Consiglio di Stato, Sezione Sesta, Sentenza n. 8273 del 2020, pubbl. il 23/12/2020

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FATTO

Con l’appello in esame l’odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 537 del 2018 del Tar Lombardia, di rigetto dell’originario gravame; quest’ultimo risultava proposto dalla stessa parte – in qualità di proprietario di un lotto di terreno sul quale insiste un fabbricato ad uso abitativo autorizzato dal comune di … (concessione in sanatoria del … 1997) -, al fine di ottenere l’annullamento dell’ordinanza prot. … del … 2009, recante l’ordine di demolizione di opere abusive. In particolare, le opere contestate erano le seguenti: ampliamento dei locali siti al piano terra, per un totale di circa 23, .. mq, nella realizzazione di un locale sottotetto, per un totale di circa 22, .. mq, collegato al piano terra da una scala in cemento armato, con altezza al colmo pari a m. 2,60, e in un locale al piano terra destinato a deposito, della dimensione di m … x 1,73.
Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava i seguenti motivi di appello, contestando le argomentazioni svolte dal Tar:
– erroneità della sentenza impugnata per mancata illustrazione di quali siano le ragioni di contrasto emergenti con le norme urbanistiche indicate tali da imporre l’emanazione dell’ordine di demolizione;
– contraddittorietà rispetto al precedente condono edilizio;
– erroneità della sentenza in ordine all’effettiva consistenza degli ampliamenti, inferiori al venti per cento nonché del vincolo idrogeologico invocato;
– omessa pronuncia sulla impugnazione, subordinata, della norma di cui all’art. 59 delle norme tecniche attuative del PTCP della Provincia ….. (oggi …) laddove ritenuto ostativo ai modesti interventi di ampliamento edilizio per cui è causa.
Il Comune parte appellata si costituiva in giudizio, chiedendo il rigetto dell’appello.
Con decreto n. 1702 del 2019 veniva dichiarata la perenzione del gravame. Tuttavia, con ordinanza n. 777 del 2020 veniva accolta la proposta opposizione alla perenzione, con indicazione di un termine perentorio per la presentazione dell’istanza di fissazione di udienza di discussione.
Alla pubblica udienza del 15 dicembre 2020 la causa passava in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato.
2. Dall’analisi della documentazione versata in atti emerge come gli atti in contestazione siano stati adottati dal Comune in relazione alle seguenti opere, accertate come realizzate in difformità dal precedente titolo edilizio, rilasciato a sanatoria: ampliamento dei locali siti al piano terra, per un totale di circa 23,… mq, nella realizzazione di un locale sottotetto, per un totale di circa 22,… mq, collegato al piano terra da una scala in cemento armato, con altezza al colmo pari a m. 2,60, e in un locale al piano terra destinato a deposito, della dimensione di m … x 1,73.
La zona interessata risulta sottoposta a vincolo, nei termini compiutamente evidenziati dallo stesso provvedimento sanzionatorio: l’immobile ricade all’interno del perimetro del Parco Regionale … in zona “Sistema della aree prevalentemente agricole” (art. 11) inoltre si trova all’interno delle zone sottoposte a vincolo idrogeologico (art. 1 R.D. 30 dicembre 1923, n: 3267), nella zona “Varchi” previste dall’art. 59 delle N.T.A. del P.T.C.P.M.) e posta in zona R2 di Rilevanza Paesistica.
3. Se in linea di fatto appaiono pacifici (sulla scorta della documentazione versata in atti) la consistenza dell’opera in contestazione, la relativa collocazione del manufatto in zona soggetta ai vincoli predetti nonché la difformità rispetto al titolo pregresso, in linea di diritto i vizi di appello dedotti si scontrano con la disciplina di cui all’art. 31 comma 3 t.u. edilizia, a mente del quale “gli interventi di cui al comma 1, effettuati su immobili sottoposti a vincolo storico, artistico, architettonico, archeologico, paesistico, ambientale e idrogeologico, nonché su immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali e regionali, sono considerati in totale difformità dal permesso, ai sensi e per gli effetti degli articoli 31 e 44. Tutti gli altri interventi sui medesimi immobili sono considerati variazioni essenziali”.
4. Conseguentemente, una volta accertata la realizzazione di opere difformi aventi consistenza materiale quale quella accertata nel caso in esame, nonché la natura vincolata dell’area coinvolta, l’amministrazione è vincolata all’adozione della misura sanzionatoria predeterminata ex lege.
5. Le argomentazioni, anche ermeneutiche, svolte da parte appellante in relazione alla disciplina del piano concernente il richiamato vincolo, presuppone la proposizione di una domanda di sanatoria che ponga l’eventuale necessità di qualificare le opere abusive in parte qua.
In assenza di tale domanda, a fronte di un abuso realizzato in aree soggetta a vincolo la norma di legge predetermina la sanzione per la realizzazione di modifiche ad un immobile in zona comunque vincolata, qualificandole ex lege quantomeno in termini di variazioni essenziali, e disponendo la relativa sanzione demolitoria.
6. In linea generale, è noto come debba ritenersi legittimo l’ordine di demolizione in caso di variazioni essenziali e che anche gli interventi edilizi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire soggiacciano alla sanzione demolitoria, a meno che, non potendo essa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, si debba applicare la sanzione pecuniaria (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 4 giugno 2018, n. 3371)
A quest’ultimo proposito, relativamente al caso di specie, se per un verso parte appellante neppure ha dedotto tale profilo, per un altro verso la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria, prevista dall’ art. 34 d.P.R. n. 380 cit., deve essere valutata dall’Amministrazione Pubblica nella fase esecutiva della demolizione, successiva ed autonoma rispetto all’ordine di demolizione in sé (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 30 giugno 2020, n. 4149).
7. Le ulteriori considerazioni svolte da parte appellante, in merito alla presunta possibile compatibilità degli ampliamenti rispetto quanto già assentito per l’edificio originario, presuppongono l’esercizio di un potere valutativo ulteriore rispetto a quello sanzionatorio, oggetto di controversia.
In proposito, costituisce orientamento consolidato quello per cui, accertata l’esecuzione di opere in assenza di concessione ovvero in difformità dal titolo abilitativo, non costituisce onere del Comune verificare la sanabilità delle opere in sede di vigilanza sull’attività edilizia.
8. Di conseguenza, a fronte dell’accertamento di un abuso, incontestato nella sua consistenza nel caso di specie, ed alla luce della qualificazione ex lege di tali abusi, stante la natura, parimenti pacifica, vincolata dell’area, alla p.a. non restava che adottare il provvedimento impugnato. In proposito, va ribadito che l’ordine di demolizione, in specie a fronte di area vincolata, costituisce esercizio doveroso dell’attività di vigilanza, ancorato esclusivamente alla sussistenza di opere abusive e non richiede una specifica motivazione circa la ricorrenza del concreto interesse pubblico alla rimozione dell’abuso (cfr. ex multis Consiglio di Stato , sez. VI , 17/07/2020 , n. 4607).
9. Gli ulteriori elementi dedotti da parte appellante, in merito in primo luogo alla eventuale compatibilità (e quindi sanabilità) del manufatto alla luce del contesto pianificatorio correttamente inteso, presuppongono l’esercizio di un potere diverso ed ulteriore, concernente la qualificazione delle difformità in relazione ad una eventuale domanda di sanatoria degli abusi stessi.
Altrimenti opinando, si giungerebbe ad un’inammissibile inversione dell’onere, non solo e non tanto di prova, quanto di procedimento, nel senso che è il privato a dover ordinariamente chiedere il rilascio di un titolo per la realizzazione di un intervento – via ordinaria – ovvero il rilascio di un titolo sanante dopo la realizzazione di un abuso – via eccezionale.

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