Consiglio di Stato, Sezione Sesta, Sentenza n. 3889 del 2017, pubbl. il 03/08/2017

[…]

FATTO

Con decreto di trasferimento 5 novembre 2013 n.162 del Giudice dell’esecuzione presso il Tribunale di Venezia, la ricorrente appellante ha acquistato un’abitazione che si trova a […] (doc. 2 in I grado ricorrente appellante, decreto citato).
Nella sua relazione, il CTU incaricato di stimare il bene ai fini della vendita forzata, dà atto di una serie di difformità tra quanto autorizzato e quanto realizzato, descrive tali difformità e testualmente scrive (doc. 4 in I grado ricorrente appellante, relazione citata, p. 7 in fine) che “da colloquio con il responsabile del settore edilizia privata del Comune […], il bene risulta sanabile ai sensi dell’art. 36 comma 2 del D.P.R. 380/2001 in quanto intervento assoggettabile all’art. 10 dello stesso D.P.R.”
Di conseguenza, la ricorrente appellante il giorno 4 marzo 2014 ha presentato al Comune una domanda di permesso di costruire in sanatoria, relativa al “vano abitabile” di tale immobile (doc. 4 in I grado ricorrente appellante, istanza citata).
A fronte di ciò, ha ricevuto in primo luogo il provvedimento di diniego della sanatoria, atto 24 luglio 2014 […],
Il provvedimento in questione, nella sua prima parte, descrive le opere oggetto della domanda, ovvero “l’ampliamento, avvenuto fra il 2005 e il 2006, di un edificio residenziale unifamiliare sito in […], su area censita in catasto al foglio n.14 mappale n.232, consistente nella realizzazione, al piano terra dell’edificio, sul fronte nord di questo, di un nuovo volume di mc 64.24 destinato a cucina” e nella “realizzazione al primo piano, all’interno della sagoma preesistente, di un ripostiglio entro il quale è stata realizzata una scala di accesso/collegamento con il sottotetto”.
Il provvedimento, dopo avere riassunto e confutato analiticamente le osservazioni del privato, respinge poi la domanda di sanatoria per quanto riguarda l’ampliamento anzitutto perché “realizzato all’interno della fascia di rispetto stradale” di 20 metri, e quindi in contrasto con le norme che la prevedono, identificate con l’art. 16 del d. lgs. 30 aprile 1992 n.385, codice della strada, e con l’art. 26 comma 2 lettera d) del relativo regolamento D.P.R. 16 dicembre 1992 n.495; respinge altresì l’istanza anche perché l’ampliamento è posto “a distanza inferiore di 10 metri dalla parete finestrata dell’edificio esistente sul lotto posto a est” e quindi in contrasto con il D.M. 2 aprile 1968 n.1444.
Il provvedimento segnala infine alcune “criticità”, che constano di quindici punti distinti.
Con il primo punto, segnala un presunto errore nella domanda di sanatoria, che fa riferimento all’art. 37 del T.U. 6 giugno 2001 n.380, e non all’art. 36, che sarebbe la norma applicabile.
Con il secondo punto, contesta che nella tavola grafica dello stato di fatto non sia stata riportata la distanza tra l’ampliamento e l’edificio prospiciente al lordo del cappotto esterno.
Con il terzo punto, contesta la mancanza del calcolo vano per vano della superficie netta di pavimento – s.n.p.
Con il quarto punto, contesta che il calcolo della s.n.p. sarebbe stato fatto considerando un corpo edilizio ulteriore, parte dello stesso compendio, oggetto di altra pratica di sanatoria non definita.
Con il quinto punto, contesta la mancanza del parere dell’azienda idrica circa lo scarico della cucina.
Con il sesto punto, contesta la mancanza dello schema di raccolta delle acque bianche.
Con il settimo punto, contesta la mancanza del progetto degli impianti.
Con l’ottavo punto, contesta la mancanza negli elaborati tecnici di una sezione trasversale che consenta di verificare il rispetto dell’altezza minima per il locale adibito a ripostiglio.
Con il nono punto, afferma che la scala a servizio del ripostiglio non rientra nelle dimensioni indicate nel regolamento edilizio.
Con i punti dal decimo al quattordicesimo, contesta la mancanza di una serie di documentazioni, ovvero dell’autocertificazione acustica, di quella relativa alle misure di sicurezza per i lavori della nuova costruzione, di quella relativa alle barriere architettoniche, nonché del CD con la copia digitale della pratica e della ricevuta di pagamento dei diritti di segreteria.
Con il quindicesimo e ultimo punto, segnala infine una diversa altezza del sottotetto come indicato negli elaborati dell’originaria concessione rispetto al reale (per tutto ciò, doc. 1 in I grado ricorrente appellante, provvedimento di diniego).
Successivamente al diniego di sanatoria, la ricorrente appellante ha ricevuto l’ordinanza di demolizione 15 luglio 2015 n.55, che ingiunge la rimessione in pristino, avvertendo che in mancanza verrà acquisita gratuitamente al patrimonio del Comune l’area che indica nella planimetria allegata e verrà istituita una servitù coattiva di passaggio a favore del Comune stesso per l’accesso alla pubblica via (doc. 11 in I grado ricorrente appellante, ordinanza in questione).
Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha dichiarato inammissibili sia il ricorso principale, rivolto contro il diniego di sanatoria, sia il ricorso per motivi aggiunti, rivolto contro l’ordinanza di demolizione, ritenendo omessa la notifica ad un controinteressato necessario, identificato con “il proprietario antistante la cui parete finestrata si trova a meno di 10 metri” (p. 2 della motivazione sesto rigo dal basso).
Contro tale sentenza, l’originaria ricorrente propone ora impugnazione, con appello che contiene undici motivi, così come segue:
– con il primo di essi, deduce violazione dell’art. 41 c.p.a. per avere il Giudice di primo grado ravvisato la necessità di notificare ad un controinteressato anche il ricorso principale, rivolto contro un atto di diniego, rispetto al quale pacificamente non si configurerebbero controinteressati;
– con il secondo motivo, deduce violazione ulteriore dell’art. 41 c.p.a., nel senso che, data la non necessità di notificare il ricorso principale ad alcun controinteressato, ne seguirebbe comunque la non necessità di notificare allo stesso anche il ricorso per motivi aggiunti, atteso che l’annullamento del diniego di sanatoria, impugnato col ricorso principale, avrebbe efficacia immediatamente caducante anche dell’ordinanza di demolizione, impugnata con i motivi aggiunti;
– con il terzo motivo, deduce ancora violazione dell’art. 41 c.p.a., nel senso che nel caso di specie, a fronte dell’ordinanza di demolizione, non sarebbe configurabile alcun controinteressato in senso proprio, ovvero nessun soggetto che dal mantenimento del provvedimento in questione ricaverebbe un positivo ampliamento della propria sfera giuridica;
– con il quarto motivo, deduce ancora violazione dell’art. 41 c.p.a., nel senso che se anche tale controinteressato esistesse, nella specie non sarebbe agevolmente individuabile a partire dall’atto impugnato;
– con il quinto motivo, deduce violazione dell’art. 16 comma 2 del codice della strada e dell’art. 26 del relativo regolamento di esecuzione, nel senso che la normativa sulle fasce di rispetto non si applicherebbe al caso di specie, che riguarda l’ampliamento che non fronteggia la strada di una costruzione preesistente;
– con il sesto motivo, deduce eccesso di potere per illogica motivazione, nel senso che il secondo motivo di diniego, ovvero il mancato rispetto della distanza di metri 10 dall’immobile del vicino, dovrebbe in realtà ritenersi superato, perché il Comune stesso avrebbe riconosciuto l’impegno dell’interessata a demolire la parte di immobile necessaria al rispetto della distanza stessa;
– con il settimo motivo, deduce eccesso di potere per motivazione perplessa, in ordine alle ulteriori “criticità” segnalate come si è detto, in calce al diniego. A dire della ricorrente appellante, si tratterebbe di una mera incompletezza documentale, comunque inidonea a giustificare un diniego;
– con l’ottavo motivo, si deduce violazione del principio di buon andamento dell’amministrazione, osservando che la ricorrente appellante si è indotta a comperare l’immobile per cui è causa in base alle rassicurazioni fornite dall’ufficio comunale, nei termini spiegati, circa la sanabilità dell’abuso;
– con il nono motivo, si ripropongono come censure di illegittimità derivata dell’ordinanza di demolizione i motivi che riguardano i vizi del diniego di sanatoria;
– con il decimo motivo, deduce violazione dell’art. 31 del T.U. 380/2001, perché l’ordinanza di demolizione avrebbe disposto l’acquisizione gratuita nei confronti di un soggetto incolpevole;
– con l’undecimo motivo, deduce infine ulteriore violazione dell’art. 31 citato, che non consentirebbe, come fatto nella specie, di imporre la costituzione di una servitù.
Ripropone altresì la domanda di risarcimento, sulla quale la sentenza di primo grado non provvede in modo esplicito.
Resiste il Comune, con memoria 3 settembre 2015, in cui chiede che l’appello sia respinto, e in particolare:
– in ordine alla notifica al presunto controinteressato, deduce che nel caso di specie il proprietario vicinante sarebbe effettivamente tale;
– in ordine al merito del ricorso, deduce che l’art. 26 del regolamento al codice della strada sarebbe inapplicabile, perché subordinato nell’efficacia ad una perimetrazione dei centri urbani in realtà mai avvenuta;
– deduce ancora che la ricorrente appellante non avrebbe interesse, dato il suo impegno a demolire, a far valere motivi relativi alla questione della distanza dal fondo del vicino;
– deduce ancora che la ricorrente appellante non potrebbe considerarsi in buona fede, avendo acquistato con la consapevolezza che l’abuso esisteva;
– deduce infine che la servitù di passaggio si potrebbe ottenere in base alle comuni norme civilistiche, perché l’acquisizione gratuita del bene creerebbe un fondo privo di accesso alla pubblica via.
Con ordinanza 16 settembre 2016 n.4023, la Sezione ha accolto la domanda cautelare.
Con memoria del 25 maggio 2017 per la ricorrente appellante e con repliche del 6 giugno 2017 per la ricorrente appellante e per il Comune, le parti hanno ribadito le proprie asserite ragioni.
All’udienza del giorno 27 giugno 2017, fissata con l’ordinanza cautelare di cui sopra, la Sezione ha infine trattenuto il ricorso in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è fondato e va accolto quanto alla domanda di annullamento, nei termini che seguono.
2. Il primo e il terzo motivo di ricorso vanno esaminati congiuntamente, perché all’evidenza connessi, riguardando la stessa questione l’uno per il ricorso principale, l’altro per il ricorso per motivi aggiunti, e sono entrambi fondati.
Come è noto, ai sensi dell’art. 41 comma 2 prima parte c.p.a., “Qualora sia proposta azione di annullamento il ricorso deve essere notificato, a pena di decadenza, alla pubblica amministrazione che ha emesso l’atto impugnato e ad almeno uno dei controinteressati che sia individuato nell’atto stesso entro il termine previsto dalla legge…”.
Sulla relativa nozione di controinteressato, esiste poi ampia casistica giurisprudenziale, secondo la quale, in termini generali, si considera tale colui il quale dall’atto impugnato riceva un vantaggio diretto ed immediato, ossia un positivo ampliamento della propria sfera giuridica.
3. Rilevano in particolare le decisioni che applicano il principio a casi identici al presente, per tutte C.d.S. sez. VI 19 gennaio 2016 n.168 e 12 dicembre 2014 n.6138

Tali sentenze hanno affermato che nel caso di impugnazione di un diniego di permesso di costruire o di un’ordinanza di demolizione non è, di norma configurabile alcun controinteressato nei confronti del quale sia necessario instaurare un contraddittorio.
In particolare, non riveste tale qualità il terzo il quale tragga un vantaggio, anche evidente dall’esecuzione della misura repressiva, oppure abbia provveduto a segnalare all’amministrazione l’illecito edilizio per cui si procede, ovvero ancora sia proprietario di un fondo confinante con quello sul quale l’abuso è stato realizzato.
4. Con riferimento a tale ultima ipotesi, si è anzi chiarito che il terzo proprietario dell’immobile confinante è in astratto titolare di una pretesa ad opporsi a trasformazioni del territorio pregiudizievoli per il contenuto del suo diritto dominicale, che però è tutelata come diritto soggettivo solo nei rapporti fra privati; assume invece la consistenza dell’interesse legittimo di fronte ai poteri autoritativi dell’amministrazione, i quali quindi, ove esercitati, non valgono né ad ampliarla, né a restringerla: in termini la citata C.d.S. sez. VI 168/2016.
Nel caso di specie, quindi, in cui si controverte di un diniego di permesso di costruire in sanatoria e di una ordinanza di demolizione, nessuna notifica ad alcun controinteressato era dovuta.
5. Ciò posto, il secondo ed il quarto motivo, che prospettano ulteriori ragioni particolari per cui la notificazione al vicino confinante, quand’anche lo si fosse voluto ritenere controinteressato, vanno dichiarati assorbiti, in quanto dal loro accoglimento non potrebbe derivare alla ricorrente appellante alcuna utilità ulteriore.
6. E’ a sua volta fondato il quinto motivo di ricorso, incentrato sulla corretta interpretazione da dare, ad avviso della ricorrente appellante, delle norme in tema di fasce di rispetto stradale.
In proposito, lo si precisa per chiarezza, l’unica normativa applicabile è quella statale, dato che si tratta di materia inerente alla sicurezza della circolazione su tutto il territorio nazionale: così per tutte Cass. civ. sez. I 11 aprile 2002 n.5153.
Non sono pertinenti quindi i richiami che l’amministrazione intimata appellata fa alla normativa della regione Veneto a p. 15 § 4 del controricorso, se pure per sostenere che essa non opererebbe nel caso di specie.
7. In positivo, a dire della stessa amministrazione intimata appellata, la disciplina delle fasce di rispetto stradale sarebbe tuttora quella fissata dall’art. 41 septies comma 1 della l. 17 agosto 1942 n.1150, per cui “Fuori del perimetro dei centri abitati debbono osservarsi nell’edificazione distanze minime a protezione del nastro stradale, misurate a partire dal ciglio della strada. Dette distanze vengono stabilite con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con i Ministri per i trasporti e per l’interno, entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge, il rapporto alla natura delle strade ed alla classificazione delle strade stesse, escluse le strade vicinali e di bonifica.”
Il decreto attuativo è poi identificato con il D.M. 1 aprile 1968 n.1404, per cui, in sintesi, la costruzione per cui è causa sarebbe preclusa, senza possibilità di deroghe.
8. Tesi opposta è sostenuta dalla difesa della ricorrente appellante, per cui le norme applicabili sarebbero quelle indicate dal Comune nella motivazione del provvedimento, ovvero in primo luogo l’art. 16 comma 1 del Codice della strada, che prevede in via generale il divieto di costruire nelle fasce di rispetto, e l’art. 26 comma 2 lettera d) del regolamento attuativo, che fissa per le strade del tipo che interessa una fascia di rispetto di 20 metri.
Sennonché, come dedotto sempre dalla ricorrente appellante, l’articolo citato del regolamento, così come modificato dal D.P.R. 26 aprile 1993, n. 147, prevede che tale distanza si debba rispettare “nelle nuove costruzioni, nelle ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali o negli ampliamenti fronteggianti le strade”, e quindi non per gli ampliamenti che, come nella specie, non fronteggino la strada.
9. La difesa dell’amministrazione non contesta in assoluto tale tesi; ritiene però che le norme citate siano provvisoriamente inefficaci, per effetto dell’art. 234 comma 5 del Codice della strada: “Le norme di cui agli articoli 16, 17 e 18 si applicano successivamente alla delimitazione dei centri abitati prevista dall’articolo 4 ed alla classificazione delle strade prevista dall’articolo 2, comma 2. Fino all’attuazione di tali adempimenti si applicano le previgenti disposizioni in materia”.
L’applicazione dell’art. 26 del regolamento presupporrebbe quindi, a norma dell’art. 2 del Codice, una classificazione operata in via generale dal Ministero competente, che ad oggi mancherebbe.
Per tal ragione, continuerebbe quindi ad applicarsi il citato art. 41 septies della l. 1150/1942.
10. Il Collegio peraltro non condivide tale ultima conclusione.
La citata norma transitoria dell’art. 234 del Codice della strada, infatti, deve ritenersi superata dalla successiva evoluzione normativa, che ha interessato le strade prescindendo da un loro decreto ministeriale di classificazione generale, a partire dal noto d. lgs. 31 marzo 1998 n. 112, che ha operato un ampio trasferimento di strade del demanio statale alle Regioni, e per loro tramite alle Province, operandone in tal senso per forza propria la classificazione.
Deve quindi ritenersi pienamente efficace la modifica dell’art. 26 del regolamento che si è illustrata, e che consente l’ampliamento per il quale è causa, pacificamente retrostante alla costruzione.
11. Parimenti fondato è il sesto motivo di ricorso, che attiene al secondo ordine di ragioni addotto dal Comune per negare la sanatoria, ovvero il mancato rispetto delle distanze dal fondo del vicino.
La ricorrente appellante, contrariamente a quanto sostiene la difesa dell’amministrazione, ha senz’altro interesse a farlo valere, perché il permesso di costruire in sanatoria le è stato negato nonostante il suo impegno a demolire, di cui subito si dirà.
Il provvedimento sul punto dà atto appunto dell’impegno assunto dalla ricorrente appellante nel senso di richiedere una sanatoria con opere, ovvero condizionata ad una demolizione che porti a rispettare la distanza in questione, demolizione che ci si impegna a realizzare.
Lo stesso provvedimento, peraltro, ritiene che tale tipo di sanatoria non si possa ammettere perché “non così pacificamente accolta” in giurisprudenza (doc. 1 in I grado ricorrente appellante, cit.).
12. La motivazione del provvedimento intende alludere, all’evidenza, all’orientamento che esclude una sanatoria del tipo descritto perché in tal caso difetterebbe, in tale ordine di idee per definizione, il requisito della doppia conformità delle opere da sanare.
Senza voler prendere posizione sulla questione in termini assoluti, il Collegio osserva però che nella specie l’impegno a demolire la parte di edificio necessaria a garantire il rispetto della distanza è stato preso dalla parte interessata su suggerimento del Comune, nell’ambito del contraddittorio procedimentale: si vedano in proposito i doc. ti 5 e 6 in I grado della ricorrente appellante, non contestati sul punto, ove la circostanza è descritta.
Si deve allora affermare che nel caso di specie una doppia conformità è ravvisabile, perché così intesa dalla stessa amministrazione preposta.
13. Il settimo motivo è inammissibile, nel senso che il contenuto del provvedimento in esso censurato, in base ad un corretto apprezzamento, non fa parte della motivazione dell’atto impugnato e quindi non assume carattere lesivo
Come si è detto in narrativa, il testo del diniego consta di tre parti: una descrizione delle opere di cui si chiede la sanatoria, l’esposizione delle ragioni per cui la si nega e, in chiusura, la segnalazione di presunte “criticità”.
Ciò posto, l’interpretazione dell’atto amministrativo segue come è noto le stesse regole previste dagli artt. 1362 e seguenti del codice civile per gli atti negoziali, e in particolare va compiuta, ai sensi dell’art. 1366 c.c., secondo buona fede, ovvero secondo quanto il destinatario può ragionevolmente intendere.
Ciò si impone anche secondo il principio costituzionale di buon andamento, per cui la Pubblica amministrazione deve operare in modo chiaro e lineare, in modo da fornire ai cittadini regole di condotta certe e sicure, soprattutto se da esse possano derivare conseguenze negative: così la costante giurisprudenza, da ultimo C.d.S. sez. III 10 giugno 2016 n.2497.
Applicando tale principio al caso di specie, si deve allora concludere che la motivazione vera e propria dell’atto è costituita dalle ragioni in diritto esposte per giustificare il diniego, con esclusione delle “criticità” rilevate, che appaiono frutto più di ipotesi che di effettivo approfondimento istruttorio: se l’amministrazione avesse voluto considerarle a loro volta ragioni di diniego, avrebbe avuto l’onere di qualificarle come tali.
14. L’ottavo motivo è invece infondato. L’asserita buona fede della ricorrente appellante si basa sulla circostanza descritta in narrativa, ovvero sull’affermazione contenuta nella perizia di stima dell’immobile, secondo cui esso si doveva ritenere sanabile sulla base di un colloquio in tal senso fra il perito e il funzionario comunale responsabile del settore (doc. 4 in I grado ricorrente appellante, cit.).
Si deve però osservare sul punto che la rassicurazione verbale di un funzionario, non tradotta in un atto formale dell’amministrazione cui esso appartiene, non può in alcun modo impegnarne la volontà, e che quindi nessuna buona fede si può ravvisare in proposito, dato che ignorare tale principio è evidente espressione della colpa grave che la buona fede esclude.
15. I motivi sin qui accolti comportano l’accoglimento anche del nono motivo, che li fa valere come vizi di illegittimità derivata dell’ordinanza di demolizione.
16. Dall’intervenuto annullamento di tale atto deriva infine l’assorbimento dei due ultimi motivi, che dell’ordinanza di demolizione censurano aspetti particolari, presupponendone l’efficacia complessiva.
17. L’appello è invece infondato e va respinto quanto alla domanda di risarcimento.
In proposito, come si ricava dalla lettura dell’atto di impugnazione (da p. 46 in poi), la ricorrente appellante deduce in sostanza una sola voce di danno, quella conseguente alla demolizione dell’immobile cui si è obbligata per ottenere la sanatoria.
Si è però detto che a tale demolizione ella si è obbligata spontaneamente, senza a quanto consta riserve di sorta, per ottenere una sanatoria che altrimenti le sarebbe stata negata: in tal senso, il pregiudizio corrispondente non costituisce fatto ingiusto.
18. La parziale soccombenza è giusto motivo per compensare per intero fra le parti le spese dell’intero giudizio […]