Consiglio di Stato, Sezione Sesta, Sentenza n. 1942 del 2017, pubbl. il 27/04/2017

[…]

FATTO

1. I sig.ri […] hanno impugnato il permesso di costruire in sanatoria rilasciato dal comune di […] ai sig.ri […] per i lavori edilizi eseguiti all’interno dei locali di loro proprietà siti in via […].

Hanno esteso il gravame al certificato di agibilità, sul rilievo che il Comune ha consentito, oltre il frazionamento dell’unità immobiliare, la creazione di un locale ad uso commerciale, avente quale unico accesso l’androne scoperto di proprietà esclusiva dei essi ricorrenti, cui si accede tramite il varco sito al civico […] di v. […].

L’unico accesso al locale ad uso commerciale, oggetto dei lavori eseguiti senza titolo, deducevano i ricorrenti, grava – in assenza di alcuna servitù di passaggio privata o pubblica – su immobile di loro proprietà esclusiva,

Nei motivi d’impugnazione hanno dedotto la violazione della normativa edilizia di settore, la lesione del diritto di proprietà nonché eccesso di potere per contraddittorietà attesoché i titoli impugnati sarebbero stati rilasciati in contrasto con altri e pregressi atti della stessa Amministrazione comunale che, in passato, ha negato la sanatoria proprio perché l’immobile così realizzato avrebbe “come unico accesso una porta su androne privato di proprietà di altri”.

2. Con motivi aggiunti i ricorrenti hanno dapprima proposto ulteriori censure in esito al deposito in giudizio del parere favorevole al rilascio del permesso di costruire in sanatoria, di seguito, hanno impugnato le ordinanze comunali con cui le quali i condomini sono stati diffidati a consentire il transito pedonale pubblico nell’androne in questione che mette in comunicazione v. […] con v. […], nonché con ulteriori motivi aggiunti hanno impugnato l’ordinanza comunale del 30.12.2014 disciplinante le modalità di utilizzazione pubblica del medesimo passaggio.

3. Si sono costituiti in giudizio il Comune ed i controinteressati, proprietari del locale in questione, instando congiuntamente per l’infondatezza del gravame prospettando l’esistenza di una destinazione a pubblico passaggio, desumibile dall’originario atto concessorio n. 2298 del 28.11.1998, dell’androne condominiale.

4. Il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sez. III, ha accolto il ricorso principale unitamente ai secondi e terzi motivi aggiunti, assorbendo i primi.

Respinte le eccezioni di inammissibilità per carenza di giurisdizione del giudice adito e per difetto d’interesse, i giudici di prime cure hanno escluso l’esistenza di un diritto (reale od obbligatorio) di pubblico transito nel cortile di v. […] n.[…]. Che, sottolineano, che “non solo non risulta dimostrato, ma è addirittura smentito dagli atti istruttori o di certificazione dell’Ente convenuto”, evidenziando altresì “la contraddittorietà dell’operato dell’ente locale risultante per tabulas”.

5.Appellano con autonomi e distinti ricorsi i sig.ri […].

6. Alla pubblica udienza del 16.03.2017 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

7. Gli appelli oggettivamente e soggettivamente connessi devono essere riuniti.

8. Congiuntamente gli appellanti ripropongono in limine l’eccezione di difetto di giurisdizione respinta dal Tar qualificando come actio negatoria servitutis, devoluta alla cognizione del giudice civile, la domanda proposta dai ricorrenti in prime cure.

9. Il motivo d’appello è infondato.

Oggetto d’impugnazione è il permesso di costruire in sanatoria rilasciato dal Comune ai controinteressati e, nell’economia del decisum, la questione della sussistenza o meno della servitù ad uso pubblico del passaggio nell’androne condominiale per raggiungere i locali oggetto dei lavori edilizi, rileva, ex art. 8 c.p.a., incidenter tantum: ossia quale questione pregiudiziale o antecedente logico-giuridico da scrutinare – senza pertanto acquisire autorità di cosa giudicata – al solo fine di definire il merito del ricorso principale costituente oggetto del thema decidendi senza alterare il c.d. petitum sostanziale dedotto in giudizio.

10. È altresì infondato il motivo con il quale gli appellanti denunciano la tardività del ricorso per motivi aggiunti proposto avverso il provvedimento del 3.09.2013.

Il provvedimento è stato conosciuto dagli originari ricorrenti solo all’atto del suo deposito in giudizio avvenuto il 4.01.2014 con la conseguenza che ricorso per motivi aggiunti, notificato il 5.03. 2014, è tempestivo.

11. Gli ulteriori motivi d’appello sono riconducibili ad un unico filo conduttore: dagli atti emergerebbe l’esistenza di una servitù ad uso pubblico risultante da un insieme di circostanze di fatto le quali, unitariamente considerate, attesterebbero la c.d. dicatio ad patriam, immotivatamente pretermessa dal Tar.

La deduzione, preliminarmente, per come formulata, offre il destro per respingere l’eccezione d’inammissibilità, qui riproposta, dei ricorsi per motivi aggiunti due e tre sul rilievo che essi darebbero vita ad un cumulo di domande non connesse.

In realtà, le diffide e la successiva ordinanza comunale sulle modalità di utilizzazione pubblica dell’androne comunale, rispettivamente impugnate con il secondo e terzo ricorso per motivi aggiunti, si fondano sul comune presupposto dell’esistenza della servitù di uso pubblico, radicalmente contestata dai ricorrenti appellati, e, viceversa, insistentemente sostenuta dagli appellanti.

Sicché, i motivi aggiunti qui considerati, lungi da cumulare domande non connesse in violazione dell’art. 32 c.p., estendono l’impugnazione ad atti sopravvenuti fondati sul medesimo presupposto giuridico contestato nell’atto introduttivo del giudizio d’impugnazione.

12. Nel merito i motivi d’appello all’esame sono infondati.

Marginale rilevo rivestono le sentenze del giudice penale – segnatamente: della Corte d’Appello di Bari (n.703/2015) e del Tribunale di Trani (n. 426/2015) aventi ad oggetto la verifica o meno della falsità delle certificazioni rilasciate dal funzionario del Comune – con riguardo alla quaestio iuris qui disputata che, non va passato sotto silenzio, è circoscritta alla legittimità del permesso di costruire in sanatoria rilasciato dal Comune ai controinteressati appellanti.

12.1 L’interclusione del fondo oggetto d’intervento edilizio, l’assenza di una via accesso ad un manufatto ad uso commerciale, l’omessa dimostrazione del titolo che legittimi l’accesso all’immobile ad uso pubblico ostano al rilascio del permesso di costruire relativo all’immobile intercluso (cfr., Cons. Stato, sez. IV, 8 giugno 2011 n. 3508; Id. sez. IV, 14 aprile 2010 n. 2074).

Lapidariamente l’art. 11, comma 2, d.P.R. n. 380/2001 prevede che il permesso di costruire non incide sulla titolarità della proprietà o di altri diritti reali relativi agli immobili realizzati per effetto del suo rilascio: a corollario, ed a più forte ragione, non pregiudica la titolarità né l’uso di diritti relativi ad immobili diversi da quelli oggetto d’intervento.

12.2 Viceversa il permesso di costruire in sanatoria impugnato è stata rilasciato agli appellanti per un manufatto ad uso commerciale postulando l’esistenza di una servitù d’uso pubblico, gravante sulla proprietà dei ricorrenti appellati, mai accertata o attestata da alcun titolo.

Solo nel corso del giudizio il Comune ed i controinteressati appellanti hanno invocato, senza peraltro affatto dimostrate i requisiti di fatto fondanti l’istituto – quali, ad esempio, oltre le caratteristiche intrinseche del passaggio come facente parte della rete di collegamento degli accessi pubblici pubbliche gravante sulla proprietà privata, l’uso uti cives duraturo nel tempo della servitù – la dicatio ad patriam.

13. Di fatto il Comune appellante ha coonestato ex post un requisito di legittimità del titolo edilizio che doveva invece essere posseduto ex ante (e dimostrato) dai controinteressati al momento del rilascio del titolo.

14. Conclusivamente l’appello deve essere respinto […]