Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 4728 del 2017, dep. il 12-10-2017

[…]

Svolgimento del processo

1. Con l’appello in esame, il signor […] impugna la sentenza 19 novembre 2016 n. 1410, con la quale il TAR per il Piemonte, sez. II, ha rigettato il suo ricorso proposto avverso il permesso di costruire 18 agosto 2015 n. 8954/2012, rilasciato dal Comune di […] alla società […], per la realizzazione di una nuova costruzione di tipo residenziale.
La sentenza impugnata ha affermato, in particolare:
– ai fini della qualificazione di un intervento come ristrutturazione edilizia, “non rileva in senso negativo l’intervallo di tempo intercorso tra il crollo accidentale dell’edificio e l’avvio della ricostruzione” (nel caso di specie nel 2009, circa sei anni prima del rilascio del permesso di costruire);
– in presenza di un edificio coincidente quanto a volume con quello crollato, e con superficie lievemente inferiore a quella preesistente, “la modesta traslazione lineare verso ovest dell’edificio ricostruito (per circa cinque metri) non impedisce di qualificare la ricostruzione come “ristrutturazione edilizia”, non soggetta al rispetto delle distanze minime prescritte dallo strumento urbanistico per le nuove edificazioni”.
Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:
a) erroneità della sentenza nella parte in cui riconduce gli interventi alla tipologia della ristrutturazione edilizia e nella parte in cui ritiene le previsioni in materia di distanze legali ad essa non applicabili; violazione ed errata applicazione art. 3 D.P.R. n. 380 del 2001, art. 9 D.M. n. 1444 del 1968 e art. 53 NTA del PRG di […]; errore essenziale e travisamento; difetto dei presupposti; contraddittorietà ed illogicità; ciò in quanto: a1) “il nuovo edificio viene “traslato” di 5 metri rispetto al precedente, con la conseguenza che, sul lato ovest del lotto (lato confinante con la proprietà dell’appellante e sul quale vengono a fronteggiarsi le pareti finestrate dei due edifici), la preesistente tettoia aperta al piano terreno viene sostituita da locali chiusi sia al piano terreno sia al primo piano con soprastante falda del tetto”; ciò mentre “l’edificio ricostruito deve possedere (e mantenere) le caratteristiche del manufatto preesistente”; nel caso di specie, non coincidendo l’area di sedime ed aumentandosi da due a quattro le unità abitative, non è possibile parlare di ristrutturazione edilizia; a2) in ogni caso, anche a voler parlare di ristrutturazione edilizia, è del tutto pacifico “le opere in edifici preesistenti costituenti modifiche di sagoma, ampliamenti e sopraelevazioni siano soggette al rispetto delle distanze legali”;
b) erroneità della sentenza nella parte in cui, ricondotti gli interventi alla tipologia della ristrutturazione edilizia, ritiene non applicabile al caso di specie l’art. 24 NTA del PRG, riguardante le nuove costruzioni; poiché il piano regolatore “consente nuove costruzioni residenziali in area D, soltanto qualora l’esecutore provveda, contestualmente agli interventi, ad acquisire aree (individuate dal Piano stesso) idonee a garantire il soddisfacimento della conseguente dotazione aggiuntiva di servizi”;
c) erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto irrilevante la violazione dell’art. 69 del regolamento edilizio, poichè non risulta applicabile tale disposizione derogatoria che, nel prevedere la possibilità di consentire la ricostruzione, anche in contrasto con il PRG, di “edifici accidentalmente crollati in tutto o in parte”, prevede che il nuovo fabbricato deve essere del tutto identico al precedente (come invece non è nel caso di specie).
Si è costituito in giudizio il Comune di […], che ha concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.
Si è altresì costituita in giudizio la società […], che ha anch’essa concluso richiedendo il rigetto dell’appello, perché infondato.
Con ordinanza 12 aprile 2017 n. 1527, questa Sezione ha sospeso l’esecutività della sentenza impugnata, ritenendo sussistente, oltre al danno grave ed irreparabile, anche il fumus boni juris, “con particolare riguardo alla dedotta violazione delle distanze pur in presenza di ristrutturazione edilizia”.
Dopo il deposito di ulteriori memorie e repliche, all’udienza pubblica di trattazione la causa è stata riservata in decisione.

Motivi della decisione

2. L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto, con conseguente riforma della sentenza impugnata, per le ragioni di seguito esposte.

2.1. Questa Sezione ha più volte, e di recente, affermato – anche in relazione ai successivi mutamenti normativi e con considerazioni che si intendono riportate e confermate nella presente sede – quali siano i tratti caratterizzanti dell’intervento qualificabile come “ristrutturazione edilizia”, ai sensi dell’art. 3, lett. d), D.P.R. n. 380 del 2001 (Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 2017 n. 443; Id, 20 aprile 2017 n. 1847). Occorre comunque ricordare che il legislatore nazionale – riprendendo una anteriore definizione contenuta nel’art. 31, co. 1, lett. d) della l. n. 457/1978 – ha dedicato alla ristrutturazione edilizia l’art. 3, co. 1, lett. d) del Testo Unico dell’edilizia (DPR n. 380/2001), “aggiungendo” ulteriori riferimenti nell’art. 10, lett. c) del medesimo Testo Unico.
Tali disposizioni, tuttavia, sono state oggetto di plurimi interventi modificativi ed integrativi, di modo che, al fine di verificare la rispondenza del concreto intervento edilizio al tipo normativo, occorre di volta in volta individuare la norma vigente al momento del conseguimento del titolo edilizio.
Giova immediatamente precisare che, nel corpus normativo dedicato alla “ristrutturazione edilizia” (almeno fino alla novella del 2013), sono presenti due distinti tipi di ristrutturazione:
– la ristrutturazione edilizia cd. “conservativa”, che può comportare anche l’inserimento di nuovi volumi o modifica della sagoma;
– la ristrutturazione edilizia cd. “ricostruttiva”, attuata mediante demolizione, anche parziale, e ricostruzione, nel rispetto del volume e della sagoma dell’edificio preesistente, con la conseguenza che, in difetto, viene a configurarsi una nuova costruzione (Cons. Stato, sez. V, 5 dicembre 2014 n. 5988).
Tali due distinte figure di ristrutturazione edilizia trovano la loro fonte entrambe nel citato art. 3, co. 1, lett. d) D.P.R. n. 380 del 2001, risolvendosi il successivo art. 10, lett. c), solo in una norma di indicazione dei casi di ristrutturazione sottoposti a permesso di costruire.
La giurisprudenza amministrativa ha analizzato la tipologia della “ristrutturazione edilizia” (anche al fine di distinguerla dalla ipotesi di nuova costruzione, di cui alla successiva lett. e) dell’art. 3, co. 1 D.P.R. n. 380 del 2001), tenendo innanzi tutto presenti le distinte (ed innanzi riportate) ipotesi di ristrutturazione indicate dal legislatore.
In generale, si è affermato che la ristrutturazione edilizia si caratterizza per la diversità dell’organismo edilizio prodotto dall’intervento di trasformazione rispetto al precedente (Cons. Stato, sez. VI, 14 ottobre 2016 n. 4267 e 27 aprile 2016 n. 1619; sez. V, 12 novembre 2015 n. 5184) e che essa si distingue dalla nuova costruzione perché mentre quest’ultima presuppone una trasformazione del territorio, la ristrutturazione è invece caratterizzata dalla preesistenza di un manufatto, in quanto tale trasformazione vi è in precedenza già stata (Cons. Stato, sez. IV, 7 aprile 2015 n. 1763; 12 maggio 2014 n. 2397; 6 dicembre 2013 n. 5822; 30 marzo 2013, n. 2972).
In particolare, è con riferimento alla ipotesi di ristrutturazione “ricostruttiva” che è richiesta identità di volumetria e di sagoma (Cons. Stato, sez. IV, 7 aprile 2015 n. 1763; 9 maggio 2014 n. 2384; 6 luglio 2012 n. 3970), affermandosi altresì che, in difetto, si configura una nuova costruzione, con la conseguente applicabilità anche delle norme sulle distanze (Cons. Stato, sez. IV, 30 maggio 2013 n. 2972; 12 febbraio 2013 n. 844).

2.2. Con specifico riferimento alla successione di norme del tempo (per la parte che rileva nella presente sede), occorre ricordare che l’art. 3, co. 1, lett. d) , nel suo testo originario, prevedeva che fossero interventi di “ristrutturazione edilizia”, quelli “rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”.
Già dal testo originario, dunque, erano presenti, come si è detto, due tipologie di ristrutturazione edilizia, identiche quanto alla finale realizzazione di un “organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”, ma distinte dalla presenza (o meno) della demolizione (anche parziale) del fabbricato preesistente. Quest’ultima, ove effettuata, per poter rientrare nel campo della ristrutturazione edilizia (e non già della nuova costruzione), doveva concludersi con la “fedele ricostruzione di un fabbricato identico”, al punto da avere identità di sagoma, volume, area di sedime e, in generale, caratteristiche dei materiali.
Il successivo D.P.R. 27 dicembre 2002 n. 301 ha apportato alla definizione (di cui all’art. 3) alcune modifiche, con il risultato di affermare che, nel caso di demolizione e ricostruzione, per potersi definire l’intervento quale “ristrutturazione edilizia”, lo stesso doveva portare ad un manufatto “con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”.
Come è dato osservare, con il nuovo testo il legislatore ha abbandonato sia lo specifico riferimento alla identità di area di sedime e di caratteristiche dei materiali, sia il più generale concetto di “fedele ricostruzione” (non potendo quest’ultimo, a tutta evidenza, essere più ribadito una volta che non sono più richieste le predette caratteristiche).
Infine, il legislatore è nuovamente intervenuto sulla disposizione in esame, in particolare con l’art. 30, comma 1, lett. a), D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito dalla L. 9 agosto 2013, n. 98.
Attualmente, quindi, sono “interventi di ristrutturazione edilizia”, gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell’edificio preesistente”.

2.3. Come è dato osservare, con particolare riferimento alla ristrutturazione edilizia cd. ricostruttiva, l’unico limite ora previsto è quello della identità di volumetria, rispetto al manufatto demolito, salve “innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica” , e ad eccezione degli immobili sottoposti a vincolo ex D.Lgs. n. 42 del 2004, per i quali è altresì prescritto il rispetto della “medesima sagoma di quello preesistente”.

2.4. Tanto precisato in ordine alla definizione di “ristrutturazione edilizia”, occorre osservare che il nuovo manufatto, se può sottrarsi ai limiti, precedentemente previsti, del rispetto dell’area di sedime e della sagoma, non di meno anche in tali casi è certamente tenuto al rispetto del limite delle distanze dal confine e/o da altri fabbricati, nel rispetto sia delle norme del codice civile sia di quelle previste dai regolamenti edilizi e dalla pianificazione urbanistica.
In sostanza:
– nel caso in cui il manufatto che costituisce il risultato di una ristrutturazione edilizia venga comunque ricostruito con coincidenza di area di sedime e di sagoma, esso – proprio perché “coincidente” per tali profili con il manufatto preesistente – potrà sottrarsi al rispetto delle norme sulle distanze innanzi citate, in quanto sostitutivo di un precedente manufatto che già non rispettava dette distanze (e magari preesisteva anche alla stessa loro previsione normativa). Come questa Sezione ha avuto modo di osservare (Cons. Stato, sez. IV, 14 settembre 2017 n. 4337), “la disposizione dell’art. 9 n. 2 D.M. n. 1444 riguarda “nuovi edifici”, intendendosi per tali gli edifici (o parti e/o sopraelevazioni di essi: Cons. Stato, sez. IV, 4 agosto 2016 n. 3522) “costruiti per la prima volta” e non già edifici preesistenti, per i quali, in sede di ricostruzione, non avrebbe senso prescrivere distanze diverse”.
– invece, nel caso in cui il manufatto venga ricostruito senza il rispetto della sagoma preesistente e dell’area di sedime, come pure consentito dalle norme innanzi indicate, occorrerà comunque il rispetto delle distanze prescritte, proprio perché esso – quanto alla sua collocazione fisica – rappresenta un novum, come tale tenuto a rispettare – indipendentemente dalla sua qualificazione come ristrutturazione edilizia o nuova costruzione – le norme sulle distanze.

3. Nel caso di specie, la eliminazione della tettoia dell’edificio ad ovest, con traslazione dell’edificio medesimo di modo che “dove prima era la tettoia ora è prevista la parte terminale a ovest dell’edificio” (v. memoria […] del 22 maggio 2017, pag. 3), comporta che vi sia “nuovo” volume, nei sensi innanzi descritti, dove prima vi era la tettoia.
Se, come sostenuto dall’appellata, “non vi è sostituzione della tettoia con locali chiusi con incremento di volumetria etc. ma semplice traslazione dell’edificio che si sviluppa come prima m. 5 più ad ovest senza più realizzazione di tettoia”, ciò comporta che vi è un nuovo volume, laddove prima lo stesso non era esistente.
Al fine della verifica del rispetto delle distanze, secondo i principi innanzi enunciati, mentre non rileva che non vi sia incremento di volumetria, o che si rispetti l’allineamento della preesistente tettoia e della sua proiezione al suolo, ciò che rileva è che un volume “chiuso”, e quindi pienamente utilizzabile, prima arretrato (ancorchè non rappresentante incremento del volume complessivo preesistente) si trovi ora posizionato dove prima non era, essendovi in precedenza al suo posto lo “spazio aperto” sottostante alla tettoia.
Ciò è ammesso anche dal Comune di […] che, mentre esclude che si sia inteso realizzare un fabbricato diverso “ma ripristinare la struttura precedente, senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell’edificio e, in particolare, senza aumenti delle volumetrie né delle superfici occupate in relazione alla originaria sagoma di ingombro”, nondimeno precisa che quest’ultima costituisce “unicamente oggetto di una minimas traslazione” (v. memoria 19 maggio 2017, pag. 3).
Alla luce di quanto esposto, risulta quindi fondato il primo motivo di appello (sub lett. a) dell’esposizione in fatto), laddove con lo stesso (sub lett. a2), prescindendosi dalla qualificazione giuridica dell’opera, ed anche a voler parlare di ristrutturazione edilizia, si afferma che “le opere in edifici preesistenti costituenti modifiche di sagoma, ampliamenti e sopraelevazioni siano soggette al rispetto delle distanze legali” (ovviamente, nei sensi innanzi precisati).
Pertanto, risulta sussistente la violazione delle distanze (da ultimo indicata nella memoria appellante del 26 maggio 2017, in particolare, pag. 5), e sostanzialmente non contestata, nella sua oggettività, dalle altre parti.

4. Per tutte le ragioni esposte, l’appello deve essere accolto, con riferimento al primo motivo di impugnazione (nei sensi innanzi precisati), il che dispensa il Collegio dall’esame degli ulteriori motivi proposti […]