Consiglio di Stato, Sezione Sesta, Sentenza n. 5274 del 2018, pubbl. il 07/09/2018

[…]

FATTO e DIRITTO

1.Viene in decisione il ricorso in appello con il quale […] ha impugnato la sentenza della prima sezione del TAR Campania – sezione staccata di Salerno, n. 2474 del 2016.
Il giudice di primo grado ha respinto, e comunque dichiarato improcedibile, con compensazione delle spese, il ricorso presentato dalla società suindicata avverso l’atto prot. n. … del 28.8.2015 con il quale il Comune […] – Settore pianificazione edilizia privata e SUAP, ha rigettato la domanda di permesso di costruire in sanatoria – accertamento di conformità, presentata ai sensi dell’art. 36 del t. u. n. 380 del 2001, con riferimento alla mutata destinazione d’uso di alcuni sottotetti termici in locali di abitazione grazie ad alcune opere interne (così, nel ricorso), non essendovi stata la realizzazione di nuovi corpi di fabbrica e/o modifiche di sagoma. Era infatti accaduto che verso la fine del 2006 la società ricorrente aveva acquistato un lotto edificabile in […], ricadente in zona B – residenziale di completamento, del PRG vigente, in relazione al quale erano stati rilasciati i permessi di costruire nn. …/2005 e …/2006 per realizzare, oltre che alcune unità abitative, sottotetti non abitabili. Accertato dal Comune il mutamento di destinazione d’uso dei sottotetti, da pertinenze a locali abitabili, ed emessa la relativa ordinanza di rimozione con il ripristino dello stato dei luoghi, la società ricorrente, in data 5.5.2015, domandava il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria – accertamento di conformità ex art. 36 t. u. cit. , articolando la domanda essenzialmente sulla base dell’istituto della c. d. “sanatoria giurisprudenziale”. Nel ricorso si sottolinea come l’intervento eseguito doveva considerarsi conforme al novellato art. 3, comma 1, lett. c) della l. r. n. 15 del 2000 il quale ai fini del recupero abitativo esigeva in origine una altezza media interna non inferiore a 2,40 m.
Con la sopravvenuta modifica del citato art. 3 ad opera dell’art. 1, comma 145, della l. r. n. 5 del 2013, l’altezza media è stata ridotta (da m. 2,40) a m. 2,20 per cui i sottotetti hanno attualmente il requisito dell’abitabilità, circostanza, questa, non disconosciuta dai competenti uffici comunali.
Il rifiuto del permesso di costruire in sanatoria risulta motivato dalle considerazioni che seguono:
-l’intervento non è conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda;
-sono scaduti i termini per la presentazione della sanatoria previsti dall’art. 36, comma 1, e 31, comma 3, d.P.R. n. 380/2001;
-l’istanza è in contrasto con l’art. 12 bis e con l’art. 3, comma 1, della l. r. n. 19/2009;
-la l. r. n. 19/2009 non prevede una normativa di sanatoria né la legislazione regionale consente di ampliare l’oggetto della disciplina della sanatoria edilizia.
La società ha impugnato il diniego dinanzi al TAR Campania – Salerno facendo leva essenzialmente sull’istituto della c. d. “sanatoria giurisprudenziale”.

2. Con la sentenza in epigrafe il TAR ha respinto il ricorso.
In particolare la sentenza:
-ha osservato che si discute della sanabilità a posteriori di un intervento di mutamento di destinazione d’uso, mediante opere, di preesistenti sottotetti, ai quali la parte ricorrente ha impresso, senza preliminarmente conseguire il prescritto titolo abilitativo, destinazione abitativa;
-ha rilevato che la l. r n. 15/2000 sul recupero dei sottotetti a fini abitativi, la cui applicazione viene invocata dalla ricorrente, non contiene alcuna disposizione relativa a interventi di recupero già eseguiti in assenza di titolo abilitativo in relazione al quale si chieda l’assenso postumo all’Amministrazione, con la conseguenza che deve trovare applicazione la disciplina generale di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001;
-ha soggiunto che, anche a prescindere dalla circostanza che nella domanda parte ricorrente non invoca in modo esplicito l’applicazione del suddetto istituto, non sussistono i presupposti per applicare il menzionato art. 36 posto che manca il requisito oggettivo della c. d. doppia conformità essendo le opere, al momento della loro realizzazione, non conformi alla disciplina dell’altezza di cui all’art. 3, comma 1, lett. c), della l. r. n. 15/2000 nella formulazione vigente all’epoca della realizzazione dell’intervento (il parametro dell’altezza verrà infatti ridotto da m.2,40 a m. 2,20 soltanto dall’art. 1, comma 145, della 1. r. n. 5/2013);
-ha ritenuto non utile alle ragioni del ricorrente l’art. 12, comma 4 bis, della l. r. n. 19/2009, introdotto dall’art. l, comma 73, lettera f, della l. r. 7 agosto 2014, n. 76, ai sensi del quale possono essere autorizzati gli interventi già realizzati alla data in vigore delle presenti norme e ad esse conformi rilevando, da un lato, la dubbia riferibilità della norma agli interventi contemplati e disciplinati dalla l. r. n. 15/2000 (contenendo l’art. 8, comma 2, della l. r. n. 19/2009 un mero rinvio a quest’ultima, la quale quindi conserva la sua autonomia, limitandosi a precisarne l’ambito temporale di applicazione); e osservando, dall’altro, che nessuna utilità potrebbe trarre parte ricorrente qualora la norma venisse intesa come rivolta a disciplinare una fattispecie di sanatoria implicita e atipica rispetto al paradigma di cui al citato art. 36, atteso che tale norma non è più in vigore nella sua originaria formulazione, essendo stata modellata sul calco dell’art. 36 al fine di dissipare i dubbi di illegittimità costituzionale formulabili nei suoi confronti (cfr. art. 8, comma 1, lett. l) della l. r. n. 6 del 2016, secondo cui le disposizioni di cui all’articolo 36 del d.P.R. n. 380/2001 si applicano anche agli interventi previsti dalla presente legge e realizzati dopo la sua entrata in vigore, privi di titolo abilitativo o in difformità da esso, ma che risultano conformi alla stessa legge sia al momento della realizzazione degli stessi interventi, sia al momento della presentazione della domanda –v. pagine 6 e 7 sent.);
-ha osservato poi che non può trovare applicazione la c. d. sanatoria giurisprudenziale o impropria, non potendosi estendere il permesso di costruire in sanatoria al di fuori dei presupposti della c. d. doppia conformità di cui al citato art. 36 del d.P.R. n. 380/2001;
-ha ritenuto manifestamente infondati i dubbi di legittimità costituzionale sollevati sulla scorta del parametro normativo di cui all’art. 1 del protocollo addizionale CEDU.

3.La società in epigrafe ha proposto appello con un unico, articolato motivo.
In sintesi estrema, si sostiene che al tempo della presentazione della domanda di accertamento di conformità vigeva l’art 12, comma 4 bis, della l. r. n. 19/2009, inserito dall’art. 1 della l. r. n. 16/2014, secondo cui Possono essere autorizzati gli interventi già realizzati alla data in vigore delle presenti norme e ad esse conformi. Tale norma è stata modificata nel 2016, ma la modifica sarebbe irrilevante atteso che il provvedimento impugnato deve essere valutato alla luce della disciplina vigente al momento della decisione dell’amministrazione. La statuizione del TAR di improcedibilità della domanda stante il più stringente disposto legislativo sopravvenuto non convince se non altro ai limitati fini di una soccombenza virtuale dell’Amministrazione anche con riguardo alle spese del giudizio.
La sentenza appellata avrebbe errato – e questo sarebbe il punto di snodo vero della vicenda – nel ritenere non possibile l’applicazione della c. d. sanatoria giurisprudenziale atteso che seguendo la impostazione della P. A. e del TAR si perverrebbe a demolire ciò che potrebbe essere poi ricostruito poiché conforme alla disciplina sopravvenuta al momento della presentazione della nuova istanza.
La sanatoria giurisprudenziale configurerebbe un potere implicito dell’Amministrazione, tanto che quando il legislatore ha voluto escludere la sanatoria ex post lo ha fatto espressamente come nel caso del d. lgs. n. 42/2004.
Esercitare il potere sanzionatorio edilizio per il solo fatto che l’opera non era conforme alle norme vigenti al tempo della sua realizzazione violerebbe il principio di proporzionalità e attribuirebbe alla demolizione una funzione punitiva estranea all’ordinamento.
Risulterebbe altresì violato l’art. 1 del protocollo addizionale CEDU, che tutela la proprietà privata.
Di qui, la richiesta di sollevare questione di legittimità costituzionale.
In particolare, l’appellante chiede che questo giudice sollevi questione di legittimità costituzionale dell’articolo 36 del d.P.R. n. 380/2001 nella parte in cui non è prevista la possibilità di rilasciare il permesso in sanatoria anche in relazione a opere che sono conformi (soltanto) alla normativa vigente al momento della presentazione della domanda. I parametri costituzionali di riferimento ineriscono agli articoli 9, 32, 42 e 97 della Costituzione, e all’art. 117 Cost e 1 del protocollo addizionale alla Convenzione EDU.
L’appellante fa poi richiesta in via gradata di rimessione della questione di ammissibilità della c. d. sanatoria giurisprudenziale alla Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato.
Da pag. 16 ric. app. la società ripropone i motivi del ricorso in primo grado, ai fini di una necessaria delibazione da parte di questa Sezione.
Sub I) si deduce che l’Amministrazione erra nel pretendere la doppia conformità dell’intervento.
La domanda proposta dalla società ricorrente era articolata essenzialmente sulla scorta dell’istituto della sanatoria giurisprudenziale. L’intervento edilizio eseguito è di minima consistenza. Esso è conforme alla sopravvenuta modifica all’art. 3/c) della l. r. n. 15 del 2000 ad opera dell’art. 1, comma 145, della l. r. n. 5 del 2013, in base al quale l’altezza media interna è stata ridotta a m. 2,20 per cui i sottotetti attualmente possiedono il requisito per l’abitabilità.
L’articolo 12, comma 4 bis, della l. r. n. 19/2009 stabilisce che possono essere autorizzati gli interventi già realizzati alla data in vigore delle presenti norme e ad esse conformi.
Sub II), si sostiene che nel caso di specie dovrebbe trovare applicazione la c. d. sanatoria giurisprudenziale o sanatoria impropria, sicché il titolo sanante potrebbe essere rilasciato sulla base della sola conformità delle opere realizzate alla disciplina urbanistica al momento della realizzazione. Diversamente opinando si perverrebbe al risultato di demolire ciò che potrebbe essere legittimamente costruito. La sanatoria giurisprudenziale si sostanzia in un potere implicito del quale dispone la P. A. . In via subordinata si chiede che sia rimessa alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale del citato art. 36.
Sub III) si evidenzia che l’intervento è conforme alla disciplina legislativa regionale introdotta con l’art. 1, comma 145, della l. r. n. 5 del 2013, sicché sarebbe irrazionale rifiutare la sanatoria con riferimento agli interventi già eseguiti.
Sub IV), l’Amministrazione motiva il diniego anche sull’assunto della tardività della istanza alla stregua di quanto dispone l’articolo 36 del d.P.R. n. 380/2001. Il termine previsto dalla norma non sarebbe perentorio.
Sub V), infine, si sostiene che il provvedimento impugnato è illegittimo in quanto costituisce mera ripetizione del contenuto del preavviso di rigetto, senza che vi sia una confutazione puntuale delle controdeduzioni svolte dalla società ricorrente.
Benché ritualmente intimato, il Comune di […] non si è costituito in giudizio.
L’appellante ha depositato memorie.
In particolare, in prossimità dell’udienza di discussione del ricorso la parte appellante ha segnalato che il Comune, in data 12.4.2018, ha adottato l’ordinanza n. 38 con la quale, preso atto che il mutamento di destinazione realizzato è ascrivibile all’art. 33 del d.P.R. n. 380 del 2011 – e non all’art. 31 del decreto medesimo come, invece, contestato nell’ordinanza di rimozione n. 39/2011 – , si dispone il ripristino dello stato dei luoghi entro 90 giorni. L’appellante si è riservato di impugnare l’ordinanza avanti alla autorità competente, e ha insistito sull’applicazione dell’istituto della c. d. sanatoria giurisprudenziale.
All’udienza del 5 luglio 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

4. L’appello è infondato e va respinto, fermo quanto si preciserà più avanti, al p. 4.3., in ordine alla recente adozione dell’ordinanza n. 38/2018.

4.1. Preliminarmente “va sgomberato il terreno di lite” da ogni considerazione che attiene alla rilevanza e applicabilità, alla fattispecie, della disposizione di cui all’art. 12, comma 4 bis, della l. r. n. 19 del 2009, inserito dall’art. 1 della l. r. n. 16 del 2014, disposizione sostituita dall’art. 8 della l. r. n. 6 del 2016. Si può prescindere dall’assoggettare a disamina critica la motivazione addotta dal TAR a sostegno della statuizione di improcedibilità di cui a pag. 7 sent. , statuizione sottoposta a censura in grado di appello se non altro ai fini limitati di una soccombenza virtuale della P. A. sulle spese. Non appare invece superfluo rammentare che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 107 del 2017, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 4-bis, della legge della Regione Campania 28 dicembre 2009, n. 19 (Misure urgenti per il rilancio economico, per la riqualificazione del patrimonio esistente, per la prevenzione del rischio sismico e per la semplificazione amministrativa), come sostituito dall’art. 8, comma 1, lettera l), della legge della Regione Campania 5 aprile 2016, n. 6 (Prime misure per la razionalizzazione della spesa e per il rilancio della economia campana – Legge collegata alla legge regionale di stabilità per l’anno 2016), nella parte in cui fa riferimento «alla stessa legge» anziché «alla disciplina edilizia ed urbanistica vigente».
Soprattutto, va ribadito (v. anche infra, p. 4.2.) il carattere di principio fondamentale della disposizione di cui all’art. 36 del t. u. n. 380 del 2001, nel testo vigente all’epoca dell’adozione dell’atto impugnato in primo grado, in base al quale In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio attività nelle ipotesi di cui all’articolo 22, comma 3, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articolo 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda.
A tale fine e in questa prospettiva vanno richiamati taluni passaggi motivazionali salienti di C. cost. n. 107 del 2017: …l’art. 8, comma 1, lettera l), della legge regionale n. 6 del 2016, nel sostituire il comma 4-bis dell’art. 12 (Norma finale e transitoria) della legge regionale n. 19 del 2009, così recita: « il comma 4-bis dell’art. 12 è sostituito dal seguente: “4-bis. Le disposizioni di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 si applicano anche agli interventi previsti dalla presente legge e realizzati dopo la sua entrata in vigore, privi di titolo abilitativo o in difformità da esso, ma che risultano conformi alla stessa legge sia al momento della realizzazione degli stessi interventi, sia al momento della presentazione della domanda“».
Tali disposizioni sarebbero in contrasto con l’art. 36 del TUE il quale, ai fini del rilascio del titolo abilitativo in sanatoria, richiede la doppia conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente, cioè la conformità dell’intervento alla normativa in vigore sia al momento della sua realizzazione sia al momento della presentazione della domanda. Ad avviso del Governo, a seguito della modifica oggetto di censura, le deroghe assentite dalla legge regionale n. 19 del 2009 sarebbero applicabili anche ad interventi che, eseguiti nei periodi intercorrenti tra le varie modifiche ad opera delle leggi regionali sopravvenute nel tempo fino alla data di entrata in vigore della legge regionale n. 1 del 2016, avrebbero dovuto essere realizzati in conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia medio-tempore in vigore. La disposizione impugnata, dunque, consentirebbe il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria pur in presenza di abusi non solo formali ma anche sostanziali, in aperta contraddizione con il disposto dell’evocato art. 36 del TUE cui questa Corte ha riconosciuto natura di principio fondamentale vincolante per la legislazione regionale, siccome finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della disciplina urbanistica e edilizia durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere il permesso in sanatoria.

(p. 5.2. del Considerato in Diritto) …il Governo censura esclusivamente il comma 1, lettera l), dell’impugnato art. 8, L. REG. 6/2016, che ha sostituito il comma 4-bis dell’art. 12 della legge regionale n. 19 del 2009.
La norma oggi sostituita da quella censurata così recita: «[…] 4-bis. Le disposizioni di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 si applicano anche agli interventi previsti dalla presente legge e realizzati dopo la sua entrata in vigore, privi di titolo abilitativo o in difformità da esso, ma che risultano conformi alla stessa legge sia al momento della realizzazione degli stessi interventi, sia al momento della presentazione della domanda».
5.2.1.- Ad avviso del Governo tale previsione sarebbe in conflitto con l’art. 36 del TUE, disposizione cui la Corte (con la sentenza n. 101 del 2013) ha già riconosciuto natura di principio fondamentale nella materia «governo del territorio», nella parte in cui subordina il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria alla riscontrata presenza del requisito della cosiddetta «doppia conformità», cioè della conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia in vigore sia al momento della sua realizzazione sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria.
Secondo la tesi del ricorrente, esplicitata con maggiore precisione nella memoria, la disposizione censurata richiede la conformità dell’opera «alla stessa legge» (ossia la legge regionale n. 19 del 2009) e non «[…] alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione degli stessi interventi, sia al momento della presentazione della domanda», così come previsto dal parametro interposto all’uopo evocato. Consentirebbe, dunque, di sanare opere conformi alla citata disciplina regionale nella sua attuale formulazione, frutto di successivi interventi di modifica, e non a quella vigente all’epoca della loro esecuzione. Si darebbe luogo, nella sostanza, ad una sanatoria surrettizia, trasformando in abusi “formali” le violazioni sostanziali della disciplina urbanistica ed edilizia vigente all’epoca delle relative opere. …

(p. 7.2.) va rimarcato che la formulazione letterale della disposizione censurata può prestarsi a dubbi interpretativi in ordine al rispetto del requisito della «doppia conformità» imposto dalla disciplina statale di riferimento, così da determinare potenziali incertezze nell’azione amministrativa diretta alla verifica della legittimità degli interventi edilizi ricompresi nell’ambito della normativa di favore prevista dal «Piano Casa» della Regione convenuta.
Al riguardo va infatti ricordato che questa Corte (con la sentenza n. 101 del 2013) ha desunto dall’art. 36 del TUE il richiamato principio fondamentale in forza del quale è possibile ottenere un permesso in sanatoria solo se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda.

7.2.1.– È ben vero che la norma contiene un espresso riferimento all’art. 36 del TUE e che ne ribadisce, richiamandolo, il contenuto. Al contempo, tuttavia, la disposizione censurata si differenzia sensibilmente dal tenore letterale dello stesso in termini tali da favorirne possibili letture alternative non necessariamente in linea con il concetto della «doppia conformità», così come cristallizzato da questa Corte con il precedente già citato.
Più precisamente, la disciplina regionale si distanzia dal segnalato parametro interposto laddove afferma che l’opera deve essere conforme «alla stessa legge» (ossia alla legge regionale n. 19 del 2009), in luogo della prescrizione, dettata dalla norma statale, secondo cui essa deve essere conforme «alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente […] sia al momento della realizzazione degli stessi interventi, sia al momento della presentazione della domanda». Peraltro, tale modifica del tenore letterale dell’art. 36 del TUE, pur espressamente richiamato e parzialmente riprodotto, è effettuata dalla norma censurata senza ragionevoli giustificazioni.
Queste differenze di contenuto finiscono per incidere sul nucleo della previsione statale: in particolare, la mancata espressa precisazione, che deve comunque farsi rifermento alla disciplina «vigente» alla data di realizzazione dell’intervento, rappresenta un elemento testuale di differenziazione potenzialmente in grado di indurre l’interprete a ritenere che siano sanabili opere conformi alla disciplina regionale nella sua attuale formulazione, frutto di successivi interventi di modifica, e non a quella vigente all’epoca della loro esecuzione…
7.2.4.– Di qui la illegittimità costituzionale della norma impugnata, con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., nella parte in cui si differenzia dall’art. 36 del TUE. Al vulnus riscontrato può in coerenza ovviarsi incidendo sulla disposizione scrutinata, nella parte in cui fa riferimento alla «stessa legge» (la n. 19 del 2009 della Regione Campania) quale parametro per i permessi in sanatoria da assentire ex art. 36 TUE, anziché al disposto di quest’ultima norma laddove si richiama «alla disciplina edilizia ed urbanistica vigente».

4.2. Per quanto riguarda poi lo snodo argomentativo, che la società ricorrente considera cruciale, relativo all’applicazione della c. d. “sanatoria giurisprudenziale”, diversamente da quanto sostiene l’appellante, e conformemente a quanto affermato dal TAR, questo Collegio ritiene di richiamare, tra gli altri precedenti, a conferma di un orientamento della giurisprudenza amministrativa predominante, e qui condiviso, sulla non configurabilità della sanatoria giurisprudenziale, quanto statuito da questa stessa Sezione con la decisione n. 3194 del 2016, di rigetto di un appello proposto avverso una sentenza di reiezione di un ricorso promosso contro un diniego di rilascio di un permesso di costruire in sanatoria.
In proposito la Sezione ha osservato tra l’altro che …in modo legittimo e corretto l’Amministrazione ha ritenuto di non aderire alla prospettazione degli interessati e ha valutato l’istanza “de qua” alla stregua di quanto prevede l’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, sull’accertamento di conformità, disposizione in base alla quale il permesso in sanatoria viene accordato se l’intervento risulta conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell’opera e sia al momento della presentazione della domanda.
Il Comune ha vagliato in maniera legittima la rispondenza dell’intervento edilizio, della cui richiesta di assenso in sanatoria ex art. 36 cit. si faceva questione, avendo riguardo alla disciplina urbanistico -edilizia vigente sia al momento dell’esecuzione dell’intervento stesso e sia con riferimento al momento della presentazione della domanda.
E in maniera corretta la sentenza ha puntualizzato che, in base alla giurisprudenza amministrativa predominante, e qui condivisa, ai fini del rilascio della sanatoria ex art. 36 cit. non si può prescindere dall’accertamento positivo del possesso del requisito della c. d. doppia conformità.
A questo proposito questo Collegio ritiene di condividere e di poter fare rinvio, anche ai sensi degli articoli 74 e 88, comma 2, lett. d) del cod. proc. amm. , alle argomentazioni e alle conclusioni delle sentenze di questo Consiglio di Stato nn. 2755 del 2014 e 2784 e 4552 del 2015 (si vedano anche i numerosi richiami giurisprudenziali operati da Cons. Stato n. 2755 del 2014), in base alle quali il permesso in sanatoria ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 è ottenibile solo a condizione che l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento sia della realizzazione del manufatto e sia della presentazione della domanda, venendo viceversa in questione, con la “sanatoria giurisprudenziale”, un atto atipico con effetti provvedimentali che si colloca al di fuori di qualsiasi previsione normativa e che pertanto non può ritenersi ammesso nel nostro ordinamento, contrassegnato dal principio di legalità dell’azione amministrativa e dal carattere tipico dei poteri esercitati dall’Amministrazione, alla stregua del principio di nominatività, poteri che non possono essere surrogati dal giudice, pena la violazione del principio di separazione dei poteri e l’invasione di sfere di attribuzioni riservate all’Amministrazione (conf. Cons. Stato, VI, 4552/2015, secondo cui “…la cosiddetta sanatoria giurisprudenziale elude…il principio di legalità’ perché’ svuota la portata precettiva e vincolante della disciplina urbanistica e edilizia vigente al momento della commissione degli illeciti, viola la tipicità’ provvedimentale, ancorata dall’articolo 36 del d.P.R. n.380/2001 alle sole violazioni di ordine formale, così neutralizzando la deterrenza sanzionatoria nei confronti degli autori degli illeciti edilizi” ). A questo riguardo pare poi il caso di rammentare che a favore della incompatibilità della c. d. sanatoria giurisprudenziale con il dettato normativo di cui all’art. 36 del t. u. n. 380 del 2001 militano argomenti interpretativi letterali e logico -sistematici, oltre che attinenti ai lavori preparatori (su cui v. anche TAR Campania – Napoli, n. 5136 del 2015). Pertanto il motivo d’appello con il quale si deduce l’erroneità della sentenza per avere considerato inapplicabile la sanatoria giurisprudenziale e considerato invece necessario, ai fini del rilascio del permesso in sanatoria ex art. 36 cit. , l’accertamento della doppia conformità dell’intervento, non può essere accolto.

In definitiva:
– una corretta applicazione dell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 implica e presuppone l’accertamento in ordine alla “doppia conformità” dell’intervento, sicché la verifica di non conformità riferita al momento della realizzazione dell’intervento preclude il rilascio del permesso in sanatoria;
– nel caso in esame non poteva trovare applicazione la c. d. sanatoria giurisprudenziale: andava seguita -come il Tar bene ha ritenuto di fare- la giurisprudenza dominante che richiede la verifica della “doppia conformità”;
– nell’ipotesi di atto amministrativo plurimotivato, e ogni qual volta la legge condiziona la previsione di un beneficio all’esistenza di una pluralità di requisiti concomitanti, l’accertata fondatezza e legittimità di una delle ragioni poste a base dell’atto lesivo determina la carenza d’interesse a prendere in esame e a decidere il motivo ulteriore diretto a contestare le altre ragioni giustificatrici del provvedimento sfavorevole, sicché ben poteva il Tar esimersi -come ha fatto- dal prendere posizione… (sulle ragioni ulteriori poste a sostegno del diniego di rilascio del permesso di costruire in sanatoria – così Cons. Stato, VI, n. 3194 del 2016 cit.).
Più di recente Cons. Stato, VI, n. 3018 del 2017 ha ribadito come non sia invocabile la c.d. “sanatoria giurisprudenziale”, giacché il permesso in sanatoria ex art. 36 del DPR 380/2001 è ottenibile solo alla condizione che l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento sia della realizzazione del manufatto, sia della presentazione della domanda, venendo viceversa in questione, con la “sanatoria giurisprudenziale”, un atto atipico con effetti provvedimentali praeter legem e che si colloca fuori d’ogni previsione normativa e che, pertanto, non è ammessa nell’ordinamento positivo, contrassegnato invece dal principio di legalità dell’azione amministrativa e dal carattere tipico dei poteri esercitati dalla P.A., alla stregua del principio di nominatività, poteri, tutti questi, che non sono surrogabili da questo Giudice, pena la violazione del principio di separazione dei poteri e l’invasione di sfere proprie di attribuzioni riservate… (conf. Cons. Stato, VI, n. 2155 del 2018).
Solo il legislatore può prevedere i casi in cui può essere rilasciato un titolo edilizio in sanatoria, e l’Ordinamento è caratterizzato da una disciplina puntuale ed esauriente dei casi di sanatoria edilizia, sicché la “sanatoria giurisprudenziale” si concretizzerebbe in una sorta di “condono atipico”.
Risulta quindi del tutto ragionevole il divieto legale di rilasciare un permesso in sanatoria anche quando, dopo la commissione dell’abuso, sopravvenga una modifica favorevole della disciplina urbanistico – edilizia.
Tale ragionevolezza risulta da due fondamentali esigenze, prese in considerazione dalla legge:
a) evitare che il potere di pianificazione possa essere strumentalizzato al fine di rendere lecito ex post (e non punibile) ciò che risulta illecito (e punibile);
b) disporre una regola senz’altro dissuasiva dell’intenzione di commettere un abuso, perché in tal modo chi costruisce sine titulo sa che deve comunque disporre la demolizione dell’abuso, pur se sopraggiunge una modifica favorevole dello strumento urbanistico… (così, in modo condivisibile, Cons. Stato, V, n. 1324 del 2014).
Inoltre, Cons. Stato, V, n. 3961 del 2012, nel dare atto dell’esistenza di una giurisprudenza minoritaria favorevole alla applicazione dell’istituto della c. d. sanatoria giurisprudenziale (su cui v., nel panorama giurisprudenziale amministrativo di appello, Cons. Stato, VI, n. 2835 del 2009, sull’assunto per cui è irragionevole negare una sanatoria di interventi che sarebbero legittimamente concedibili al momento della nuova istanza), nel criticare l’assunto sul quale tale giurisprudenza minoritaria si basa evidenzia che tale regola giurisprudenziale ha l’effetto di accogliere una concezione antinomica tra principio di efficienza e principio di legalità, dando prevalenza al primo rispetto al secondo. Tuttavia, secondo il Collegio, l’agire della pubblica amministrazione deve essere in ogni sua fase retto dal principio di legalità, inteso quale regola fondamentale cui è informata l’attività amministrativa e che trova un fondamento positivo in varie disposizioni costituzionali (artt. 23, 97, 24, 101 e 113 Cost.). Pertanto, non è ipotizzabile un’antinomia tra efficienza e legalità atteso che non può esservi rispetto del buon andamento della pubblica amministrazione, ex art. 97 Cost., se non vi è nel contempo rispetto del principio di legalità. Nella materia oggetto del contendere, il punto di equilibrio fra efficienza e legalità è stato individuato dal legislatore nel consentire la sanatoria dei c.d. abusi formali, sottraendo alla demolizione le opere che risultino rispettose della disciplina sostanziale sull’utilizzo del territorio, e non solo di quella vigente al momento dell’istanza di sanatoria, ma anche di quella vigente all’epoca della loro realizzazione (e ciò costituisce applicazione del principio di legalità), e quindi evitando un sacrificio degli interessi dei privati che abbiano violato soltanto le norme che disciplinano il procedimento da osservare nell’attività edificatoria, e ciò in applicazione dei principi di efficienza e buon andamento, che sarebbero violati ove agli aspetti solo formali si desse un peso preponderante rispetto a quelli del rispetto sostanziale delle norme generali e locali in materia di uso del territorio…”.
Ancora, Cons. Stato, V, n. 2755 del 2014 sottolinea che solo il legislatore statale (con preclusione non solo per il potere giurisdizionale, ma anche per il legislatore regionale: Corte Cost., 29 maggio 2013, n. 101) può prevedere i casi in cui può essere rilasciato un titolo edilizio in sanatoria (avente anche una rilevanza estintiva del reato già commesso) e risulta del tutto ragionevole il divieto legale di rilasciare una concessione (o il permesso) in sanatoria, anche quando dopo la commissione dell’abuso vi sia una modifica favorevole dello strumento urbanistico…; e sempre la V Sezione, con la sent. n. 3220 del 2013, rammenta che l’art. 36 cit. non ha carattere innovativo, trattandosi di norma raccolta nel predetto T.U. ai fini del coordinamento normativo ex art. 7 Legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – Legge di semplificazione 1998 – Bassanini Quater), che attualmente conferma l’insussistenza dell’istituto (della) “sanatoria giurisprudenziale”.
L’applicazione della c. d. sanatoria giurisprudenziale rischierebbe di non dissuadere dalla commissione di abusi edilizi, dato che colui il quale costruisce sine titulo oppure in difformità dal titolo abilitativo edilizio saprebbe che nell’ipotesi di modifica sopraggiunta, ad es., dello strumento urbanistico non dovrebbe disporre la demolizione del bene. Il principio di legalità si svuoterebbe della sua portata precettiva, certa e vincolante. Si finirebbe per premiare gli autori di abusi edilizi sostanziali, a discapito di tutti coloro che abbiano correttamente eseguito attività edificatorie, nel convincimento di rispettare prescrizioni da altri invece impunemente violate.
La vera insanabile contraddizione risiederebbe, da un lato, nell’imporre alle autorità comunali di reprimere e sanzionare gli abusi edilizi, dall’altro, nel consentire violazioni sostanziali della normativa del settore, quali rimangono – sul piano urbanistico – quelle connesse ad opere per cui non esista la doppia conformità, dovendosi aver riguardo al momento della realizzazione dell’opera per valutare la sussistenza dell’abuso (TAR Campania – Napoli, n. 5136/2015).
Il fatto è che alla sanabilità degli abusi sostanziali va dedicato non già l’istituto dell’accertamento di conformità ma quello, diverso, del condono edilizio.
A tutte le considerazioni svolte sopra pare opportuno aggiungere, anche in relazione ai dubbi di costituzionalità sollevati nell’atto di appello, che il principio di legalità trova un fondamento positivo in varie disposizioni costituzionali, vale a dire negli articoli 23, 24, 97, 101 e 113 Cost., oltre che nell’art. 1 comma 1, l. n. 241 del 1990 (secondo cui l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge), e che proprio invocare l’operatività della regola pretoria della c. d. “sanatoria giurisprudenziale” significherebbe porsi in contrasto coi principi, oltre che di legalità, anche di imparzialità, buon andamento ed efficacia della azione amministrativa, proporzionalità e ragionevolezza.
Sul tema va infine menzionata C. cost., n. 232 del 2017 (si veda specialmente il p. 4.1.), che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’ art. 14, commi 1 e 3, l. reg. Sicilia 10 agosto 2016, n. 16 nella parte in cui, rispettivamente, prevedono che «[…] il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della domanda» (comma 1) e non anche a quella vigente al momento della realizzazione dell’intervento; e nella parte in cui si pone un meccanismo di silenzio-assenso che discende dal mero decorso del termine di novanta giorni» (comma 3) dalla presentazione dell’istanza al fine del rilascio del permesso in sanatoria. La norma regionale impugnata consente il rilascio del permesso in sanatoria nel caso di intervento edilizio di cui sia attestata la conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al solo momento della presentazione della domanda e non anche a quello della realizzazione dello stesso, in difformità dall’ art. 36 del t.u. edilizia, e introduce anche l’istituto del silenzio assenso, in luogo di quello del silenzio rigetto, previsto dal citato art. 36. Nella sentenza si legge in particolare che la “doppia conformità delle opere” di cui al citato art. 36 esclude la possibilità di una legittimazione postuma di opere originariamente abusive che solo successivamente, in applicazione della c. d. sanatoria giurisprudenziale, o impropria, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica… e che il principio dell’accertamento di conformità di cui all’art. 36 t. u. edilizia …costituisce “principio fondamentale nella materia governo del territorio…finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità”. E ancora, spetta al legislatore statale la scelta sull’an, sul quando e sul quantum della sanatoria, potendo il legislatore regionale intervenire solo per quanto riguarda l’articolazione e la specificazione di tali disposizioni (sentenza C. cost. n. 233 del 2015).
In questo contesto perdono peso i rilievi di incostituzionalità sollevati con l’atto di appello e con la memoria.
Quanto all’art. 1 del protocollo addizionale della Convenzione EDU, indicato dall’appellante quale parametro interposto, esso riguarda la protezione della proprietà e le misure espropriative della proprietà, questioni nel caso in esame non ricorrenti.
Visto poi che l’orientamento giurisprudenziale esposto sopra risulta adeguatamente consolidato, il Collegio non ravvisa le condizioni per rimettere il ricorso all’esame dell’Adunanza plenaria.
Nel caso di specie, all’epoca della realizzazione le opere non erano conformi.
La realizzazione delle opere come effettivamente eseguite era consentita (soltanto) al momento della presentazione della istanza di sanatoria posto che, nel frattempo, la norma era stata modificata riducendo l’altezza media dei sottotetti.
Infine, sui motivi di primo grado riproposti è sufficiente rammentare che, per giurisprudenza pacifica, l’impugnazione in sede giurisdizionale di un atto amministrativo di segno negativo, fondato su una pluralità di ragioni ostative, ciascuna delle quali risulterebbe di per sé idonea a supportarla, non può trovare accoglimento quando anche uno solo dei motivi di doglianza resiste alle censure mosse.
L’appello va dunque respinto e la sentenza impugnata confermata.
Cessano gli effetti dell’accordata sospensiva.

4.3.Non va tuttavia sottaciuto che in data 12.4.2018 il Comune ha adottato un’ordinanza di ripristino dei luoghi a rettifica dell’ordinanza di rimozione n. … del 2011 sull’assunto che la fattispecie vada inquadrata nell’ipotesi di cui all’art. 33 del t. u. n. 380 del 2001 – Interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità, in luogo dell’art. 31 dello stesso t. u. .
Se così è, preso atto che la parte appellante si è riservata di impugnare il predetto provvedimento, in questa prospettiva non pare inutile osservare che l’art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 consente di irrogare una sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento di valore dell’immobile, conseguente alla realizzazione delle opere, in sostituzione della rimozione / demolizione e ripristino in conformità alle prescrizioni urbanistico – edilizie qualora, sulla base di motivato accertamento dell’ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile.
Valuterà pertanto il Comune se e quali ulteriori decisioni assumere al riguardo e, in particolare, se sussistano o meno i presupposti per applicare la sanzione pecuniaria in luogo della demolizione.

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