[…]
I sig.ri […[ e […] hanno impugnato, davanti al T.A.R. Campania – Napoli, la determinazione … 2017, n. … con cui il Comune … ha respinto due istanze di condono edilizio, presentate dalla loro dante causa, …, aventi a oggetto l’ampliamento di due fabbricati: la n. …/86 (BC …), proposta ai sensi della L. 28/2/1985 n. 47, e la n. … 04 (BC .8), proposta in base al D.L. 30/9/2003, n. 269.
L’adito Tribunale, con sentenza … 2018, n. …, ha accolto il gravame limitatamente alla reiezione dell’istanza di condono … 86 (BC …), mentre lo ha respinto con riguardo alla restante domanda.
Avverso il capo di sentenza ad esso sfavorevole ha proposto appello il Comune […].
Relativamente al capo di sentenza che li ha visti soccombenti hanno proposto appello anche le sig.re […[ e […], quest’ultima quale successore del […] (ricorso n. … 2019).
Per resistere ai due ricorsi si sono rispettivamente costituiti in giudizio […], quale successore del […] (nel ricorso n. …. 2019), e il Comune […] (nel ricorso n. … 2019).
Con successive memorie tutte le parti, a eccezione […], hanno meglio illustrato le rispettive tesi difensive.
All’udienza telematica del 6/5/2021 le cause sono passate in decisione.
Data l’evidente connessione i due ricorsi vanno riuniti onde definirli con unica sentenza.
Occorre partire dall’esame del ricorso n. 1992/2019.
Col primo motivo si deduce che il Tribunale avrebbe errato a ritenere che sull’istanza di condono edilizio n. … 86 … si sia formato il silenzio assenso.
Difatti, affinché l’inerzia nel provvedere possa assumere il valore di un provvedimento di accoglimento tacito non sarebbe sufficiente il solo fatto dell’inutile decorso del termine di legge e del pagamento di quanto dovuto a titolo di oblazione, ma occorrerebbe anche la prova (a carico di colui che chiede il condono) della sussistenza degli ulteriori requisiti richiesti dalla norma.
In particolare occorrerebbe la dimostrazione, nella specie assente, di aver allegato alla domanda di sanatoria i documenti indicati nell’art. 35 della L. n. 47/1985.
Inoltre il silenzio assenso potrebbe formarsi solo in presenza dei presupposti sostanziali per l’accoglimento della domanda, mancanti nel caso che occupa, dato che il realizzato intervento abusivo ricadrebbe in zona sismica dove non sarebbe possibile consentire l’incremento dell’edificazione a scopo residenziale.
Prima di procedere all’esame del sintetizzato mezzo di gravame occorre affrontare l’eccezione con cui l’appellato ne denuncia l’inammissibilità, in quanto esso si risolverebbe in una non consentita integrazione postuma della motivazione del provvedimento comunale, giacché l’amministrazione si sarebbe limitata a ritenere l’opera non condonabile per l’esistenza di un vincolo di inedificabilità sull’area interessata dall’abuso, senza mai contestare l’incompletezza della domanda.
L’eccezione è priva di pregio.
Al riguardo è sufficiente rilevare che attraverso la dedotta censura il comune non ha affatto integrato la motivazione del provvedimento impugnato in primo grado, avendo semplicemente addotto argomentazioni idonee a criticare le conclusioni assunte dal Tribunale in ordine alla ravvisata sussistenza dei presupposti richiesti per poter attribuire all’inerzia protrattasi per il tempo voluto dalla legge il valore di silenzio assenso.
Inoltre, come più sotto si vedrà, non è vero che l’amministrazione non avesse chiesto all’istante integrazioni documentali.
La doglianza può, quindi, essere esaminata nel merito dove risulta fondata.
Come correttamente dedotto dall’appellante, in base all’art. 35 della L. n. 47/1985, il silenzio assenso sulla domanda di condono edilizio non si forma in conseguenza della mera consumazione del termine per provvedere, occorrendo, altresì, che vengano posti in essere gli ulteriori adempimenti richiesti dalla norma, quali il pagamento dell’oblazione, la presentazione della documentazione da allegare alla domanda specificata nel comma 3 del citato articolo e la denuncia catastale, ciò al fine di consentire all’amministrazione di esercitare utilmente i propri poteri di verifica (ex plurimis Cons. Stato, Sez. VI, 20/4/2021 n. 3208; 11/1/2021, n. 352; 2/10/2019, n. 6616; 7/9/2018, n. 5273; Sez. II , 2/11/2020, n. 6709; 27/8/2020 , n. 5247; Sez. IV, 11/10/2017, n. 4703).
Nel caso di specie, come si ricava dagli atti di causa (si veda la nota comunale 16/1/2019, n. 43272), la domanda di condono edilizio era priva di tutta la documentazione richiesta dall’art. 35 della menzionata L. n. 47/1985, tant’è che, con nota 31/3/1989, n. 1318, l’amministrazione aveva chiesto alla […] di integrare la domanda con i documenti ivi indicati, ma la richiesta, se si eccettua l’attestazione di avvenuto pagamento dell’oblazione, è rimasta inevasa.
Da quanto sopra discende che nella specie non sussistevano i presupposti perché si formasse l’invocato silenzio assenso.
Tali presupposti non sussistevano anche sotto altro distinto profilo.
La giurisprudenza afferma che il silenzio assenso su una domanda di condono edilizio può formarsi solo in presenza di tutti i requisiti, formali e sostanziali, per l’accoglimento della stessa (Cons. Stato, Sez. VI, 13/7/2020, n. 4527; 8/6/2020, n. 3636; 2/11/2018, n. 6219; Sez. II, 19/11/2020, n. 7198).
Nella fattispecie l’intervento per cui è causa non era sanabile in considerazione del divieto di rilasciare nuovi titoli edilizi per la realizzazione di edifici con destinazione residenziale, posto dall’art. 5 della L.R. 10/12/2003, n. 21, operante, come più sotto verrà chiarito, anche in relazione alle opere abusive realizzate prima dell’entrata in vigore della norma.
Dalle esposte considerazioni discende che l’inerzia non poteva assumere valore di accoglimento tacito.
L’appello sul ricorso n. 1992/2019 va, pertanto, accolto.
Deve ora procedersi all’esame dell’appello di cui al ricorso n. 3086/2019.
Col primo motivo si lamenta che il Tribunale, mal interpretando l’art. 7 della L.R. 18/11/2004, n. 10, avrebbe erroneamente escluso che in Campania possa formarsi il silenzio assenso sulle istanze di condono edilizio.
La citata norma, infatti, si limiterebbe a prevedere la possibilità di un intervento sostitutivo da parte della provincia nel caso di inerzia nel definire le domande di sanatoria edilizia, senza, però, escludere che sulle stesse possa formarsi il silenzio assenso in base alla normativa nazionale.
Non sarebbe conseguentemente condivisibile la tesi affermata in sentenza secondo cui l’inerzia sulla domanda di condono proposta dalla […] ex D.L. n. 269/2003 configurerebbe un’ipotesi di silenzio inadempimento che le parti interessate avrebbero dovuto impugnare.
La doglianza è infondata.
Dispone il citato art. 7: “1. Le domande di sanatoria (presentate ai sensi dell’art. 32 del D.L. n. 269/2003) sono definite dai comuni competenti con provvedimento esplicito da adottarsi entro ventiquattro mesi dalla presentazione delle stesse. Il termine può essere interrotto una sola volta se il comune richiede all’interessato integrazioni documentali e decorre per intero dalla data di presentazione della documentazione integrativa.
2. Decorso il termine di cui al comma 1, si applicano le disposizioni di cui alla legge regionale 28 novembre 2001, n. 19, articolo 4 che disciplinano l’esercizio dell’intervento sostitutivo da parte dell’amministrazione provinciale competente”.
Come emerge dal chiaro tenore letterale del trascritto articolo, in Campania l’istituto del silenzio assenso previsto dalla legislazione nazionale non trova applicazione con riguardo alle domande di condono presentate ai sensi del D.L. n. 269/2003.
In relazione a tali istanze, infatti, il decorso del termine di 24 mesi assegnato ai comuni per definire le domande di condono, configura una mera ipotesi di inadempimento dell’obbligo di provvedere, che abilita l’interessato a richiedere l’intervento sostitutivo della provincia (Cons. Stato, Sez. VI, 20/7/2006, n. 4609), oltre che ad agire ex artt. 31 e 117 c.p.a.
La previsione della possibilità di reclamare l’intervento sostitutivo della provincia, infatti, non avrebbe senso se decorso il termine per provvedere l’istanza dovesse ritenersi tacitamente accolta.
D’altra parte il giudice delle leggi ha dichiarato incostituzionale l’art. 32, comma 37, del D.L. n. 269/2003 (che assegna all’inerzia valore di accoglimento tacito), nella parte in cui non prevede che il legislatore regionale possa disciplinare diversamente gli effetti del prolungato silenzio del comune (Corte Cost. 28/6/2004, n. 196), cosa che, per l’appunto, la Regione Campania ha fatto con l’art. 7 della L.R. n. 10/2004.
Col secondo motivo si denuncia l’errore commesso dal comune appellato e dal Tribunale nel ritenere ostativa all’accoglimento della domanda di condono l’esistenza di un vincolo di inedificabilità assoluta sull’area interessata dall’intervento abusivo.
Infatti, ai sensi dell’art. 33 della L. n. 47/1985, i vincoli ivi contemplati impedirebbero la sanatoria solo se imposti prima dell’esecuzione delle opere per cui la medesima è richiesta.
I vincoli sopraggiunti, anche se di natura assoluta, non sarebbero del tutto irrilevanti ma si comporterebbero come vincoli relativi con la conseguenza che il comune appellato avrebbe dovuto compiere una valutazione di compatibilità del manufatto abusivo con i valori tutelati, valutazione che nella specie sarebbe stata omessa.
Nella specie mancherebbe, inoltre, il parere dell’autorità preposta alla salvaguardia del vincolo.
Il giudice di prime cure avrebbe, altresì, mancato di pronunciare sulla contestazione rivolta contro l’ulteriore rilievo posto a base dell’avversato diniego di condono.
Afferma il comune che: “A non diversa soluzione si perviene anche alla luce delle modifiche apportate dalla Legge Regione Campania n. 16/2014 (art. 2 comma 2), che, nel disporre il divieto alle amministrazioni di assumere provvedimenti comportanti nuove edificazione a scopo residenziale, non si riferisce agli immobili realizzati entro il 31/12/2003 oggetto di istanza di condono, ma a quelli realizzati in forza degli strumenti vigenti senza alcun riferimento ad eventuali provvedimenti di sanatoria. Pertanto trattandosi di vincolo di in edificabilità assoluta, le opere abusive oggetto non risultano condonabili ai sensi dell’art. 33 della legge 47/85”.
Orbene, dal combinato disposto degli artt. 5 e 2, comma 2, della L.R. 10/12/2003, n. 21, come modificati dalla L.R. 7/8/2014, n. 16, si ricaverebbe che il divieto di assentire nuova volumetria residenziale non riguarderebbe gli edifici realizzati (come nel caso di specie) precedentemente all’entrata in vigore della legge.
Peraltro, l’intervento oggetto della denegata sanatoria, che si sostanzierebbe in una cucina, in un piccolo terrazzino e in una sottostante cantinola, non sarebbe riconducibile a quelli finalizzati alla realizzazione di nuova edilizia residenziale.
Col terzo motivo si lamenta che il Tribunale avrebbe errato a non rilevare il difetto d’istruttoria inficiante il provvedimento impugnato, che deriverebbe dalla mancanza di ogni valutazione da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, con conseguente deficit motivazionale.
Il dedotto difetto d’istruttoria sarebbe comprovato anche dal fatto che il comune avrebbe falsamente ritenuto che gli abusi commessi riguardassero un’unica unità immobiliare (mentre si riferirebbero a due distinti fabbricati) e che gli stessi fossero finalizzati alla realizzazione di “nuova edilizia residenziale”.
I due motivi, che si prestano a una trattazione congiunta, non meritano condivisione.
Occorre premettere che, come correttamente rilevato dall’appellata amministrazione, nell’odierna fattispecie non assume rilevanza la norma di cui all’art. 2, comma 2, della L.R. n. 21/2003, nel testo applicabile ratione temporis, ovvero quello vigente prima delle modifiche introdotte dalla L.R. 12/3/2020, n. 6.
La norma, stabilisce che: “A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge è vietato alle amministrazioni competenti assumere provvedimenti di approvazione o di esecutività previsti da disposizioni di legge vigenti in materia, degli strumenti attuativi dei piani regolatori generali dei comuni individuati all’articolo 1, comportanti nuova edificazione a scopo residenziale, ad eccezione degli edifici realizzati precedentemente all’entrata in vigore della presente legge”.
La disposizione, non si occupa, quindi, del rilascio dei titoli edilizi, ma regola soltanto il procedimento di formazione degli strumenti attuativi dei piani regolatori generali, vietando che vangano approvati o resi esecutivi qualora consentano nuova edificazione a fini residenziali. E laddove, con non perspicua formulazione, fa salvi gli “edifici realizzati precedentemente all’entrata in vigore della presente legge”, deve ritenersi che abbia inteso riferirsi a quelli legittimamente realizzati sulla base degli strumenti urbanistici già in vigore.
Il caso che occupa trova, pertanto, la sua la sua disciplina nel successivo art. 5, comma 1, della medesima L.R. n. 21/2003, secondo cui:
“Dalla data di entrata in vigore della presente legge fino alla vigenza degli strumenti urbanistici generali ed attuativi di cui all’articolo 2, o fino alla vigenza degli strumenti urbanistici così come adeguati ai sensi dell’articolo 3, o fino alla vigenza delle varianti di cui all’articolo 4, nei comuni individuati all’articolo 1 è vietato il rilascio di titoli edilizi abilitanti la realizzazione di interventi finalizzati a nuova edilizia residenziale, come definiti dall’articolo 2”.
La norma, com’è incontestato, introduce un divieto assoluto di nuova edificazione a scopi residenziali nei comuni, come quello …, individuati dall’art. 1, comma 1, della citata L.R. n. 21/2003, ovvero quelli che si trovano “nella zona rossa ad alto rischio vulcanico della pianificazione nazionale d’emergenza dell’area vesuviana del dipartimento della protezione civile – prefettura di Napoli – osservatorio vesuviano”.
Si attaglia, dunque, perfettamente al caso che occupa dato che, diversamente da quanto afferma l’appellante, l’ampliamento realizzato, quantomeno con riguardo alla cucina e alla cantinola, rientra sicuramente fra le opere di natura residenziale.
Orbene, è vero che la disposizione di tutela di cui al citato art. 5, comma 1, è intervenuta successivamente alla realizzazione dell’opera oggetto dell’istanza di condono e che, secondo la giurisprudenza, i vincoli sopravvenuti, anche se di carattere assoluto, si comportano come quelli relativi, con la conseguente necessità che, ai fini del rilascio del condono edilizio, sia acquisito il parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo in ordine alla compatibilità dell’intervento eseguito con l’interesse protetto dalla normativa vincolistica, trovando applicazione, in questo caso, lo stesso regime della previsione generale di cui all’art. 32, comma 1, della L. n. 47/1985 (ex plurimis Cons. Stato, Sez. VI, 26/3/2018, n. 1887; 21/7/2017, n. 3603; 26/1/2015, n. 318; Sez. II, 27/9/2019, n. 6467; Sez. IV, 19/12/2016, n. 5366), tuttavia, ritiene il Collegio, che ciò non valga nei casi in cui la natura assoluta del vincolo non dipenda da una scelta di tipo discrezionale, ma dall’accertamento di elementi di fatto oggettivamente apprezzabili, come nell’ipotesi del limite edificatorio posto dal ricordato art. 5 della L.R. n. 21/2003, il quale, in considerazione della pericolosità sismica della zona, ha vietato qualunque incremento del carico abitativo.
In questo caso, il parere dell’autorità preposta alla salvaguardia del vincolo, che dovrebbe esprimersi sull’attuale compatibilità dei lavori con l’interesse protetto, risulta del tutto superfluo, non potendo, in ogni caso, che essere di segno negativo, stante il divieto assoluto di accrescere la volumetria residenziale dell’area oggetto d’intervento.
Del resto, il comune ha congruamente illustrato le ragioni che impedivano il rilascio del condono, evidenziando, per l’appunto, che “le opere richieste a condono rientrano nella zona ad alto rischio vulcanico dell’area vesuviana, dove non è possibile consentire l’incremento dell’edificazione a scopo residenziale, mediante l’aumento di volumi abitabili e dei carichi urbanistici. L’art. 5 della Legge Regionale n. 21/2003 prevede il divieto di rilasciare titoli edilizi per interventi finalizzati all’incremento dell’edilizia residenziale. Non può non sottolinearsi che l’imposizione di un limite all’incremento dell’edilizia residenziale in una zona ad alto rischio di eruzioni vulcaniche risponde a superiori esigenze di tutela della sicurezza e della incolumità pubblica”.
Deve, infine, escludersi che possa costituire sintomo di difetto d’istruttoria il fatto che il comune abbia affermato che gli interventi abusivi oggetto delle due istanze di condono riguardassero il medesimo immobile, mentre in realtà gli stessi sarebbero stati realizzati su due edifici differenti. Trattasi, infatti, di un mero errore materiale che, comunque, non ha influito sulla corretta individuazione delle opere interessate dalle richieste di condono.
Col quarto motivo si lamenta che il Tribunale avrebbe omesso di considerare che il lungo tempo intercorso tra la presentazione della domanda di condono e il provvedimento con cui questa è stata respinta (quattordici anni) avrebbe fatto sorgere in capo alla parte appellante un legittimo affidamento in ordine alla sanabilità dell’illecito.
Inoltre, alla luce del tempo trascorso il provvedimento di diniego avrebbe dovuto essere assistito da congrua motivazione, mentre nella specie quest’ultima sarebbe mancata.
La doglianza è infondata.
Al riguardo è sufficiente rilevare che il trascorrere del tempo di per sé non legittima situazioni che, essendo ab origine contra ius, non possono fondare alcun affidamento incolpevole. Ciò esclude anche che il diniego di condono debba essere assistito da un onere di motivazione rafforzato, essendo sufficiente che l’amministrazione indichi, come nella specie, le ragioni che impediscono l’accoglimento della domanda.
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