Consiglio di Stato, Sezione Sesta, Sentenza n. 6300 del 2020, pubbl. il 19/10/2020

[…]

FATTO e DIRITTO

[…] è proprietario di un’area agricola, soggetta a vincolo paesaggistico, ubicata nel territorio del Comune di […].
Sull’area insistono un fabbricato principale a uso abitativo e alcuni annessi.
Nel 2007 è stato avviato un intervento di ristrutturazione edilizia del citato edificio principale, previo ottenimento dei necessari titoli edilizi e paesaggistici, avente ad oggetto la demolizione e ricostruzione del manufatto, il cambio di destinazione d’uso del piano terreno da magazzino e cantina ad abitazione e la realizzazione di portico e terrazze rispettivamente al piano terreno e al primo piano.
Successivamente, sono stati assentiti ulteriori lavori aventi a oggetto:
a) la realizzazione nell’edificio principale di un “volume interrato con strutture in c.a. entro il perimetro dell’abitazione”;
b) la “sostituzione edilizia con parziale cambio d’uso”, relativa agli annessi presenti nel podere;
c) la “sistemazione delle aree esterne”.
Al fine di sanare alcune difformità verificatesi in sede esecutiva, […] ha presentato istanza di compatibilità paesaggistica e di accertamento di conformità.
La Commissione Comunale del Paesaggio, considerato che la cubatura complessivamente realizzata era inferiore a quella autorizzata, ha reso parere positivo alla sanatoria.
La Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per le Province … si è, invece, espressa negativamente per la rilevata presenza di incrementi volumetrici nell’ambito dell’edificio principale.
Sulla base del menzionato parere della Soprintendenza e di ulteriori rilevi ostativi, il comune ha adottato la determinazione … 2018, n. … con la quale ha respinto le richieste di compatibilità paesaggistica e di accertamento di conformità e ha ordinato la demolizione delle opere abusive.
Ritenendo la determinazione negativa illegittima […] l’ha impugnata davanti al T.A.R. Toscana con ricorso seguito da motivi aggiunti.
L’adito Tribunale, con sentenza 30/4/2019, n. 630, ha respinto l’impugnazione. Avverso la sentenza ha proposto appello […].
Per resistere al ricorso si sono costituiti in giudizio il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Comune […].
Con successive memorie le parti hanno meglio illustrato le rispettive tesi difensive.
Alla pubblica udienza del giorno 8/10/2020 la causa è passata in decisione.
Col primo motivo si denuncia l’errore commesso dal Tribunale nel ritenere che la dedotta illegittimità del diniego di sanatoria paesaggistica, per omessa comunicazione del preavviso di rigetto, potesse superarsi in forza dell’art. 21-octies della L. 7/8/1990, n. 241, non potendo essere diverso, ex art. 167, comma 4, del D.Lgs. 22/1/2004, n. 42, l’esito del procedimento.
L’affermazione del giudice di prime cure non sarebbe, però, condivisibile in considerazione della “generale natura discrezionale del potere” nella specie esercitato.
Nello specifico la Soprintendenza avrebbe dovuto prendere atto delle disposizioni che consentono di procedere alla “compensazione” dei volumi o, comunque, avrebbe dovuto considerare che il modesto incremento volumetrico realizzato nell’edifico principale (26 mq) non avrebbe potuto impedire la sanatoria ex post.
Il suddetto organo statale avrebbe in ogni caso dovuto esprimere le proprie valutazioni circa la compatibilità delle opere realizzate con i valori paesaggistici tutelati, quantomeno con riguardo alla tettoia alla tensostruttura/telo ombreggiante, ai manufatti esterni all’edificio principale e alle altre opere esterne, che non hanno determinato la creazione di superfici utili o volumi aggiuntivi rispetto a quelli assentiti.
Peraltro la realizzazione di tutti i suddetti interventi ulteriori non sarebbe più soggetta ad autorizzazione.
L’appellata sentenza risulterebbe, altresì, erronea nella parte in cui rileva che: <<“In ogni caso, il diniego di sanatoria emesso dal Comune … fa anche riferimento al divieto, contenuto nel regolamento urbanistico, di realizzare dotazioni accessorie … Né potrebbe ritenersi che tettoie e tensostrutture siano paesaggisticamente irrilevanti …” in quanto soggette ad autorizzazione paesaggistica semplificata ai sensi del d.p.r. n. 31/2017, quali opere di cui alle ipotesi “B17” e “B18”>>.
Infatti, non sarebbe consentito sindacare un provvedimento di natura paesaggistica sulla base di disposizioni aventi finalità urbanistico edilizie.
Il Tribunale, infine, nell’affermare che “l’impatto paesaggistico dell’edificio principale realizzato, che è maggiore di quello dell’edificio originariamente assentito, non è visibilmente suscettibile di compensazione con l’asserito minor impatto delle altre realizzazioni edilizie”, avrebbe, inammissibilmente, espresso una valutazione estranea a quelle compiute dalle appellate amministrazioni.
L’articolata doglianza così sinteticamente riassunta non merita accoglimento.
Ai sensi dell’art. 167, comma 4, lett. a), del D.Lgs. n. 42/2004 l’accertamento postumo della compatibilità paesaggistica, è consentito esclusivamente in relazione a quei lavori che non abbiano determinato “creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati” (fra le tante, Cons. Stato, Sez. II, 24/6/2020, n. 4045).
In presenza di incrementi di superficie o cubatura, anche di modesta entità, la norma impedisce tassativamente il rilascio della sanatoria paesaggistica, per cui la reiezione della relativa istanza assume carattere vincolato.
In considerazione di ciò è da escludere, ex art. 21-octies della L. n. 241/1990, che l’omessa comunicazione del preavviso di rigetto, di cui all’art. 10-bis della medesima legge, possa viziare il provvedimento di diniego.
L’appellante sostiene che nella specie non si sarebbe verificato alcun aumento di cubatura ma anzi un decremento, in quanto la Soprintendenza avrebbe dovuto compensare l’ampliamento eseguito nell’edificio principale con il minor volume realizzato negli annessi.
La tesi non convince.
E invero, il richiamato art. 167, comma 4, lett. a), del D.Lgs. n. 42/2004, laddove esclude la sanabilità di lavori che “abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”, dev’essere inteso nel senso che la relativa valutazione va compiuta con riguardo a ciascun singolo manufatto oggetto d’intervento, il che preclude la possibilità di “compensare” tra loro volumi relativi a fabbricati differenti, tranne il caso in cui questi ultimi siano immediatamente adiacenti, così da formare, in sostanza, un unico corpo di fabbrica (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 26/3/2013, n. 1671).
Nel caso di specie, le diverse unità immobiliari tra cui, secondo l’appellante, avrebbe dovuto operare l’invocata compensazione volumetrica non sono contigue, per cui correttamente la Soprintendenza non ha tenuto conto della minore cubatura realizzata negli annessi e ha considerato solo il maggior volume dell’edificio principale.
In presenza di un impedimento legale al rilascio della sanatoria paesaggistica (citato art. 167, comma 4, lett. a), la Soprintendenza non aveva alcuna possibilità di compiere valutazioni in ordine alla compatibilità dei lavori eseguiti con i valori tutelati e ciò anche in relazione a quelli non riguardanti l’incremento volumetrico realizzato nell’edificio principale.
Infatti, al fine di apprezzare la compatibilità con i valori del paesaggio di una pluralità di interventi edilizi legati tra loro (come nella fattispecie) da un intrinseco collegamento funzionale, (tanto da costituire oggetto di un’unica istanza di sanatoria), non è consentita una valutazione atomistica degli stessi, ma occorre, piuttosto, procedere a un giudizio unitario e complessivo dell’insieme delle opere realizzate (Cons. Stato, Sez. V, 12/10/2018, n. 5887).
Quanto, infine, alla censura con cui si lamenta che il giudice di prime cure avrebbe basato la decisione su elementi estranei al provvedimento impugnato, è sufficiente, rilevare che gli eventuali vizi della motivazione della sentenza restano assorbiti dall’effetto devolutivo dell’appello.
Infatti, in secondo grado il giudice valuta tutte le domande proposte, integrando e correggendo – ove necessario – le argomentazioni della sentenza appellata senza che, quindi, rilevino le accidentali carenze motivazionali di quest’ultima (cfr, fra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 18/4/2019, n. 2973; 6/2/2019, n. 897; 14/4/2015, n. 1915; Sez. V, 23/3/2018, n. 1853; 19/2/2018, n. 1032 e 13/2/2009, n. 824; Sez. IV, 5/2/2015, n. 562).
La rilevata impossibilità di ottenere l’accertamento di compatibilità paesaggistica, che a sua volta preclude il rilascio dell’accertamento di conformità ex art. 36 del D.P.R. 6/6/2001, n. 380, rende superflua la trattazione delle doglianze rivolte a censurare i capi di sentenza concernenti gli ulteriori rilievi ostativi opposti dall’amministrazione comunale nell’impugnata determinazione n. 30 del 2018.
Con ulteriori motivi si contesta il capo di sentenza con cui sono state respinte le doglianze dirette nei confronti dell’ordinanza di demolizione.
Al riguardo l’appellante, premesso che il provvedimento repressivo sarebbe viziato da illegittimità derivata, deduce che il Tribunale avrebbe errato a ritenere che:
a) il vincolo paesaggistico gravante sull’area d’intervento escludesse che l’illecito realizzato potesse essere sanzionato con la misura meno afflittiva di cui all’art. 199 della L.R. 10/11/2014 n. 65, norma, peraltro, applicabile anche in caso in presenza di violazioni della normativa antisismica (art. 197, comma 1 lett. f della citata L. R. 65/2014);
b) la considerazione unitaria degli interventi eseguiti impedisse di escludere la sanzione repressiva nei riguardi di opere e manufatti esterni, peraltro, per lo più riconducibili ad attività edilizia libera;
c) l’esatta indicazione delle aree oggetto di acquisizione coattiva fosse necessaria solo ai fini del relativo procedimento, senza poter incidere sulla legittimità della sanzione demolitoria;
d) non fosse viziata la quantificazione dell’area da acquisire operata dall’amministrazione;
e) l’ordine di demolizione, in quanto emesso “anche ai sensi della legislazione sull’edilizia …”, fra cui l’articolo 32, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001, non risultasse subordinato all’impossibilità di adottare le prescrizioni di cui all’art. 17 del D.P.R. 13/2/2017, n. 31.
Le doglianze così riassunte non meritano accoglimento.
Il vizio di illegittimità derivata è escluso dalla reiezione delle censure dirette contro il diniego di sanatoria.
Per il resto è sufficiente rilevare che:
a) l’avversato provvedimento sanzionatorio, contrariamente a quanto sostiene l’appellante, costituisce la conseguenza necessitata dell’abuso commesso, posto che l’attività di ristrutturazione posta in essere ha dato luogo ad aumento di volumetria e a modifiche alla sagoma del preesistente fabbricato;
b) la sanzione demolitoria risulta correttamente estesa a tutti gli interventi posti in essere, tenuto conto che, giusta quanto più sopra rilevato, questi devono essere valutati nel loro insieme e non parziariamente;
c) la circostanza che nel provvedimento repressivo non sia stata dettagliatamente individuata l’area da acquisire in caso di mancata ottemperanza all’ordine impartito, o che sia stata prevista l’acquisizione di una superficie esuberante rispetto a quella interessata dall’abuso e comunque superiore ai limiti di legge, non rileva sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione, atteso che, per pacifica giurisprudenza, le indicazioni inerenti la detta area, non costituiscono elementi essenziali del provvedimento sanzionatorio e devono essere, invece, contenute nel successivo atto con cui si accerta l’inottemperanza all’ingiunzione data (ex plurimis Cons. Stato, Sez. VI, 30/5/2019, n. 4277; 14/1/2019, n. 339; 26/11/2018, n. 6672; 6/2/2018, n. 755; 2/1/2018, n. 10; Sez. IV, 11/12/2017, n. 5788).
Con un ulteriore mezzo l’appellante deduce, infine, che il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto non impugnabili gli atti gravati con i motivi aggiunti siccome atti interni privi di autonoma lesività.
Ripropone pertanto le censure prospettate in primo grado con cui rileva che:
a) i nuovi atti gravati sarebbero viziati da illegittimità derivata;
b) la relazione datata … 2018 risulterebbe corredata da motivazioni ulteriori rispetto a quelle su cui si fonda la determinazione n. … del 2018, che, in quanto postume, sarebbero inammissibili;
c) in ogni caso la detta relazione, attraverso il riferimento alla normativa ivi citata, confermerebbe la legittimità degli interventi eseguiti, che troverebbe riscontro anche negli artt. 26 del PTCP, 28 delle direttive del Parco Regionale …, 32, 33 e 34 del piano del detto parco.
L’esame delle censure riproposte è superfluo, atteso che nessuna delle stesse è idonea a superare i rilievi che hanno portato al diniego di compatibilità paesaggistica e conseguentemente alla reiezione della domanda di accertamento di conformità. […]