Consiglio di Stato, Sezione Sesta, Sentenza n. 352 del 2016, dep. il 29/01/2016

[…]

FATTO

Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. della Campania e recante il n. 5694/2010 (e con i successivi motivi aggiunti) i coniugi […], premesso di essere proprietari di un immobile sito nel Comune di […], hanno chiesto l’annullamento:
a) dell’ordinanza n. […] del […] 2010 con la quale l’amministrazione comunale ha ingiunto a […] la sospensione dei lavori ed il ripristino dello stato dei luoghi in relazione alle opere realizzate in difformità dal titolo edilizio n. […] del 2001 sull’immobile sito in […];
b) di ogni altro atto presupposto, connesso ovvero consequenziale.
Con successivo ricorso per motivi aggiunti depositato in data 20 maggio 2011, i coniugi […] hanno chiesto l’annullamento:
c) dell’ordinanza n. […] del […]2011 con la quale l’amministrazione comunale ha ingiunto a […] la demolizione delle opere realizzate in difformità dal titolo edilizio n. […] del 2001 sull’immobile sito in via […];
d) di ogni altro atto presupposto, connesso ovvero consequenziale;
Con ulteriore ricorso per motivi aggiunti depositato in data 2 dicembre 2011 gli stessi hanno chiesto l’annullamento:
e) del provvedimento prot. n. […] del […]2011, con il quale l’amministrazione comunale ha rigettato la domanda di sanatoria presentata dai signori […] ai sensi dell’articolo 36 del d.P.R. n. 380 del 2011 e delle leggi regionali n. 15 del 2000 e n. 19 del 2009, per il recupero abitativo del sottotetto dell’immobile sito in via […];
f) dell’ordinanza n. […] del […]2011, con la quale l’amministrazione comunale ha ingiunto a […] l’immediata sospensione dei lavori e il ripristino dello stato dei luoghi in relazione alle opere realizzate in difformità dal titolo edilizio n. […] del 2001 sull’immobile sito in via […];
g) di ogni altro atto presupposto, connesso ovvero consequenziale;
Con ulteriore ricorso per motivi aggiunti depositato in data 30 marzo 2012 i coniugi […] hanno chiesto l’annullamento:
h) dell’ordinanza n. […] dell’[…] 2012, con la quale l’amministrazione comunale ha dichiarato l’acquisizione al patrimonio comunale delle opere abusive e della relativa area di sedime realizzate in difformità dal titolo edilizio n. […] del 2001 sull’immobile sito in via […];
i) di ogni altro atto presupposto, connesso ovvero consequenziale.
I termini fattuali della vicenda di causa sono descritti nei termini che seguono nell’ambito dell’impugnata sentenza del T.A.R. della Campania.
A seguito di un sopralluogo eseguito, in data […]2010, da un tecnico del Comune di […], da personale della Polizia Municipale e da miliari della locale stazione dei Carabinieri sull’immobile sito in via […] è emersa la realizzazione di opere in difformità dalla concessione edilizia n. […] del 2001. Nello specifico, come si evince dalla relativa relazione redatta dal tecnico comunale in data 20 luglio 2010, nella impossibilità di reperire gli atti riferiti al suddetto titolo edilizio, è stata constatata, sulla base dell’analisi degli elementi a disposizione, la realizzazione di una volumetria eccedente quella massima consentita sul lotto in proprietà dei coniugi […].
L’amministrazione comunale ha, dunque, proceduto, all’adozione, in data 1° settembre 2010, dell’ordinanza n. […]/10, con la quale è stata ingiunta a […] la sospensione dei lavori e la demolizione delle opere abusive contestate.
La suddetta ordinanza è stata impugnata dagli interessati con il ricorso di primo grado n. 5694/2010.
Con ordinanza n. 2245 del 2010, il T.A.R. della Campania ha disposto incombenti istruttori, richiedendo, in considerazione dello smarrimento del fascicolo riferito alla pratica avente ad oggetto la concessione edilizia rilasciata nel 2001, copia della relativa documentazione all’Ufficio regionale del Genio civile di Napoli.
Sulla base della documentazione acquisita in ottemperanza della suddetta ordinanza e di ulteriori approfondimenti istruttori, l’amministrazione comunale ha, dunque, proceduto, sulla base dei più puntuali esiti delle risultanze emerse, all’adozione di una nuova ordinanza con la quale del pari ha ingiunto agli interessati la sospensione dei lavori e la demolizione delle opere abusive.
Anche tale provvedimento sanzionatorio è stato impugnato dagli interessati con ricorso per motivi aggiunti depositato in data 20 maggio 2011.
Medio tempore gli interessati hanno presentato all’amministrazione comunale una domanda di sanatoria ai sensi dell’articolo 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 e delle leggi regionali n. 15 del 2000 e n. 19 del 2009. Tale domanda, in particolare, ha avuto ad oggetto esclusivamente la volumetria residenziale abusiva realizzata all’ultimo piano del fabbricato e, dunque, il recupero del sottotetto tecnico a fini abitativi.
La prefata istanza è stata, tuttavia, rigettata dall’amministrazione comunale, con provvedimento del 15 settembre 2011, sulla base di una serie di ragioni ritenute ostative all’ammissibilità della sanatoria; all’adozione di tale provvedimento ha fatto seguito anche l’emanazione di una nuova ordinanza di demolizione di contenuto sostanzialmente analogo alla precedente.
Sia il provvedimento di rigetto della domanda di sanatoria sia l’ordinanza di demolizione sono stati impugnati dagli interessati con ulteriore ricorso per motivi aggiunti depositato il 2 dicembre 2011.
Accertata l’inottemperanza all’ordinanza di demolizione, inoltre, l’amministrazione comunale ha adottato anche il provvedimento con il quale è stata disposta l’acquisizione al patrimonio comunale delle opere abusive e della relativa area di sedime; tale provvedimento è stato impugnato dagli interessati con il terzo ricorso per motivi aggiunti depositato il 30 marzo 2012.
Con la sentenza in epigrafe, il T.A.R.
– ha dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso introduttivo e il primo ricorso per motivi aggiunti;
– ha dichiarato in parte inammissibile e in parte infondato il secondo ricorso per motivi aggiunti;
– ha dichiarato in parte inammissibile, in parte improcedibile e in parte infondato il terzo ricorso per motivi aggiunti.
La sentenza in questione è stata impugnata dalla professoressa […] la quale ne ha chiesto la riforma articolando plurimi motivi di appello.
Si è costituito in giudizio il Comune di […] il quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello.
Si è altresì costituito in giudizio il signor […] il quale ha a propria volta concluso nel senso della reiezione dell’appello.
Con ordinanza n. 4818/2014 questo Consiglio di Stato ha accolto la domanda di sospensione cautelare degli effetti della sentenza, proposta in via incidentale dall’appellante.
Con successiva ordinanza n. 3896/2015 questo Consiglio ha disposto che il Comune di […] versasse in atti “una motivata relazione con cui si dia atto dello stato attuale del procedimento avviato a seguito della richiesta di revoca del provvedimento definitivo di diniego in data 15 settembre 2011”.
Nell’occasione il Collegio ha altresì richiesto alle parti in lite di esprimere un motivato avviso in ordine alle conseguenze che l’eventuale favorevole esito della predetta richiesta di revoca potrebbe determinare in relazione alla complessiva vicenda di causa alla luce dell’articolo 3 della legge regionale campana n. 15 del 2000.
Le parti costituite hanno ottemperato all’ordinanza in questione facendo pervenire le richieste relazione ed osservazioni.
Alla pubblica udienza del 15 dicembre 2015 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dalla proprietaria di un immobile ubicato nel Comune di […] avverso la sentenza del T.A.R. della Campania con cui è stato dichiarato in parte inammissibile, in parte improcedibile e in parte infondato il ricorso avverso gli atti con cui il Comune ha sanzionato alcuni abusi sui primi due piani e sul sottotetto del fabbricato
2. La sentenza in epigrafe deve essere confermata per la parte in cui i primi Giudici hanno dichiarato l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse dell’impugnativa proposta: i) avverso il provvedimento in data 1° settembre 2010 (con il quale era stata ordinata la sospensione dei lavori e la rimessione in pristino e che era stato impugnato con il ricorso principale); ii) avverso il provvedimento in data 21 marzo 2011 (con il quale era stata nuovamente ordinata la sospensione dei lavori e la rimessione in pristino e che era stato impugnato con il primo ricorso per motivi aggiunti).
Ciò in quanto gli ulteriori atti adottati dal Comune in corso di causa (e che sono stati parimenti impugnati con ulteriori ricorsi per motivi aggiunti) hanno determinato il venir meno di uno specifico interesse all’ulteriore coltivazione dell’impugnativa avverso i provvedimenti in data 1° settembre 2010 e 21 marzo 2011.
2.1. La sentenza in epigrafe deve essere altresì confermata per la parte in cui i primi Giudici hanno dichiarato l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse dell’impugnativa proposta avverso il provvedimento di acquisizione coattiva impugnato con i terzi motivi aggiunti per la parte in cui esso ha riguardato anche le porzioni intestate ai signori […]. Sotto tale aspetto i primi Giudici hanno condivisibilmente osservato che non sussiste un interesse concreto ed attuale all’ulteriore coltivazione in parte qua dell’impugnativa per avere medio tempore il Comune adottato atti incompatibili con l’acquisizione coattiva dei richiamati cespiti dei signori […].
I primi Giudici hanno altresì stabilito (e in modo parimenti condivisibile) che sussiste un interesse all’ulteriore coltivazione dell’impugnativa avverso il provvedimento di acquisizione coattiva ai sensi dell’articolo 31 del d.P.R. 380 del 2001, ma limitatamente al solo sottotetto (reso) abitabile, stante l’intervenuta fiscalizzazione delle difformità realizzative riguardanti il piano sottostante ai sensi dell’articolo 34 del d.P.R. 380 del 2001.
3. Può senz’altro essere condivisa la tesi dell’appellante secondo cui, all’esito delle vicende intervenute in corso di causa (con particolare riguardo all’intervenuta ‘fiscalizzazione’ delle difformità realizzative che interessano l’ultimo piano), l’oggetto del contenzioso si concentra ormai in sostanza sulla sola questione relativa alla regolarità urbanistica e edilizia del sottotetto (e del richiesto cambio di destinazione d’uso) e, in particolare, abbia ad oggetto gli atti con cui il Comune: i) ha ritenuto insussistenti i presupposti per ammettere il recupero abitativo del sottotetto; ii) ha ordinato la rimessione in pristino degli interventi non consentiti; iii) ha disposto l’acquisizione del manufatto al patrimonio comunale dopo aver rilevato l’inottemperanza all’ordine di rimessione in pristino ai sensi dell’articolo 31 del d.P.R. 380 del 2001.
4. Il T.A.R., nell’esaminare l’impugnativa avverso il diniego dell’istanza di regolarizzazione del sottotetto (si tratta del provvedimento in data 15 settembre 2011, impugnato con il secondo ricorso per motivi aggiunti), ha dichiarato il ricorso inammissibile e infondato.
L’inammissibilità è stata dichiarata in quanto il provvedimento di diniego era stato fondato su una pluralità di ragioni ostative (ciascuna delle quali di per sé idonea a supportare la determinazione sfavorevole) e in quanto l’impugnativa avrebbe coinvolto soltanto alcune di tali ragioni.
In ogni caso il T.A.R. ha anche ritenuto di esaminare il merito della questione e ha dichiarato infondato il secondo ricorso per motivi aggiunti ritenendo violata nel caso in esame la previsione di cui all’articolo 3 della legge regionale n. 15 del 2000 (secondo cui il recupero a fini abitativi dei sottotetti è possibile a condizione che “b) l’edificio in cui è ubicato il sottotetto [sia] stato realizzato legittimamente ovvero, ancorché realizzato abusivamente, [sia] stato preventivamente sanato ai sensi della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e della legge 23 dicembre 1994, n. 724”).
4.1. L’appellante ha contestato la decisione in rassegna:
– sia per la parte relativa alla declaratoria di inammissibilità (pagine da 6 a 10 del ricorso in appello);
– sia per quella relativa alla declaratoria di infondatezza.
4.2. Il Collegio ritiene di potersi limitare all’esame della seconda questione, risultando che, effettivamente, non sussistessero i presupposti legali per consentire il recupero abitativo del sottotetto in questione alla luce delle previsioni di cui alla legge regionale n. 15 del 2000.
4.2.1. Al riguardo l’appellante ha contestato le statuizioni rese dai primi Giudici osservando:
– che, laddove la legge regionale n 15 del 2000 subordina il recupero abitativo dei sottotetti al fatto che “l’edificio in cui è ubicato il sottotetto [sia] stato realizzato legittimamente (…)”, essa deve essere necessariamente riferita ad eventuali, radicali abusività riguardanti l’intero fabbricato e non anche ad eventuali difformità parziali o interne alle singole porzioni immobiliari dei piani inferiori. Laddove si opinasse diversamente, si perverrebbe all’inammissibile conseguenza (attinta peraltro da profili di incostituzionalità) per cui il recupero abitativo del sottotetto potrebbe essere impedito in ragione di difformità realizzative imputabili a soggetti del tutto diversi dal richiedente;
– che, ad ogni modo, nel caso in esame ricorrerebbe certamente l’ipotesi legale di legittima realizzazione dei piani sottostanti. Tale circostanza sarebbe certamente confermata dal fatto che il Comune ha ammesso a regolarizzazione le parziali difformità che interessavano l’ultimo piano del fabbricato (difformità che, comunque, avevano carattere solo parziale ai sensi dell’articolo 34 del d.P.R. 380 del 2001 e non concretavano la diversa ipotesi della ‘totale difformità’ ai sensi dell’articolo 31 del medesimo decreto).
L’appellante ha inoltre constatato il capo della sentenza con cui si è negata la possibilità di chiedere contestualmente la sanatoria relativa all’immobile sottostante e la regolarizzazione a destinazione abitativa del sottotetto.
Vero è (osserva al riguardo l’appellante) che la legge regionale n. 15 del 2000 sembra delineare un percorso – per così dire – ‘tipico’ nel cui ambito il riconoscimento della regolarità urbanistica ed edilizia dell’immobile precede l’istanza di recupero del sottotetto, ma è anche vero che nessun effettivo ostacolo normativo sembra frapporsi alla possibilità di ammettere a sanatoria (e in modo contestuale) sia i piani sottostanti, sia il sottotetto che sia stato già in via de fatto destinato ad uso abitativo.
L’appellante ha poi contestato il capo della sentenza con cui si è affermato che il recupero sarebbe avvenuto attraverso la realizzazione di un complesso di opere le quali avrebbero determinato un aumento volumetrico del fabbricato, funzionale a rendere possibile la destinazione urbanistica e la richiesta nuova destinazione d’uso.
In tal modo statuendo i primi Giudici avrebbero omesso di considerare: i) che, in fase realizzativa, il sottotetto termico non fu interessato da alcuna modifica sotto il profilo plano volumetrico o morfologico; ii) che in ogni caso, la normativa in tema di recupero abitativo dei sottotetti risulta appunto finalizzata a consentire il massimo possibile sfruttamento dei volumi esistenti; iii) che l’unica difformità riferibile al piano sottotetto è riferita al computo della cubatura massima assentibile del volume inizialmente assentito come tecnico; iv) che l’unica difformità realizzativa rispetto a quanto previsto in progetto era riferibile a un lieve incremento dello spessore dei solai intermedi, compatibile tuttavia con la normativa antisismica e in tema di efficienza energetica; v) che la richiamata difformità realizzativa risultava altresì compatibile con l’aliquota di tolleranza del 2 per cento di cui al comma 2-ter dell’articolo 34 del d.P.R. 380 del 2001.
L’appellante ha inoltre chiesto la riforma della sentenza per la parte in cui ha rilevato l’assenza di conformità urbanistica del fabbricato in ragione della violazione dei parametri urbanistici riferiti alla volumetria massima edificabile nel lotto in questione. Ha osservato al riguardo che l’argomento in questione si pone in contrasto con le previsioni della legge regionale n. 15 del 2000 la quale ammette il recupero a fini abitativi dei sottotetti anche in parziale deroga agli strumenti urbanistici vigenti.
5. L’appello è nel suo complesso infondato.
6. E’ evidente che assuma rilievo centrale ai fini del decidere la sussistenza o meno dei presupposti legali per ammettere il recupero a fini abitativi del sottotetto per ci è causa, secondo le previsioni di cui alla legge regionale campana n. 15 del 2000.
Si tratta, come si avrà modo di ulteriormente precisare nel prosieguo della presente decisione, di una questione che assume valenza del tutto assorbente nell’ambito dell’economia della presene decisione.
6.1. Ebbene, sulla base della documentazione in atti il Collegio ritiene che non sussistessero i richiamati presupposti legali.
Come si è esposto in narrativa, la questione deve essere esaminata alla luce della previsione di cui all’articolo 3 della legge regionale n. 15, cit., secondo cui il recupero a fini abitativi dei sottotetti è possibile a condizione che “b) l’edificio in cui è ubicato il sottotetto [sia] stato realizzato legittimamente ovvero, ancorché realizzato abusivamente, [sia] stato preventivamente sanato ai sensi della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e della legge 23 dicembre 1994, n. 724”.
E’ pacifico in atti:
– che, in sede realizzativa, fossero state poste in essere (anche per ciò che riguarda i piani del fabbricato inferiori al sottotetto) alcune difformità, rilevanti sotto il profilo urbanistico ed edilizio rispetto a quanto previsto dal permesso di costruire n. […] del 2001;
– che, fra le difformità contestate, risultano di particolare importanza quelle consistite nella realizzazione con diversa forma delle scale, il che aveva consentito di conferire una volumetria significativamente maggiore alla porzione abitativa di ciascuno dei piani sottostanti (del resto, in sede di presentazione dell’istanza in data 16 ottobre 2012, gli stessi appellanti avevano ammesso tale difformità e la conseguente maggiore volumetria, quantificata dagli stessi in 84,47 mc.);
– che le difformità in questione sono ascrivibili all’ambito di applicazione dell’articolo 34 del d.P.R. 380 del 2001 (“Interventi realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire”);
– che, se per un verso è vero che gli appellanti hanno ottenuto in data 28 marzo 2014 dal Comune l’invocata fiscalizzazione degli abusi in questione (in tal modo potendo mantenere in loco gli interventi abusivi piuttosto che procedere alla rimozione o demolizione), è altresì vero che tale riconosciuta possibilità non implica affatto – contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti – una sorta di generalizzata sanatoria ovvero il riconoscimento della conformità di quanto realizzato alla pertinente disciplina urbanistica ed edilizia. Al contrario, la riconosciuta possibilità di procedere alla c.d. ‘fiscalizzazione’ consegue, per espressa previsione di legge, alla circostanza per cui “la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità”, senza che tale riconoscimento comporti una sorta di sanatoria ex post degli interventi abusivi ovvero un accertamento di conformità assimilabile a quello previsto dal successivo articolo 36 del medesimo d.P.R. 380 del 2001;
– che, secondo un condiviso orientamento, il riconoscimento della possibilità di sostituire la (doverosa) demolizione e rimessione in pristino con il pagamento della sanzione pecuniaria e la permanenza in loco dell’intervento, non elide il carattere abusivo dello stesso, rispondendo alla sola finalità di impedire che la (pur sempre doverosa) demolizione coinvolga anche le porzioni del manufatto legittimamente realizzate (sul punto –ex multis -: Cons. Stato, VI, 9 aprile 2013, n. 1912);
– che, pertanto, non può essere condivisa la tesi a più riprese sostenuta dagli appellanti secondo cui l’assenso rilasciato dal Comune in data 28 marzo 2014 determinerebbe una vera e propria “regolarizzazione” degli abusi commessi (altrove, gli stessi appellanti parlano addirittura di un effetto assimilabile a quello di una “sanatoria”).
6.2. Ebbene, riconducendo quanto appena rilevato all’ambito di applicazione della legge regionale n. 15 del 2000, ne resta confermata l’assenza delle condizioni perché si potesse procedere al recupero abitativo del sottotetto per cui è causa.
In particolare (e in contrasto con quanto previsto dall’articolo 3, lettera b) della legge regionale da ultimo richiamata) l’edificio in cui è ubicato il sottotetto
– non risulta realizzato legittimamente e
– non risulta ammesso alla previa sanatoria, giusta le previsioni delle leggi numm. 47 del 1985 e 724 del 1994.
Pertanto, il Comune ha correttamente operato laddove ha fondato il provvedimento di reiezione del 15 settembre 2011 (impugnato con i secondi motivi aggiunti) sul duplice rilievo secondo cui: i) i piani sottostanti non fossero stati legittimamente realizzati, né preventivamente “sanati”; ii) il rilevato stato di illegittimità non consentiva di accedere ai benefici di cui alla più volte richiamata legge regionale n. 15 del 2000.
6.3. Quanto appena rilevato sub 6.1. risulta determinante ai fini del decidere e palesa altresì la legittimità sia della determinazione negativa in data 15 settembre 2011, sia del successivo provvedimento di acquisizione coattiva, che si fonda – appunto – sulla rilevata inesecuzione all’ordine di rimessione in pristino.
6.4. Fermo restando il carattere dirimente ai fini del decidere di quanto appena osservato, il Collegio ritiene di esaminare comunque gli ulteriori motivi di doglianza articolati dall’appellante.
6.5. Come si è esposto in precedenza, la rilevata insussistenza dei presupposti per procedere al recupero abitativo del sottotetto (e la conferma in parte qua della sentenza in epigrafe, che ha dichiarato infondato il ricorso) esime il Collegio dall’esame dei motivi articolati avverso il passaggio della sentenza che ha dichiarato il ricorso altresì inammissibile per non avere l’appellante censurato tutti i motivi di una determinazione reiettiva di carattere plurimotivato.
6.6. Non può essere condivisa la tesi dell’appellante (esposta alle pagine 10 e 11 dell’appello) secondo cui l’articolo 3 della legge regionale n. 15 del 2000 (per la parte in cui stabilisce che “l’edificio in cui è ubicato il sottotetto deve essere stato realizzato legittimamente ovvero, ancorché realizzato abusivamente, deve essere stato preventivamente sanato”) sarebbe da interpretare nel senso che il recupero abitativo dei sottotetti resterebbe impedito solo in caso di edifici interamente abusivi e non anche nell’ipotesi (che qui ricorre) di difformità meramente “interne” alle singole porzioni immobiliari.
6.6.1. Al riguardo, anche a non voler sottolineare la difficile compatibilità fra la proposta interpretazione e la puntuale litera legis del richiamato articolo 3, appare dirimente osservare che le difformità contestate dal Comune in relazione ai piani sottostanti non risultano limitate alle sole porzioni interne agli appartamenti sottostanti, ma si sono riverberate in modo consistente sulla stessa ripartizione fra spazi comuni/tecnici e porzioni abitative di tutto il fabbricato (in particolare, come si è già osservato, la diversa conformazione impressa alle scale in sede realizzativa ha consentito di sottrarre spazi inizialmente destinati al vano scala, destinandoli alla porzione abitabile di ciascuno dei piani del fabbricato, in tal modo realizzando una difformità che non risulta certamente limitata alle sole porzioni private).
6.7. Non può inoltre essere condivisa la tesi dell’appellante (esposta alle pagine da 11 a 13 del ricorso) secondo cui il T.A.R. avrebbe omesso di apprezzare la differenza che sussiste fra:
– (da un lato) le ipotesi di “parziale difformità” rispetto al titolo ai sensi dell’articolo 34 del d.P.R. 380 del 2001 e
– (dall’altro) quelle di “totale difformità” di cui al successivo articolo 31.
Ed infatti, anche a voler dare atto della richiamata distinzione normativa, essa non determina conseguenze di rilievo ai fini della presente decisione, in quanto (per le ragioni già esposte sub 6.1.) anche nelle ipotesi di cui al richiamato articolo 34: i) la conseguenza prima dell’abuso è rappresentata dalla rimozione o dalla demolizione; ii) la possibilità di procedere alla c.d. “fiscalizzazione” non determina in alcun modo la “regolarizzazione” o la “sanatoria” dell’abuso, ma rappresenta soltanto il frutto di una scelta normativa volta a prendere atto delle conseguenze particolarmente dannose che la rimozione dell’abuso determinerebbe sulle porzioni legittimamente edificate del manufatto.
6.8. Ed ancora, per le ragioni già esposte retro, sub 6.1., non risulta dirimente ai fini del decidere l’esame della questione se (ai sensi della legge regionale n. 15 del 2000) l’istanza di (spuria) “regolarizzazione” ai sensi dell’articolo 34 del d.P.R. 380, cit. potesse essere avanzata in una con l’istanza volta al recupero abitativo del sottotetto, ovvero se – come ritenuto dal T.A.R. – le due istanze dovessero necessariamente essere proposte in sequenza cronologica.
Si osserva sul punto che l’assenza delle condizioni legali per ammettere il recupero abitativo del sottotetto priva la questione di qualunque portata centrale ai fini del decidere.
6.8.1. Ai limitati fini che qui rilevano si ritiene, tuttavia, che la litera legis del più volte richiamato articolo 3 della legge regionale n. 15 del 2000 deponga nel senso di imporre effettivamente la rigida sequenza cronologica delineata dai primi Giudici (depone univocamente in questo senso la previsione secondo cui “il recupero abitativo dei sottotetti esistenti (…) è ammesso qualora (…) b) l’edificio in cui è ubicato il sottotetto [sia] stato realizzato legittimamente ovvero, ancorché realizzato abusivamente, [sia] stato preventivamente sanato ai sensi della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (…)”, laddove l’utilizzo dell’avverbio “preventivamente” sembra imporre l’adesione all’opzione ermeneutica che postula la non contestualità fra le due istanze – in termini analoghi: Cons. Stato, VI, 20 gennaio 2013, n. 363 -).
6.9. Ed ancora, l’infondatezza dell’appello per le dirimenti ragioni esposte retro, sub 6.1. esime in via di principio il Collegio dall’esame puntuale dei motivi di ricorso rubricati sub 8 e sub 9 (si tratta dell’argomento, sviluppato alle pagine da 16 a 23 dell’atto di appello, con cui si contesta la tesi secondo cui il recupero sarebbe avvenuto attraverso un insieme di opere che avrebbero determinato un incremento volumetrico funzionale a rendere possibile la modifica della destinazione urbanistica e si contesta altresì la tesi secondo cui sarebbe riscontrabile nel caso di specie una violazione della normativa in tema di cubatura massima assentibile).
Ed infatti, per le ragioni già in precedenza esposte, ciò che osta in via dirimente all’accoglimento delle tesi dell’appellante è la circostanza per cui il sottotetto in questione non potesse essere comunque ammesso al recupero abitativo in quanto sovrastante un edificio non realizzato legittimamente (i.e.: in conformità con il titolo edilizio abilitante) e non ammesso a preventiva sanatoria ai sensi della legge n. 47 del 1985, ovvero ai sensi della l. 724 del 1994.
La richiamata circostanza rende evidentemente irrilevante ai fini del decidere l’esame dell’ulteriori questioni: i) se, effettivamente, il sottotetto fosse stato a propria volta realizzato in difformità dall’originario titolo abilitativo del 2001; ii) se tali difformità fossero ab initio funzionali a consentire la conversione abitativa del sottotetto inizialmente destinato ad ospitare locali tecnici; iii) se le eventuali difformità risultassero comunque giustificate dalle esigenze imposte dalla normativa in materia antisismica e in tema di efficienza energetica, nonché dalle previsioni di cui agli articoli 4 e 6 della più volte citata legge regionale n. 15 del 2000.
6.10. Per ragioni in tutto connesse con quelle sin qui esposte devono essere altresì respinti:
i) il motivo di ricorso rubricato sub 9 (con il quale si torna a lamentare l’illegittimità dell’ordine di demolizione impartito in data 7 ottobre 2011) e
ii) il motivo di ricorso rubricato sub 10 (con il quale si torna a chiedere l’annullamento del provvedimento con cui è stata disposta l’acquisizione coattiva della porzione di immobile per cui è causa al patrimonio comunale).
6.10.1. Per quanto riguarda, in particolare, il profilo richiamato sub i) ci si limita ad osservare che il disposto ordine di demolizione e rimessione in pristino rappresentava in effetti la corretta conseguenza della ravvisata illegittimità dell’impressa variazione di destinazione d’uso e del rigetto delle istanze a più riprese formulate dall’appellante al fine di ottenere la “regolarizzazione” e/o la “sanatoria” degli abusi commessi (per utilizzare la terminologia utilizzata dalla stessa parte appellante).
6.10.2. Per quanto riguarda, poi, il profilo richiamato sub ii), ci si limita ad osservare che il provvedimento con cui è stata disposta l’acquisizione coattiva al patrimonio comunale del sottotetto per cui è causa rappresenta soltanto una conseguenza necessaria dell’inesecuzione dell’ordine di demolizione e rimessione in pristino dell’abuso consistito nell’aver impresso allo stesso una impropria destinazione d’uso.
7. Il Collegio ritiene di svolgere alcune considerazioni conclusive in ordine alla complessa situazione fattuale relativa all’immobile per cui è causa e all’evoluzione (invero, non sempre lineare) della vicenda amministrativa che lo ha caratterizzato.
7.1. Innanzitutto, non può essere condivisa la tesi dell’appellante (esposta nel ricorso in appello e da ultimo ribadita nella memoria in data 22 aprile 2015) secondo cui l’atto comunale in data 28 aprile 2014 (il quale ha ammesso la fiscalizzazione degli abusi commessi ai piani sottostanti) avrebbe determinato l’improcedibilità in parte qua del gravame (e l’annullamento senza rinvio della sentenza) quanto meno per le parti relative agli abusi in questione.
Al riguardo ci si limita ad osservare:
– che, per ammissione della stessa appellante (pagina 6 del ricorso introduttivo), la parte essenziale della res controversa si concentra ormai in modo esclusivo sulla questione del recupero abitativo del sottotetto;
– che, al riguardo, risulta del tutto centrale stabilire se sussistessero i necessari presupposti di legge (e la complessiva legittimità dell’edificato ai piani inferiori rientra fra questi);
– che la circostanza per cui gli abusi realizzati ai piani inferiori siano stati ammessi a “fiscalizzazione” ai sensi dell’articolo 34 del d.P.R. 380, cit. soddisfa certamente l’interesse dell’appellante ad evitare la rimozione o demolizione degli stessi ma (per le ragioni già ampiamente esposte in precedenza) non comporta affatto la sopravvenuta carenza di interesse all’esame dei motivi di ricorso relativi all’utilizzabilità del meccanismo del recupero abitativo del sottotetto. E siccome è la stessa appellante ad affermare (e in modo condivisibile) che la questione del recupero abitativo mantenga un rilievo del tutto centrale ai fini del decidere, non è possibile elidere la questione attraverso una pronuncia di improcedibilità la quale (a tacer d’altro) non risulterebbe compatibile con l’interesse processuale della parte per come dalla stessa rappresentato.
7.2. Risulta in atti che in data 15 settembre 2015 l’appellante abbia presentato al Comune di […] un’istanza di permesso di costruire in sanatoria (rectius: di accertamento di conformità) ai sensi dell’articolo 36 del d.P.R. 380 del 2001.
A quanto consta al Collegio (anche sulla base di quanto rappresentato dai Difensori delle parti alla pubblica udienza del 15 dicembre 2015) il procedimento avviato con l’istanza in parola non risultava concluso al momento del passaggio in decisione del presente ricorso (15 dicembre 2015).
Ora, la presentazione dell’istanza in questione non rappresenta per il Collegio una circostanza tale da determinare l’improcedibilità dell’appello, anche in considerazione del fatto che con la presente decisione si è esaminata la legittimità degli atti adottati nel corso dell’intera vicenda sulla base del solo quadro fattuale e giuridico esistente al momento della loro adozione.
Spetta ora agli organi comunali valutare la sussistenza dei presupposti in fatto e in diritto per ammettere la richiamata sanatoria (rectius: accertamento di conformità) […]