Consiglio di Stato, Sezione Sesta, Sentenza n. 43 del 2021, pubbl. il 04/01/2021

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FATTO e DIRITTO

1 – Gli appellanti sono proprietari dell’immobile sito in […], alla via … n. …, originariamente composto da un piano terra, un primo e secondo piano oltre al tetto di copertura servito da scala, nonché una terrazza al primo piano.
2 – A seguito di sopralluogo della Polizia Municipale, si è accertato che nei locali sottotetto dell’immobile “sono stati eseguiti interventi abusivi finalizzati mediante cambio di destinazione, alla realizzazione di due appartamenti” e “la costruzione abusiva di un vano ascensore esterno al fabbricato, costituito da una struttura di ferro e vetro blindato”.
Con l’ordinanza n. … del … 2007, il Comune […] ha ingiunto agli appellanti la demolizione delle opere abusive.
3 – Tale provvedimento è stato impugnato avanti il T.A.R. per la Campania che, con la sentenza n. … 2014, ha accolto il ricorso per quanto attiene al motivo diretto a contestare la pretesa abusività del vano ascensore; lo ha invece rigettato in relazione alla contestazione dell’abusività del mutamento di destinazione d’uso del sottotetto.
4 – Con il primo motivo di appello avverso tale pronuncia si deduce la mancata rilevazione da parte del T.A.R. del fatto che gli interventi contestati risultano assentibili in base alla normativa urbanistica del Comune […] attualmente in vigore.
Secondo parte appellante, per quanto attiene all’intervento di cambio di destinazione d’uso del sottotetto: a) quest’ultimo è autorizzabile a posteriori, poiché conforme alla Legge Regionale n. 15/2000; b) seppur tale legge richiede il permesso di costruire, e nonostante l’intervento realizzato sia privo di titolo abilitante, lo stesso sarebbe sanabile in applicazione dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001; c) pertanto, sarebbe illegittimo averne disposto la demolizione, dovendosi applicare l’orientamento della giurisprudenza secondo cui il sopravvenuto mutamento del regime urbanistico dell’area può dar luogo alla cd. “sanatoria giurisprudenziale” i cui presupposti risiedono nell’esigenza di non imporre la demolizione di un’opera abusiva che, in quanto conforme alla disciplina urbanistica in atto, dovrebbe essere successivamente autorizzata su semplice presentazione di un’istanza di rilascio in tal modo evitando uno spreco di attività inutili.
4.1 – Con riguardo all’intervento relativo alla realizzazione del balcone lungo il prospetto ovest del fabbricato, lo stesso risulta conforme allo strumento urbanistico vigente, tenuto conto che, ai sensi dell’art. 4 delle N.T.A. allegate al PRG attualmente in vigore, ha una funzione accessoria esterna rispetto alla superficie del solaio, di cui risulta mera pertinenza.
4.2 – Quanto al vincolo paesaggistico esistente ai sensi della L.R. n. 35/87, i suddetti interventi risultano conformi alle prescrizioni imposte dal PUT per la zona di riqualificazione insediativa ed ambientale, consistendo in mere opere di riqualificazione architettonica della struttura residenziale preesistente, realizzate in materiali compatibili, anche sotto il profilo estetico, con il paesaggio circostante.
4.3 – Parte appellante rileva inoltre che, con il decreto n. 89 del 5/01/2012, il Presidente della Provincia di Napoli ha approvato definitivamente il nuovo P.R.G. del Comune […], adeguandolo al PUT … di cui alla L.R. n 35/87; pertanto, sarebbe venuto meno il presupposto principale sul quale risulta fondata l’ordinanza di demolizione e cioè il divieto di rilascio di nuovi permessi di costruire, di cui all’art. 5 della L.R. 35/1987.
5 – La censura è inammissibile ed in ogni caso infondata.
Sotto il primo profilo, deve evidenziarsi come la prospettazione di parte appellante non sia compiutamente rinvenibile nei motivi di ricorso di primo grado, da cui l’inammissibilità della sua deduzione in questa sede di appello, in quanto in violazione dell’art. 104 c.p.a.
Come noto, non possono essere proposti in sede di appello nuovi motivi di ricorso (cfr. Cons. St., ad. plen., 19 dicembre 1983, n. 26; Cons. St., ad. plen., 19 dicembre 1972, n. 8). Pertanto, non sono ammissibili nuove censure contro gli atti già impugnati, se era possibile proporle sin dal primo grado di giudizio, in quanto la novità dei motivi equivale ad una domanda nuova (cfr. Cons. St., Sez. IV, 16 giugno 2008, n. 2977).
5.1 – La censura è in ogni caso manifestamente infondata sotto plurimi profili.
In primo luogo, deve rilevarsi come sia incontestato che il provvedimento impugnato trova fondamento nel fatto che gli interventi eseguiti sull’immobile degli appellanti sono privi di un titolo che li autorizzi.
Tale circostanza è sufficiente a giustificare l’ordinanza di demolizione, essendo del tutto irrilevante la prospettata conformità sostanziale delle opere alla disciplina edilizia.
Al riguardo, deve precisarsi come, alla luce della disciplina vigente, non sia in alcun modo ravvisabile un principio in base al quale, prima di disporre la demolizione, l’amministrazione debba valutare la conformità sostanziale dell’immobile al regime urbanistico dell’area.
La eventuale legittimità sostanziale delle opere, in rapporto al regime dell’area alla quale accedono, deve necessariamente essere valutata nell’ambito di un procedimento di sanatoria, non potendosi gravare l’amministrazione dell’onere di valutare d’ufficio tale eventualità. Tanto si evince dall’art. 31 e dall’art. 27 d.P.R. n. 380/2001, che impongono all’amministrazione comunale di reprimere l’abuso, senza alcuna valutazione di sanabilità, nonché dall’art. 36, che rimette all’esclusiva iniziativa del privato l’attivazione del procedimento di accertamento di conformità urbanistica.
5.2 – Quanto all’incidenza dell’istanza di sanatoria sull’ordinanza di demolizione, il T.A.R. ha fatto corretta applicazione della giurisprudenza più recente, secondo cui la presentazione di una istanza di sanatoria ex art. 36 del D.P.R. 380/2011 non rende inefficace il provvedimento sanzionatorio pregresso; non vi è dunque un’automatica necessità per l’amministrazione di adottare, se del caso, un nuovo provvedimento di demolizione. La domanda di accertamento di conformità determina un arresto dell’efficacia dell’ordine di demolizione, ma tale inefficacia opera in termini di mera sospensione. In caso di rigetto dell’istanza di sanatoria, l’ordine di demolizione riacquista la sua efficacia (Cfr. Cons. St. 2681/2017, Cons. St. 1565/2017, Cons. St. 1393/2016, Cons. St. 466/2015, Cons. St. 2307/2014).
5.3 – Infine, seppur ogni profilo circa la conformità sostanziale degli interventi alla disciplina urbanistica applicabile esuli del presente giudizio, che non ha ad oggetto la sanatoria delle opere, contrariamente alla tesi di parte appellante, deve ricordarsi che l’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, nel disciplinare l’accertamento di conformità, ossia quello strumento attraverso cui si consente la sanatoria di opere realizzate in assenza di titolo edilizio, ma conformi alla normativa applicabile, richiede che gli interventi abusivi siano conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al tempo della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della istanza di sanatoria (cfr. Cons. St., sez. VI, 3194/2016; Cons. St., sez VI, 5 giugno 2015 n. 2784; Cons. St., sez IV, 26 aprile 2006, n. 2306; Corte Cost., 29 maggio 2013, n. 101), non potendosi affatto accogliere l’istituto della c.d. sanatoria giurisprudenziale, la cui attuale praticabilità è stata da tempo esclusa dalla giurisprudenza (cfr. Cons. St., sez. VI, 3194/2016; Cons. St., sez VI, 5 giugno 2015 n. 2784; Cons. St., sez IV, 26 aprile 2006, n. 2306; Corte Cost., 29 maggio 2013, n. 101).
Tale approdo che richiede la verifica della “doppia conformità” deve considerarsi principio fondamentale nella materia del governo del territorio, in quanto adempimento “finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità” (cfr. Corte Cost. n. 232 del 2017).
Le considerazioni che precedono comportano anche il rigetto del secondo motivo di appello, le cui censure devono ritenersi sostanzialmente irrilevanti, stante la pacifica esecuzione dei lavori innanzi descritti senza la prescritta autorizzazione.
6 – Con il secondo motivo di appello, si critica la valutazione del T.A.R. circa l’asserita creazione di nuovi volumi e la trasformazione dei prospetti che sarebbero conseguiti dall’apertura di due lucernai nelle falde del tetto, dall’abbassamento del piano di calpestio e dalla trasformazione della pensilina.
In particolare, l’appellante critica la scelta del giudice di primo grado di aver posto a giustificazione del rigetto del primo motivo di ricorso proposto dagli attuali appellanti quanto è stato rilevato in data 10/12/2013 dai vigili urbani in un verbale di cinque anni successivo rispetto alla adozione dell’ingiunzione a demolire.
7 – Oltre alle considerazioni già svolte, in riferimento alla specifica censura deve osservarsi come non sia affatto censurabile l’aver utilizzato a fini probatori il verbale degli agenti comunali del 10.12.2013, il quale non costituisce affatto un provvedimento finalizzato ad integrare la motivazione del provvedimento precedentemente impugnato, trattandosi invece di un atto di accertamento, con il quale è stata descritta la situazione di fatto dell’immobile alla data ivi indicata e, pertanto, legittimamente utilizzabile come elemento di prova nel presente giudizio.
7.1 – Nel merito, devono trovare piena conferma le considerazioni svolte dal T.A.R., secondo cui i lavori eseguiti in assenza di titolo hanno comportato la trasformazione dei prospetti del fabbricato e l’apertura di nuovi vani tramite “l’apertura di due lucernai nelle falde del tetto, la creazione di un localino per alloggio caldaia, la trasformazione della pensilina, l’abbassamento del piano di calpestio del sottotetto per circa 0,80 metri con conseguente aumento dell’altezza dello stesso”.
E’ dunque evidente che le opere hanno integrato anche la creazione di nuovi volumi sul terrazzino, l’aumento del volume del sottotetto grazie all’abbassamento del piano di calpestio e la creazione di due nuove unità immobiliari ad uso residenziale, oltre alla modifica del prospetto esterno.
Risulta inoltre corretta la conclusione secondo cui tale tipo di lavori avrebbe dovuto essere realizzato previa l’acquisizione di un idoneo titolo edilizio, stante il disposto di cui all’art. 10 del DPR 380/2001, secondo cui sono soggetti a permesso di costruire gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino, come nella fattispecie in esame, un aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, dei prospetti o delle superfici.
7.2 – Essendo pacifica la modificazione della destinazione d’uso del sottotetto, reso abitativo con la creazione di due appartamenti, per scrupolo, deve precisarsi che il mutamento di destinazione d’uso di un immobile deve considerarsi urbanisticamente rilevante e, come tale, soggetto di per sé all’ottenimento di un titolo edilizio abilitativo, con l’ovvia conseguenza che il mutamento non autorizzato della destinazione d’uso che alteri il carico urbanistico, integra una situazione di illiceità, che deve essere rilevata dall’amministrazione nell’esercizio del suo potere di vigilanza (cfr. Cons. St., Sez. VI, n. 6562/18). Anche la giurisprudenza penale ha chiarito che il mutamento di destinazione d’uso di un immobile attuato attraverso la realizzazione di opere edilizie configura in ogni caso un’ipotesi di ristrutturazione edilizia; ciò in quanto l’esecuzione dei lavori, anche se di entità modesta, porta pur sempre alla creazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente (cfr. Cass. Pen. n. 6873 del 2017).
8 – Per le ragioni esposte, l’appello non deve trovare accoglimento. […]