] e l’immobile […]. Inoltre il […] lamenta in maniera plausibile la perdita o comunque la diminuzione della “vista lago”, la riduzione della qualità panoramica e paesaggistica –l’immobile ricade in un’area dichiarata di notevole interesse pubblico con d. m. 19 maggio 1964 poiché riveste una eccezionale bellezza panoramica godibile da diversi punti di vista- e in definitiva il deprezzamento del proprio immobile derivante dalla nuova costruzione. A questo riguardo viene prodotta anche una perizia che non risulta contestata in maniera specifica.
Tenuto conto di superficie, volume e altezza dell’edificio realizzato dall’appellante, l’alterazione dell’assetto edilizio preesistente risulta evidente e deve considerarsi pregiudizievole di per sé in quanto correlata alla minore qualità panoramica, ambientale e paesaggistica, ovvero alla possibile diminuzione di valore dell’immobile.
Sulla “vicinitas” quale elemento necessario e sufficiente per radicare la legittimazione e l’interesse del proprietario confinante a impugnare un titolo edilizio si può fare rinvio, anche ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 60, 74 e 88, comma 2, lett. d) del cod. proc. amm. , alle sentenze di questo Consiglio di Stato, sez. IV, n. 5278 del 2015 e n. 5662 del 2014 e ai richiami giurisprudenziali ulteriori ivi contenuti, oltre a Cons. Stato, sez. III, n. 5257 del 2015.
Del resto, la decisione Cons. Stato, sez V, n. 2095 del 2013, citata dal Comune […] per avvalorare la tesi dell’insufficienza della “vicinitas” allo scopo di fondare legittimazione e interesse a ricorrere, analizza il differente caso di un’impugnazione proposta, per motivi di tutela ambientale, avverso –non titoli edilizi ma- provvedimenti autorizzatori relativi a una cava. In questo caso particolare si è ritenuto che la “vicinitas” non integrasse di per sé l’interesse a ricorrere occorrendo a questo scopo l’elemento ulteriore del pregiudizio sofferto a causa del funzionamento dell’opera autorizzata.
E se è vero che Cons. Stato, sez. IV, n. 383 del 2016, menzionata dall’Amministrazione in memoria per confutare la tesi della “vicinitas” quale elemento di per sé in grado di fondare la legittimazione e l’interesse a ricorrere del proprietario confinante, si riferiva proprio a uno specifico intervento edilizio, va segnalato d’altra parte che con un’altra sentenza, sempre del 2016, la n. 851 della IV Sezione, è stato considerato attuale e concreto l’interesse di chi vanti una posizione di “vicinitas” a che il vicino edifichi regolarmente anche in presenza di una lesione potenziale o eventuale. Quest’ultima pronuncia affronta peraltro un aspetto rilevante nella vicenda odierna dato che viene escluso che la presenza di alberi da alto fusto tra le proprietà interessate comporti il venire meno dell’interesse (circostanza invece allegata dal Comune […] a pag. 7 dell’appello incidentale). Con la sentenza n. 851 del 2016 la IV Sezione segnala che la circostanza che siano presenti alberi di alto fusto, addirittura più alti degli edifici per cui è causa, non è dirimente per escludere la lesione potenziale dell’interesse fatto valere, potendo gli alberi stessi essere in futuro abbattuti.
Per le ragioni esposte sopra la posizione del […] deve ritenersi tutt’altro che analoga a quella della generalità dei residenti sul territorio comunale, e il motivo va respinto. 13.1.2.Ugualmente va disatteso, poiché chiaramente infondato, il II motivo dell’appello incidentale, riassunto sopra al p. 9., atteso che nel presente giudizio non si fa questione dell’esecuzione della sentenza della IV Sezione del Consiglio di Stato n. 3596 del 2013 quanto, invece, della (il)legittimità in via autonoma, dedotta sotto svariate ragioni, del permesso di costruire emanato nel 2014.
La sentenza del 2013 di questo giudice di appello assume rilievo nell’ambito della “vicenda […]” quale circostanza antecedente e, come correttamente rilevato dal Tar, quale “causa dell’annullamento del permesso di costruire” del 2011, rispetto al secondo permesso rilasciato nel 2014 in asserita applicazione del terzo Piano Casa. La vicenda processuale assume rilevanza soltanto per quanto riguarda l’individuazione del vizio rimovibile.
Dall’esame del ricorso al Tar del 2014 emerge la sottolineatura, anche alla luce di precedenti giurisprudenziali su fattispecie analoghe, per cui il citato art. 38 non trova applicazione dato che l’annullamento giurisdizionale è stato deciso per “vizi sostanziali”.
Il […] sostiene, cioè, prima di tutto ed essenzialmente, che non si ricade nel campo di applicazione dell’art. 38, il quale riguarda l’annullamento dei titoli edilizi esclusivamente per vizi di carattere formale e procedimentale: sicchè, in conclusione, in modo corretto il […] ha proposto ricorso di annullamento dinanzi al Tar del Veneto anziché azione di ottemperanza avanti al Consiglio di Stato ai sensi dell’art. 112 del cod. proc. amm. .

13.2.Passando al merito del gravame, le prospettazioni sottoposte all’attenzione del Collegio dal[…] con i motivi dell’atto di appello riassunti sopra, e dal Comune con i motivi di appello incidentale sub 3. e 4. –censure esaminabili in modo congiunto atteso che ruotano tutte essenzialmente intorno all’interpretazione da dare all’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001 e all’applicabilità, o meno, alla fattispecie, dell’art. 3, comma 3, della l. r. n. 14 del 2009, nel testo sostituito con il terzo Piano Casa, non convincono, sicché la sentenza appellata va confermata.
Anzitutto, sulla “lettura” da dare al citato art. 38, precisato in via preliminare che dall’esame della controversia definita in appello nel 2013 emerge in modo evidente che l’annullamento giudiziale del permesso di costruire del 2011 era stato disposto non per la mancanza di un piano attuativo e comunque non per ragioni formali o procedimentali, ma per motivi “sostanziali”, essendosi trattato (v. sent. Cons. Stato n. 3596 del 2013, p. 2.1.) non di “demolizione e ricostruzione” dell’edificio sulla medesima area di sedime, ma di “abbattimento e traslazione “ex novo” su suolo diverso da quello originario”, “operazione” non consentita dall’art. 3 della l. r. n. 14 del 2009, nel testo vigente nel 2011, con un conflitto quindi indubbio con il regime costruttivo di riferimento; precisato questo, per quanto riguarda l’interpretazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001 vero è che, come appellante e Comune non hanno mancato di sottolineare più volte, anche nel corso della discussione, sulla base di un orientamento giurisprudenziale che ha trovato conferma anche presso questo Consiglio di Stato (cfr. sez. VI, n. 4221 del 2015 e sez. IV, nn. 4923 del 2012, 7131 del 2010 e 1546 del 2008), l’art. 38 del t. u. n. 380 del 2001, secondo cui “in caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite…”, è stato interpretato nel senso che in caso di annullamento del titolo edilizio la sanatoria (“recte”, la rinnovazione del titolo, l’emanazione di un nuovo permesso di costruire) è da ritenersi consentita anche se si sia trattato di vizi sostanziali, purché emendabili, che possono essere rimossi, ed è preclusa soltanto qualora si tratti di vizi inemendabili. Tuttavia è vero anche che, secondo un orientamento diverso, più rigoroso e qui condiviso, l’effetto, per così dire, “sanante” previsto dal citato art. 38 va circoscritto alle sole ipotesi nelle quali il titolo edilizio sia stato annullato per vizi di carattere formale o procedurale, non essendoci così alcuno spazio per applicare le previsioni di cui all’art. 38 ove sia stata accertata in sede giudiziale la sussistenza di un vizio del titolo avente natura sostanziale (v. Cons. Stato, n. 5115 del 2013; conf. Cons. Stato, nn. 2960 del 2006 e 2849 del 2003). Tale orientamento risulta inoltre suggellato dalla Corte costituzionale (v. sent. n. 209 del 2010), secondo cui “l’espressione «vizi delle procedure amministrative» non si presta ad una molteplicità di significati, tale da abbracciare i «vizi sostanziali», che esprimono invece un concetto ben distinto da quello di vizi procedurali e non in quest’ultimo potenzialmente contenuto, con la conseguenza di escludere la sanatoria nelle ipotesi di violazioni diverse da quelle formali-procedurali. In tal senso è la costante giurisprudenza amministrativa, formatasi sull’art. 38 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), a sua volta riproduttivo dell’art. 11 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizia) di contenuto identico all’art. 88 della legge urbanistica provinciale (“ex plurimis”, Consiglio di Stato, sez. V, 22 maggio 2006, n. 2960; sez. V, 26 maggio 2003, n. 2849; sez. IV, 14 dicembre 2002, n. 7001)”.
Inoltre, come puntualizzato correttamente in sentenza, in base a quanto dispone l’art. 9 lett. e) della l. r. n. 14 del 2009, gli interventi di demolizione e ricostruzione, con incrementi di volumetria e superficie, anche su area di sedime completamente diversa (ex l. r. n. 32 del 2013), non trovano applicazione con riferimento agli edifici parzialmente abusivi. A questo riguardo, rammentata la natura derogatoria e temporanea del Piano Casa, il che implica una stretta interpretazione delle sue norme, senza interpretazioni estensive, e rilevato che il Piano Casa –come si ricava specialmente dal disposto di cui all’art. 9/e) della l. r. n. 14 del 2009- non contiene norme condonistiche, pare il caso di rimarcare che secondo la giurisprudenza qui condivisa (v. ad es. Cons. Stato, n. 3571 del 2011), la posizione dei privati, i quali abbiano realizzato un’opera sulla base di concessioni edilizie annullate in sede giurisdizionale, non si differenzia da quella di coloro i quali abbiano realizzato l’opera abusivamente “sine titulo”. Le opere edilizie costruite diventano abusive in ragione dell’annullamento in sede giudiziale del titolo abilitativo. Del resto, una situazione di “tutela dell’affidamento del privato” potrebbe configurarsi nei confronti di un eventuale annullamento in sede amministrativa ma non anche in sede giurisdizionale, assumendosi, in quest’ultimo caso, il beneficiario del titolo abilitativo il rischio e pericolo di un eventuale annullamento in esito ad un ricorso proposto da terzi che si assumano lesi.
Contrasterebbe infatti con i principi generali dell’ordinamento la possibilità di dare rilievo alla situazione soggettiva di affidamento, in cui si troverebbe colui che abbia realizzato l’opera in base ad un titolo originariamente all’apparenza legittimo e poi annullato in sede giudiziale, in quanto siffatta situazione soggettiva di affidamento è configurabile solo nei confronti dell’amministrazione che apra un procedimento di secondo grado, il cui possibile esito sia quello dell’annullamento, ma non anche nei confronti del giudice dell’annullamento, chiamato a giudicare della legittimità del titolo edilizio su ricorso dei terzi che si assumano lesi dal rilascio del titolo medesimo, dovendo il giudice stesso limitarsi a statuire sulla domanda proposta da detti soggetti, legittimati ad impugnare, i quali abbiano fatto valere fondatamente le proprie ragioni, senza che possa assumere rilievo la valutazione comparativa degli opposti interessi (tra cui un’eventuale situazione di affidamento del costruttore) ex art. 21 nonies l. n. 241 del 1990.
Calando adesso le considerazioni preliminari e generali riepilogate sopra nella fattispecie “de qua”, è il “combinato disposto” di cui: -al menzionato art. 38, secondo l’interpretazione ritenuta qui preferibile e propugnata dall’appellato, -all’orientamento giurisprudenziale per cui l’annullamento giurisdizionale di un permesso di costruire, tanto più quando come nella specie sia stato accertato un conflitto con la disciplina costruttiva sostanziale, qualifica come abusive le opere edilizie realizzate, -e all’art. 9/e) del Piano Casa Veneto, laddove è preclusa l’applicazione degli interventi di ricostruzione e ampliamento, su area di sedime diversa, con riferimento agli edifici “anche parzialmente abusivi” (chè, diversamente, il Piano Casa assumerebbe natura di normativa “condonistica”, il che non può ammettersi); è il combinato disposto di questi elementi che non sembra consentire il superamento del vizio di legittimità del titolo edilizio del 2011 e non rende legittimi la rimozione del vizio che affligge il provvedimento ampliativo medesimo e il contestuale rilascio del secondo permesso di costruire. In questo contesto perde spessore l’argomento di appellante e Comune incentrato sulla conformità dal punto di vista urbanistico dell’area; l’argomento cioè secondo cui i mappali 398 e 399, alla data dell’emissione del primo permesso di costruire (agosto 2011), ricadevano in … – residenziale speciale, e al momento dell’adozione del secondo permesso di costruire (agosto 2014), erano inclusi in zona R –residenziale soggetta a intervento diretto. Applicando cioè le considerazioni esposte sopra al caso di specie, è da ritenere che in primo luogo in modo corretto il Tar abbia qualificato il vizio che affliggeva il permesso di costruire del 2011 (demolizione e ricostruzione dell’edificio ampliato su un’area di sedime completamente diversa da quella originaria, il che era vietato dal Piano Casa “versione ante 2013”) come “sostanziale”, con conseguente inapplicabilità dell’art. 38 del t. u. n. 380 del 2001 il quale fa riferimento ai soli “vizi delle procedure amministrative”, e inemendabilità del vizio stesso; e abbia qualificato l’opera edilizia successivamente all’annullamento giudiziale del permesso di costruire come abuso edilizio, con conseguente applicabilità nella specie del divieto –come bene rilevato in sentenza- di cui all’art. 9/e) della l. r. n. 14 del 2009, come modificata nel 2013, in base al quale gli interventi di ampliamento, demolizione e ricostruzione, con incremento di volume e di superficie, anche su un’area di sedime completamente diversa, non trovano applicazione per gli edifici anche parzialmente abusivi : l’annullamento giudiziale del permesso di costruire provoca infatti la qualificazione di abusività dell’opera.
Le considerazioni svolte sopra risultano decisive ai fini della reiezione dell’appello. E tuttavia non sembra inutile aggiungere che non appare erronea neppure la statuizione con la quale il Tar fa derivare l’inapplicabilità della ricostruzione con ampliamento su area di sedime diversa, dall’assenza di una istanza apposita di applicazione della nuova disciplina regionale, e ciò alla stregua di quanto dispone l’art. 14 della l. r. n. 32 del 2013 con cui, nel primo periodo, si precisa che alle istanze presentate, come nella specie, prima dell’entrata in vigore della l. r. n. 32 del 2013 (dicembre 2013: la seconda istanza del[…] era stata avanzata nell’agosto del 2013) si applica la disciplina previgente; e nel secondo periodo si puntualizza che l’esame della pratica edilizia in applicazione della nuova normativa è subordinata a una integrazione dell’istanza già presentata o alla presentazione di una nuova istanza ex l. r. n. 32 del 2013. Il rigetto dell’appello esime il Collegio dal prendere posizione sui motivi dichiarati assorbiti in sentenza e riproposti dal […] nella memoria di costituzione.

13.3.Chiaramente inammissibile, infine, poiché proposta con semplice memoria anziché con appello in via incidentale, dato che sulla domanda di risarcimento del danno il Tar si era pronunciato con statuizione esplicita di rigetto (v. lett. G) della sentenza) per insussistenza del requisito psicologico, la richiesta risarcitoria avanzata dal […] nella replica del 16 marzo 2016.

[…]