Consiglio di Stato, Sez. IV, Sentenza n. 8364 del 30/11/2010

[…]

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1 – E’ appellata la sentenza n. 5171 del 26 novembre 2009 del TAR Lombardia, sede di Milano, espressamente resa ex art. 23bis della legge n. 1034 del 1971 , con la quale, previa riunione per connessione del ricorso n. 708 del 2006 (proposto per l’annullamento della delibera della Giunta Comunale di […] n. […] del 16 dicembre 2005 di approvazione, in attuazione dell’Accordo di Programma del 25 marzo 1994, del Programma Integrato di Intervento (di seguito: PII) relativo al quartiere storico “[…]” ed aree adiacenti, nonché il decreto regionale di compatibilità ambientale dei contenuti del PII n. 19250 del 15 dicembre 2005) con il ricorso n. 12 del 2009 (di impugnazione della variante a detto PII, adottata con delibera n. 1388 del 3 giugno 2008 ed approvata con delibera n. 2452 del 9 ottobre 2008), il primo di detti mezzi è stato in parte dichiarato inammissibile ed in parte infondato, mentre il secondo è stato accolto limitatamente a parte del primo motivo di impugnazione, con annullamento degli atti impugnati nei limiti attinenti all’errata determinazione dei criteri di monetizzazione degli standards contenuti negli atti impugnati.
Più in particolare la motivazione resa dal primo Giudice, quanto alla decisione del primo ricorso, può essere così riassunta:
– sono infondate le eccezioni di inammissibilità del ricorso stesso (difetto di legittimazione e di interesse da parte dei ricorrenti cittadini e mancata impugnazione di atti costituenti presupposti essenziali) perché è sufficiente il rapporto di “vicinitas” che lega detti ricorrenti all’area oggetto di intervento;
– è improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il primo motivo di ricorso tenuto conto che gli standards sono stati riveduti completamente dalla variante al PII;
– è infondato il secondo motivo di ricorso perché è sufficientemente motivata la scelta operata con la variante al PII di monetizzare, al posto di ristrutturare Padiglione 3 (c.d. standard qualitativo);
– è infondato anche il terzo motivo perché il Documento comunale di inquadramento delle politiche urbanistiche non è atto normativo, ma atto generale di indirizzo;
– va preso atto della rinunzia al quarto motivo di impugnazione;
– è infondato, infine, anche il quinto motivo di ricorso tenuto conto della norma dell’ art. 21 del D.Lgs. n. 42 del 2004 e della documentazione in atti, avendo il Ministero dei Beni Culturali dichiarato l’assenza di interesse storicoculturale negli immobili dei quali è prevista la demolizione.
Quanto alla decisione del secondo ricorso lo stesso TAR ha affermato, preliminarmente, che sono infondate le eccezioni pregiudiziali perché per esse, in quanto identiche a quelle sollevate nel primo ricorso, valgono le stesse motivazioni già rassegnate;
Nel merito, ha ritenuto:
– fondato il primo motivo perché, quanto ai criteri di monetizzazione degli standards, occorre avere presente che detti criteri sono stati consensualmente cambiati con la variante PII -previa eliminazione dello standard qualitativo- sia sotto il profilo quantitativo, sia quanto alle modalità di monetizzazione degli standard stessi (in parte ex qualitativo, già individuato nel 2006, di 91.056 mq + 15.485 mq; in parte nuovo perché introdotto dalla variante – mq. 39.048) per cui le tariffe da applicare non potevano essere quelle del 2006 (Convenzione attuativa PII del 12/12/2006), ma quelle vigenti alla data di sottoscrizione dell’atto di integrazione di detta convenzione (e cioè quelle del 2008, come aggiornate con decreto dirigenziale del Comune di […]); perché, quanto al calcolo, non vanno tenuti presenti i valori delle opere che si sarebbero dovute effettuare per il recupero del Padiglione 3 (standard qualitativo), bensì quelli aggiornati e vigenti alla data di sottoscrizione dell’atto integrativo (2008), potendosi parificare la posizione del soggetto attuatore a quella del titolare di un titolo edilizio;
– è, invece, infondato il secondo motivo (mancata motivazione dell’opportunità di aumentare la parte di standard monetizzata) perché sufficienti ragioni dell’abbandono del recupero del Padiglione 3 (standard qualitativo) sono ricavabili, oltre che dalle considerazioni generali relative all’economia dell’intervento complessivamente progettato, anche nella giustificazione specifica dell’apposizione del vincolo da parte della Soprintendenza nel 2006 e nella connessa dichiarata impossibilità di realizzare sull’edificio anzidetto il progetto di recupero come previsto dal PII;
– è, altresì, infondato il terzo motivo (violazione degli obiettivi generali del PRG del 1980 circa il contenimento delle espansioni insediative e l’incremento, invece, delle dotazione di servizi e di aree verdi) per le stesse ragioni espresse per la reiezione del secondo motivo e tenuto conto del valore indicativo e non direttamente normativo delle prescrizioni anzidette;
– è, infine, infondato il quarto motivo (variante PII non sarebbe stata sottoposta a VAS) perché detta variante al PII, già sottoposta positivamente a VIA (cfr. DGR n. 19250 del 2005), non ha comportato alcuna variante al PRG, per cui non doveva essere sottoposta anche a VAS, che è strumento di verifica delle compatibilità ambientali a livello di macroterritorio.
2. – La […]s.r.l., proprietaria dell’area precedentemente occupata dai padiglioni del Polo Urbano della Fiera di […] ed interessata dall’attuazione del PII ha proposto appello avverso detta sentenza nella parte in cui, ha respinto le eccezioni pregiudiziali dalla stessa proposte ed ha, invece, accolto il secondo ricorso, ancorché limitatamente a parte del suo primo motivo, annullando la delibera comunale di approvazione della variante, nella parte in cui “…il calcolo delle aree da cedere è stato effettuato secondo quanto computato con riferimento allo standard qualitativo ed è stata fatta applicazione della tariffa del 2006…” e cioè nella parte “…in cui ha stabilito che per mq. 106.541 (risultato di standard qualitativo mq. 91.056 + 15485) si doveva tenere ferma la quantificazione della convenzione del 2006, per l’importo complessivo di euro 27.386.303,61…”.
Più in particolare, le critiche mosse dall’appellante alla predetta sentenza, ai fini della sua riforma, possono essere così riassunte:
– il TAR avrebbe errato a decidere, innanzitutto, sull’eccezione di carenza di interesse a ricorrere da parte di semplici cittadini, come nella specie, perché avrebbe valutato soltanto il profilo della “vicinitas” e non anche quello della titolarità di una concreta posizione tutelata, invece riconoscibile esclusivamente in capo alle associazioni ambientalistiche, ex art. 13 della legge n. 349 del 1986, tenuto conto che il PII ha una valenza anche (ri) programmatoria tipica degli atti urbanistici a contenuto generale, per quanto attiene agli interventi edilizi e pianificatori direttamente lesivi; inoltre, nella specie, difetterebbe ancor più l’interesse a ricorrere, con riferimento al profilo della monetizzazione in questione, perche in sostanza si finirebbe per riconoscere a cittadini qualsiasi di sindacare una convenzione tra l’Ente e l’operatore mediante una sorta di azione popolare, non derivando agli stessi alcuna lesione personale, concreta e diretta della propria sfera giuridica; in tale avviso, peraltro, si sarebbe confortati dalla pacifica giurisprudenza, formatasi invero in materia edilizia, che esclude che il vicino sia legittimato ad impugnare l’atto determinativo del contributo dovuto in relazione ad permesso di costruire ottenuto da terzi, rimontando esso ad un autonomo e distinto rapporto giuridico tra ente e richiedente;
– lo stesso TAR avrebbe, inoltre, violato il principio di necessaria corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato, ricavabile dall’art. 112 cpc, perché avrebbe sostanzialmente deciso un motivo non proposto dai ricorrenti, essendo “…inequivocabile…”, dal raffronto del ricorso con la sentenza, che “…la presunta illegittimità deriva dalla scelta di fare riferimento ai valori di monetizzazione fissati dai provvedimenti comunali, piuttosto che usare come base di calcolo il valore di mercato…”, per cui “…in nessun passaggio del motivo, neanche incidentalmente o in maniera allusiva, si prende in considerazione il problema dell’aggiornamento dei suddetti valori…”;
– infine, lo stesso Giudice territoriale avrebbe errato a decidere anche nel merito perché avrebbe deciso sulla base di una errata valutazione della disciplina contenuta nel PII, tenuto conto, per un verso, che, il recupero del Padiglione 3 (standard qualitativo del PII 2005) avverrà lo stesso anche dopo l’adozione della variante contestata, con l’esclusiva conseguenza che l’importo dei lavori, invece di contribuire al soddisfacimento degli standards, è portato a scomputo degli oneri di urbanizzazione dovuti; – per altro verso, che l’importo di monetizzazione della variante corrisponde a quanto il Comune avrebbe ricavato dalla monetizzazione dello stesso nel 2005, considerato che la variante non ha modificato il PII del 2005, restando quest’ultima non incisa, né sotto il profilo oggettivo, perché l’opera si fa comunque, né sotto il profilo economico non potendo non corrispondere il valore dello standard qualitativo con quello monetizzato; per altro verso, ancora, che la riprova della correttezza di tale assunto si rinviene nella Convenzione attuativa del 2006 che dispone che gli importi corrispondenti alla monetizzazione ed allo standard di qualità “…non potranno subire modificazione, neppure per effetto di eventuali ulteriori aggiornamenti del valore di monetizzazione (art. 6.1 e 6.2.2…”, con la conseguenza che il TAR avrebbe invocato in maniera inconferente lo jus poenitendi in materia di lottizzazione perché la variante inciderebbe soltanto sulle modalità di adempimento di un’obbligazione già fissata ed immutabile nella sua
entità.
3. – Si sono costituiti in giudizio sia (soltanto) parte dei ricorrenti di primo grado ([…]), sia il Comune di […] e sia la Fondazione […].
4. – Gli appellati anzidetti con lo stesso atto di costituzione, oltre che contraddire alle critiche mosse dalla parte appellante alla sentenza in esame, hanno proposto appello incidentale con il quale hanno contestato la correttezza della stessa sentenza nelle parti in cui il TAR:
– avrebbe deciso il motivo di ricorso inerente il valore dello standard in violazione dell’art. 22 della L.R. n. 51 del 1975 di disciplina della dotazione di aree per attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale, vigente all’epoca degli atti impugnati;
– avrebbe espresso una motivazione carente e generica in relazione alla scelta dell’Amministrazione di fare ricorso alla monetizzazione in termini di maggiore funzionalità dell’intervento, con ciò violando l’art. 90 della L.R. n. 12 del 2005;
– erroneamente non avrebbe riconosciuto fondato il motivo di ricorso inerente le scelte sul reperimento degli standards con riferimento allo strumento urbanistico vigente;
– altrettanto erroneamente non avrebbe riconosciuto fondato il motivo di ricorso inerente la censura di violazione degli articoli 10, 12 e 26 del d.lgs. 42 del 2004;
– avrebbe sbagliato a ritenere non necessaria la sottoposizione a VAS della Variante PII.
Con successive memorie, sia la C.L., sia gli appellati hanno ulteriormente illustrato le rispettive difese, insistendo, rispettivamente, nell’eccezioni pregiudiziali e nelle valutazioni di merito effettuate con riguardo alla sentenza in esame.
All’udienza pubblica del 9 novembre 2010 l’appello è stato rimesso in decisione.
5. – Tutto ciò premesso, in punto di fatto, osserva il Collegio che prima di procedere all’esame delle tesi sviluppate dalle parti, sia in via di eccezione con riferimento ai rispettivi mezzi processuali proposti, sia in via di contestazione delle conclusioni rassegnate nel merito, si rende necessario esaminare la questione dell’applicabilità o meno, alla fattispecie, del peculiare regime processuale di cui alla norma dell’art. 23bis della legge n. 1034 del 1971 , in quanto la relativa questione, come si vedrà in prosieguo, ha rilievo determinante nell’economia del presente giudizio, in particolare, ai fini della decisione dell’appello incidentale proposto dagli appellati anzidetti.
Sul punto, le argomentazioni svolte dagli appellati cittadini -invero espresse soltanto con la memoria difensiva depositata il 9 ottobre 2010 e, poi, sostanzialmente ribadite anche nel corso della discussione orale dell’appello in pubblica udienza- richiamano all’attenzione di questo Giudicante il contenuto dispositivo di detta norma, per evidenziare che il relativo “…oggetto…” è costituito soltanto dalle “… procedure di aggiudicazione e di affidamento ed esecuzione di opere pubbliche e di pubblica utilità, nonché (dal) le procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate alle predette opere…”, nonché la circostanza, che sarebbe verificabile dagli atti di causa, che “…le censure proposte in primo grado avverso i provvedimenti impugnati non riguardano in alcun modo…” tali specifiche procedure, bensì “…riguardano esclusivamente l’indicazione degli indici di edificabilità stabiliti dal Piano Integrato d’Intervento e le modalità di attuazione degli standards, attraverso la previsione della monetizzazione di gran parte di essi, in quanto non realizzabili all’interno dell’area di intervento…”.
Dette argomentazioni non possono essere condivise poiché si fondano, erroneamente, sull’asserita scindibilità degli atti del complessivo procedimento in esame, volto alla rilocalizzazione del polo fieristico milanese e, per quel che qui più immediatamente rileva, alla riqualificazione del quartiere storico “Fiera di […]” e delle aree adiacenti.
Infatti, non appare ragionevolmente sostenibile che la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle relative opere, espressamente dichiarata con l’Accordo di Programma del 25 marzo 1994, non abbia alcun effetto ai fini dell’individuazione del regime processuale applicabile nella fattispecie, tenuto conto che gli atti impugnati sono tutti conclusivi di meri sub procedimenti dell’unico complessivo procedimento iniziato con la firma di detto Accordo. Pertanto, diversamente da quanto affermato dagli appellati, detti atti non assumono valenza distinta ed autonoma dall’Accordo citato, sol che si abbia riguardo alla funzione derivata e/o attuativa, sia del PII originario del 2005, che della sua variante del 2008, così come del decreto regionale di compatibilità ambientale dello stesso PII, rispetto a detto Accordo ed alla sua variante del 2003.
In sintesi, la fattispecie in esame rientra tra quelle elencate nella norma in esame dell’art. 23bis, in quanto attiene ad opere da realizzare in attuazione di un Accordo di Programma -che comporta ex lege la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere stesse, ex art. 34 del d.lgs. n. 267 del 2000 ed art. 6 della L.R. Lombardia n. 2 del 21003- i cui effetti, per quel che rileva sotto il profilo processuale in esame, si riflettono sugli atti deliberativi successivi che a tale Accordo hanno dato e danno attuazione, quali il contestato PII e sua Variante, attenendo al presupposto di legittimità necessario ai fini della corretta realizzazione del complessivo intervento riguardante la riqualificazione del quartiere storico “Fiera di […]” e delle aree adiacenti.
6. – Ciò deciso circa il regime processuale della fattispecie, può ora darsi ingresso all’esame dei mezzi processuali sperimentati dalle parti.
6. 1 – In ordine logico, ritiene il Collegio che vada esaminata per prima l’eccezione di tardività dell’appello incidentale presentato dagli appellati (ricorrenti in primo grado) siccome notificato alle altri parti del giudizio di appello oltre il termine perentorio previsto dal già citato ed esaminato art. 23bis della legge n. 1034 del 1971 .
L’eccezione è fondata.
Ritiene, infatti, il Collegio pienamente condivisibile la tesi di parte appellante, vertendosi, nel caso in esame, in ipotesi di mezzo incidentale autonomo, e non anche derivato dalla proposizione dell’appello principale, tenuto conto che i motivi di impugnazione articolati dagli appellati attengono tutti a profili di censura del ricorso di primo grado esaminati dal Giudice di prime cure e motivatamente rigettati da quest’ultimo.
In tale situazione, è agevole rilevare che il termine perentorio di centoventi giorni, previsto dall’art. 23bis più volte citato, si era già ampiamente consumato alla data di notifica dell’appello incidentale in esame, decorrendo esso, per pacifica giurisprudenza, dalla data di pubblicazione della sentenza impugnata (26 novembre 2009), che costituisce, ex lege, momento di piena conoscenza della stessa sentenza.
Né a diverso avviso possono indurre le deduzioni oralmente svolte in pubblica udienza dal difensore degli appellati poiché è soltanto nell’ipotesi che il mezzo incidentale di appello sia proposto innestandosi sulla domanda principale dell’appellante per vanificarne l’esito (c.d. rincorso incidentale proprio o derivato, siccome geneticamente collegato all’appello principale) che il termine perentorio decorre, (ex art. 37 del T.U. n. 1054 del 1924, applicabile nel caso in esame ratione temporis) dalla data di scadenza del termine di trenta giorni successivi a quello assegnato per il deposito dell’appello principale.
Occorre, in breve, ribadire anche nel caso in esame l’avviso costantemente espresso dalla Sezione che, anche nel giudizio amministrativo, si applica l’art. 333 c.p.c. a norma del quale la parte cui sia stata notificata l’impugnazione principale deve, a sua volta, proporre le proprie doglianze nello stesso processo in via incidentale, onde realizzare il “simultaneus processus”, ed ove detto mezzo processuale consista, non in una mera controimpugnazione su capi di decisione connessi o dipendenti da quelli contrastati con l’impugnazione principale, bensì nell’articolazione di motivi di censura della sentenza autonomi ed indipendenti, ad esso si applicano i termini ordinari di impugnazione previsti dall’ art. 28 della legge n. 1034 del 1971 (cfr. sul principio, tra le tante, n. 7606 del 18 dicembre 2006 e n. 5196 del 7 settembre 2006).
6.2 – Fondata è, invece, l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado formulata dall’appellante C.L. con il primo dei proposti motivi di appello per le seguenti considerazioni.
La più attenta giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. ex plurimis Consiglio di Stato, sez. IV^ n. 6613 del 22 dicembre 2007 e n. 6619 del 24 dicembre 2007, nonché sez. VI^, n. 1452 del 12 marzo 2002), che il Collegio condivide, afferma da tempo che l’azione di annullamento davanti al giudice amministrativo è soggetta, sulla falsariga del processo civile, a tre condizioni fondamentali: il c.d. titolo o possibilità giuridica dell’azione (cioè la posizione giuridica configurata in astratto da una norma come di interesse legittimo, ovvero, come altri dice, la legittimazione a ricorrere discendente dalla speciale posizione qualificata del soggetto che lo distingue dal quisque de populo rispetto all’esercizio del potere amministrativo); l’interesse ad agire (ex art. 100 c.p.c. ); la legitimatio ad causam (o legittimazione attiva/passiva, discendente dall’affermazione di colui che agisce/resiste in giudizio di essere titolare del rapporto controverso dal lato attivo o passivo (cfr. ex plurimis Cons. Stato sez. V, 7 novembre 2005, n. 6200).
Nella specie, come si vedrà meglio in prosieguo, è eccepita dall’appellante la carenza, in capo agli appellati cittadini di una posizione differenziata qualificabile in termini astratti come di interesse legittimo, nonché il difetto in capo agli stessi della legittimazione ad agire.
6.2.1 – Orbene, circa la legittimazione al ricorso, deve rilevarsi come, allo stato degli atti di causa: a)- tutte le proprietà degli appellati non rientrano nel perimetro inciso dai contenuti degli atti urbanistici impugnati, avuto presente quanto dagli stessi dichiarato a pag. 18 del loro atto di costituzione nel presente grado di giudizio di essere “…residenti tutti nelle vie a ridosso dell’area oggetto di intervento…”;
b)- non è stata dimostrato alcun pregiudizio concreto delle rispettive posizioni giuridiche, e cioè di diminuzione, ad esempio, del valore degli immobili di rispettiva proprietà che, al contrario, sulla base degli interventi previsti dal PII contestato, di riqualificazione dell’ex area storica della Fiera e del potenziamento sia del verde urbano che del servizio pubblico di trasporto (nella specie, attraverso la nuova linea e stazione della Metropolitana M5), pare ragionevolmente destinato ad essere aumentato comportando detti interventi la bonifica e la risistemazione di un sito attualmente degradato;
c)non è stato dimostrato lo svolgimento, negli immobili degli appellati, di attività commerciali o imprenditoriali suscettibili di specifico decremento in ragione degli interventi urbanisticoedilizi in esame.
Ciò precisato, questo Collegio non ritiene di doversi discostare, sul punto, dal consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui sono inammissibili le censure concernenti la disciplina urbanistica di aree estranee a quelle di proprietà del ricorrente, tenuto conto che le prescrizioni dello strumento urbanistico vanno considerate scindibili ai fini del loro eventuale annullamento in sede giurisdizionale. A tale riguardo, infatti, resta salva la possibilità di proporre impugnativa soltanto allorquando la nuova destinazione urbanistica, pur concernendo un’area non appartenente al ricorrente, incida direttamente sul godimento o sul valore di mercato del bene di detto ricorrente o, comunque, su interessi propri e specifici di quest’ultimo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 10 giugno 2004, n. 3755; sez. IV, 5 settembre 2003, n. 4980).
Pertanto, a rettifica di quanto ritenuto dal primo Giudice, va precisato che il mero criterio della vicinitas di un fondo o di una abitazione all’area oggetto dell’intervento urbanisticoedilizio non può ex se radicare la legittimazione al ricorso, dovendo sempre fornire il ricorrente, in casi come quello in esame, la prova concreta del vulnus specificoinferto dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica, in termini, ad esempio, di deprezzamento del valore del bene o di concreta compromissione del diritto alla salute ed all’ambiente (cfr., sul principio,anche se espresso in relazione ad impianto di smaltimento rifiuti, Consiglio di Stato, sez. V^, 14 giugno 2007, n. 3191 e 16 aprile 2003, n. 1948).
Sotto tale profilo, non giova, pertanto, agli appellati richiamare nelle proprie difese la giurisprudenza consolidata che riconosce come sufficiente il requisito della vicinitas per impugnare le concessioni edilizie, giacché nel caso concreto è oggetto di impugnativa principale uno strumento urbanistico attuativo che conforma una vasta area a fini di recupero migliorativo della stessa, mediante interventi di risanamento e di allocazione di nuovi servizi pubblici quali, ad esempio, la nuova linea metropolitana e relativa stazione, nonché un nuovo museo.
6.2.2 – Ma nella fattispecie in esame difetta anche l’interesse ad agire.
Al riguardo, va premesso che la sussistenza dell’interesse ad agire deve essere valutata in astratto, con riferimento al contenuto della domanda, e non secundum eventum litis, e che requisiti imprescindibili per la configurazione di questa condizione dell’azione sono il suo carattere personale, la sua attualità e la sua concretezza, consonando il Collegio, anche sotto il profilo in esame, con l’avviso già espresso in più occasioni dalla Sezione (cfr., sul punto, Consiglio di Stato, sez. IV^, n. 3947 del 22 giugno 2006 e n. 6619 del 24 dicembre 2007).
In particolare, per quanto concerne i profili dell’attualità e della concretezza della lesione, ritiene il Collegio di poter ribadire, anche nella specie, che la lesione arrecata dal provvedimento impugnato deve essere effettiva, nel senso che dall’esecuzione di esso discenda in via immediata e diretta un danno certo alla sfera giuridica del ricorrente, ovvero potenziale, intendendosi come tale, però, quello che sicuramente (o molto probabilmente) si verificherà in futuro (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV^, n. 3947 del 2006 ciatata, nonché Sez. VI^, 6 marzo 2002, n. 1371).
Ma, come già evidenziato sotto il diverso profilo esaminato nel capo di motivazione che precede, alcun danno in concreto è stato provato dai ricorrenti di primo grado, essendosi essi limitati ad affermare soltanto che sarebbe pregiudicata (dall’intervento in questione) la qualità della vita dei residenti, peraltro in contrasto con i dati allo stato emergenti dagli atti di causa sulle caratteristiche di detto intervento (da realizzarsi sulle aree della ex Fiera storica di […]), invero oggettivamente migliorativo della situazione attuale di degrado perché comportante un indubbio vantaggio per gli appellati, anche di carattere patrimoniale, in ragione, oltre che della riqualificazione edilizia, dell’accresciuta complessiva dotazione di standards e di servizi pubblici in particolare, quali l’utilizzabilità da parte dei residenti della nuova linea e stazione della ferrovia metropolitana.
6.2.3 – Consegue, conclusivamente, che non è possibile configurare in capo ai ricorrenti di primo grado, odierni appellati, né la legittimazione al ricorso, né l’interesse ad agire, con la conseguenza che l’appello principale va accolto e che, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, va dichiarato in toto inammissibile il ricorso di primo grado.
7. – Ferma la decisione testè assunta, quale soluzione definitiva del presente giudizio, osserva il Collegio, soltanto ad abundantiam, che il ricorso di primo grado era, in ogni caso, anche da respingere in toto nel merito, essendo infondato pure l’unico motivo invece positivamente apprezzato dal Giudice territoriale, oltre quelli restanti già correttamente respinti dallo stesso Giudice.
Infatti, ritiene il Collegio che la motivazione resa dal TAR obliteri, al fine di pervenire alla conclusione raggiunta, il profilo fondamentale della funzione cui sono preordinati i piani integrati di intervento, in disparte ogni valutazione del motivo di appello proposto da C.L. di violazione dell’art. 112 c.p.c. , sul presupposto che detto giudicante avrebbe erroneamente ritenuto come proposta, e poi accolta, una censura specifica sull’aggiornamento dei valori di detta monetizzazione, invece mai articolata, avendo, invece, i ricorrenti di primo grado contestato soltanto la presunta illegittimità degli atti impugnati derivante dalla scelta di fare riferimento, in generale, ai valori di monetizzazione degli standards fissati dai provvedimenti comunali, anziché usare come base di calcolo il valore di mercato delle aree.
Ed invero, a parere del Collegio, detti strumenti attuativi della pianificazione urbanistica -finalizzati, come è noto, alla riorganizzazione ed alla riconversione di determinati ambiti urbani mediante la riqualificazione del relativo tessuto urbanistico, edilizio ed ambientale- sono essenzialmente caratterizzati, per quel che qui immediatamente interessa, dal possibile concorso dell’ente pubblico con soggetti privati, allorquando quest’ultimo non sia in grado di formare, di propria iniziativa, il piano di intervento integrato e/o non possegga le risorse finanziarie necessarie alla realizzazione delle opere necessarie.
Orbene, può ritenersi sufficientemente evidente come, nell’ipotesi di un concorso necessitato di risorse pubbliche con quelle private, assumano rilievo determinante gli accordi che intervengono tra le parti mediante la convenzione all’uopo sottoscritta, tenuto conto che lo sforzo economico richiesto, in particolare, alla parte privata deve trovare un suo bilanciamento, stante la ragionevole finalità, propria della natura pattizia di detta convenzione, di non alterare l’equilibrio economico complessivo dell’intervento da essa derivante.
Nella specie -premesso in linea generale che rientra nell’ambito delle valutazioni di merito di competenza dell’Amministrazione stabilire con quali strumenti soddisfare le esigenze di adeguati standards, cosa che, nel caso in esame, può ritenersi non irragionevolmente effettuata, alla luce delle complessive determinazioni assunte al riguardo- va tenuto presente che per effetto dell’acquisizione di ulteriori 65.000 mq. di nuove aree a standards (c.d Area di cerniera ceduta dalla Fondazione Fiera), la relativa superficie complessiva di destinazione, è di mq. 165.000, con un incremento della previsione iniziale di circa il 91% (percento) del progetto iniziale.
Inoltre, va considerato che la convenzione attuativa del PII, stipulata il 12 dicembre 2006 tra il Comune di […] e l’appellante, prevedeva espressamente agli articoli 6.1 e 6.2.2 che gli importi corrispondenti alla monetizzazione ed allo standard di qualità “…non potranno subire modificazione, neppure per effetto di eventuali ulteriori aggiornamenti del valore della monetizzazione…”, essendosi fatto riferimento ai valori determinati da delibere specifiche sul punto adottate dallo stesso Comune.
Sulla scorta di tali rilievi, osserva conclusivamente il Collegio che le considerazioni svolte dal primo Giudice per accogliere, ancorché limitatamente, il ricorso di primo grado sono contrastanti sia con la già rilevata peculiare valenza del PII in genere e di quello approvato nella specie, sia con la precisa pattuizione convenzionale intervenuta tra il Comune di […] e l’appellante che ragionevolmente impediva l’aggiornamento dei valori economici stabiliti ai fini della monetizzazione degli standards, essendo essi stati stabiliti, non per effetto di un autonomo accordo raggiunto in sede convenzionale, bensì sulla base di valori predeterminati in via generale con previgenti delibere dello stesso Comune ed avendo essi contribuito a determinare, concordemente, l’equilibrio economico degli apporti richiesti ad entrambe le parti. […]