Consiglio di Stato, Sezione Sesta, Sentenza n. 5466 del 2018, pubbl. il 19/09/2018

[…]

FATTO e DIRITTO

1. – La vicenda fatta oggetto del presente contenzioso in grado di appello fa riferimento alla impugnazione della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sede di Reggio Calabria, 25 giugno 2015, n. 656, con la quale il giudice di primo grado in parte ha respinto ed in parte ha dichiarato improcedibile il ricorso proposto dalla odierna parte appellante nei confronti del provvedimento prot. n. […] 2013 con il quale il responsabile del Settore tecnico-urbanistico del Comune di […] ha denegato il rilascio del permesso di costruire in sanatoria richiesto dall’odierno ricorrente con istanza di condono edilizio prot. n. […] 2004, recante la contestuale ingiunzione a demolire nonché della nota prot. n. […] emessa dal medesimo responsabile del Settore tecnico del Comune di […] in data 27 gennaio 2015.
2. – La cronistoria dei fatti può sintetizzarsi come segue:
a) l’odierno appellante, signor […], aveva acquistato il 20 dicembre 1984, con atto di compravendita dinanzi al Notaio […], un immobile sito in località […], censito al catasto fabbricati, foglio di mappa n. 1, particella 335-336-337-338-733-735;
b) su detta area il signor […] intendeva realizzare un complesso edilizio residenziale di talché, in data 23 dicembre 1991, il Comune […] rilasciava in suo favore la concessione edilizia n. 92/91;
c) con ordinanza del 9 ottobre 1992, il Comune di […] disponeva la sospensione dei lavori. Seguiva un giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Calabria che, con decisione confermata in sede di appello (sentenza n.13314 del 20 agosto 1996), permetteva la ripresa dei lavori fino fissando talune condizioni. In data 7 marzo 1997 veniva rilasciata la concessione edilizia in variante n. […];
d) eseguite alcune opere in difformità dalle suindicate concessioni edilizie, il signor […] inoltrava al Comune […] una richiesta di sanatoria edilizia, ai sensi della l. 24 novembre 2003, n. 326, formulata con istanza n. […] 2004;
e) in data 20 settembre 2007 (prot. n. 14823) il responsabile dell’Ufficio tecnico del Comune rilasciava una attestazione nella quale si dichiarava che “L’area interessata, riportata al foglio catastale n. 1/B particella 1003, dal fabbricato oggetto del suddetto condono edilizio non è sottoposta a vincoli inibitori di cui alla Legge 431/85 (oggi DL.vo n. 42/2004) e della Legge 47/85”;
f) intendendo alienare le costruzioni realizzate, il signor […], in data 27 febbraio 2009 e 4 agosto 2009, trasferiva le due unità abitative appartenenti allo stesso corpo di fabbrica (casa bifamiliare). Nei rispettivi atti di compravendita il Notaio allegava all’atto di trasferimento l’attestazione 20 settembre 2007, n. 14823;
g) in data 26 settembre 2013 veniva notificato al signor […] il provvedimento di diniego (prot. […]) emanato dal settore tecnico del Comune […] al rilascio del permesso di costruire in sanatoria. Con detto provvedimento veniva, altresì, ingiunta la demolizione delle opere realizzate, di talché l’odierno appellante proponeva ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Calabria chiedendo l’annullamento di tale atto;
h) successivamente l’Ufficio tecnico del Comune, con nota n. […] 2014, chiedeva all’odierno appellante di fornire osservazioni tecniche in ordine agli incrementi volumetrici nonché agli indici di rapporto di copertura e di densità fondiaria riscontrati sull’immobile ricadente nel lotto oggetto di contestazione. A tale nota rispondeva il signor […] fornendo le informazioni richieste, con allegazione di chiarimenti espressi dal consulente tecnico di parte;
i) nondimeno il Comune […], con il provvedimento n. […] 2015, comunicava il rigetto della domanda di sanatoria per mancata ottemperanza all’adempimento richiesto “entro il perentorio termine di gg. 10”. Dopo aver trasmesso al Comune la documentazione che si contestava non fosse stata inviata ed avere inutilmente chiesto la revoca del predetto provvedimento, il signor […] proponeva ricorso recante motivi aggiunti chiedendo l’annullamento di tale atto.
3. – Da quanto si è più sopra brevemente riassunto emerge che il signor […] ha dapprima proposto impugnazione dinanzi al TAR per la Calabria nei confronti del provvedimento adottato dal Comune n. […] 2013, di diniego al rilascio del permesso a costruire in sanatoria, con contestuale ingiunzione alla demolizione del fabbricato e, successivamente, con ricorso recante motivi aggiunti, ha impugnato il provvedimento adottato dal suddetto Comune, n. […] 2015, con il quale veniva confermato il diniego di permesso di costruire e reiterata la ingiunzione di demolizione.
Il signor […] deduceva, in sintesi, dinanzi al Tribunale amministrativo regionale, le seguenti censure:
I) violazione degli artt. 7 e 8 l. 7 agosto 1990, n. 241 perché l’amministrazione comunale non ha provveduto nel caso di specie a comunicare l’avvio del procedimento che ha dato luogo all’adozione del provvedimento di diniego del rilascio del condono edilizio e comunque non ha consentito all’interessato la necessaria partecipazione procedimentale, atteso che l’allegazione al fascicolo processuale della documentazione utile a confermare la illegittimità del diniego avrebbe potuto essere scrutinata tempestivamente dall’amministrazione nel corso del procedimento di modo da evitare che fosse adottato l’atto sfavorevole e tenuto anche conto che, comunque, per un verso, la domanda di sanatoria edilizia era corredata di tutti gli elementi utili per accertare la sussistenza dei presupposti per l’accoglimento dell’istanza e che, per altro verso, “il contestato aumento volumetrico accertato dal Comune […], risulta essere frutto di un marchiano errore derivante dall’applicazione nella quantificazione della volumetria di un coefficiente non corretto, ovvero 1, in luogo di 0,60 previsto dalla normativa di riferimento nei casi, nei quali, come quello di specie, non sono stati realizzati, rispetto all’originaria volumetria assentita con la C.E. 91/92 e con la successiva variante del 1997, corpi aggiunti nella misura indicata nel provvedimento, , trattandosi per la maggior parte solo di coperture che non comportano alcun aumento volumetrico” (così, testualmente, a pag. 7 del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado);
II) Illegittimità del provvedimento nella parte in cui ingiunge la demolizione delle opere abusive per mancata preventiva comunicazione del rigetto della richiesta di rilascio del permesso di costruire in sanatoria prima dell’adozione del provvedimento repressivo, perché l’amministrazione comunale prima di adottare l’ordine di demolizione avrebbe dovuto comunicare il provvedimento di conclusione del procedimento di sanatoria;
III) Illegittimità dell’ordinanza di demolizione per violazione di quanto previsto dall’art. 32, comma 37 l. 326/2003, in quanto avendo il signor […] posto in essere tutti gli adempimenti accessori e conseguenziali alla istanza di condono edilizio richiesti dalla suindicata norma ed essendo trascorso dalla data di sua presentazione il lasso di tempo ben superiore ai 24 mesi indicato dalla surrichiamata disposizione si sarebbe formato il silenzio assenso sulla predetta istanza di sanatoria;
IV) Illegittimità dell’ordinanza di demolizione per la sussistenza di tutti i requisiti richiesti per l’accoglimento della domanda di sanatoria, difetto di idonea istruttoria ed erronea o falsa rappresentazione e valutazione dei fatti presupposti. Premesso che l’area in cui insiste il fabbricato in questione non è soggetta a vincolo paesaggistico ambientale, stante il contenuto dell’attestazione del Settore tecnico del Comune […] 2007, n. […] (allegata ad entrambi i rogiti notarili riferiti alle compravendite delle porzioni immobiliari in favore dei signori […] e […]) dei quali si è dato conto nella descrizione dei fatti che hanno dato luogo al presente contenzioso), l’unico limite alla edificazione in detta zona è quello fissato dalle NTA al PRG vigente che, però, nulla prescrive per la specifica area ove si trova il fabbricato (tanto che per una proprietà attigua è stata accolta la domanda di condono presentata dal proprietario). Neppure ha rilievo il riferimento al vincolo sismico, contenuto nel provvedimento gravato, perché in data 7 settembre 2004 il tecnico di fiducia del signor […] aveva provveduto a depositare presso i competenti uffici del(l’ex Genio civile) il certificato di idoneità statica nel quale si attestava che le strutture del fabbricato, dopo l’intervento di consolidamento, risultavano essere staticamente idonee. Da quanto sopra risulta quindi che il richiamo all’art. 32, comma 27, lett. d) legge 326/2003 operato dall’amministrazione comunale nel provvedimento con il quale si ordina la demolizione è del tutto incongruente non essendovi ostacoli vincolistici alla sanatoria delle opere. Infine erroneamente nel corso dell’istruttoria gli uffici hanno rilevato che l’intervento edilizio aveva comportato un aumento di volumetria significativo pari a mc 808 ca. e di superficie coperta mq 67 ca., quando è stato ampiamente confermato dalla documentazione tecnica e dalle relazioni depositate in atti che l’aumento volumetrico contestato è frutto dell’erronea applicazione del coefficiente 1, in luogo del coefficiente 0,60 che, se adeguatamente applicato avrebbe dimostrato agli uffici comunali che l’aumento è decisamente più modesto (mc 85,50);
V) Illegittimità del provvedimento gravato sotto il profilo del consolidamento di un giustificato affidamento da parte dell’interessato all’accoglimento della domanda di condono provocato, per un verso, dalla lunghissima durata del procedimento (9 anni) e, per altro verso, dall’emissione di una certificazione da parte degli stessi competenti uffici tecnici del Comune […] che confermava l’assenza di vincoli paesaggistici nell’area in cui insiste il fabbricato, tanto che tale certificazione è stata anche allegata agli atti di compravendita delle due unità immobiliari a conferma della commercialità dei beni. Il provvedimento impugnato quindi presenta una motivazione insufficiente perché non tiene conto del legittimo affidamento ingenerato in capo all’interessato circa il buon esito della procedura di condono.
4. – Il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione di Reggio Calabria, con la sentenza 25 giugno 2015, n. 656, respingeva il ricorso introduttivo e dichiarava improcedibile il ricorso recante motivi aggiunti.
Con riferimento al ricorso introduttivo l’esito sfavorevole era determinato dalle seguenti ragioni:
A) va escluso qualsiasi rilievo, al fine di ritenere la illegittimità del provvedimento di diniego di condono edilizio, con contestuale ingiunzione alla demolizione, della certificazione del dirigente del settore tecnico del Comune, resa in data 13 gennaio 2005, con la quale egli ha attestato che l’area in questione non è stata sottoposta a vincolo paesaggistico inibitorio di cui alla l. 431/1985, in quanto con tale nota “il dirigente non ha attestato l’assenza del vincolo paesaggistico, bensì — più limitatamente — l’assenza del vincolo derivante dalla legge n. 431 del 1985” visto che “Emerge ex actis, al contrario, che il vincolo in questione insisteva sull’area interessata da epoca largamente anteriore agli interventi edilizi per i quali è stata chiesta la sanatoria, essendo stato apposto con decreto dell’11 ottobre 1967 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 275 del 3 novembre 1967) del Ministero della Pubblica Istruzione, di concerto con il Ministero della Marina Mercantile, la cui legittimità ed efficacia non sono state poste in contestazione in questa sede” (così, testualmente, a pag. 8 della sentenza qui appellata). Al contrario di quanto asserito dal ricorrente ha rilievo decisivo, ai fini della conferma della legittimità del provvedimento impugnato il certificato comunale del 4 gennaio 2015 dal quale emerge che l’area è stata effettivamente sottoposta a vincolo paesaggistico
B) va poi escluso che possa ritenersi fondata la censura di violazione degli artt. 7 e 10-bis l. 241/1990, atteso che il procedimento conclusosi con il diniego di condono è stato avviato ad istanza di parte dell’interessato e che la natura vincolata del potere esercitato nella specie dal Comune esclude che sia necessaria la comunicazione del preavviso di diniego;
C) la censura secondo la quale il provvedimento impugnato sarebbe stato adottato in violazione dell’art. 32, comma 37, l. 326/2003, poiché il signor […] avrebbe adempiuto a tutti gli oneri procedimentali imposti dalla legge e ciononostante non è stata acclarata la formazione del silenzio-assenso sull’istanza di condono, va invece ritenuta “inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto il provvedimento impugnato si fonda sulla ragione, di per sé idonea e sufficiente a sorreggerlo, della commissione dell’abuso sull’area sottoposta al vincolo paesaggistico” (così, testualmente, a pag. 9 della sentenza qui appellata);
D) parimenti il lungo periodo intercorso dalla data di presentazione dell’istanza alla data di adozione dell’atto di diniego non rileva ai fini della legittimità del provvedimento sanzionatorio, restando prevalente la natura abusiva dell’intervento costruttivo realizzato.
5. – Dichiarato infondato il ricorso introduttivo il TAR per la Calabria ha poi scrutinato il ricorso recante motivi aggiunti con il quale si chiedeva l’annullamento del successivo provvedimento adottato dagli uffici tecnici del Comune […] con il quale si confermava il precedente provvedimento di diniego di condono edilizio e si reiterava l’ingiunzione a demolire le opere abusive.
Dal momento che l’atto in questione, del 27 gennaio 2015, che ha nuovamente respinto l’istanza è stato emesso a seguito della ordinanza (c.d. propulsiva) n. 42/2014 emessa dal Tribunale amministrativo regionale in sede cautelare, i giudici di prime cure hanno dichiarato, in ossequio alla costante giurisprudenza amministrativo sul punto, improcedibile il ricorso recante motivi aggiunti, in quanto questi ultimo erano stati proposti contro un atto che era stato emesso in esecuzione di una ordinanza cautelare, da considerare caducata con la definizione nel merito del giudizio di primo grado.
6. – Contesta in sede di appello, il signor […], la correttezza e la puntualità delle valutazioni operate dal giudice di primo grado, sostenendo la erroneità della sentenza emessa con riferimento a ciascuna delle censure dedotte in prime cure e puntualmente considerate tutte infondate, se non alcune improcedibili, come i motivi aggiunti, dal Tribunale amministrativo con motivazione erronea.
In virtù di quanto sopra il signor […] formulava le seguenti ragioni idonee a contrastare l’erronea valutazione operata dal giudice di prime cure:
A) la prima contestazione è indirizzata nei confronti del mancato scrutinio da parte del giudice di primo grado della innaturale complessità del provvedimento di diniego di condono in uno con l’ingiunzione a demolire. Infatti il provvedimento di diniego di condono reca una naturale pregiudizialità cronologica e giuridica rispetto all’ingiunzione a demolire di talché i giudici di primo grado non hanno colto la complessità dell’atto e non hanno approfondito il necessario scrutinio fino a verificare se, nell’ambito di una valutazione complessiva ed organica del provvedimento di diniego e della contestuale ingiunzione, fosse anche necessario operare un esame della inscindibilmente e connessa questione della compromissione della parte del fabbricato eseguita in conformità per effetto della disposta demolizione (complessiva) del fabbricato in questione, di talché la mancanza, nei gravati provvedimenti, di qualsivoglia preventiva valutazione circa la concreta demolibilità delle opere senza pregiudizio dell’edificio interessato, avrebbe dovuto indurre i giudici di primo grado a accertare e dichiarare la sussistenza di tale profilo di illegittimità del provvedimento impugnato, tenuto conto che l’amministrazione prima di emanare detto provvedimento avrebbe dovuto verificare se sarebbe stato possibile disporre la demolizione delle opere (oppure ingiungere il pagamento di una sanzione pecuniaria), senza compromettere la statica dell’edificio nella parte realizzata in conformità con la concessione edilizia a suo tempo rilasciata, operazione che nella specie colpevolmente non è avvenuta. Tali considerazioni trovano puntuale riscontro tecnico-giuridico nella relazione depositata dal consulente tecnico di parte il quale ha rilevato che le opere interessate dall’impugnato provvedimento “non possono essere oggetto di demolizione se non pregiudicando la stabilità dell’intero edificio. Infatti è assolutamente impossibile ricondurre l’altezza totale del fabbricato per farla rientrare all’interno di 7.00 mt. Previsti dalle norme urbanistiche per la sottozona nella quale è ubicato. Lo stesso dicasi per tutte le altre opere abusive che (…) sono state realizzate rendendole solidali staticamente alla porzione esistente del fabbricato (…)” (così nella relazione tecnica acquisita agli atti, nello stralcio riprodotto a pag. 13 dell’atto di appello);
B) con un secondo ordine di censure si sostiene l’erroneità della sentenza per avere ritenuto corretto l’assunto dell’amministrazione, costituente peraltro la principale motivazione del provvedimento di diniego di condono edilizio, secondo cui l’area ove insiste il fabbricato sarebbe interessata da vincolo paesaggistico. Tale prospettazione è erronea perché è stata a suo tempo confutata dalla certificazione resa dal responsabile del Settore tecnico del Comune […] che, nella certificazione rilasciata il 20 settembre 2007 (prot. n. 14823), a tenore della quale “L’area interessata dal fabbricato riportata al foglio catastale n. 1/B particella 1003 oggetto del suddetto condono edilizio non è sottoposta ai vincoli inibitori di cui al D.L. 490/99 (oggi D.L. 42/2004 – ex Legge 431/85)”(così riprodotta anche a pag. 15 dell’atto di appello). Inoltre l’assenza di vincoli paesaggistica trova conferma in un ulteriore certificazione resa dagli uffici comunali con atto prot. n. 1005 del 20 gennaio 2010, nella quale, con riferimento alla stessa area e particella (1003) si “ATTESTA che l’area interessata, riportata al foglio catastale n. 1/B particella 1003, dal fabbricato oggetto del suddetto condono edilizio non è sottoposta ai vincoli inibitori di cui alla Legge 431/85 (oggi D.L. 42/2004 art. 142 comma 2)” (così a pag. 15 dell’atto di appello). Da ultimo, e a conferma di quanto sopra, dal certificato di destinazione urbanistica emerge l’insussistenza di vincoli inibitori sull’area su cui sorge l’edificio trovando applicazione esclusivamente gli obblighi conformativi di cui alle NTA del PRG, che ammettono l’edificazione secondo i parametri prescritti. A tutto voler concedere poi, nel presente giudizio e con riferimento al paventato vincolo paesaggistico che sarebbe stato impresso nel 1967 non è stata offerta la necessaria prova del completamento del procedimento di imposizione, atteso che il Comune “si è limitato a depositare copia della Gazzetta Ufficiale n. 275 del 03.11.1967 in cui è stato pubblicato il Decreto Ministeriale afferente la “Dichiarazione di notevole interesse pubblico della zona costiera compresa nel territorio del Comune […], senza dimostrare l’affissione per tre mesi della Gazzetta all’albo di tutti i Comuni interessati, se non attestando sul medesimo documento che tale procedura è stata espletata” (così, testualmente, a pag. 16 dell’atto di appello). Peraltro, seppure correttamente apposto, il vincolo in questione andava considerato inidoneo ad imprimere obblighi di inedificabilità assoluta, trattandosi, al più, di vincolo di inedificabilità relativa;
C) un terzo ordine di censure attiene alla violazione dei principi partecipativi perpetrata nella specie dagli uffici comunali che non hanno né comunicato l’avvio del procedimento né il preavviso di diniego all’interessato. Su tale aspetto erroneamente il giudice di primo grado non ha ritenuto fondate le relative doglianze già espresse dinanzi al Tribunale amministrativo, la cui fondatezza è confermata da copiosa giurisprudenza;
C) con un terzo ordine di censure si contesta la decisione di primo grado che non ha ritenuto di valorizzare la macroscopica violazione del principio del legittimo affidamento perpetrata a danno dell’odierno appellante, tenuto conto sia del lunghissimo tempo trascorso dalla presentazione dell’istanza di condono all’adozione del provvedimento di diniego sia della presenza, per come si è sopra rilevato, di numerose certificazioni provenienti dagli stessi uffici comunali che deponevano per la sicura sanabilità delle opere realizzate
D) con una quarta censura si sostiene l’erroneità della sentenza qui appellata nella parte in cui i giudici di primo grado non hanno considerato che solo un modestissimo incremento volumetrico si è verificato nel caso di specie (pari a mc. 85,50) e che il Comune ha commesso un evidente errore nel calcolo effettuato dagli uffici comunali per verificare l’eventuale aumento di volumetria provocato dalle opere realizzate, e ciò“(…) in forza probabilmente dell’applicazione di un coefficiente (ossia 1) in luogo dello 0,60 previsto dalla normativa in punto ed applicabile perché si è in presenza non di corpi aggiunti ma di semplice superficie coperta che determina semmai una variazione di destinazione d’uso e non un incremento di volumetria”(così, testualmente, a pag. 22 dell’atto di appello);
E) altrettanto erroneamente, poi, il giudice di primo grado ha ritenuto improcedibili ed infondati i motivi aggiunti con i quali è stato impugnato il provvedimento comunale del 27 gennaio 2015 di conferma della correttezza dello svolgimento del procedimento concluso con il diniego di rilascio della sanatoria e con contestuale reiterazione dell’ordine demolitorio, non avendo in tal modo scrutinato le censure dedotte dall’originario ricorrente, che dunque vengono riproposte in sede di appello.
7. – Si è costituito nel giudizio di appello il Comune […] controdeducendo analiticamente ai motivi di gravame dedotti dall’appellante e chiedendo che venisse respinto l’appello con conferma della decisione di primo grado.
Le altre parti intimate non si sono costituite nel giudizio di appello.
Le parti costituite hanno prodotto ulteriori memorie, anche di replica, rassegnando le conclusioni in conformità di quanto sostenuto in virtù delle opposte posizioni.
Mantenuta riservata la decisione alla pubblica udienza del 21 dicembre 2017, l’appello è stato deciso nel corso della camera di consiglio del 21 giugno 2018.
8. – L’appello non può trovare accoglimento, in quanto risulta documentalmente conclamata la infondatezza delle censure dedotte dall’originario ricorrente dinanzi al Tribunale amministrativo regionale.
9. – Il punto di partenza dell’indagine non può che essere concentrato sulla sussistenza o meno di un vincolo impresso all’area in cui insiste il fabbricato sul quale sono state effettuate le opere oggetto di richiesta di condono e, in connessione con il primo scrutinio, la tipologia di opere rispetto alle quali è stata richiesta, dal proprietario signor […], la sanatoria edilizia, il cui procedimento ha avuto esito sfavorevole per gli interessati a causa del parere sfavorevole espresso dalla Soprintendenza (e la conseguente decisione adesiva del Comune […]).
Quanto al vincolo apposto all’area ed ai fabbricati dalla documentazione prodotta sia nel corso del primo che dell’attuale grado di giudizio dalle parti controvertenti emerge che:
anzitutto va segnalato che con decreto ministeriale dell’11 ottobre 1967 fu apposto dal(l’allora competente) Ministero per l’istruzione un vincolo di interesse paesaggistico per l’area costiera del Comune […] sulla quale insistono le opere in questione, di talché nessun rilievo possono avere, nel presente contenzioso e con capacità di incidere sulla legittimità dell’impugnato diniego di condono, le attestazioni comunali prodotte in giudizio dall’odierno appellante, che solo testimoniano dell’assenza di vincoli impressa all’area discendenti dalle previsioni contenute nella l. 431/1985, non potendosi quindi escludere l’esistenza di altri vincoli paesaggistici come, per l’appunto, quello imposto dal decreto ministeriale del 1967.
Tanto meno la circostanza che tali attestazioni sono state allegate ai rogiti dei contratti di compravendita delle due unità immobiliari che compongono il fabbricato può assumere un qualche rilievo dirimente rispetto alla legittimità (se non doverosità) dell’adozione del provvedimento di diniego di condono.
In altri termini, in primo luogo una qualsiasi attestazione errata non incide sulla effettiva portata dei vincoli sussistenti su un’area.
In secondo luogo, l’escludere che vi sia un vincolo paesaggistico basato su una determinata fonte non significa escludere che vi sia il vincolo, basato su un titolo diverso.
B) Inoltre lo stesso signor […], al momento in cui ha presentato al Comune la domanda di condono (depositata agli uffici comunali il 29 luglio 2004), era consapevole che l’area in questione fosse oggetto di attenzione paesaggistica e che egli stava dichiarando che non erano stati realizzati lavori o interventi esclusi dalla previsione legislativa che tale sanatoria consentiva, posto che egli ha motivato l’istanza “barrando” la ipotesi (presente nel modello di domanda poi sottoscritto) secondo la quale l’accertamento di conformità era richiesto per lavori realizzati in “Immobile soggetto a vincolo di tutela”.
10. – Fermo quanto sopra in via di fatto, in via di diritto rilevano le ulteriori seguenti considerazioni tratte da orientamenti giurisprudenziali ormai consolidati, che il Collegio ritiene di condividere:
A) premesso che, in via generale e alla luce dell’individuazione dei beni paesaggistici contenuta negli artt. 136 e segg. d.lgs. 42/2004, con il termine paesaggio il legislatore ha inteso designare una determinata parte del territorio che, per le sue caratteristiche naturali e/o indotte dalla presenza dell’uomo, è ritenuta meritevole di particolare tutela, che non può ritenersi limitata al mero aspetto esteriore o immediatamente visibile dell’area vincolata, così che ogni modificazione dell’assetto del territorio, attuata attraverso qualsiasi tipo di opera, è soggetta al rilascio della prescritta autorizzazione (cfr., per tutte, Cass. pen., Sez. III, 16 febbraio 2006, n. 11128);
B) e ribadito che ai sensi dell’art. 181 d.lgs. 42/2004 è vietata l’esecuzione di lavori “di qualsiasi genere” su beni paesaggistici senza la necessaria autorizzazione o in difformità da essa;
C) va quindi affermato, nello specifico, che, per un verso, il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, preclude qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 5 agosto 2013, n. 4079, e 12 febbraio 1997, n. 102) e che, per altro verso, l’art. 167, comma 4, del Codice dei beni culturali e del paesaggio (il citato d.lgs. 42/2004) preclude il rilascio di autorizzazioni in sanatoria, quando siano stati realizzati volumi di qualsiasi natura e pur quando ai fini urbanistici ed edilizi non andrebbero ravvisati volumi in senso tecnico (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 2 luglio 2015, n. 3289, e 20 giugno 2012, n. 3578)
Sotto tale profilo non si apprezza quindi l’erroneità lamentata dall’appellante nei confronti della sentenza del TAR Calabria qui oggetto di gravame.
11. – Quanto alla censura con la quale si contesta la contemporaneità delle decisioni assunte con un unico provvedimento, di diniego e di ingiunzione a demolire le opere abusive, merita di segnalarsi che in materia di abusi edilizi, la presentazione di un’istanza di condono edilizio comporta la paralisi del potere repressivo dell’Amministrazione, complessivamente inteso, tanto che è legislativamente imposta la sospensione dei procedimenti sanzionatori sino alla definizione dell’istanza di condono (artt. 38, 43 e 44, l. 28 febbraio 1985, n. 47, cui rinvia espressamente l’art. 32, comma 25, d.l. 269/2003, puntualmente richiamato nel provvedimento impugnato in primo grado dall’odierno appellante), determinandosi l’inefficacia dell’ingiunzione di demolizione eventualmente già adottata e precludendo l’adozione di qualsiasi ulteriore misura sanzionatoria prima dell’espressa determinazione sull’istanza del privato. Nondimeno, una volta definito il procedimento con l’espressione del diniego di condono, l’Amministrazione deve adottare un nuovo atto repressivo-sanzionatorio con il quale ingiungere la demolizione delle opere (confermatesi come) abusive. Conseguentemente è ininfluente, ai fini della legittimità dell’atto adottato dall’Amministrazione, che tale doppia decisione sia contenuta in un unico atto, consentendo l’ordinamento comunque all’interessato di poter proporre ricorso giurisdizionale nei confronti dell’atto “complesso” indirizzando i singoli motivi di impugnazione a ciascuna delle due decisioni assunte dall’Amministrazione procedente e contenute nel medesimo provvedimento.
Nello stesso tempo neppure hanno pregio i motivi di appello con i quali si reiterano le doglianze proposte nei confronti del procedimento che ha condotto all’adozione dell’atto di diniego di condono, per mancata comunicazione di avvio del procedimento e per mancata comunicazione del preavviso di diniego giacché, secondo la pacifica giurisprudenza di questo Consiglio di Stato “I provvedimenti di diniego del condono edilizio non devono essere preceduti dalla comunicazione dell’avvio del procedimento, perché i procedimenti finalizzati alla sanatoria degli abusi edilizi sono avviati su istanza di parte” (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 5 maggio 2017, n. 2065, 6 luglio 2012, n. 3969 e 18 settembre 2012, n. 4945).
Nel caso di specie è circostanza pacifica che il procedimento sia stato avviato ad istanza di parte il 29 luglio 2004.
Ancora sul punto, è indirizzo parimenti incontrastato di questo Consesso quello secondo cui la natura vincolata delle determinazioni in materia di abusi edilizi e, quindi, anche delle determinazioni di sanatoria, esclude la possibilità di apporti partecipativi dei soggetti interessati e, conseguentemente, di un obbligo di previa comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della relativa domanda.
Ciò anche in applicazione dell’art. 21-octies, comma 2, primo periodo, l. 241/1990, secondo cui il mancato preavviso di diniego non produce effetti vizianti ove il Comune non avrebbe comunque potuto emanare provvedimenti diversi da quelli in concreto adottati (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. IV, 10 maggio 2012, n. 2714).
12. – Pervenendosi anche nel secondo grado del presente giudizio alla conclusione che il provvedimento di diniego di condono delle opere abusive si manifesta scevro da illegittimità a causa della comprovata presenza di un vincolo paesaggistico impresso nell’area in questione che preclude la condonabilità delle opere realizzate, debbono considerarsi infondate tutte le censure dedotte in primo grado con riferimento ai motivi di diniego di condono collegati al calcolo del coefficiente di volumetria ed alla natura e tipologie delle opere realizzate.
L’imposizione di un vincolo nel quale si attesta la c.d. bellezza d’insieme o il pregio paesaggistico per valori estetico-culturali da preservarsi di cui all’art. 136 d.lgs. 42/2004 rende applicabile l’art. 167 d.lgs. 42/2004, che non consente la sanatoria delle opere realizzate in violazione di vincoli paesaggistici (nella specie, come si è più volte ricordato, il vincolo è stato apposto con decreto ministeriale 11 ottobre 1967 per l’area costiera del Comune […], nell’ambito della quale insistono le opere realizzate e delle quali si era chiesta la sanatoria paesaggistica).
L’opera, di conseguenza, non è suscettibile di sanatoria ai sensi dell’art. 32, comma 27, lett. d), d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito in l. 326/2003, non essendo comunque suscettibili di sanatoria le opere abusive che “(…) d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela (…) dei beni ambientali e paesistici (…) qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (…)”.
13. – Venuta meno la condonabilità dell’intervento edilizio, evidentemente infondato risulta essere l’ulteriore motivo di censura, con cui l’appellante lamenta che il T.A.R. avrebbe dovuto dichiarare l’illegittimità del provvedimento di diniego di condono nella parte in cui ingiunge la demolizione delle opere abusive perché essa inciderebbe sulla statica dell’intero edificio, avendosi potuto quindi infliggere la sanzione pecuniaria.
Il Collegio, sul punto, osserva che in giurisprudenza è stato evidenziato come l’applicazione della sanzione pecuniaria ha carattere residuale (cfr., per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, 27 marzo 2012 n. 1793) e, ai fini della legittimità dell’ordine di demolizione che è finalizzato a ripristinare la legalità violata, l’amministrazione è tenuta al solo accertamento dell’abusività dell’opera, senza essere onerata di propedeutiche e complesse verifiche tecniche sulle eventuali difficoltà che possano sopravvenire durante la fase esecutiva della demolizione.
L’amministrazione, pertanto, non può a priori applicare all’abuso l’art. 33 del D.P.R. 380/2001, atteso che solo laddove il ripristino dello stato dei luoghi non risulti oggettivamente possibile, è applicabile una sanzione pecuniaria (pari al doppio dell’aumento di valore dell’immobile) e ciò è verificabile solo all’atto della esecuzione della demolizione.
D’altronde va ancora ribadita la circostanza secondo la quale l’immobile ricade in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e dunque gli abusi in questione – ai sensi dell’art. 32 del TU 380/2001 – debbono ex lege essere qualificati come realizzati in totale difformità dalla concessione edilizia originariamente rilasciata. Era quindi preclusa l’applicazione della sanzione pecuniaria che è irrogabile – in caso di pregiudizio alla statica – solo ove riferibile a interventi in parziale difformità dal titolo.
Né, come si è sopra anticipato, risultava necessaria alcuna ponderazione circa l’opportunità della demolizione, trattandosi di immobile insistente in zona vincolata.
14. – Da ultimo, il richiamo al legittimo affidamento vantato dal signor […] ed al quale egli si richiama, infine, per contestare la legittimità del provvedimento impugnato, non può essere considerato rilevante al fine di ritenere illegittima l’ingiunzione di demolizione contenuta nel provvedimento di diniego di condono.
In argomento va richiamato quanto ribadito dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sentenza 17 ottobre 2017 n. 9), per la quale:
– nel caso di tardiva emanazione del provvedimento di demolizione di un abuso edilizio, la mera inerzia da parte dell’Amministrazione nell’esercizio del potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che è sin dall’origine illegittimo, specificandosi che tale inerzia – di cui non si può certo dolere l’interessato che continua ad utilizzare un bene esistente contra legem – non può certamente radicare un affidamento di carattere legittimo in capo al proprietario dell’abuso;
– il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti il ripristino della legalità violata) che impongono la rimozione dell’abuso.
15. – La residuale censura proposta nei confronti della sentenza qui oggetto di appello a mente della quale il Tribunale avrebbe errato nel considerare improcedibile il ricorso recante motivi aggiunti in quanto il provvedimento di conferma, con essi impugnato, del diniego di condono con ingiunzione a demolire aveva orami perso la sua efficacia essendo stato adottato sulla scorta di una pronuncia (propulsiva) emessa dal Tribunale medesimo nella sede cautelare, neppure può condividersi.
E’ incontestato che il provvedimento comunale del 27 gennaio 2015, che ha nuovamente respinto l’istanza di condono confermando l’ordine demolitorio è stato emesso a seguito della ordinanza (c.d. propulsiva) n. 45/2014 emessa dal Tribunale amministrativo regionale in sede cautelare.
Sul punto trova applicazione il costante orientamento giurisprudenziale, applicabile anche alle ipotesi di c.d. ordinanza propulsiva, che il Collegio condivide, a mente del quale “nel caso in cui il giudice sospenda in sede cautelare gli effetti di un provvedimento e l’Amministrazione vi si adegui, con l’adozione di un atto consequenziale al contenuto dell’ordinanza cautelare, non si ha improcedibilità del ricorso, né cessazione della materia del contendere (se l’atto, rispettivamente, sia sfavorevole o favorevole al ricorrente), giacché l’adozione non spontanea dell’atto con cui si è data esecuzione alla sospensiva non produce la revoca del precedente provvedimento impugnato e ha una rilevanza solo provvisoria, in attesa cioè che la sentenza di merito accerti se il provvedimento sospeso sia o meno legittimo. Se, invece, a seguito dell’ordinanza cautelare di sospensione, l’Amministrazione effettui una nuova valutazione ed adotti un atto espressione di nuova volontà di provvedere, che costituisca cioè un nuovo giudizio, autonomo e indipendente dall’esecuzione della pronuncia cautelare, allora il ricorso nei confronti del precedente provvedimento gravato diventa improcedibile, ovvero si ha cessazione della materia del contendere laddove si tratti di un atto con contenuto del tutto satisfattivo della pretesa azionata dal ricorrente” (cfr., tra le ultime, Cons. Stato, Sez. III, 4 settembre 2017 n. 4188).
Conseguentemente, tenuto conto della tipologia del provvedimento comunale del 27 gennaio 2015, non rinvenendosi per la sua adozione un nuovo sviluppo istruttorio, correttamente il Tribunale amministrativo regionale ha dichiarato la improcedibilità del ricorso recante motivi aggiunti in quanto non sussisteva alcun interesse a coltivarlo da parte del ricorrente.
In altri termini, quando è emesso un provvedimento in esecuzione di una ordinanza propulsiva, tale atto si deve intendere caducato, quando è emessa la sentenza che definisce il grado del giudizio.
16. – In virtù di quanto si è fin qui considerato tutti i motivi di appello non si prestano ad essere accolti, in quanto infondati […]