Consiglio di Stato, sez. 6, Sentenza n. 2347 del 2017, pubbl. il 17/05/2017

[…]

FATTO e DIRITTO

1. Con l’atto n. […], il Comune di […] ha ordinato agli odierni appellanti la demolizione di alcune opere abusive realizzate su un immobile di loro proprietà, sito in piazza […], e consistenti nella realizzazione – in sopraelevazione – di un manufatto sul lastrico di copertura, per una superficie di circa 50 metri quadrati, che ha accorpato un preesistente torrino e composto da tre camere ed accessori.
2. Con il ricorso di primo grado n. 3355 del 2012 (proposto al TAR per la Campania), gli interessati hanno impugnato l’ordine di demolizione, chiedendone l’annullamento.
3. Il TAR, con la sentenza n. 2966 del 2016, ha respinto il ricorso ed ha condannato i ricorrenti al pagamento delle spese e degli onorari del secondo grado del giudizio.
4. Con l’appello in esame, gli interessati hanno impugnato la sentenza del TAR ed hanno chiesto che, in sua riforma, il ricorso di primo grado sia accolto.
Il Comune di […] si è costituito in giudizio ed ha chiesto che l’appello sia respinto.
All’udienza dell’11 maggio 2017, la causa è stata trattenuta per la decisione.
5. L’appello si compone di due articolati motivi.
Con il primo, gli interessati hanno riproposto le censure di violazione dell’art. 33 del piano regolatore generale, dell’art. 9 del regolamento edilizio, dell’art. 31, comma 1, lettera d), della legge n. 478 del 1978, dell’art. 33 del testo unico n. 380 del 2001, nonché profili di eccesso di potere.
Essi hanno dedotto che:
– contrariamente a quanto ha affermato il TAR, non si sarebbe in presenza di una ‘nuova costruzione’, poiché si sarebbero realizzate pere di ‘ristrutturazione edilizia’, consentite dalla normativa sopra richiamata, dovendosi tener conto della classificazione della zona omogenea di tipo B, sottozona Bb, disciplinata dagli articoli 31 e 33 delle norme tecniche di attuazione;
– nella medesima sottozona, in particolare, per l’art. 33 «sono ammessi interventi fino alla ristrutturazione edilizia a parità di volume»;
– il TAR non avrebbe attribuito rilievo alla preesistenza del torrino, esteso circa 33 metri quadrati, mentre al più si sarebbe dovuta disporre la demolizione delle ‘parti realizzate in ampliamento’.
Col secondo motivo, gli interessati hanno lamentato la violazione dell’art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, nonché profili di eccesso di potere, poiché l’Amministrazione ha considerato abusivo l’intero manufatto ed ha disposto la sua demolizione, senza nemmeno valutare la possibilità di disporre una sanzione pecuniaria, dal momento che le opere realizzate sarebbero ‘inscindibili’.
6. Così sintetizzate le censure dell’appellante, ritiene la Sezione che esse siano infondate e vadano respinte.
6.1. Con una adeguata motivazione, la sentenza impugnata ha evidenziato che sul lastrico di copertura dell’edificio è stato realizzato un manufatto del tutto diverso da quello preesistente.
Affinché sia configurabile una «ristrutturazione edilizia», ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera d), del testo unico n. 380 del 2001 è invece indispensabile che la demolizione e la ricostruzione si verifichino «con la stessa volumetria» del manufatto preesistente.
Del tutto legittimamente, il Comune appellato ha qualificato le opere in questione come una «nuova costruzione», dal momento che vi è stato l’ampliamento di un preesistente manufatto, anche con modifica della «sagoma esistente»: si applica dunque l’art. 3, comma 1, lettera e1), del medesimo testo unico n. 380 del 2001 (quale disposizione primaria che ha previsto la necessità del permesso di costruire per la realizzazione della nuova costruzione), il che comporta l’infondatezza delle censure di violazione delle norme sopra indicate e la insussistenza dei dedotti profili di eccesso di potere.
6.2. Quanto alla dedotta violazione dell’art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, ritiene il Collegio che anch’essa risulta infondata e va respinta (sicché non rileva verificare se essa risulta inammissibile, in ragione delle censure formulate in primo grado), poiché:
– quando risulta la realizzazione di abusi edilizi, il Comune «deve senza indugio emanare l’ordine di demolizione per il solo fatto di aver riscontrato opere abusive» (cfr. Consiglio Stato, Sez. VI, 30 marzo 2017, n. 1486; Sez. VI, 6 marzo 2017, n. 1060 e n. 1058; Sez. V, 11 luglio 2014, n. 3568; Sez. IV, 31 agosto 2010, n. 3955) e cioè deve immediatamente emanare il provvedimento che ripristini la legalità;
– tale principio si fonda sul dato testuale dell’art. 31, comma 2, del testo unico n. 380 del 2001, per il quale «il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione»;
– le questioni inerenti alla sussistenza dei presupposti di applicabilità dell’art. 33, comma 2, del medesimo testo unico (per il quale, «qualora, sulla base di motivato accertamento dell’ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, il dirigente o il responsabile dell’ufficio irroga una sanzione pecunaria pari al doppio dell’aumento di valore dell’immobile») riguardano una fase procedimentale successiva ed eventuale, dal momento che il destinatario dell’ordine di demolizione può preferire – entro il termine di novanta giorni, decorso il quale si verifica il prospettato acquisto del bene da parte dell’Amministrazione comunale – di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto e di non pagare la somma corrispondente al doppio dell’aumento di valore dell’immobile;
– in altri termini, per l’applicabilità del medesimo art. 33, comma 2, occorre la sussistenza di alcuni presupposti, tra cui proprio la previa emanazione dell’ordine di demolizione, l’istanza tempestiva del destinatario dell’ordine ed un «motivato accertamento dell’ufficio tecnico comunale» sulla impossibilità materiale di ripristinare lo stato dei luoghi, configurabile soltanto quando «la demolizione, per le sue conseguenze materiali, inciderebbe sulla stabilità dell’edificio nel suo complesso» legittimamente realizzato (cfr. ex plurimis Consiglio di Stato, Sez. VI, 30 marzo 2017, n. 1484; Sez. VI, 9 aprile 2013, n. 1912), il che non avviene – in linea di principio – quando si tratta di eliminare opere realizzate in aggiunta a un manufatto preesistente.
7. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto.
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