Consiglio di Stato, Sez. VI, Sent. n. 3410 del 2014, dep. il 4 luglio 2014

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FATTO e DIRITTO

Attraverso l’atto di appello in esame (n. 301/14, notificato il 18 dicembre 2013), si contesta la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Salerno, sez. II, n. 1034/13 del 2 maggio 2013, che non risulta notificata, con la quale veniva respinto il ricorso introduttivo avverso un diniego di permesso di costruire in sanatoria, mentre venivano accolti i motivi aggiunti di gravame, avverso l’accertamento di inottemperanza all’ordine di demolizione, con avviso di acquisizione al patrimonio comunale dell’opera sanzionata e della relativa area di sedime (in quanto la presentazione di istanza di sanatoria avrebbe reso definitivamente inefficace la misura repressiva, da reiterare dopo l’eventuale rigetto dell’istanza stessa).
Avverso la predetta pronuncia è stato proposto l’atto di appello in esame, sulla base dei seguenti motivi di gravame:
I)  violazione delle norme di attuazione del P.R.G. del Comune di […], nonché dell’art. 338 del r.d. 27 luglio 1934 n. 1265, come successivamente modificato ed integrato; error iuris in iudicando, in quanto – per effetto delle innovazioni apportate al citato Testo Unico dall’art. 28 della legge 1 agosto 2002, n. 166, il vincolo di in edificabilità assoluta, corrispondente alla fascia di rispetto cimiteriale, sarebbe stato “limitato ad una più ristretta fascia di 50 metri dal perimetro del cimitero”; nella restante fascia, fino a concorrenza del limite di 200 metri, la disposizione innovativa avrebbe consentito “puntuali interventi per la realizzazione di opere pubbliche….anche per la costruzione di locali tecnici e serre”: il vincolo in questione, pertanto, agirebbe “con intensità graduata, in relazione alla distanza” sulle aree circostanti al perimetro cimiteriale; il manufatto di cui si discute, peraltro, ricadrebbe “solo in minima parte nella fascia di rispetto e costituirebbe locale tecnico a servizio del fondo”, con “sicura conformità” del medesimo allo strumento urbanistico;
II)  ancora violazione dell’art. 338 r.d. n. 1265 del 1934; incompetenza, error in iudicando, poiché sarebbe stata competenza del Consiglio Comunale la scelta di dare corso alla deroga dal vincolo, mentre il diniego impugnato risultava emesso dal dirigente del settore Tecnico e Ambiente del Comune appellato, che avrebbe dovuto inoltrare la pratica all’autorità competente;
III)  ulteriore violazione delle norme di cui al precedente motivo; violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241; eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione e di istruttoria; error facti in iudicando, non essendo state considerate la minima incidenza della costruzione nella zona di rispetto e le caratteristiche della stessa (struttura leggera in ferro e pareti perimetrali in pannelli prefabbricati).
Il Comune di […], costituitosi in giudizio, resisteva formalmente all’accoglimento dell’impugnativa.
Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che la questione – pervenuta in Camera di Consiglio per la decisione sull’istanza cautelare – possa essere decisa con sentenza in forma semplificata, sussistendo i presupposti applicativi dell’art. 60 del d.lgs. n. 104 del 2010 (codice del processo amministrativo – c.p.a.).
Nel merito, va osservato che la questione prospettata investe una fattispecie di sanatoria, richiesta ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia): sanatoria, il cui rilascio presuppone la conformità dell’intervento non autorizzato “alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda” (cosiddetta “doppia conformità”). Nella situazione in esame la regolarizzazione è stata negata, con riferimento alla parziale incidenza del manufatto nella fascia di rispetto cimiteriale, nella quale sussiste vincolo di inedificabilità assoluta.
A tale riguardo l’appellante prospetta sotto diversi profili la violazione della normativa di riferimento (art. 338 del r.d. 27 luglio 1934, n. 1265 –Testo Unico delle leggi sanitarie – come modificato dall’art. 4 delle legge 30 marzo 2001, n. 130 e poi sostituito dall’art. 28, comma 1, lettera a, della legge 1 agosto 2002, n. 166), con prioritario riguardo alla prevista possibilità di riduzione dell’area inedificabile, che restringerebbe a soli 50 metri il vincolo inderogabile e consentirebbe fino al limite di 200 metri limitati interventi edilizi, fra cui locali tecnici e serre.
Detta argomentazione difensiva non può essere condivisa.
In base al citato art. 338, comma 4, r.d. n. 1265/1934, infatti, “Il Consiglio Comunale può approvare, previo parere favorevole delle competete azienda sanitaria locale, la costruzione di nuovi cimiteri o l’ampliamento di quelli già esistenti ad una distanza inferiore a 200 metri dal centro abitato, purchè non oltre il limite di 50 metri, quando ricorrano, anche alternativamente, le seguenti condizioni:
a) risulti accertato dal medesimo consiglio comunale che, per particolari condizioni locali, non sia possibile provvedere altrimenti;
b) l’impianto cimiteriale sia separato dal centro urbano da strade pubbliche almeno di livello comunale, sulla base della classificazione prevista ai sensi della legislazione vigente, o da fiumi, laghi o dislivelli naturali rilevanti, ovvero da ponti o da impianti ferroviari”.
La norma sopra riportata ha carattere derogatorio, in via eccezionale, rispetto alla regola – enunciata al primo comma del medesimo articolo – secondo cui “I cimiteri debbono essere collocati alla distanza di almeno 200 metri dal centro abitato. E’ vietato costruire intorno ai cimiteri nuovi edifici…”.
Per pacifica giurisprudenza, il vincolo cimiteriale determina quindi una tipica situazione di inedificabilità ex lege, suscettibile di venire rimossa solo in ipotesi eccezionali e comunque per considerazioni di interesse pubblico. Quanto sopra, in presenza delle condizioni specificate nel ricordato comma 4 dell’art. 338, non anche per agevolare singoli proprietari, che abbiano effettuato abusivamente, o intendano effettuare, interventi edilizi su un’area, resa a tal fine indisponibile per ragioni di ordine igienico-sanitario, nonchè per la peculiare sacralità dei luoghi destinati alla sepoltura, senza esclusione di ulteriori esigenze di mantenimento di un’area di possibile espansione della cinta cimiteriale (cfr. Cass. civ. sez. I, 23.6.2004, n. 11669; Cons. St., sez. II, 7.3.1990, parere n. 1109; Cons. St., sez. IV, 11.10.2006, n. 6064; Cons. St., sez. V, 2.4.1991, n. 379, 29.3.2006, n. 1593, 3.5.2007, n. 1934 e 14.9.2010, n. 6671).
L’unico procedimento, attivabile dai singoli proprietari all’interno della fascia di rispetto, pertanto, è quello finalizzato agli interventi di cui all’art. 338, comma 7, dello stesso r.d. n. 1265/1934 (recupero o cambio di destinazione d’uso di edificazioni preesistenti), restando attivabile solo d’ufficio – per i motivi anzidetti – la procedura di riduzione della fascia inedificabile in questione.
Fermo restando, quindi, che solo il Consiglio Comunale – non su istanza di singoli cittadini, ma per ragioni di interesse pubblico – può intervenire per ridurre l’ampiezza di detta fascia, per le decisioni da assumere su eventuali istanze di autorizzazione edilizia, anche in sanatoria, vale il riparto generale di competenze, che assegna ai dirigenti gli ordinari atti di gestione (come peraltro ribadito, in materia di sanatoria, dal terzo comma del citato art. 36 d.P.R. n. 380/2001).
Sia la prima che la seconda censura, nella parte riferita a violazione dell’art. 338 del T.U. n. 380/200, debbono pertanto essere respinte.
Ugualmente infondato risulta il terzo motivo di gravame, sotto il profilo dell’eccepito difetto di motivazione: in presenza di un vincolo di inedificabilità assoluta, sussistente anche solo alla data di realizzazione dell’opera, il diniego emesso ai sensi del ricordato art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 poteva, infatti, ritenersi sufficientemente motivato con la descrizione dell’abuso ed il richiamo alle disposizioni violate, come puntualmente risulta nel caso di specie.
Nel diniego impugnato si faceva, d’altra parte, preciso riferimento alla mancanza di doppia conformità urbanistica, per quanto riguarda la fascia di rispetto cimiteriale e – pur essendo tale rilievo sufficiente per giustificare il rigetto della domanda di sanatoria – si precisavano ulteriormente le caratteristiche delle opere (“sopraelevazione di un locale terraneo ad uso deposito….condonato ai sensi della legge n. 724/1994”), nonché la non conformità delle stesse alle prescrizioni “in materia di costruzioni in zona agricola per tipologia costruttiva e per impiego di materiali”. La motivazione non appare dunque carente, né frutto di inadeguata istruttoria.
Restano da esaminare solo le argomentazioni difensive che, nel primo e nel secondo motivo di gravame, contestavano la stessa ricadenza del manufatto nella fascia di rispetto.
A tale riguardo, con ordinanza collegiale n. 701/14 del 12 febbraio 2014, era stato disposto un accertamento in contraddittorio fra le parti, “con precisazione descrittiva….e misurazione della parte del medesimo manufatto, ricadente nella fascia di rispetto”.
L’istruttoria è stata solo parzialmente adempiuta, ma i dati acquisiti – benchè non esaustivi, circa l’effettiva estensione e le intervenute modifiche della fascia di rispetto di cui trattasi – sono tuttavia obiettivamente ed univocamente convergenti sulla ricadenza, anche solo parziale, del manufatto (quanto meno alla data della relativa realizzazione) nella predetta fascia, di modo che non possono considerarsi integrati i presupposti applicativi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, che non prevede sanatorie parziali o condizionate di edificazioni strutturalmente unitarie, come quella di cui si discute (ferma restando l’irrilevanza dell’utilizzo di materiali leggeri e facilmente smontabili, per quanto disposto dall’art. 3, comma 1, punto e.5 del medesimo Testo Unico n. 380/2001).
Per le ragioni esposte in conclusione l’appello deve essere respinto; […]