[…]
FATTO e DIRITTO
1.– Il signor […] ha presentato, in data 27 giugno 2002, una domanda di concessione edilizia per la realizzazione di un fabbricato composto da due piani fuori terra e, in data 24 marzo 2004, una domanda di condono edilizio per avere modificato la sagoma del fabbricato mediante sopraelevazione del coperto.
In relazione a tale abuso il Comune: a) con atto del 26 settembre 2007, n. 26864 ha rigettato la domanda di condono; b) con ordinanza 10 ottobre 2007, n. 242172 ha ordinato la demolizione delle opere abusive; c) con atto del 4 aprile 2012, n. 82485, ha rigettato la richiesta di applicazione, in luogo della demolizione, della sanzione pecuniaria, ritenendo quest’ultima applicabile soltanto per talune opere; d) con ordinanza del 12 aprile 2012, n. 87767, ha richiesto il pagamento della sanzione pecuniaria.
Il signor […], con ricorso n. 630 del 2012, ha impugnato tali atti innanzi al Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna, Sezione prima.
1.1.– Il Tribunale amministrativo adito, con sentenza 28 novembre 2012, n. 733, ha dichiarato inammissibile per tardività il ricorso nella parte in cui sono stati impugnati gli atti indicati sub a) e b) e lo ha accolto nella parte in cui sono stati impugnati gli atti indicati sub c) e d). In particolare, si è affermato che la parte abusiva consiste nel «prolungamento della pianta dell’edificio di metri tre» e che, come risulta dalla perizia di parte, «la demolizione parziale dell’immobile richiederebbe lavori “onerosi” anche sulla parte dell’immobile regolare perché la demolizione inciderebbe sul bagno e la cucina, rendendo inabitabile la residua parte, nonché il rifacimento delle reti dell’acqua e del gas, gli scarichi delle acque nere e bianche e parte dell’impianto di riscaldamento». La sentenza si conclude affermando che si tratta non solo di un «pregiudizio funzionale», ma anche di un «pregiudizio strutturale, ancorché non incidente sulla staticità della rimanente porzione, evitabile soltanto a seguito di interventi costosi e sproporzionati rispetto al valore del bene, divenendo indispensabile una completa trasformazione dell’assetto distributivo ed impiantistico della porzione rimanente».
2.– Il Comune di […] ha proposto appello avverso la predetta sentenza.
In primo luogo, si è dedotto che le opere abusive avrebbero una «enorme incidenza» sul territorio, in quanto il nuovo corpo di fabbrica non sarebbe mai stato oggetto di classificazione e inserimento nelle planimetrie del piano regolatore generale e che le opere realizzate consisterebbero non solo in un ampliamento di superficie, ma anche in un ampliamento di volume.
In secondo luogo, la onerosità economica della rimozione delle opere abusive non potrebbe costituire un elemento idoneo ad escludere la possibilità di ordinare la demolizione, in assenza di rischi di compromissione della stabilità dell’edificio.
2.1.– Il ricorrente in primo grado non si è costituito in giudizio.
2.2.– Alla camera di consiglio dell’8 marzo 2013, nel cui ambito si sarebbe dovuta esaminare la domanda cautelare, il Collegio ha avvertito l’appellante che la presente controversia sarebbe stata decisa con sentenza in forma semplificata.
3.– L’appello è fondato.
L’art. 34 del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), prevede, al primo comma, che «gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire sono rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell’abuso» entro il termine congruo fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile dell’ufficio, con l’aggiunta che «decorso tale termine sono rimossi o demoliti a cura del Comune e a spese dei medesimi responsabili dell’abuso».
Il secondo comma dispone che «quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, (…), della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale».
La norma, da ultimo riportata, deve essere interpretata – in conformità alla natura di illecito posto in essere e alla sua valenza derogatoria rispetto alla regola generale posta dal primo comma – nel senso che si applica la sanzione pecuniaria soltanto nel caso in cui sia “oggettivamente impossibile” procedere alla demolizione. Deve, pertanto, risultare in maniera inequivoca che la demolizione, per le sue conseguenze materiali, inciderebbe sulla stabilità dell’edificio nel suo complesso (cfr., con riferimento a fattispecie analoghe, Cons. Stato, V, 29 novembre 2012, n. 6071; Cons. Stato, V, 5 settembre 2011, n. 4982).
Non possono, pertanto, venire in rilievo aspetti relativi alla “eccessiva onerosità” dell’intervento.
Se si potessero prendere in esame anche questi profili si rischierebbe di trasformare l’istituto in esame in una sorta di “condono mascherato” con incidenza negativa grave sul complessivo assetto del territorio e in contrasto con la chiara determinazione del legislatore, che ha imposto che abbia luogo la demolizione parziale, tranne il caso in cui la relativa attività materiale incida sulla stabilità dell’intero edificio, e dunque anche nell’ipotesi in cui nella parte da demolire siano stati realizzati strumenti o impianti più o meno costosi.
Applicando questi principi al caso di specie, ne consegue l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui, ai fini dell’applicazione dell’art. 34 del d.p.r. n. 380 del 2001, ha attribuito rilevanza all’onerosità delle conseguenze derivanti dall’attività di ripristino dello stato dei luoghi.
Ne consegue, pertanto, la legittimità dei provvedimenti impugnati in primo grado, con i quali il Comune, accertato che la demolizione delle opere abusive non avrebbe inciso sulla stabilità del fabbricato, ha rigettato, in parte, la domanda dell’interessato volta ad ottenere la sola applicazione di una sanzione pecuniaria.
4.– In riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado va respinto, mentre sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese […]