Consiglio di Stato, Sezione Quarta, Sentenza n. 5657 del 2012, pubbl. il l 07/11/2012

[…]

FATTO e DIRITTO

1.1. In data 15 febbraio 2006 i Signori […] hanno conseguito il rilascio dal Comune di […] del permesso di costruire […]/2006, avente ad oggetto la “costruzione di un basso fabbricato uso autorimessa e rifacimento parte di recinzione in […], via […].
A seguito di un esposto presentato dall’[…] in data 16 ottobre 2006 quale titolare di immobile confinante con quello del […], l’Amministrazione Comunale ha disposto un sopralluogo presso il cantiere e, essendo state riscontrate alcune difformità tra quanto sino a quel momento realizzato e quanto previsto nel progetto presentato agli effetti del rilascio del predetto titolo edilizio, ha emesso un provvedimento di sospensione dei lavori.
Il […] e […] hanno quindi presentato in data 6 dicembre 2006 una denuncia di inizio attività al fine di regolarizzare le predette difformità, in particolare provvedendo a ridurre l’altezza del muro di cinta mediante realizzazione dello stesso a gradoni, nonché a modificare la pavimentazione dell’autorimessa.
1.2. Con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto a’ sensi e per gli effetti dell’art. 8 e ss. del D.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199 il […] ha a sua volta chiesto l’annullamento del predetto permesso di costruire n. 11/06 dd. 15 febbraio 2006, nonché della susseguente denuncia di inizio presentata al medesimo Comune al Prot. n. 7528 dd. 6 dicembre 2006 e costituente variante al permesso predetto, nonché di tutti gli altri atti presupposti e conseguenti.
1.3. Con atto di opposizione notificato il 26 ottobre 2007 a’ sensi dell’art. 10 del medesimo D.P.R. 1199 del 1971 la […] ha chiesto la trasposizione del ricorso sopradescritto alla competente sede giurisdizionale e, pertanto, il […] ha provveduto a riproporre il ricorso medesimo sub R.G. 1217 del 2007 innanzi al T.A.R. per il Piemonte.
In particolare, il […] ha dedotto le seguenti censure.
1) Violazione di legge con riferimento al T.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, al regolamento edilizio comunale e alle N.T.A. del P.R.G. comunale, eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti, colpa grave, sviamento, nonché ingiustizia grave e manifesta con riferimento alle modalità di misurazione del terreno.
Secondo il […] i titoli edilizi da lui impugnati si fonderebbero su di un’erronea rappresentazione in fatto della pendenza del terreno interessato nel suo stato originario.
2) Ulteriore violazione di legge di legge con riferimento al T.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, al regolamento edilizio comunale e alle N.T.A. del P.R.G. comunale, eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti, colpa grave, sviamento, nonché ingiustizia grave e manifesta con riferimento all’altezza dei muri realizzati, in particolare quello a confine.
Il […] reputa che i muri a confine realizzati siano tutti di altezza maggiore a quanto rappresentato in progetto.
3) Ulteriore violazione di legge di legge con riferimento al T.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, al regolamento edilizio comunale e alle N.T.A. del P.R.G. comunale, eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti, colpa grave, sviamento, nonché ingiustizia grave e manifesta con riferimento al rapporto tra il muro a confine e il basso fabbricato interno.
Il […] sostanzialmente nega che la porzione di muro assentita mediante i titoli edilizi impugnati possa qualificarsi come “muro di confine”.
4) Ulteriore violazione di legge di legge con riferimento al T.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, al regolamento edilizio comunale e alle N.T.A. del P.R.G. comunale, eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti, colpa grave, sviamento, nonché ingiustizia grave e manifesta con riferimento al basso fabbricato assentito mediante i predetti titoli edilizi, che il […] reputa non rispetti la prescritta distanza dal confine di proprietà.
5) Violazione di legge con riferimento al D.L.vo 22 gennaio 2004 n. 42, al T.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, al regolamento edilizio comunale e alle N.T.A. del P.R.G. comunale, eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti, colpa grave, sviamento, nonché ingiustizia grave e manifesta con riferimento all’art. 16 del regolamento edilizio.
Il […] contesta che l’opera si integri adeguatamente nel contesto edilizio e paesistico circostante.
6) Ulteriore violazione di legge di legge con riferimento al T.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, al regolamento edilizio comunale e alle N.T.A. del P.R.G. comunale, eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti, colpa grave, sviamento, nonché ingiustizia grave e manifesta con riferimento all’art. 16 del regolamento edilizio.
Il […] afferma che la copertura del manufatto non sarebbe coerente con quella dell’edificio principale e di quelli circostanti.
1.4. Nel procedimento di primo grado si sono costituiti sia il Comune di […], sia la […], eccependo preliminarmente l’irricevibilità e la tardività del ricorso e, in via subordinata, chiedendone la reiezione.
1.5. Con ordinanza collegiale n. 44 dd. 26 maggio 2010 la Sezione II dell’adito T.A.R. ha disposto l’effettuazione di una consulenza tecnica d’ufficio al fine di verificare:
1) se la rappresentazione dello stato di fatto dei luoghi fornita per il rilascio dei due titoli edilizi qui impugnati fosse stata conforme all’effettivo stato di fatto dei luoghi medesimi, con la prescrizione, in caso positivo, di verificare anche la lunghezza del muro di confine e se il manufatto medesimo, come progettato all’esito della variante, rispetti le altezze prescritte dagli strumenti urbanistici;
2) se il basso fabbricato, come in progetto, rispetti le prescritte distanze dal confine.
Nella medesima ordinanza il giudice di primo grado ha inoltre espressamente disposto che il consulente non considerasse invece le questioni di cui ai motivi nn. 5 e 6 con riferimento all’art. 16 comma 3 lett. a) e c) del regolamento edilizio comunale.
1.6. Con ulteriore ordinanza collegiale n. 78 dd. 22 ottobre 2010 la stessa Sezione II dell’adito T.A.R., preso atto dell’avvenuto deposito degli elaborati del consulente tecnico d’ufficio ha accordato termini a difesa alle parti, disponendo la trattazione del merito di causa alla pubblica udienza del 13 gennaio 2011.
1.7. Con sentenza n.161 dd. 11 febbraio 2011 la Sezione II dell’adito T.A.R. ha accolto il ricorso del […], annullando gli atti da lui impugnati.
Lo stesso giudice di primo grado ha integralmente compensato tra tutte le parti le spese di giudizio, nel mentre le spese della consulenza tecnica d’ufficio sono state poste a carico in solido al Comune di […] e alla […].
2.1. Con l’appello in epigrafe la […] chiede ora la riforma di tale sentenza, deducendo i seguenti motivi d’appello:
1) erroneità della sentenza impugnata per aver respinto l’eccezione preliminare di irricevibilità del ricorso proposto in primo grado;
2) erroneità della sentenza impugnata per aver respinto l’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso di primo grado per mancanza della domanda di annullamento e di genericità dei motivi;
3) erroneità della sentenza impugnata nelle statuizioni inerenti il primo motivo del ricorso proposto in primo grado;
4) perplessità ed erroneità della sentenza impugnata nelle statuizioni inerenti il secondo motivo del ricorso proposto di primo grado, con conseguente riproposizione nel presente grado di giudizio dell’eccezione di inammissibilità del motivo medesimo;
5) erroneità della sentenza impugnata nelle statuizioni inerenti il terzo motivo del ricorso proposto in primo grado;
6) erroneità della sentenza impugnata nelle statuizioni inerenti il quarto motivo del ricorso proposto in primo grado.
2.2. Si è costituito nel presente grado di giudizio il […], replicando puntualmente alle deduzioni avversarie e concludendo per la reiezione dell’appello.
2.3. Non si è, viceversa, qui costituito il Comune di […].
3. Alla pubblica udienza del 3 aprile 2012 la causa è stata trattenuta per la decisione.
4.1.1. Il Collegio deve farsi carico, innanzitutto, di disaminare il primo motivo d’appello, con il quale la […] afferma che il giudice di primo grado avrebbe erroneamente respinto l’eccezione preliminare di irricevibilità del ricorso proposto in primo grado, da lei ivi formulata.
A conforto della propria tesi la […] rileva quanto segue.
1) In data 15 febbraio 2006 è stato rilasciato il permesso di costruire n. […]/06 avente ad oggetto la realizzazione del basso fabbricato adibito ad autorimessa e il rifacimento parziale della recinzione sul confine di proprietà.
2) In data 16 ottobre 2006 il […] ha presentato al Comune un primo esposto, asserendo che si stavano realizzando interventi edilizi “in contrasto con quanto previsto e disposto dai regolamenti vigenti nel Comune di […]” e segnalando in particolare l’avvenuta “costruzione di un muro di recinzione posto sul confine tra i fondi interessati” (cfr. doc. 6 di parte appellante, riproposto dal primo grado).
3) In data 27 ottobre 2006 l’Amministrazione Comunale ha eseguito un sopralluogo, nel corso del quale è stata accertata l’avvenuta realizzazione di una “soletta in calcestruzzo” e di un muro sul confine, con “sviluppo lineare di mt 6,70” ed “altezza di circa ml. 2,25 nella parte a monte e di circa ml 3,50 nella parte a valle” (cfr. doc. 4 prodotto dal Comune nel fascicolo di primo grado).
4) In data 6 dicembre 2006 il […] e la […] hanno presentato l’anzidetta denuncia d’inizio di attività in variante all’anzidetto permesso di costruire n. [… del 2006, e hanno conseguentemente provveduto alla mera modificazione della pavimentazione dell’autorimessa ed alla riduzione dell’altezza del muro di cinta, mediante realizzazione dello stesso a gradoni.
5) In data 18 gennaio 2007 l’Amministrazione Comunale ha effettuato un nuovo sopralluogo, questa volta sul terreno di proprietà dello stesso […], il quale in tale occasione avrebbe illustrato al Responsabile dell’Ufficio Tecnico comunale “la situazione reale” venutasi a creare; il che si evincerebbe con chiarezza dal contenuto del secondo esposto presentato sempre dal […] in data 8 maggio 2007 (cfr. doc. 10 depositato dalla […] nel giudizio di primo grado), nonché dalla nota dd. 26 febbraio 2007 a firma del Difensore civico provinciale (cfr. ibidem, doc. 7), nella quale – tra l’altro – si dà espressamente atto che nel corso del sopralluogo svolto “nel gennaio 2007, su espressa richiesta dell’[…]”, il tecnico comunale aveva proceduto al rilievo di “altezze e distanze”.
6) Nell’anzidetto esposto dell’8 maggio 2007 il […] avrebbe evidenziato expressis verbis che il permesso di costruire e la successiva variante risultavano inficiati da un’errata rappresentazione “dello stato di fatto relativo alla pendenza del terreno, su cui il basso fabbricato viene costruito” e che “la situazione reale venne mostrata al responsabile dell’Ufficio Tecnico Comunale durante il sopralluogo effettuato in data 18 gennaio 2007 sul terreno di mia proprietà” (cfr. doc. 10 cit.).
Più in dettaglio il […] avrebbe affermato nel suo secondo esposto che “risultano quindi non conformi allo stato di fatto: l’affermazione che il “terreno interno risulta essere più alto di quello esterno; la quota del dislivello a valle del fabbricato riportato a progetto” “.
In dipendenza di tutto ciò, la […] afferma quindi che, riferimento alla tempestività delle censure del […], nella sentenza appellata sarebbe stata omessa qualsivoglia considerazione circa l’esistenza ed il contenuto di tale “secondo esposto”: e ciò nonostante che l’esposto medesimo sia stato ripetutamente da lei citato a comprova della tardività dell’impugnativa proposta dallo stesso […].
Comunque sia, la […] contesta pure la tesi del giudice di primo grado laddove, esprimendosi sul primo esposto dd. 16 ottobre 2006 e sul sopralluogo dd. 27 ottobre 2006, ha reputato del tutto generici e influenti gli elementi probatori addotti al fine della tardività dell’impugnazione: e ciò in quanto dall’esame del contenuto di entrambi tali documenti si trarrebbe – per contro – la prova che già nell’ottobre del 2006 il […] fosse edotto, nello specifico, dell’esistenza del muro di cinta, espressamente da lui menzionato nell’esposto e – per di più – a quel tempo già realizzato secondo il verbale di sopralluogo di pochi giorni successivo all’esposto, nonché della “soletta in calcestruzzo poggiante su pilastrini in cemento armato”, su cui avrebbe poi poggiato il basso fabbricato.
In tal senso la […] rileva che tale soletta non risulta esplicitamente menzionata nell’esposto del 16 ottobre 2006, nel mentre la sua compiuta realizzazione emergerebbe incontestabilmente dal susseguente verbale di sopralluogo dd. 27 ottobre 2010 (cfr. l’anzidetto doc. 4 prodotto dal Comune nel giudizio di primo grado).
Concludendo sul punto, la […] afferma che tutte le presunte illegittimità che il […] ha dedotto in primo grado come motivi di ricorso nn. 2, 3 e 4 e – per l’appunto – concernenti in sintesi l’altezza e il parziale rifacimento del muro di cinta, nonché la distanza dal confine del basso fabbricato, risultavano già pienamente percepite dal […] perlomeno alla data del 16 ottobre 2006, e che pertanto le illegittimità medesime sono state tardivamente da lui dedotte essendo stato il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica da lui notificato soltanto in data 22 giugno 2007, ossia ben oltre i 120 giorni contemplati al riguardo dall’art. 9, primo comma, del D.P.R. 1199 del 1971.
Per quanto attiene poi al secondo esposto dd. 8 maggio 2007 risulterebbe che perlomeno nell’ancor anteriore data del 18 gennaio 2007 (ossia in epoca ben risalente rispetto alla predetta data del 22 giugno 2007 in cui è stato notificato il ricorso straordinario) il […] avesse piena conoscenza della consistenza dei manufatti di cui si tratta, ormai completati nei loro caratteri essenziali (altezze e posizionamento del muro, posizionamento del basso fabbricato, nonché distanza dei medesimi dal confine di proprietà) e, quindi, della loro asserita illegittimità (cfr. i motivi 2, 3 e 4 del ricorso proposto in primo grado) nonché della pretesa “difformità” tra stato di fatto ed in progetto: quest’ultima segnatamente dedotta con il primo motivo del ricorso di primo grado.
In ordine alla denuncia di inizio di attività la […] rimarca inoltre che l’intervento eseguito in forza di quest’ultima consisteva nella mera modificazione della pavimentazione dell’autorimessa e nella riduzione dello spessore e dell’altezza del muro di cinta, mediante realizzazione dello stesso a gradoni (cfr. doc. 7 prodotto dal Comune in primo grado) e che pertanto, anche se si volesse considerare tempestivamente proposta la relativa impugnativa, non si potrebbe comunque porre in discussione la legittimità del basso fabbricato, nonché del suo posizionamento e di quello del muro di cinta rispetto al confine di proprietà, in quanto assentiti per effetto del predetto permesso di costruire n. 11/2006 e, in quanto tali, non resi oggetto della variante medesima.
4.1.2. Il Collegio, per parte propria, richiama innanzitutto la ben nota giurisprudenza secondo la quale, da un lato, ai fini della tempestività dell’impugnazione del titolo edilizio da parte del terzo a ciò legittimato la piena conoscenza dalla quale decorre il termine decadenziale per la proposizione dell’impugnazione medesima va riferita al momento dell’ultimazione dei lavori, ovvero al momento nel quale la costruzione realizzata riveli in modo in equivoco le caratteristiche essenziali dell’opera agli effetti della sua eventuale difformità rispetto alla disciplina urbanistico-edilizia vigente (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 18 ottobre 2011 n. 5612), fermo – altresì – restando che la prova della tardività dell’impugnazione deve essere fornita rigorosamente e incombe, secondo le regole generali, alla parte che la deduce (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 28 gennaio 2011 n. 678).
Orbene, per quanto attiene all’assunto secondo cui sin dall’esposto presentato dal […] in data 16 ottobre 2006 vi fosse da parte di questi piena percezione della lesività dell’opera autorizzata, va evidenziato che – come a ragione ha reputato il giudice di primo grado – il complessivo tenore dell’esposto medesimo (prodotto in primo grado dal Comune quale doc. 6), posto che ivi ci si riferisce ad un manufatto in costruzione, segnalando generiche possibilità di violazioni nell’edificazione di un muro di cinta, è contraddistinto da una ben evidente genericità. Rinvia sul punto parte controinteressata al doc. 4 prodotto dal Comune resistente che per altro non è l’esposto presentato dal mentre la realizzazione del basso fabbricato neppure è menzionata.
Né può assumere rilievo al medesimo riguardo il sopralluogo effettuato in data 27 ottobre 2006 da parte dell’Amministrazione Comunale, risultando al riguardo del tutto assorbente la circostanza che dal relativo processo verbale non consta sia ivi intervenuto il […]; né da parte della […] è stata fornita la prova della data in cui il medesimo […] abbia avuto materiale contezza del verbale medesimo; né va sottaciuto che, anche al di là dell’asserita circostanza che la recinzione sarebbe stata a quella data già ultimata, consta che su tale manufatto sono stati comunque poi realizzati ulteriori interventi al fine di conferire allo stesso l’anzidetta connotazione a gradoni.
Per quanto attiene invece al susseguente esposto dd. 8 maggio 2007 presentato dallo stesso […] anche in esito al nuovo sopralluogo dd. 18 gennaio 2007 disposto sempre dal Comune ma questa volta anche con la ivi documentata partecipazione del medesimo […], risulta parimenti dirimente la circostanza che le affermazioni fatte dall’attuale appellato in sede di sopralluogo circa “la situazione reale” venutasi ivi a creare implicano per certo una conoscenza dell’appellato medesimo circa la materialità di talune circostanze di mero fatto riscontrabili anche dai tecnici presenti, ma non per certo anche di quanto costituiva presupposto necessario di tali circostanze, ossia i titoli edilizi conseguiti dal […] e dalla […] e, soprattutto, gli elaborati progettuali da questi ultimi presentati per ottenere i titoli stessi.
Né, soprattutto, va sottaciuto che l’avvenuta realizzazione della soletta in calcestruzzo rilevata nello stesso sopralluogo dd. 18 gennaio 2007 ragionevolmente non era sufficiente affinchè il […] potesse ricavare l’intenzione dei propri confinanti di realizzare il predetto basso fabbricato da adibire ad autorimessa.
La lettura del secondo esposto dd. 8 maggio 2007 successivamente inviato dal […] al Comune convince in effetti che l’attuale appellato a quella data aveva maturato una compiuta conoscenza degli atti lesivi adottati nei suoi confronti, posto che l’esposto medesimo non si fonda soltanto sugli ancor vaghi elementi di fatto da lui riferiti nel corso dell’anzidetto sopralluogo dd. 18 gennaio 2007, ma su puntuali riscontri documentali, posto che nell’esposto stesso il […] testualmente afferma – tra l’altro – che “il terreno interno risulta essere più alto di quello esterno; la quota del dislivello a valle del fabbricato riportato a progetto”.
Tale conoscenza del […] risale ragionevolmente ad un’epoca collocata tra la data in cui gli è stata resa disponibile la copia del verbale del sopralluogo dd. 18 gennaio 2007 e la data dello stesso esposto: epoca che, peraltro, la […] non è in grado di indicare, non fornendo – quindi – quella prova rigorosa che la predetta giurisprudenza onera alla parte che contesta la tardività della proposizione del ricorso.
In tale contesto, pertanto, deve ragionevolmente concludersi che è provata un’esaustiva conoscenza degli atti lesivi da parte del […] soltanto alla data del’8 maggio 2007, ossia in un’epoca compatibile, per quanto attiene al dovuto rispetto del termine decadenziale, con l’avvenuta proposizione da parte dello stesso […] in data 22 giugno 2007 del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (45 giorni rispetto ai 120 previsti ex lege).
4.2. Risultano parimenti fondate le affermazioni del giudice di primo grado per quanto attiene all’eccezione di inammissibilità del ricorso proposto dal […] per mancanza della domanda o per la genericità dei motivi, “essendo chiara la domanda di tutela nonché le ragioni di doglianza” (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata).
L’eccezione è stata ora tramutata nel secondo motivo d’appello proposto dalla […] avverso la sentenza qui impugnata; motivo che – per l’appunto – non può trovare accoglimento poiché dalla complessiva lettura dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado si trae in via del tutto inequivocabile la volontà del […] di ottenere l’annullamento degli atti da lui ivi puntualmente individuati, descritti nel loro contenuto e altrettanto puntualmente da lui censurati; né la circostanza dell’uso da parte del ricorrente in qualche sua frase del modo condizionale (ad es. “il dislivello sembrerebbe molto più contenuto”), ovvero di locuzioni che esprimono una non pienamente raggiunta certezza su alcune circostanze fattuali (ad es., “secondo quanto pare risultante dalla documentazione”) può, per se stante, determinare l’inammissibilità delle relative censure in quanto formulate in via meramente dubitativa.
A tale riguardo soccorre, in via di principio, la stessa e del tutto consolidata giurisprudenza secondo la quale è inammissibile per genericità la censura da cui non si evincano specifici elementi in base ai quali sarebbero sussistenti i dedotti vizi (cfr., ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 21 febbraio 2006 n. 705), ovvero se difetta l’indicazione dei fatti essenziali che connota la posizione di colui che la deduce (cfr., ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 23 febbraio 2009 n. 1055), o – ancora – se manca l’illustrazione del pregiudizio subito dal deducente (cfr., ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 2 settembre 2003 n. 4871) e, segnatamente per le ipotesi di atti illegittimi in materia urbanistico-edilizia, se il ricorso non reca vi sia alcuna precisa individuazione dei singoli e concreti provvedimenti impugnati, degli immobili cui si riferiscono e dei destinatari di essi (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 21 novembre 1992 n. 956): fattispecie, queste, in alcun modo ravvisabili nel caso qui trattato.
4.3.1. Venendo ora alla disamina del merito dei motivi d’appello proposti dalla […], va innanzitutto evidenziato che, con riferimento al primo di essi, segnatamente relativo alla presunta non corretta rappresentazione dello stato dei luoghi negli elaborati progettuali, ad avviso della […] medesima la sentenza impugnata si dilungherebbe in una trattazione priva di linearità e comunque inficiata da evidenti errori interpretativi.
A tale riguardo la […] afferma che la differente rappresentazione dello stato dei luoghi tra gli elaborati del permesso di costruire rilasciato nel 2006 e quelli posti a corredo della denuncia d’inizio d’attività segnatamente risalente al dicembre dello stesso anno e presentata a variante del primo provvedimento risulterebbe comunque provata “per tabulas”, posto che la denuncia stessa recava una sensibile rettifica delle quote dell’area interessata dall’intervento.
Tale conclusione, secondo la prospettazione della […], risulterebbe immediatamente indotta dall’esame della tavola unica prodotta sub. doc. 4 del fascicolo di primo grado della medesima, attuale appellante e raffrontare i vari riquadri “stato di fatto – permesso di costruire” con quelli “stato di fatto – rilevato in variante”; in tal modo, sempre secondo la […], si evincerebbe pertanto che l’avvenuta presentazione della denuncia d’inizio d’attività anzidetta assolveva, tra l’altro, a tale scopo di regolarizzare le erronee rappresentazioni contenute nella documentazione posta a corredo della domanda presentata per il rilascio del permesso di costruire originario.
Se così è, quindi, ad avviso della […] sarebbe stato del tutto inutile nell’economia di causa la formulazione, da parte del giudice di primo grado, del quesito: “vericare se la rappresentazione dello stato di fatto dei luoghi fornita per il rilascio dei due titoli edilizi qui impugnati sia conforme all’effettivo stato dei luoghi medesimi”; senza sottacere – poi – che il relativo accertamento sarebbe stato comunque – a suo giudizio – impossibile, trattandosi di lavori assodatamente non ultimati e che avevano già comportato inevitabili modificazioni del piano di campagna, costituiti in particolare dall’effettuazione di scavi di fondazione per la realizzazione del basamento di sostegno al basso fabbricato e dalla realizzazione del muro a confine, così come accertati anche in sede di sopralluogo da parte del tecnico comunale (cfr. doc. 4 del fascicolo prodotto dal Comune in primo grado).
La […] rimarca inoltre che tali sue conclusioni sarebbero state condivise pure dal consulente tecnico d’ufficio, posto che questi, dopo aver provveduto al rilievo delle attuali quote di terreno, risultate ovviamente discordanti da quelle rappresentate nei due titoli edilizi impugnati, ha concluso nel senso di essere “impossibilitato a valutare per esperimento diretto la conformità della rappresentazione resa” negli elaborati grafici allegati al permesso di costruire e alla denuncia d’inizio d’attività in variante “rispetto allo stato di fatto dei luoghi” (cfr. relazione del consulente tecnico d’ufficio, pag. 10); e, soprattutto, che le conclusioni medesime risulterebbero corroborate nella loro fondatezza dalla circostanza della loro condivisione da parte del consulente dello stesso […], ossia il Geom. […] (cfr. al riguardo le pagg. 2 e 3 della relazione prodotta da quest’ultimo in sede di giudizio di primo grado).
La […] rileva, quindi, che pur a fronte di tale concordanza delle parti sul punto, il giudice di primo grado ha innanzitutto affermato che “sulla differenza” di quote tra lo “stato di fatto” considerato nel permesso di costruire e quello considerato nella denuncia d’inizio d’attività “l’espletata CTU nulla specifica” (cfr. sentenza appellata, pag. 7), peraltro appresso riferendo che il medesimo CTU “evidenzia … l’ovvia impossibilità di verificare l’andamento del terreno antecedente la realizzazione dell’opera per esperimento diretto; è ovvio infatti che, essendo lo stato dei luoghi stato modificato in esito ai lavori, impossibile risulta oggi” direttamente “analizzare lo status quo” (cfr. ibidem), con conseguente, assoluta incomprensibilità delle ragioni che lo avevano indotto a porre al CTU medesimo.
Subito dopo – afferma sempre la […] – nella sentenza impugnata si legge che la conclusione del CTU sarebbe non “del tutto condivisibile” (cfr. ibidem, pag. 8), posto che questi in buona sostanza “si limita ad attestare l’ovvia impossibilità dell’esperimento diretto, senza tenere conto delle difformità già evincibili nella documentazione di parte controinteressata, della significativa difformità dal presumibile stato di fatto ricostruito in contraddittorio, anche seguendo l’ipotesi più favorevole derivante dall’adottare le indicazioni del consulente di parte contro interessata” (cfr. ibidem).
Ad avviso della […], sebbene sia incontestabile la facoltà del giudice di disattendere le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, nella fattispecie, a fronte delle precise considerazioni di natura tecnica svolte dal proprio ausiliario, la motivazione e il percorso logico seguito dal T.A.R. risulterebbero erronei, insufficienti e comunque incoerenti.
Innanzitutto, secondo la […], il giudice non avrebbe potuto nella specie pretendere dal CTU un’astratta ricostruzione dello stato dei luoghi ante lavori, risultando questa palesemente estranea all’oggetto del quesito.
La stessa […], inoltre, censura per tutto quanto dianzi esposto l’anzidetto assunto del giudice di primo grado secondo cui il CTU non avrebbe tenuto conto “delle difformità già evincibili nella documentazione di parte controinteressata”, ossia nelle documentazioni progettuali rispettivamente allegata al permesso di costruire e alla denuncia d’inizio d’attività in variante.
Va anche rimarcato, sempre sulla scorta delle deduzioni formulate dalla […], che il giudice di primo grado ha affermato di non condividere le conclusioni formulate dal CTU in quanto questi non avrebbe tenuto conto della “significativa difformità dal presumibile stato di fatto ricostruito in contraddittorio” (cfr. sentenza appellata, pag. 8), posto – altresì –che la “ricostruzione” cui fa riferimento il giudice è quella che “ha portato alla seguente conclusione: la rappresentazione dei luoghi allegata ai titoli edilizi presentava un’indicazione di livelli di partenza significativamente più elevata di quella ricostruita” (cfr. ibidem, doc. 7): ossia, detto altrimenti, poiché le quote “ricostruite”, e cioè “rilevate” in sede di espletamento del mandato da parte del CTU (per ulteriore chiarezza: le quote dello stato “attuale” dei luoghi) sono risultate diverse tra gli elaborati rispettivamente presentati per il rilascio di tali due titoli, il T.A.R. ha tratto il convincimento della sussistenza di una difformità tra tali rappresentazioni progettuali e lo stato “originario” dei luoghi; e, viceversa, sempre secondo la […], ciò che rilevava e che avrebbe dovuto essere accertato, ai fini dell’accoglimento del primo motivo del ricorso avversario presentato in primo grado, era esclusivamente costituito dall’eventuale difformità tra lo stato originario dei luoghi e quello rappresentato nella denuncia d’inizio d’attività in variante.
Viceversa – rimarca sempre la […] – il giudice di primo grado ha disatteso le conclusioni del CTU enfatizzando l’ulteriore circostanza secondo la quale “con riferimento alla rappresentazione dello stato di fatto dell’allegato grafico al permesso di costruire, la quota altimetrica derivante da un’ipotesi di ricostruzione dell’andamento del piano di campagna ante lavori formulata in loco durante le operazioni peritali dal consulente della parte resistente, risulta diversa dalla quota ivi indicata (-124, 5 m. l’ipotesi ricostruttiva, a fronte di – 0,45 m. la quota indicata negli allegati grafici” (cfr. sentenza appellata, pag. 8).
In tal modo, quindi, secondo l’attuale appellante il giudice di primo grado avrebbe fondato illogicamente e incomprensibilmente il proprio ragionamento su di un’ “ipotesi ricostruttiva” dello stato dei luoghi “ante lavori” che riguarderebbe un solo punto quotato dell’intera area interessata dall’intervento in esame (cfr. all. 4 relazione CTU, riquadro stato di fatto rilevato in variante, punto -0,75), oltretutto posizionato al di sotto della soletta su cui poggia il basso fabbricato e dunque, di fatto, assolutamente inverificabile (cfr. pag. 2 della memoria dd. 9 dicembre 2010 prodotta in primo grado dalla […] medesima): e ciò – si badi – in assenza di qualsivoglia elemento di adeguato riscontro e senza neppure considerare, né smentire le considerazioni tecniche sviluppate dallo stesso consulente tecnico d’ufficio.

4.3.2. La […] contesta pure l’assunto contenuto a pag. 9 della sentenza impugnata, secondo il quale “con la sola eccezione dell’altezza media del muro di cinta”, i fatti accertati portano a conclusioni “complessivamente favorevoli alla tesi di parte ricorrente, ferma la circostanza che è sempre prerogativa dell’ufficio valutare ed individuare il corretto inquadramento giuridico dei fatti accertati”.
Secondo la stessa […] dall’assunto medesimo non risulterebbe innanzitutto chiaro se il T.A.R. ha con ciò inteso accogliere o meno il primo motivo del ricorso ivi proposto e con il quale il […] aveva dedotto la falsa rappresentazione dello stato di fatto nell’elaborato progettuale prodotto a corredo della domanda di rilascio del permesso di costruire.
Tale dubbio – sempre secondo la stessa […] – sorgerebbe in quanto il T.A.R., dopo aver formulato l’assunto surriportato ha proceduto quasi senza soluzione di continuità e in assenza di ulteriori specifiche conclusioni, all’esame delle censure contenute nel terzo e nel quarto motivo di ricorso, accogliendole (cfr. pag. 12 della sentenza impugnata).
La […] in tal senso evidenzia che, ove con tale assunto il giudice di primo grado avesse inteso accogliere il primo motivo del ricorso proposto dal […], comunque reputa che dal fraseggio utilizzato dal giudice medesimo e da lei testualmente reputato “criptico” non sarebbe dato di comprendere quali vizi ineriscano concretamente agli atti impugnati e quali effetti concreti ne derivino, soprattutto considerando che nella sentenza stessa si dispone testualmente l’annullamento dei medesimi atti “nei sensi e nei limiti di cui in motivazione” (cfr. pag. 14 della sentenza impugnata): ossia, ad avviso dell’appellante medesima, il T.A.R .non avrebbe chiarito se la “significativa difformità” asseritamente riscontrata si traduca – o meno – in un difetto di istruttoria (censura, questa, che l’appellante reputa non dedotta in primo grado dal […]) destinato a travolgere interamente permesso di costruire e la denuncia d’inizio d’attività in variante o se, invece, comporti, in accoglimento del secondo motivo, la violazione delle norme edilizie comunali in materia di altezza dei manufatti.
La […] non sottace, poi, che tale incertezza comunque riverbera i propri effetti su coloro ai quali i titoli edilizi sono stati rilasciati, e ciò per le ben diverse conseguenze ne deriverebbero in sede di adeguamento alla sentenza, posto che nella prima ipotesi entrambi i manufatti (basso fabbricato e muro a confine) risulterebbero in toto illegittimi e perciò da abbattere, nel mentre nella seconda ipotesi i manufatti medesimi dovrebbero – al più – essere ridotti in altezza.
In dipendenza di ciò, la […] reputa che una sentenza perplessa su un punto indubitabilmente nodale della vertenza insorta dovrebbe essere senza dubbio riformata.
4.3.3. La […] reputa parimenti “indecifrabile” la statuizione resa dal T.A.R. in ordine al secondo motivo del ricorso proposto dal […], concernente l’altezza del muro di cinta, laddove testualmente afferma che l’ “altezza media del muro di cinta” fa “eccezione” alle conclusioni “complessivamente favorevoli” alla parte ricorrente in primo grado (cfr. sempre a pag. 9 la sentenza impugnata).
L’attuale appellante censura la perplessità della sentenza impugnata anche su questo punto, evidenziando che in tal modo il giudice investito della decisione della causa ha lasciato alle parti un ben ampio margine di incertezza nell’interpretazione del contenuto della sentenza stessa.
La […], tuttavia, afferma che il tenore letterale della sentenza parrebbe deporre per la reiezione del motivo; ma, ad ogni buon fine, ove si reputasse il motivo accolto, ripropone espressamente al riguardo, a’ sensi e per gli effetti dell’art. 101, comma 2, cod. proc. amm. l’eccezione di inammissibilità per carenza di interesse, già da lei dedotta nella propria memoria prodotta innanzi al T.A.R. in data 6 maggio 2010 ma non disaminata dal giudice di primo grado.
In tal senso la […] rileva che la denuncia d’inizio di attività in variante poteva essere impugnata dal […] soltanto nella misura in cui avesse avuto ad oggetto opere “nuove e diverse” rispetto a quelle già assentite con il permesso di costruire n. 11 del 2006, e che per effetto della variante medesima si intendevano regolarizzare soltanto le difformità riscontrate nel corso del sopralluogo in data 27 ottobre 2006, ossia l’altezza della recinzione a confine già del resto completamente realizzata nell’ottobre 2006 (cfr. doc.ti 6,7 e 8 prodotti dal Comune in primo grado), contestualmente ampliando da metri 6,60 a metri 6,80 l’estensione lineare del manufatto: e, pertanto, sempre secondo la […], poiché la censura formulata in primo grado dal […] non riguarda l’aumentata estensione del muro di cinta, ma soltanto l’asseritamente eccessiva sua altezza del medesimo, ne discenderebbe il difetto di interesse del […] medesimo a tale deduzione.
L’attuale appellante evidenziare pure che il raffronto tra lo “schema di recinzione a gradoni in variante” della tavola unica allegata alla denuncia d’inizio di attività (altezza 2,25 e 2,75; 225+50) e i conteggi esposti nella “planimetria stato finale” della Tavola unica allegata al permesso di costruire precedentemente rilasciato (altezza 2,30 e 2,75), evidenzierebbe la sostanziale identità delle altezze massime del muro in questione: circostanza, questa, che consentirebbe di affermare anche sotto questo ulteriore profilo l’inammissibilità del secondo motivo di ricorso dedotto dal […] innanzi al T.A.R.
In ulteriore subordine la […] conclude per la reiezione nel merito del motivo in esame in quanto – a suo dire, nonché secondo lo stesso consulente tecnico d’ufficio – l’altezza media del muro di cinta risulterebbe inferiore, nella sua ultima configurazione “a gradoni” , al limite di metri 2,50 contemplato dalla disciplina contenuta nel regolamento edilizio comunale.
Giova a tale scopo evidenziare che il consulente tecnico d’ufficio, […] ha innanzitutto dato atto in tal senso delle misurazioni effettuate sia dal lato della proprietà […], sia dal lato della proprietà […], riportando i relativi dati nell’all. 4 della propria relazione (segnatamente, i rilievi riferiti al lato della proprietà […] sono contenuti nella “sezione A-A” dell’allegato anzidetto, nel mentre i rilievi riferiti al lato della proprietà […] nel sottostante “prospetto nord-muro”).
Le altezze riferite al lato della proprietà […] risultano sensibilmente più elevate delle prime in considerazione del dislivello esistente tra i due terreni a confine, chiaramente rappresentato negli schemi grafici contenuti sempre negli elaborati del consulente tecnico d’ufficio mediante due linee di diverso colore, individuanti, rispettivamente, il profilo del terreno della proprietà […] (linea “profilo terreno come da Dia variante impugnata’) e quello della proprietà ricorrente (linea “piano di campagna proprietà […]”’).
Il […] ha recepito l’osservazione formulata dal consulente della […], Geom. […], in ordine all’art. 52, comma 3, del regolamento edilizio comunale, laddove impone di misurare l’altezza dei muri di cinta “dal piano del terreno naturale più alto tra quello interno e quello esterno alla recinzione” e, sulla base di ciò, ha quindi individuato tale terreno in quello di proprietà […].
Il Geom. […] ha quindi constatato “che il terreno naturale, nel tratto a monte del muro, è più in alto dal lato di proprietà” […], e poi ha disaminato gli elaborati grafici progettuali allegati ai titoli edilizi impugnati, nei quali è rappresentato sia l’andamento del piano naturale del terreno della proprietà […] così come risultante prima dell’inizio dei lavori (cfr. ivi, linea tratteggiata di colore magenta), sia l’attuale piano di campagna della proprietà […] (evidenziata a sua volta da una linea collocata al di sotto della prima).
Secondo i calcoli del Geom. […] dal lato della proprietà […] l’altezza media corrisponderebbe a quello indicato nell’elaborato progettuale allegato alla denuncia d’inizio di attività, e in tal senso a pag. 11 della consulenza tecnica d’ufficio si legge infatti che “l’altezza media dei gradoni del muro, verificata nell’elaborato grafico allegato alla DIA in variante a partire dalla linea di cui sopra, risulterebbe inferiore al limite di metri 2,50 fissato dal vigente regolamento edilizio di […]”.
4.3.4. L’attuale appellante evidenzia quindi che il giudice di primo grado ha per certo accolto il terzo ordine di censure ivi dedotto dal […], posto che nella sentenza impugnata si legge che questi“ha lamentato che l’opera licenziata non costituisce “basso fabbricato” posto a distanza regolamentare del confine (pacificamente prescritta in mt 1,50 dal confine) bensì un finale “manufatto” costruito a confine. L’assunto è corretto e trova conforto negli accertamenti del consulente tecnico” (cfr. sempre pag.9 della sentenza impugnata); conclusione, questa, raggiunta dallo stesso giudice rilevando che il fabbricato di cui trattasi sul lato nord, segnatamente prospettante la proprietà del […], “effettivamente crea con una serie di artifici (copertura, basamento, lato tamponabile e accostamento al muro di cinta, nonchè porzione di muro di cinta stesso) un unico corpo di fabbrica non rispettoso delle prescritte distanze” (cfr. pag. 12 della sentenza appellata pag. 12): ossia – secondo quanto a sua volta sostenuto dalla […] nel presente grado di giudizio – nella sostanza affermando in modo assolutamente travisante che il fabbricato anzidetto risulterebbe invero nelle sue diverse porzioni pienamente rispettoso della disciplina regolamentare di fonte comunale: ma ciò soltanto per effetto di una serie di “espedienti” utilizzati in violazione delle norme dettate in tema di distanze tra gli edifici.
A tale riguardo la […] innanzitutto evidenzia che l’art.16 del Regolamento edilizio comunale, intitolato “Distanza, tra le costruzioni D, della costruzione dal confine (DC), della costruzione dal ciglio o dal confine stradale (DS)” dispone quanto segue:
“1. Le distanze di cui al titolo del presente articolo sono misurate in metri (m) e riferite al filo di fabbricazione della costruzione.
2. Il filo di fabbricazione, ai fini della presente norma, è dato dal perimetro esterno delle pareti della costruzione, con esclusione degli elementi decorativi, dei cornicioni, delle pensiline, dei balconi e delle altre analoghe opere aggettanti per non più di 1,50 m.”.
Secondo la medesima […] nella disciplina testè riportata – non impugnata dal […] – ciò che rileva ai fini del conteggio che qui interessa sarebbe soltanto “il filo di fabbricazione” identificato dal “perimetro esterno delle pareti della costruzione”, dovendosi poi rimarcare che proprio allo stesso art. 16 ha fatto riferimento lo stesso Geom. […] laddove afferma che “la distanza del basso fabbricato dal confine di proprietà … a partire dal tamponamento perimetrale lato nord ….. risulta pari a 1, 70 metri” (cfr. pag. 12 della consulenza tecnica d’ufficio).
In conseguenza di ciò, secondo la […] risulterebbe nella specie pienamente rispettato l’art.5 delle N.T.A. del P.R.G., in forza del quale i bassi fabbricati devono distare dal confine almeno 1,50 metri; e, pertanto, nessuna misurazione della distanza della falda aggettante rispetto al confine di proprietà, del “portone … mobile …. aperto verso l’esterno” o del “basamento” (cfr. sempre a pag. 9 la sentenza impugnata) potrebbe rilevare ai fini che qui interessano.
L’attuale appellante ritiene, in dipendenza di tutto ciò, che il giudice di primo grado abbia disatteso il pur chiarissimo significato del surriportato art. 16 del Regolamento edilizio comunale, eludendo la rilevanza che esso, ai fini della misurazione delle distanze, assegna esclusivamente al perimetro esterno delle pareti perimetrali.
In ogni caso, sempre ad avviso della […], le argomentazioni su cui si regge la sentenza appellata altro non sarebbero che frutto di un vero e proprio “processo alle intenzioni” , per supportare il quale sarebbero state completamente disattese le norme di riferimento e le stesse risultanze della consulenza tecnica d’ufficio.
A tale riguardo, con articolata esposizione, l’appellante prende innanzitutto in esame, separatamente e nell’ordine seguito nella medesima sentenza impugnata ( “copertura, basamento, lato tamponabile e accostamento al muro di cinta, nonchè porzione di muro di cinta stesso”: cfr. ivi, pag. 12) le varie porzioni del manufatto considerate unitariamente dal giudice di primo grado al fine di avvalorare la tesi dell’esistenza, nella specie, di “un unico corpo di fabbrica non rispettoso delle distanze”.
a) Copertura. Il basso fabbricato in questione ha un manto di copertura a due falde. Sul lato nord – come già detto prospiciente il confine di proprietà – tale copertura aggetta, come del resto riconosciuto anche dal giudice di primo grado, per meno di metri 1,50 (cfr. pag. 11 della sentenza appellata): e poiché, a’ sensi dell’art.16 del Regolamento edilizio comunale non rilevano ai fini delle distanze i “cornicioni”, le “pensiline” e, più in generale, “analoghe opere aggettanti” per non più di 1,50 m, la […] reputa che la falda in questione sia stata realizzata in via del tutto legittima; e la circostanza per cui la stessa si protenda sino “a circa il filo del paramento …del muro di cinta” (cfr. pag. 10 della sentenza appellata), ovvero l’ulteriore circostanza per cui essa risulti “maggiore” sul lato nord rispetto ai restanti lati (cfr. ibidem, pag. 11), non potrebbero – per se stanti – determinare l’irregolarità di tale costruzione, posto che sul lato nord la stessa è dotata di un ingresso, e che l’anzidetto sporto risulterebbe soltanto destinato a regolarmente costituire protezione del corpo edificato.
b) Basamento. La […] precisa, innanzitutto – sulla scorta di quanto affermato anche dal con sulente tecnico d’ufficio – che l’andamento del terreno su cui sorge il “basso fabbricato” è in pendenza “con andamento da ovest verso est” (cfr. pag. 6 della relazione del consulente tecnico d’ufficio) e risulta caratterizzato da una conformazione irregolare “a cumuli e affossamenti diffusi, di limitata ampiezza e molto ravvicinati” (cfr. ibidem, pag. 10), e che in dipendenza di ciò tale costruzione non poteva che essere realizzata su di un “basamento”, per l’appunto destinato a rendere pianeggiante il sedime.
Nella stessa sentenza si legge, a pag. 11, che la circostanza per cui tale “basamento” prosegua “sino al filo del muro” non costituisce un’anomalia costruttiva ma deriva dalla necessità di realizzare un “camminamento” idoneo a consentire l’accesso all’autorimessa anche dal retro, ossia dal lato nord (cfr. ibidem, pag. 11).
L’ulteriore circostanza, particolarmente rimarcata dal giudice di primo grado, secondo cui il “basamento” medesimo, al contrario di quanto avviene sul lato nord, “non si prolunga al di là del muro perimetrale” sul contrapposto lato verso l’abitazione della medesima […] (cfr. ibidem) sarebbe, ad avviso dell’appellante medesima, del tutto priva di consistenza essendo smentita dalla semplice visione, anche soltanto fotografica, dei luoghi.
A tale riguardo la […] rimarca che la fotografia n.2 allegata alla consulenza tecnica d’ufficio e richiamata nella sentenza a fondamento della tesi ivi accolta non riguarderebbe affatto il lato prospettante la sua proprietà, ma il lato opposto del basso fabbricato, fronteggiante la proprietà del […].
Il lato volto verso la proprietà dell’appellante medesimo sarebbe invece rappresentato dalla fotografia n.7: e dall’esame di quest’ultima risulterebbe che su tale fronte il terreno sarebbe sostanzialmente pianeggiante, dimodochè non sarebbe necessario prolungare la soletta di cui trattasi; circostanza, questa, ulteriormente confermata ad avviso della […] dalla seconda fotografia da lei prodotta quale suo doc. 3 nel fascicolo di primo grado, nella quale è rappresentato il “basso fabbricato”, all’interno del quale si scorge parcheggiato un camper.
La […] evidenzia che anche in questo caso risulterebbe ben evidente che il terreno antistante sarebbe privo di pendenza: e ciò a differenza della situazione verso valle (lato est) e verso la proprietà […] (lato nord), laddove – per l’appunto – si giustificherebbe, proprio per l’andamento in decisa pendenza del terreno su tali lati, il prolungamento della soletta in direzione nord.
c) Portone. Secondo il giudice di primo grado la possibilità di apertura del portone posto sul lato nord avrebbe l’effetto “di costituire esattamente un prolungamento dei lati” del basso fabbricato (cfr. pag. 11 della sentenza impugnata), con conseguente violazione anche sotto tale profilo della disciplina vigente in tema di distanze.
Tale assunto è decisamente contestato dalla […], innanzitutto sulla scorta del rilievo per cui il T.A.R. sarebbe pervenuto a tale conclusione senza che agli atti di causa vi sia una sola rappresentazione grafica o fotografica dell’apertura del portone stesso.
Verosimilmente, ad avviso della stessa […], il giudice di primo grado fonderebbe il proprio convincimento estrapolando dalla relazione del consulente tecnico d’ufficio una frase contenuta nel § 4, “Individuazione e descrizione dei luoghi”, senza peraltro tener in alcun conto delle ben più rilevanti e conferenti affermazioni riportate al § 5.3 del medesimo elaborato, con le quali si è concluso per il rispetto delle distanze tra basso fabbricato e confine.
Inoltre la […] rimarca che dall’esame della predetta fotografia da lei prodotta quale suo doc. 3 nel fascicolo di primo grado, nonché delle fotografie presenti quali allegati 9 e 11 alla relazione del consulente tecnico d’ufficio consterebbe che sul lato verso nord i tamponamenti laterali del basso fabbricato non presenterebbero “prolungamenti” di sorta e risulterebbero nettamente separati e a se stanti rispetto al muro di cinta; e in tale contesto, pertanto, non sarebbe dato di comprendere come l’apertura di una porta, necessariamente occasionale e temporanea, possa determinare una violazione della disciplina sulle distanze, la quale – come è ben noto è deputata ad impedire il crearsi di intercapedini dannose tra proprietà frontistanti tra loro.
La […] ritiene – altresì – parimenti incomprensibile l’affermazione che le ante di un portone, in occasione della loro apertura, possano costituire un “collegamento” tra tetto e pavimentazione suscettibile di “proiettare” nello spazio antistante il perimetro del basso fabbricato, con conseguente violazione dell’anzidetta disciplina in tema di distanze; e ciò, senza sottacere che la tesi fatta propria dal giudice di primo grado, presupponendo che il collegamento tra falda del tetto e basamento venga realizzato dall’apertura delle ante del portone, non chiarirebbe minimamente cosa avvenga in occasione della chiusura delle ante stesse e come possa continuare ragionevolmente a sostenersi la tesi “dell’unico corpo di fabbrica” in mancanza di “prolungamento” dei muri perimetrali.
c) Muro a confine. La […] rimarca che il consulente tecnico d’ufficio ha considerato tale manufatto del tutto conforme alle previsioni urbanistiche per quanto attiene all’altezza.
In dipendenza di tutto ciò, la […] reputa del tutto evidente che le singole porzioni di fabbricato prese in considerazione dalla sentenza appellata siano – a differenza di quanto ivi si legge – tutte pienamente legittime e conformi alle norme loro applicabili; come confermato, del resto, anche dallo stesso consulente tecnico d’ufficio, anche laddove afferma che la distanza del “basso fabbricato” dal confine di proprietà sul “lato nord … risulta pari a 1,70 metri” (cfr. relazione del consulente tecnico d’ufficio, pag.12).
La […] contesta anche le restanti argomentazioni poste dal giudice di primo grado a sostegno della sentenza impugnata e consistenti nell’assunto per cui “a tutto voler concedere la parte costituita dal basamento e copertura integra una tettoia” e che non sarebbe “seriamente sostenibile … che il prolungamento del basamento sul lato nord della struttura sia funzionale a creare un accesso dal retro” (cfr. ivi, pag. 12), stante il fatto che “dal contrapposto lato (da cui certamente si accede)” non è stato realizzato alcun prolungamento del basamento e che si tratterebbe di una “peculiarità …. rendere particolarmente accessibile il lato che non presenta alcun possibile margine di manovra” (cfr. ibidem).
La […] afferma a tale riguardo che non sarebbe dato di comprendere in base a quali ragionevoli elementi il giudice di primo grado abbia “trasformato” lo sporto aggettante della falda del tetto e il sottostante basamento in una “tettoia”, posto che può definirsi “tettoia” soltanto un manufatto con una propria autonomia realizzativa e funzionale, nella specie insussistente.
Secondo l’attuale appellante, ove si seguisse la tesi del T.A.R. si perverrebbe alla ben illogica conclusione per cui in ogni caso in cui il tetto di un fabbricato non sia realizzato a filo del muro perimetrale ed il muro perimetrale stesso non confini direttamente col terreno (ad esempio nel caso di un marciapiede contornante il fabbricato), ci si troverebbe in presenza, appunto, di una “tettoia”.
Inoltre, l’attuale appellante reputa tutto incomprensibile il motivo per cui non sarebbe “seriamente sostenibile” che il prolungamento dell’anzidetto “basamento” sul lato nord sia funzionale alla creazione di un accesso dal retro.
Detto altrimenti, secondo la tesi del T.A.R. non sarebbe concepibile che un “basso fabbricato” destinato ad autorimessa sia accessibile su due lati: e, denota sempre la […], anche a voler tacere della circostanza che non sussiste alcuna norma che impedisce al privato di adottare una tale soluzione costruttiva, riswulterebbe del tutto evidente che nella fattispecie, per la stessa configurazione dei luoghi, l’accesso sul lato nord è unicamente pedonale e destinato a facilitare l’ingresso al basso fabbricato da tergo, nel momento in cui nel medesimo sia ricoverato un automezzo.
Per quanto concerne, infine, la circostanza che analogo “basamento” non sarebbe rinvenibile sul lato del fabbricato fronteggiante l’abitazione dell’attuale appellante, quest’ultima ribadisce che si tratterebbe di soluzione costruttiva da ricondursi all’andamento del terreno sostanzialmente pianeggiante su tale fronte.
4.3.5. La […] contesta, da ultimo, l’avvenuto accoglimento da parte del T.A.R. del quarto motivo di ricorso dedotto in primo grado dal […], segnatamente ritenendo che il muro realizzato a confine, per la sua limitata estensione non possa svolgere “alcuna funzione di chiusura, ancorchè parziale del fondo”, oltretutto non armonizzandosi “con la parte contigua” di recinzione (cfr. pag. 13 della sentenza appellata).
L’appellante, a tale riguardo, innanzitutto afferma che sebbene il muro in questione abbia incontestabilmente sviluppo lineare limitato ad una porzione del confine, nessuna norma impedirebbe una protezione della proprietà effettuata, in parte, mediante manufatti in muratura, in parte mediante griglie metalliche.
Inoltre la […] afferma che, nella fattispecie, il muro medesimo costituirebbe una porzione della recinzione che, complessivamente considerata e al contrario di quanto ritenuto dal giudice di primo grado, “chiude” integralmente e non solo in parte la sua proprietà […] sul lato nord.
Per ciò che concerne poi la presunta violazione dell’art. 52 del Regolamento edilizio (erroneamente individuato in sentenza come norma tecnica di attuazione del P.R.G.), che impone che le recinzioni debbano “armonizzarsi” con quelle contigue, ad avviso della medesima appellante si tratterebbe di vizio non dedotto dal ricorrente in primo grado, e quindi censura del tutto estranea alla materia del contendere e non utilizzabile dal giudice al fine di delibare l’illegittimità degli atti impugnati.
Né andrebbe sottaciuto – sempre secondo la […] – che, anche a voler accedere alla tesi del T.A.R., volta a non considerare il muro di cui trattasi quale recinzione, l’eventuale realizzazione di un muro isolato non è di per sé vietata, in assenza di prescrizioni particolari sul punto (e nella specie, per l’appunto, inesistenti).
La […] rileva pure che l’art. 878 cod. civ., trattando delle distanze legali, stabilisce che i muri dì cinta o isolati di altezza non superiore a 3 metri non rilevano a tali fini, confermando con ciò la possibilità di realizzazione di muri, quali quello di specie; e che, come si ricava dalla relazione del consulente tecnico d’ufficio, l’altezza media del muro di cui trattasi non supera tale altezza, né sul lato della proprietà del […], caratterizzato da un andamento naturale del terreno a quota inferiore rispetto a quello della proprietà dell’appellante medesima, né sul lato di proprietà di quest’ultima (cfr. relazione cit., § 5.2, pag. 10).
4.4.1. Tutto ciò premesso, il ricorso della […] non può trovare accoglimento, per tutto quanto qui appresso specificato.
4.4.2. In estrema sintesi, il […] ha dedotto in primo grado: che la rappresentazione del livello del terreno nei progetti posti alla base dei titoli edilizi ottenuti dalla […] e dal […] non raffiguri il reale stato di fatto dei luoghi prima dell’intervento; che il terreno su cui insiste il fabbricato adibito a garage era particolarmente scosceso, con la conseguenza che l’intervento (o, più esattamente, l’intervento così come complessivamente assentito mediante i due titoli edilizi anzidetti) ha richiesto un’opera di livellamento e di sostegno; e che la falsa rappresentazione dello stato dei luoghi avrebbe tuttavia comportato la progettazione di un muro, valutato dal piano di campagna come eccessivamente alto rispetto a quanto consentito dalla disciplina urbanistico-edilizia ivi vigente.
4.4.3. Orbene, per quanto attiene alla corretta rappresentazione dei luoghi prima dell’intervento, si è visto innanzi (cfr. § 4.3.1. della presente sentenza) che la […] ha strutturato il proprio appello sul punto affermando che la differente rappresentazione dello stato dei luoghi tra gli elaborati del permesso di costruire rilasciato nel 2006 e quelli posti a corredo della denuncia d’inizio d’attività risulterebbe comunque provata “per tabulas”, posto che la denuncia stessa recava una sensibile rettifica delle quote dell’area interessata dall’intervento; inoltre – sempre a suo dire – il mancato responso da parte del consulente tecnico al quesito a lui proposto al riguardo dal giudice di primo grado ( “verificare se la rappresentazione dello stato di fatto dei luoghi fornita per il rilascio dei due titoli edilizi qui impugnati sia conforme all’effettivo stato dei luoghi medesimi”) deriverebbe in buona sostanza dalla stessa inconferenza del quesito stesso rispetto al tema del decidere, essendo semmai del tutto scontato che la denuncia di inizio di attività in variante è stata presentata proprio per sovvenire alle inesatte rappresentazioni dello stato dei luoghi contenute negli elaborati progettuali presentati a corredo della domanda di rilascio dell’originario permesso di costruire.
In effetti, si è visto innanzi (cfr. sempre il § 4.3.1. della presente sentenza) che il consulente tecnico d’ufficio, dopo aver provveduto al rilievo delle attuali quote di terreno, risultate discordanti da quelle rappresentate nei due titoli edilizi impugnati, ha concluso nel senso di essere “impossibilitato a valutare per esperimento diretto la conformità della rappresentazione resa” negli elaborati grafici allegati al permesso di costruire e alla denuncia d’inizio d’attività in variante “rispetto allo stato di fatto dei luoghi” (cfr. relazione del consulente tecnico d’ufficio, pag. 10).
La stessa […], tuttavia, nel proprio atto d’appello afferma che ciò che rilevava e che avrebbe dovuto essere accertato, ai fini dell’accoglimento del primo motivo del ricorso presentato dal […] in primo grado, era esclusivamente costituito dall’eventuale difformità tra lo stato originario dei luoghi e quello rappresentato nella denuncia d’inizio d’attività in variante (cfr. sempre al riguardo il § 4.3.1. della presente sentenza) e che – nondimeno – il giudice di primo grado ha disatteso le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio enfatizzando l’ulteriore circostanza secondo la quale “con riferimento alla rappresentazione dello stato di fatto dell’allegato grafico al permesso di costruire, la quota altimetrica derivante da un’ipotesi di ricostruzione dell’andamento del piano di campagna “ante lavori” formulata in loco durante le operazioni peritali dal consulente della parte resistente, risulta diversa dalla quota ivi indicata (-124, 5 m. l’ipotesi ricostruttiva, a fronte di – 0,45 m. la quota indicata negli allegati grafici)” (cfr. sentenza appellata, pag. 8).
Questa “enfatizzazione” non viene peraltro smentita nella sua materialità dalla […], ma – per così dire – “attenuata” circa la complessiva affidabilità del relativo dato, il quale riguarderebbe a suo dire un solo punto quotato dell’intera area interessata dall’intervento in esame e oltretutto posizionato al di sotto della soletta su cui poggia il “basso fabbricato” , rendendo pertanto ancora una volta – sempre secondo l’attuale appellante, e utilizzando al riguardo anche l’assunto anzidetto del consulente tecnico d’ufficio – assolutamente inverificabile “per esperimento diretto la conformità della rappresentazione resa”.
Volendo essere rigorosi, di per sé neppure è corretta l’affermazione del giudice di primo grado secondo la quale “sulla differenza” di quote tra lo “stato di fatto” considerato nel permesso di costruire e quello considerato nella denuncia d’inizio d’attività “l’espletata CTU nulla specifica” (cfr. sentenza appellata, pag. 7).
Si legge infatti a pag. 9 della relazione stilata dal consulente tecnico d’ufficio che “con riferimento alla planimetria rappresentativa dello stato di fatto di cui all’elaborato grafico della DIA variante impugnata si riscontra che la quota altimetrica rilevata al punto 7 (meno 1,74,5 cm) risulta diversa dalla quota ivi indicata (meno 0,75, ovvero meno 75 cm.)”.
Consta quindi che, anche al di là di quanto autonomamente rilevato dallo stesso giudice di primo grado sulla scorta degli atti di causa, il consulente tecnico d’ufficio ha in effetti acclarato che sussiste una differenza di un metro circa tra la quota indicata negli elaborati progettuali presentati a corredo della denuncia d’inizio di attività e la quota ora materialmente esistente dopo i lavori: ossia proprio quanto la stessa […] afferma rilevante ai fini del decidere.
Questa particolare circostanza, peraltro, non è espressamente considerata nella sentenza di primo grado; anche se va soggiunto che nella sentenza impugnata si afferma testualmente che dall’insieme dei rilievi assunti dal consulente tecnico d’ufficio consta che, in genere, “la rappresentazione dei luoghi allegata ai titoli edilizi presentava un’indicazione di livelli di partenza significativamente più elevata di quella ricostruita” (cfr. ivi, pag. 9), dando quindi per scontata l’avvenuta rilevazione, da parte del consulente tecnico d’ufficio, di una mancata corrispondenza tra il piano di campagna così come sussistente prima dei lavori e quello rappresentato negli elaborati presentati a corredo delle due pratiche edilizie.
Le due sopradescritte difformità, l’una direttamente colta dal giudice di primo grado e riferita all’originario permesso di costruire, e l’altra comunque descritta dallo stesso consulente tecnico d’ufficio, riferita alla denuncia d’inizio di attività e ragionevolmente considerata dal giudice di primo grado “en bloc” assieme a tutte le altre indicazioni dei livelli di partenza “significativamente più elevata di quella ricostruita”,costituiscono pertanto comprova della fondatezza del primo ordine di censure proposto innanzi al T.A.R. dal […].
Come si è peraltro visto al § 4.3.2. della presente sentenza, la […] , nel contestare l’assunto contenuto sempre a pag. 9 della sentenza impugnata, secondo il quale “con la sola eccezione dell’altezza media del muro di cinta”, i fatti accertati portano a conclusioni “complessivamente favorevoli alla tesi di parte ricorrente, ferma la circostanza che è sempre prerogativa dell’ufficio valutare ed individuare il corretto inquadramento giuridico dei fatti accertati”, ha evidenziato la ben scarsa chiarezza di tale assunto, affermando che con ciò il giudice di primo grado non avrebbe esplicitato se ha inteso accogliere o meno il primo motivo del ricorso ivi proposto laddove il […] aveva dedotto la falsa rappresentazione dello stato di fatto nell’elaborato progettuale prodotto a corredo della domanda di rilascio del permesso di costruire.
Tale dubbio – sempre secondo la stessa […] – sorgerebbe in quanto il T.A.R., dopo aver formu-lato l’assunto surriportato ha proceduto quasi senza soluzione di continuità e in assenza di ulteriori specifiche conclusioni, all’esame delle censure contenute nel terzo e nel quarto motivo di ricorso, accogliendole (cfr. pag. 12 della sentenza impugnata); e, soprattutto, l’ambiguità del surriportato assunto impedirebbe di acclarare se il giudice di primo grado ha inteso disporre l’integrale annullamento sia del permesso di costruire, sia della denuncia d’inizio d’attività in variante o se, invece, in accoglimento del secondo motivo, abbia accertato soltanto la violazione delle norme edilizie comunali in materia di altezza dei manufatti, con la sola conseguenza della necessità della loro riconduzione ai limiti al riguardo previsti.
Questo Collegio, per parte propria, evidenzia che l’assunto “ferma la circostanza che è sempre prerogativa dell’ufficio valutare ed individuare il corretto inquadramento giuridico dei fatti accertati”, altro non significa che, essendo state comunque rilevate dall’esame degli elaborati del consulente tecnico d’ufficio discrepanze riconducibili alle censure dedotte dal […], è compito dell’Amministrazione Comunale valutarne la consistenza ai fini della sanzione da applicare: dimodochè, sul punto, l’accoglimento del ricorso di primo grado sostanzia un mero rinvio alla conseguente attività dell’Amministrazione medesima ai fini dell’irrogazione di eventuali sanzioni, non presupponesti peraltro la violazione delle altezze ma – per l’appunto – la non corretta rappresentazione dello stato di fatto del terreno; variazione che, salvo diverso avviso dell’Amministrazione stessa e in assenza di ulteriori e differenti risultanze, ragionevolmente potrebbe configurarsi quale intervento realizzato in parziale difformità ai titoli edilizi, con conseguente applicazione al riguardo delle sanzioni pecuniarie contemplate al riguardo dal T.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 e successive modifiche.
4.4.4. Si è visto innanzi che la […], nel proprio atto d’appello, ha definito “indecifrabile” la statuizione resa dal T.A.R. in ordine al secondo motivo del ricorso proposto dal […], concernente l’altezza del muro di cinta, laddove testualmente afferma che l’ “altezza media del muro di cinta” fa “eccezione” alle conclusioni “complessivamente favorevoli” alla parte ricorrente in primo grado (cfr. sempre a pag. 9 la sentenza impugnata).
In realtà, la relativa censura dedotta in primo grado è stata con ciò all’evidenza respinta dal giudice di primo grado, il quale pertanto relativamente alle censure sull’altezza del muro di cinta dedotte dal […] ha reputato di non accoglierle, facendo per l’appunto con ciò “eccezione” rispetto al primo, terzo e quarto ordine di censure che sono state viceversa accolti.
Va denotato che sul punto lo stesso […] concorda, affermando testualmente al riguardo che la censura stessa risulta assorbita dall’accoglimento delle altre da lui dedotte (cfr. pag. 14 della memoria di parte appellata dd. 2 marzo 2012); né, del resto, lo stesso […] ha presentato appello su tale capo della sentenza di primo grado sul quale è risultato soccombente, ma si è limitato per mera completezza espositiva a riproporre al riguardo le proprie deduzioni già illustrate innanzi al T.A.R.
E’ evidente, peraltro, che su queste ultime non può dispiegarsi l’effetto devolutivo dell’appello, e che quindi la statuizione resa sul punto dal giudice di primo grado risulta inoppugnabile.
4.4.5. Con il terzo motivo di ricorso dedotto in primo grado il […] ha dedotto che il “basso fabbricato” realizzato dal […] e dalla […] mediante i predetti titoli edilizi non rispetterebbe la distanza dal confine di proprietà contemplata dalla disciplina di fonte comunale; ossia – detto altrimenti – che tale edilità non costituirebbe un “basso fabbricato” posto alla distanza regolamentare di metri 1,50 dal confine, ma un finale “manufatto” costruito a confine.
Il motivo stesso è stato accolto dal giudice di primo grado sulla base dei rilievi formulati al riguardo dal consulente tecnico d’ufficio.
Nella sentenza impugnata si richiama innanzitutto la descrizione del lato nord del fabbricato in questione, frontistante il confine con la proprietà del […], laddove si legge che “il portone posto sul lato nord, essendo mobile può essere aperto verso l’esterno, ovvero verso nord, in modo da poter costituire un prolungamento del tamponamento dei lati lunghi”, e che “la copertura del basso fabbricato è aggettante su tutti e quattro i lati rispetto al filo di costruzione dei pilastri perimetrali di sostegno, in misura più contenuta lungo i lati est, sud, ovest e in misura maggiore lungo il lato nord, ove la copertura si protende sino a circa il filo del paramento – lato interno alla proprietà parte resistente – del muro di cinta in blocchi di c.l.s. in costruzione a cura della stessa parte resistente, in luogo di un preesistente tratto di recinzione in rete metallica su cordolo in cls.” .
Inoltre, ad avviso del giudice di primo grado “si evince poi chiaramente dalla foto n. 11, allegata alla ctu, che non solo il tetto è su quel lato maggiormente aggettante rispetto agli altri sì da lambire il muro di cinta ma soprattutto il basamento sul quale insiste il fabbricato si estende nella sua superficie nuovamente sino a lambire il muro di cinta. Il tutto è stato in questi termini assentito nei titoli edilizi impugnati. Il ctu ha provveduto a misurare anche l’effettiva distanza del basso fabbricato dal muro di cinta dal pilastro perimetrale del manufatto e quindi ha determinato la distanza del basso fabbricato dal confine di proprietà “a partire dal tamponamento perimetrale lato nord del basso fabbricato in costruzione”. La distanza così misurata è risultata pari a mt. 1,70 e sarebbe quindi rispettosa delle prescritte distanze dal confine ove si accedesse alla tesi proposta da parte controinteressata, secondo cui trattasi di “basso fabbricato” nel quale, ai fini del computo della distanza dal confine, non si dovrebbe tenere conto di elementi decorativi, pensiline, balconi, e altre analoghe opere aggettanti, per non più di un mt. 1,50 (art. 16 regolamento edilizio). Infatti, posto che la distanza dal perimetro dell’edificio al lato interno del muro di cinta è stata misurata dal ctu in mt. 1,387 e che sul lato in questione la copertura, come da progetto, si protende fino a “circa il filo del paramento del muro di cinta”,non vi è dubbio che tale copertura sia aggettante meno di mt. 1,50. Ciò tuttavia non tiene conto del fatto che la struttura non solo presenta una copertura aggettante (per altro singolarmente maggiormente aggettante rispetto agli altri lati proprio dal lato del muro di cinta) ma anche un basamento che prosegue sino al filo del muro (cfr. foto n. 11, e sempre come da progetto), sicché verso il muro medesimo si protendono contemporaneamente una copertura e un basamento. E’ ovvio, come osservato dal tecnico di parte controinteressata, che il basamento nel suo complesso ha avuto la funzione di creare una zona in piano in area scoscesa per realizzare la struttura; resta tuttavia vistoso che lo stesso basamento sporge, esattamente in coincidenza della copertura maggiormente aggettante, dal lato del muro di cinta mentre, come visibile sia nel disegno di cui alla foto 11 allegata alla ctu, sia dalle fotografie del contrapposto lato verso l’abitazione dei controinteressati non si prolunga al di là del muro perimetrale (foto 2 allegata alla ctu; la circostanza è ancor meglio evidenziata nelle fotografie n. 5 e 6 allegate alla consulenza di parte ricorrente). A ciò si aggiunga che il doppio prolungamento (di tetto e basamento) va sostanzialmente ad accostarsi al muro di cinta e che ciò è quanto sostanzialmente licenziato nei titoli impugnati; il ctu ha poi riscontrato la possibilità che il portone mobile verso nord sia aperto in modo da costituire esattamente un prolungamento del tamponamento dei lati in coincidenza della copertura e del prolungamento del basamento. La struttura sul lato nord, pertanto, pur come licenziata in esito alla variante, effettivamente crea con una serie di artifici (copertura, basamento, lato tamponabile e accostamento al muro di cinta, nonché porzione di muro di cinta stesso) un unico corpo di fabbrica non rispettoso delle prescritte distanze. A tutto concedere la parte costituita di basamento e copertura integra una tettoia, anch’essa soggetta al rispetto delle distanze; né è seriamente sostenibile, come si legge nelle difese di parte controinteressata a p. 6 della memoria di replica, che il prolungamento del basamento sul lato nord della struttura sia funzionale a creare un accesso dal retro. La struttura è una autorimessa e sul contrapposto lato (da cui certamente si accede) non ha richiesto alcun prolungamento del basamento, ferma l’ulteriore peculiarità di rendere particolarmente accessibile il lato che non presenta alcun possibile margine di manovra, come chiaramente evincibile dalla foto n. 11 allegata alla ctu” (cfr. pag. 9 e ss. della sentenza impugnata).
Come si è visto innanzi al § 4.3.3. della presente sentenza, la […] ha innanzitutto evidenziato che l’art.16 del Regolamento edilizio comunale, intitolato “Distanza, tra le costruzioni D, della costruzione dal confine (DC), della costruzione dal ciglio o dal confine stradale (DS)” dispone nel senso che le distanze devono essere “misurate in metri (m) e riferite al filo di fabbricazione della costruzione”, il quale ultimo “è dato dal perimetro esterno delle pareti della costruzione, con esclusione degli elementi decorativi, dei cornicioni, delle pensiline, dei balconi e delle altre analoghe opere aggettanti per non più di 1,50 m.”: disciplina, questa, che la stessa […] precisa che non è stata impugnata dal […] ma comunque considerata dal consulente tecnico d’ufficio allorquando ha affermato a pag. 12 del proprio elaborato che “la distanza del basso fabbricato dal confine di proprietà … a partire dal tamponamento perimetrale lato nord ….. risulta pari a 1, 70 metri”, ossia con ciò – a dire della stessa […] – dando atto dell’avvenuto rispetto, nella specie, dell’avvenuto rispetto dell’art. 5 delle N.T.A. del P.R.G., in forza del quale – per l’appunto – i “bassi fabbricati” devono distare dal confine almeno 1,50 metri; e, con l’ulteriore conseguenza – sempre secondo la tesi della stessa […] – che nessuna misurazione della distanza della falda aggettante rispetto al confine di proprietà, del “portone … mobile …. aperto verso l’esterno” o del “basamento” (cfr. sempre a pag. 11 la sentenza impugnata) potrebbe rilevare ai fini che ci occupano.
Da questa tesi di fondo è quindi discesa la puntigliosa illustrazione, da parte della […], della legittimità delle singole realizzazioni della copertura, del basamento, del lato tamponabile, dell’accostamento al muro di cinta, nonchè della porzione di muro di cinta stesso: e ciò al fine di smentire la tesi avversaria secondo la quale nella specie sarebbe stato di fatto realizzato “un unico corpo di fabbrica non rispettoso delle distanze”.
Ciò posto, il Collegio denota che l’insieme dei pur diffusi argomenti spesi dall’attuale appellante e dianzi descritti al § 4.3.3. della presente sentenza non inficia la realtà di fondo puntualmente colta dal consulente tecnico d’ufficio e altrettanto puntualmente condivisa dal giudice di primo grado.
L’avvenuta rilevazione, da parte del consulente tecnico d’ufficio, di una distanza del “basso fabbricato” dal confine di proprietà pari a m. 1,70 dal tamponamento perimetrale lato nord non è infatti sufficiente a smentire che, complessivamente, quanto realizzato dal […] e dalla stessa […] si configura quale costruzione a confine, non ammessa dalla disciplina di fonte comunale e che in tale contesto risulta – semmai – irrilevante proprio l’art. 16 del Regolamento edilizio comunale che la medesima […] invoca per affermare la legittimità delle predette, singole realizzazioni.
Ciò che assorbentemente rileva infatti è che, dall’insieme della documentazione fotografica presente agli atti di causa e a prescindere dagli asseriti “scambi” avvenuti circa il riferimento della documentazione stessa al lato della proprietà […] rispetto alla proprietà […] – […] o viceversa, nella specie è stato realizzato un “basso fabbricato” ben chiuso anche sul lato della proprietà […], presumibilmente non solo per un recupero di spazio ma anche per evitare la caduta di acqua piovana all’interno del fabbricato stesso.
A ragione l’appellato reputa dirimente in tal senso la fotografia n. 11 della relazione del consulente tecnico d’ufficio, laddove sul lato destro è collocato il muro a confine, senza tamponamento, nel mentre al centro della fotografia medesima è collocato il tetto ricoprente un’intercapedine di 1,50 metri compresa tra il muro di confine e i pilastri che sorreggono lo stesso tetto e le fondamenta del fabbricato.
L’avvenuta realizzazione del tetto di copertura che si protrae sino al confine di proprietà e del tamponamento in lamiera tra il muro di recinzione e il tetto sono, all’evidenza, finalizzate all’utilizzazione dell’intercapedine prolungando sino al confine di proprietà la base di cemento su cui è collocato il pavimento del fabbricato.
La ben eloquente e non smentibile documentazione fotografica consente di apprezzare, quindi, la sussistenza di una copertura aggettante – ed, anzi, maggiormente aggettante rispetto agli altri lati proprio dal lato del muro di cinta – nonché un basamento che prosegue sino al filo del muro.
Il basamento assolve alla funzione di creare una zona in piano in area scoscesa per realizzare la struttura; ma il basamento stesso sporge marcatamente in puntuale coincidenza della copertura maggiormente aggettante dal lato del muro di cinta, nel mentre non si prolunga al di là del muro perimetrale: il che, nell’insieme, viene dunque a configurare, nella sostanza, un unico corpo di fabbrica complessivamente non conforme alla vigente disciplina in tema di distanze.
Tali notazioni di fondo sono pertanto sufficienti a togliere ogni rilievo alle varie disquisizioni dell’appellante circa l’insussistenza, nella specie, di una tettoia ovvero alla non ben intesa funzione del portone del manufatto e, più in generale, a ogni argomento inteso a legittimare le singole componenti della realizzazione edilizia in questione, e confermano pertanto l’esattezza sul punto della sentenza resa in primo grado.
4.4.6. Con il quarto motivo di ricorso il […] ha sostanzialmente negato che la porzione di muro assentita mediante i titoli edilizi impugnati possa qualificarsi come “muro di cinta”.
Il giudice di primo grado ha accolto tale motivo di ricorso rilevando che il confine tra i due mappali pacificamente si estende per circa 42 metri, nel mentre il cosiddetto “muro di cinta” si estende per 6,80 metri, “ossia quelli necessari in corrispondenza del basso fabbricato. La restante parte del confine reca, come recava in precedenza anche la parte in contestazione, un rete metallica; la discontinuità tra l’uno e l’altro sistema di demarcazione del confine è palese nelle foto nn. 3 e 4 allegate alle ctu. Ora se è pur vero che nulla prescrive di recintare necessariamente l’intero fondo né tanto meno è imposta una determinata lunghezza del “muro di cinta”,vero è altresì che deve pur sempre trattarsi di un “muro di cinta” e non di un “muro” e che tale è non semplicemente quello collocato appunto a confine bensì quello idoneo a chiudere in “tutto o in parte” il fondo. Inoltre ai sensi dell’art. 52 delle N.T.A. i muri di recinzione devono armonizzarsi con le recinzioni contigue. Ora è evidente come la minima porzione di circa 7 metri di muro a gradoni lungo un confine di 6 volte più lungo, per di più inserita in sostituzione di una preesistente recinzione a rete metallica che corre per gli oltre 30 metri di confine restanti sui due lati non svolge alcuna funzione di chiusura, ancorché parziale, del fondo, non si armonizza con la parte contigua. Anche sotto questo profilo le censure appaiono fondate” (cfr. pag. 12 e ss. della sentenza impugnata)
A fronte di tali ben puntuali e inequivoche notazioni, la […] – come già evidenziato al § 4.4.4. della presente sentenza – ha affermato che sebbene il muro in questione abbia incontestabilmente sviluppo lineare limitato ad una porzione del confine, nessuna norma impedirebbe una protezione della proprietà effettuata, in parte, mediante manufatti in muratura, in parte mediante griglie metalliche; inoltre, a suo avviso, il muro medesimo costituirebbe una porzione della recinzione che, complessivamente considerata e al contrario di quanto ritenuto dal giudice di primo grado, “chiude” integralmente e non solo in parte la sua proprietà sul lato nord.
La […] reputa anche che l’asserita violazione dell’art. 52 del Regolamento edilizio, peraltro erroneamente individuato nella sentenza impugnata come norma tecnica di attuazione del P.R.G., laddove dispone che le recinzioni debbano “armonizzarsi” con quelle contigue, non sarebbe stata dedotta dal […] in primo grado.
A dire della stessa […], inoltre, ove pur si volesse condividere la tesi del giudice di primo grado volta a non considerare il muro di cui trattasi quale recinzione, l’eventuale realizzazione di un muro isolato non risulterebbe di per sé vietata, in assenza di prescrizioni particolari sul punto; inoltre, l’art. 878 cod. civ., trattando delle distanze legali, stabilisce che i muri di cinta o isolati di altezza non superiore a 3 metri non rilevano a tali fini: dal che discenderebbe la possibilità di realizzazione di muri, quali quello di specie; né, da ultimo, andrebbe sottaciuto che, come acclarato dallo stesso consulente tecnico d’ufficio, l’altezza media del muro di cui trattasi non supererebbe tale altezza, né sul lato proprio, nè sul lato della proprietà del […], caratterizzato da un andamento naturale del terreno a quota inferiore rispetto a quello della proprietà dell’appellante medesima.
Il Collegio, per parte propria, rileva che le considerazioni del giudice di primo grado non possono che condividersi, posto che dalla documentazione fotografica ben emerge che nell’ambito di un tracciato confinario di oltre 50 metri è stato realizzato un muro di cinta esteso per pochi metri e avulso dal resto della recinzione, nel quale è stata innestata una soletta in cemento armato al ben evidente e univoco fine di creare la superficie di calpestio dell’intera rimessa fino al muro medesimo, per di più anche provvedendo ad un tamponamento in lamiera tra quest’ultimo e il tetto della rimessa.
In tal modo, quindi, il muro di cui trattasi non può essere ragionevolmente configurato quale muro meramente divisorio, ma come vero e proprio elemento strutturale realizzato a completamento del c.d. “basso edificio”; e, anche a prescindere dall’asserito rispetto del limite di altezza di 3 metri da parte del manufatto in questione, comunque un muro, al quale sia appoggiata una costruzione, non può essere considerato come muro di cinta, a’ sensi ed agli effetti dell’art. 878, comma 1, cod. civ., posto che tale qualifica del manufatto richiede, oltre alla destinazione del muro medesimo a recingere la proprietà ed all’altezza non superiore ai tre metri, anche l’ulteriore – e del tutto dirimente – requisito del suo isolamento su entrambe le facce (cfr. sul punto Cass. Sez. II civ., 27 maggio 1981 n. 3481 e 22 aprile 1980 n. 2598).
Deve pertanto concludersi che, nella specie, non è stato realizzato un mero muro divisorio, ma un vero e proprio muro di fabbrica, con ogni conseguenza del caso.

Tali notazioni di fondo risultano assorbenti agli effetti della conferma, sul punto, della statuizione resa dal giudice di primo grado.
Né, peraltro, va sottaciuto che il […] aveva comunque dedotto con il quinto motivo di ricorso proposto innanzi al T.A.R. anche la circostanza che il muro di cui trattasi non si integrerebbe adeguatamente nel contesto edilizio e paesistico circostante, in tal modo deducendo anche la violazione dell’art. 52 del Regolamento edilizio comunale.
Il giudice di primo grado, rilevando sia pure in modo breviloquente che in osservanza a alla disciplina contenuta in tale articolo, “i muri di recinzione devono armonizzarsi con le recinzioni contigue”, ha – all’evidenza – con ciò inteso contestualmente accogliere anche il quinto motivo di ricorso proposto in primo grado dal […], posto che – per l’appunto – l’art. 52 anzidetto dispone al comma 1, e per quanto qui segnatamente interessa, che “i muri di recinzione … debbono rispettare le norme generali di decoro dettate per le costruzioni … devono avere un aspetto sobrio e non contrastante con il contesto ambientale, e devono armonizzarsi con le recinzioni contigue, quando queste già rispondano ai suddetti requisiti”, e che il manufatto in questione non può per certo dirsi conforme a tali prescrizioni.
L’assorbimento delle “restanti censure” dichiarato dal giudice di primo grado va pertanto riferito al sesto motivo di ricorso proposto ivi dal […].
4.4.7. Correttamente il giudice di primo grado ha pertanto statuito, in dipendenza di tutto ciò, nel senso dell’ “annullamento dell’impugnato permesso di costruire e connesso travolgimento di successive varianti, salve le ulteriori determinazioni dell’amministrazione, nel rispetto delle evidenziate problematiche del progetto assentito” (cfr. pag. 12 della sentenza impugnata). […]