Consiglio di Stato, Sez. IV, Sentenza n. 7245 del 09/11/2004

[…]

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

I signori […] ed altri, specificati in epigrafe, che si qualificano come cittadini residenti in […] e proprietari delle abitazioni di residenza site, almeno per alcuni, in prossimita’ del […], area a verde pubblico, impugnano la sentenza del T.A.R. della Lombardia, Sezione I, n. 3069 pubblicata in data 11 giugno 2003, con la quale sono stati respinti i ricorsi ed i motivi aggiunti dai medesimi proposti (e in parte dichiarati inammissibili) avverso gli atti della sequenza procedimentale con la quale il Comune di […] e’ pervenuto alla stipula di una convenzione con l’Istituto […], ed ha approvato una variante al piano regolatore ai fini dell’ampliamento della clinica mediante costruzione di un nuovo edificio su area comunale (rientrante nel detto Parco […]), sulla base di concessione edilizia in deroga.
Avverso la pronuncia del primo giudice vengono proposti i seguenti motivi di gravame:
Eccesso di potere per difetto di istruttoria, contraddittorieta’, difetto di motivazione. Violazione dell’art. 15, comma 15, L.R. n. 31/97.
Eccesso di potere per travisamento, difetto di istruttoria, illogicita’ e sviamento; difetto di motivazione.
Violazione artt. 826 e 828 c.c.. Violazione L. n. 1150/1942 ; L.R. n. 51/1975 e succ. mod.. Difetto di motivazione.
Violazione degli artt. 54 e 5 D.Lgs. n. 490/1999; art. 26 R.D. n. 363/1913. Difetto di istruttoria e di motivazione.
Sulla pretesa inammissibilita’ dei motivi aggiunti notificati il 12 marzo 2003: Violazione e falsa applicazione dei principi giurisprudenziali in tema di interesse a ricorrere avverso concessioni edilizie.
Vizi propri della concessione edilizia 29 gennaio 2003.
Eccesso di potere per travisamento, difetto di istruttoria, contraddittorieta’, illogicita’. Difetto di motivazione. Violazione dell’art. 15, comma 15 e 15 bis L.R. n. 31/1997. Violazione art. 4 L. n. 10/1977.
Violazione e falsa applicazione degli artt. 18 e 13 delle vigenti N.T.A. del p.r.g. del Comune di […]. Violazione e falsa applicazione dell’art. 23 del vigente regolamento edilizio del Comune di […].
Violazione dell’ art. 10 L. n. 10/1977 e dell’art. 8 L.R. n. 60/1977. Eccesso di potere per difetto di istruttoria.
Illegittimita’ derivata della concessione edilizia 29 gennaio 2003 per effetto della illegittimita’ degli atti pregressi gia’ impugnati con il ricorso introduttivo e con i primi motivi aggiunti.
Nullita’ della convenzione 12.9.2002 rep. 153472/16588 notaio […].
Resistono il Comune di […] e l’Istituto […] e, in diffuse memorie difensive, sostengono l’infondatezza, in fatto e in diritto, della prospettazione degli appellanti nonche’ l’inammissibilita’ di alcuni dei profili di censura. Resiste altresi’ il Ministero per i beni e le attivita’ culturali. Propone intervento ad opponendum la Regione Lombardia. Propone atto di rinuncia al ricorso il signor […].
L’esame dei motivi di appello presuppone la sintetica ricostruzione delle vicende alla base degli atti per cui e’ causa.
Il Comune di […], con deliberazione consiliare n. 97 del 26 luglio 2000, prendeva in esame un progetto di ampliamento della detta clinica presentato dall’Istituto […] ai fini dell’adeguamento strutturale dichiaratamente richiesto per il mantenimento dei requisiti per l’accreditamento regionale.
Con successiva deliberazione consiliare n. 107 del 29 settembre 2000, il Comune approvava una bozza di convenzione preliminare; sul progetto preliminare di intervento si pronunciava favorevolmente la Conferenza di servizi in data 4 giugno 2001; il Comune, con deliberazione consiliare n. 46 in data 9 luglio 2001, approvava la bozza di convenzione definitiva, (da stipulare dopo l’approvazione di futura variante al p.r.g.).
La convenzione prevedeva la permuta, consistente nel trasferimento all’Istituto di circa 5000 mq. ricadenti nell’area del […] e di un’ulteriore area di circa 5350 mq. (assoggettata a servitu’ di parcheggio pubblico) e la correlativa cessione al Comune del compendio immobiliare denominato “[…]”, di proprieta’ dell’Istituto, di superficie fondiaria di mq. 2100 con sovrastante edificio, nonche’ la realizzazione di una palestra a servizio del plesso scolastico […]; una quota della detta area di circa mq. 5000, pari a mq. 2480, veniva assoggettata a servitu’ di parco pubblico, con oneri manutentivi a carico dell’Istituto.
Al fine di consentire la detta permuta, la deliberazione n. 66 del 2001 cit. stabiliva altresi’ che “le aree di proprieta’ comunale, attualmente destinate a parco pubblico, oggetto di cessione, … con il presente atto passano dal patrimonio indisponibile a quello disponibile del Comune”.
Con ulteriore deliberazione consiliare (n. 69 del 26.7.2001), il Comune adottava variante parziale al p.r.g. al fine di modificare l’azzonamento dell’area oggetto di cessione; la variante veniva approvata con deliberazione C.C. n. 84 del 25 ottobre 2001.
Con deliberazione consiliare n. 106 del 28 novembre 2001 il Comune esprimeva parere favorevole al rilascio di concessione edilizia in deroga per la realizzazione dei lavori; in data 23 luglio 2002 la Regione Lombardia concedeva il relativo nulla osta (con D.Dirig. n. 14023); la concessione veniva infine rubricata con atto in data 29.1.2003.
La precitata sequenza procedimentale viene investita – come gia’ in precedenza indicato – in uno con la sentenza impugnata, dalle censure degli appellanti, che ripropongono, in sostanza, profili gia’ esaminati e disattesi in prime cure, ulteriormente supportati dalle critiche rivolte alla sentenza gravata.
Il ricorso in appello non appare peraltro assistito da utile esito; il che esime il Collegio dall’esame di specifici rilievi di inammissibilita’ sollevati dalle parti resistenti.
Osserva in primo luogo il Collegio che non puo’ essere utilmente posta in discussione la legittimazione degli odierni appellanti a censurare scelte amministrative che attengono alla stipula della convenzione ed alla variante al piano regolatore che ha modificato la destinazione dei mappali 2288 e 2287 da area per attrezzature collettive, destinata a parco pubblico, ad area per attrezzature a scala territoriale (zona F).
E cio’ in ragione del consentito sindacato sulla politica programmatoria del territorio da parte dei soggetti che rivestono la posizione di “cittadini” del Comune, nonche’, in particolare per due degli appellanti, che hanno provato di essere residenti in zona non eccessivamente distante dall’area del parco, ma, piu’ in generale, anche per i restanti, avuto riguardo alla limitata estensione del territorio comunale, in ragione dell’interesse alla fruibilita’ del bene pubblico nella sua integralita’.
Nel merito delle censure inerenti le dette scelte dell’Amministrazione, gli appellanti investono, col primo motivo, profili inerenti, in sostanza, la eccessivita’ dell’ampliamento per cui si controverte.
Il Comune si sarebbe “autovincolato”, con la deliberazione n 97/00, ad una specifica istruttoria (poi omessa) in ordine alla possibilita’ di contenere l’ampliamento nei limiti delle esigenze connesse all’accreditamento; dalla relazione dell’Istituto e dagli atti depositati emergerebbe la “esorbitanza” dell’ampliamento, avuto riguardo alla complessiva idoneita’ della struttura ad ospitare 200 posti letto a fronte di 120 accreditati, nonche’ alla possibilita’ di utilizzazione per fini diversi (privati ed estranei all’attivita’ accreditata) non ancora individuati dallo stesso Istituto; il Comune avrebbe altresi’ omesso la preventiva verifica di compatibilita’ rispetto alla programmazione regionale degli interventi intesi all’ampliamento di strutture sanitarie.
Va premesso che il procedimento che ne occupa va inquadrato – come esattamente rilevato dal primo giudice – nell’ambito dei procedimenti concordati di cui all’ art. 11 della L. n. 241 del 1990, in considerazione della particolare posizione dell’Istituto, che gestisce una clinica accreditata di cui fruisce la generalita’ dei cittadini di […].
L’esigenza di ampliamento della clinica e’ stata valutata nel quadro di una definizione concordata, che ha considerato i rispettivi vantaggi per la collettivita’ derivanti dal mantenimento della struttura nell’ambito del territorio comunale.
Dal contemperamento delle diverse esigenze discende quindi la necessita’ di una valutazione complessiva della convenzione nei suoi contenuti in relazione ai benefici ed agli obblighi scaturenti per le parti.
Dal quadro suesposto, che caratterizza la tipologia dei procedimenti concordati, discende la non automatica trasponibilita’ alla fattispecie di profili di censura riferibili, ex se, all’ordinario determinarsi della volonta’ dell’Amministrazione.
Un “autovincolo” del Comune al contenimento dell’ampliamento nei limiti esposti, di cui all’originario esame del progetto preliminare (deL. n. 97/00), perde di consistenza attraverso il confronto delle posizioni caratterizzante le successive fasi della procedura (bozza di convenzione preliminare, pronuncia favorevole della Conferenza di servizi, bozza di convenzione definitiva) e non preclude, ex se, la conclusione di un “accordo” che contemperi gli interessi pubblici e privati coinvolti nel procedimento.
Non si intende sostenere, ben inteso, che il Comune possa pretermettere gli oneri istruttori alla base delle successive determinazioni, ma solo che l’originaria “rigida” previsione di stretta correlazione tra intervento e requisiti di accreditamento, legittimamente possa registrare dei correttivi, che tengano conto anche della necessita’ di assicurare alla collettivita’ locale la permanenza in loco di una adeguata struttura sanitaria, nel quadro di un ampio disegno inteso alla tutela della salute della collettivita’ medesima. E tale “disegno” ben si evince dalla stessa relazione tecnico-giustificativa alla variante, dalla quale si rileva chiaramente, invero, che le ipotesi di ampliamento avanzate tengono conto della “necessita’ di completare, migliorare e potenziare i servizi ambulatoriali ed ospedalieri, ed adattare la struttura, sia alle norme sanitarie richieste dalla Regione Lombardia, che per meglio adeguarsi alle esigenze correlate alle scuole di specializzazione in campo universitario”.
La fase terminale della procedura si caratterizza, quindi, per una visione di piu’ ampia portata, rispondente alle esigenze sanitarie locali.
E’ ben vero che tale “visione” viene ad incidere su una (invero, ben limitata) area (rispetto all’estensione globale della stessa) di parco pubblico: ma cio’ rientra in quel contemperamento di esigenze pubbliche e private alla base della tipologia di procedimenti all’esame, e che e’ assoggettabile a sindacato giurisdizionale solo in presenza di evidenti aspetti di irragionevolezza, avuto riguardo al frequente sconfinamento nel merito di determinazioni siffatte.
Perdono allora consistenza i profili di omessa istruttoria e contraddittorieta’ – siccome enunciati dagli appellanti – o di “esorbitanza” dell’ampliamento; cio’ non senza osservare, sotto tale specifico aspetto – tenuto conto dell’affermazione degli appellanti in ordine alla pretesa tutela non di interessi “latamente pubblici” bensi’ “esclusivamente o in misura del fatto prevalente” dello “interesse privatistico della controinteressata” – che una corretta politica sanitaria di interesse pubblico non puo’ ritenersi inficiata, per cio’ solo e in difetto di elementi sanzionabili in altra sede (nella specie comunque non rilevabili ictu oculi, alla stregua della documentazione versata in atti), dalla presenza del contestuale potenziamento della struttura sanitaria extra pubblica, attesa la commistione logico-concettuale ed operativa tra le diverse modalita’ di ottimizzazione del sistema sanitario (anche locale) globalmente inteso.
Quanto alla preventiva verifica di compatibilita’, rispetto alla programmazione regionale, degli interventi intesi all’ampliamento di strutture sanitarie, si rileva che la L.R. n. 31 del 1997 impone l’acquisizione di tale verifica da parte della Giunta regionale solo per l’esercizio di competenze comunali in materia di “autorizzazioni e concessioni”: relativamente al caso che ne occupa, la detta verifica e’ richiesta, quindi, solo in sede di rilascio di concessione edilizia per la costruzione o l’ampliamento di strutture di ricovero, e non ai fini dell’adozione di variante al piano regolatore.
Da quanto esposto, discende l’infondatezza del primo motivo di appello; il che trae seco, anche, l’infondatezza delle residue considerazioni – corollario dei profili centrali di censura proposti col motivo medesimo.
Il secondo mezzo, in disparte la questione dell’interesse dei ricorrenti, peraltro non disconosciuto dal Tribunale amministrativo regionale, ed invero sussistente, ripropone il tema della legittimita’ della prescelta trattativa privata in uno con l’assenza di una ragionevole stima, da parte del Comune, del valore dell’area ceduta.
Sfugge in primo luogo agli odierni appellanti che nella specie e’ stato azionato quel procedimento concordato normativamente consentito dall’ art. 11 L. n. 241 del 1990, e che in tale ambito si e’ determinata l’Amministrazione comunale.
Sul valore dell’area, alquanto generica appare l’affermazione dei ricorrenti riferita ad una valutazione corrispondente al mero valore agricolo dell’area.
In realta’, la articolata relazione di perizia versata in atti da parte del Comune specifica che l’area, in quanto destinata a parco pubblico, possiede un valore commerciale “paragonabile a quello di un’area agricola inserita in un contesto altamente urbanizzato”, ovvero confrontabile con il valore di un parco senza presenza di alcun fabbricato in essere e senza possibilita’ di edificazione, da valutarsi sulla base dell’importanza delle alberature ivi piantumate e dello stato di manutenzione.
Correttamente pertanto il primo giudice osserva che, in quanto area destinata prima a parco ed ora a terreno edificabile con una precisa destinazione a struttura ospedaliera, il valore commerciale del bene non puo’ essere raffrontato con quello di un terreno edificabile con destinazione residenziale (come preteso dagli odierni appellanti); a cio’ aggiungasi che il valore del bene ceduto deve ritenersi maggiorato del correlato valore della cessione dello chalet, della realizzazione della palestra, dei parcheggi, degli oneri manutentivi: il valore dell’area ceduta va verificato quindi in riferimento al complesso dell’operazione, ivi compreso il rilievo dell’interesse pubblico tutelato mediante la permuta-cessione effettuata tra le parti.
Va pertanto disatteso anche il secondo motivo.
Privo di pregio si palesa altresi’ il terzo mezzo.
Ed invero, il passaggio di beni dal patrimonio indisponibile al patrimonio disponibile, laddove la materia non sia disciplinata da apposita disposizione di legge, ben puo’ avvenire mediante atto amministrativo, ovvero anche in base ad atti concludenti incompatibili con la destinazione a pubblico servizio.
Nella specie, la deliberazione n. 66/01 e’ adeguatamente motivata in ordine alla “sclassificazione” con riguardo alle esigenze ricordate ai precedenti punti; la deliberazione e’ stata altresi’ pubblicata all’albo pretorio ai sensi dell’ art. 129 del D.Lgs. n. 267 del 2000.
Quanto al (censurato) momento di adozione del provvedimento (in quanto la “sclassificazione” avrebbe dovuto seguire il procedimento di variante al p.r.g.), basti ricordare che la stipula della convenzione era comunque subordinata all’approvazione della variante, e che la partecipazione a tale procedimento e’ stata assicurata dalla pubblicazione nella segreteria comunale dal 13.8.2001 al 11.9.2001, cui ha fatto seguito la presentazione e l’esame delle osservazioni pervenute.
Ovviamente, la eventuale non approvazione della variante avrebbe precluso necessariamente la sottoscrizione della convenzione per caducazione dell’oggetto della stessa.
Si sostiene, col quarto motivo d’appello, che il Parco […] esiste da almeno 80 anni, in quanto parte del piu’ esteso parco della Villa […]. Trattandosi di compendio immobiliare ultracinquantennale, appartenente ad ente pubblico, il medesimo sarebbe soggetto, secondo gli appellanti, alla tutela di cui al D.Lgs. n. 490 del 1999 e rientrante nel demanio comunale anche indipendentemente da un espresso provvedimento di vincolo. In ogni caso, l’Amministrazione comunale avrebbe dovuto porre in essere gli adempimenti e le attivita’ istruttorie necessarie alla valutazione del valore storico-ambientale del bene.
Devono essere sul punto condivise le conclusioni cui e’ pervenuto il primo giudice.
Dalla documentazione fotografica aerea prodotta in giudizio (aerofotogrammetrie del 1972 e del 1998), il Parco appare di recente formazione, in quanto l’area non risulta caratterizzata da diffuse piantagioni gia’ nei rilievi effettuati nel 1972.
In ogni caso, appare priva di pregio la tesi, meramente affermata, del vincolo “automatico” per i beni ultracinquantennali: la tutela prevista dal D.Lgs. n. 490 del 1999 presenta una sua ratio, invero, solo in presenza di quell’interesse artistico o storico che la normativa stessa e’ intesa a preservare, e non in riferimento a tutti i beni, anche se privi di tale connotato, solo in quanto provvisti di siffatta “anzianita’”.
Tale valore storico-artistico e’ stato peraltro espressamente disconosciuto dalla Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio di Milano (cfr. note 26 ottobre e 22 novembre 2001) che, anche su apposita richiesta del Sindaco di […], si e’ pronunciata nel senso che la frazione di paesaggio urbano in questione “si presenta adesso in condizioni di trasformazione tali che ne rendono oggettivamente limitato il riconoscimento di testimonianza storica del passato”, e che “non c’e’ piu’ traccia, ne’ del paesaggio agrario storico pre-industriale, ne’ della successiva area attrezzata voluta dal […]”, fermo restando il valore riconoscibile “alla prospettiva che prende origine dall’arco barocco” (peraltro, nella specie preservata).
In presenza di tali pareri di specifica competenza, sembra singolare far carico al Comune – come preteso dagli istanti – di un obbligo di informazione sul valore storico del Parco […]; ne’ tale obbligo puo’ farsi discendere dagli adempimenti, ex art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 490/1999 cit., di presentazione al Ministero dell’elenco descrittivo (anche) dei beni ultracinquantennali (norma, questa, inconferente ai fini di causa).
Discende dalle considerazioni esposte l’infondatezza del mezzo di gravame.
Gli appellanti ripropongono in questo grado di giudizio i motivi aggiunti, gia’ dedotti in prime cure, avverso la concessione edilizia rilasciata il 30 gennaio 2003 all’Istituto […].
Di tale impugnazione il Tribunale amministrativo regionale ha dichiarato l’inammissibilita’, e la pronuncia deve essere confermata in questa sede.
Va ricordato che il Collegio ha riconosciuto (cfr. punto 4 della presente decisione) la legittimazione degli appellanti a censurare le scelte amministrative inerenti la stipula della convenzione e la variante al piano regolatore (che ha modificato la destinazione dell’area), in ragione del consentito sindacato sulla politica programmatoria del territorio da parte di “cittadini” del Comune, nonche’ in ragione dell’interesse alla fruibilita’ del bene pubblico nella sua integralita’.
Relativamente a tale secondo profilo, l’interesse alla fruibilita’ del bene e’ stato riconosciuto non solo per i due appellanti che hanno provato di essere residenti in zona non eccessivamente distante dall’area del parco ma, piu’ in generale, anche per i restanti, avuto riguardo alla non eccessiva estensione del territorio comunale, circostanza, questa, che potrebbe radicare un diretto rapporto nei confronti della godibilita’ delle caratteristiche ambientali del parco pubblico.
In termini diversi si pone peraltro la questione per quanto concerne l’impugnazione della concessione edilizia. Correttamente il primo giudice rileva la mancanza, nella specie, del requisito della “vicinitas”, legittimante la detta impugnazione.
E se e’ vero che tale elemento non si identifica, ex se, con la contiguita’ all’edificio costruendo, nondimeno si richiede una situazione di prossimita’ tale da radicare quella diretta e concreta lesione derivante alla proprieta’ degli istanti dal solo fatto della erigenda costruzione.
Va quindi verificato se tale presupposto ricorra nel caso di specie.
Deve escludersi, in primo luogo, che cittadini del Comune di […] possano contestare l’edificazione assentita in zona diversa da quella in cui e’ situata la propria abitazione: la loro posizione e’ quella di un “quisque de populo”, in quanto non differenziata da quella della restante comunita’ locale (cfr., fra le tante, VI Sez., 26 luglio 2001, n. 4123, e 20 gennaio 2003, n. 200).
Nel caso all’esame, ben quattordici degli appellanti non dimostrano alcunche’ in ordine alla pur affermata “prossimita’” all’area oggetto di intervento.
I restanti appellanti ([…]) sostengono invece che le rispettive abitazioni si trovano nelle “immediate vicinanze” delle aree interessate dall’intervento edificatorio programmato da […], e producono documentazione intesa a supportare tale affermazione. L’assunto e’ frutto di un equivoco di fondo.
Non si tratta invero di dimostrare la prossimita’ all’area oggetto del “complessivo” intervento – che, seppure limitata rispetto alla estensione globale del parco, investe comunque una superficie pari a circa 5000 mq. (oggetto di cessione) ed a 5350 mq. (assoggettata a servitu’ di parcheggio pubblico) – bensi’ di dimostrare lo stato di “vicinitas” della propria abitazione all’erigendo edificio.
Ma tale circostanza e’ assolutamente smentita dalla stessa documentazione, raffigurante lo stato dei luoghi, prodotta dagli appellanti (cfr. doc. 2 allegato al ricorso in appello). Ed invero, l’abitazione del […] (sita in Via […]) risulta prospiciente il lato nord del Parco […], relativo ad una vasta area non interessata ne’ dall’intervento globale ne’ dalla costruzione assentita: da quest’ultima la separano ben due strade, in parallelo (Via T[…]), tra di loro divise da aree di notevole estensione su cui insistono, quantomeno, le scuole, la futura palestra, lo chalet dei […], nonche’ altri edifici); analoga interposizione – di strade, aree e costruzioni – e’ rilevabile tra l’abitazione del Lange’ (sita in via Leopardi e prossima all’abitazione del […]) e la costruzione da realizzare.
E l’effettiva situazione dei luoghi e’ resa ancor piu’ evidente dall’esame della planimetria in scala allegata alla variante, nonche’ dalla documentazione cartografica prodotta in giudizio dal Comune.
A fronte delle dette risultanze documentali (sulla base di produzione anche di parte appellante), di non utile consistenza si palesano le fotografie di cantiere parimenti versate in atti (ex doc. 42), in disparte l’idoneita’ delle stesse a costituire fonte di prova.
Deve essere quindi ragionevolmente esclusa la posizione di “vicinitas” al costruendo edificio e, pertanto, la titolarita’, in capo agli appellanti, di una situazione qualificata e differenziata legittimante all’impugnazione della concessione edilizia rilasciata all’Istituto […].
9.1- Cio’, in disparte il condivisibile orientamento in ordine alla insufficienza della stessa “vicinitas” – nella specie peraltro ritenuta insussistente dal Collegio – a configurare la legittimazione attiva al ricorso giurisdizionale prescindendo dal generale principio dell’interesse ad agire in relazione alla lesione concreta, attuale e immediata della posizione sostanziale dell’interessato (cfr., in termini C.G.A.R.S. 3 dicembre 2001, n. 621), presupponendo altresi’ la detta legittimazione la specificazione, con riferimento alla situazione concreta e fattuale, “del come, del perche’ ed in quale misura” il provvedimento impugnato si rifletta sulla propria posizione sostanziale, determinandone una lesione concreta, immediata e di carattere attuale (V Sez., 18 novembre 1997, n. 1325).
Residua l’esame dell’ultimo motivo d’appello, col quale si deduce la nullita’, ovvero la radicale inefficacia della convenzione 12 settembre 2002, asseritamene derivante dalla pretesa illegittimita’ degli atti gravati in prime cure.
Le conclusioni cui e’ pervenuto il Collegio consentono ex se di disattendere anche tale doglianza.
[…]