Consiglio di Stato, Sezione Quinta, Sentenza n. 5894 del 2011, dep. il 08/11/2011

[…]

FATTO e DIRITTO

1. Con ordinanza n. […] del 17 marzo 1998, il dirigente del settore urbanistica del comune di […]:
a) ha respinto due domande di condono edilizio presentate dalla signora […] per la sanatoria di alcuni manufatti abusivi ad uso agricolo realizzati in località […] (rispettivamente, istanza prot. n. 20064/9695 presentata in data 30 giugno 1987 ai sensi dell’art. 31, l. n. 47 del 1985 e istanza prot. n. 9606/13122 presentata in data 4 marzo 1995 ai sensi dell’art. 39, l. n. 724 del 1994);
b) ha ingiunto la demolizione dei manufatti abusivi.
Il diniego si è basato, nella sostanza:
c) sulla opposizione esplicita dei proprietari delle aree (cfr. nota prot. n. 25613/1074 in data 24 luglio 1996 dei signori […]);
d) sulla mancata ostensione di un titolo contrattuale che abilitasse l’istante a godere dei fondi agricoli e a realizzare contestualmente i manufatti in questione.
2. […], nel presupposto di essere affittuari e coltivatori diretti dei terreni su cui sorgono i manufatti abusivi, hanno impugnato l’ordinanza n. […] del 1998 davanti al T.a.r. della Toscana articolando i seguenti motivi:
a) in relazione alla data di emanazione del provvedimento impugnato, violazione dell’art. 35, l. n. 47 del 1985 sotto il profilo dell’intervenuta preventiva formazione del silenzio assenso per essere maturato il termine perentorio di 24 mesi dalla presentazione della prima domanda di condono in data 30 giugno 1987; violazione del combinato disposto degli artt. 39, co. 4, quarto periodo, l. n. 724 del 1994 e 2, co. 38, l. n. 662 del 1996, sotto il medesimo profilo del preventivo perfezionamento della fattispecie del silenzio assenso sulla seconda domanda di condono nel termine perentorio maturato alla data del 1° gennaio 1998;
b) violazione e falsa applicazione dell’art. 31, co. 3, l. n. 47 del 1985; si assume che la norma in questione consentirebbe a qualsiasi soggetto, anche diverso dal proprietario del fondo o da coloro che sono abilitati a chiedere la concessione edilizia, di presentare domanda di condono straordinario; eccesso di potere per travisamento dei fatti; si sostiene che i proprietari avrebbero comunque rilasciato il consenso tacitamente non essendosi opposti per molti anni ai vari abusi edilizi, il primo dei quali daterebbe al 1965;
c) violazione e falsa applicazione degli artt. 31, l. n. 1150 del 1942, 7, l. n. 47 del 1965, e 10, l. n. 765 del 1967; si sostiene la tesi che almeno una parte delle opere sarebbe stata realizzata antecedentemente all’entrata in vigore della l. n. 765 del 1967 (c.d. “legge ponte”) e dunque prima che fosse esteso a tutto il territorio comunale l’obbligo del rilascio della preventiva licenza edilizia; nella specie il p.r.g. del comune di […], risalente al 1941, richiedeva la licenza edilizia solo all’interno dei centri abitati;
d) incompetenza del dirigente all’emanazione del provvedimento in favore del sindaco;
e) invalidità derivata dell’ingiunzione di demolizione per i vizi di legittimità risalenti al diniego di condono edilizio.
3. L’impugnata sentenza – T.a.r. della Toscana, sezione III, n. 522 del 15 ottobre 1999 -:
a) ha respinto il primo e secondo motivo;
b) ha dichiarato inammissibile il terzo motivo;
c) ha accolto il quarto e quinto motivo limitatamente all’impugnativa dell’ordine di demolizione (tale capo non è stato impugnato ed è coperto dalla forza del giudicato interno);
d) ha compensato fra le parti le spese di lite.
4. Con ricorso notificato in data 13 maggio 2000 e depositato il successivo 9 giugno, i signori […] hanno interposto appello avverso la su menzionata sentenza:
a) reiterando criticamente con i primi due mezzi (pagine 5 – 9 dell’atto di gravame), i primi due motivi dell’originario ricorso;
b) contestando con il terzo mezzo (pagine 9 – 10), la decisione di primo grado nella parte in cui ha affermato che le richieste di concessione in sanatoria erano state presentate a mente dell’art. 13, l. n. 47 del 1985;
c) deducendo con il quarto mezzo (pagina 10), l’erroneità della statuizione di inammissibilità della censura relativa alla anteriorità del manufatto edilizio rispetto all’entrata in vigore della l. n. 765 del 1967 (c.d. “legge ponte”).
5. Si è costituito il comune di […] deducendo l’infondatezza del gravame in fatto e diritto.
6. Con decreto presidenziale n. 4984 del 28 luglio 2010 il giudizio è stato dichiarato perento.

7. Con ordinanza n. 3321 del 1° giugno 2011, è stata accolta l’opposizione al decreto di estinzione con la conseguente fissazione dell’udienza di merito.
8. Le parti hanno redatto memorie conclusionali e note di repliche rispettivamente in data 23 settembre e 10 ottobre 2011 ([…]), e in data 15 settembre e 7 ottobre 2011 (il comune di […]).
9. La causa è passata in decisione alla pubblica udienza del 4 novembre 2011.
10. L’appello è infondato e deve essere respinto.
11. Preliminarmente il collegio precisa che:
a) il thema decidendum è delimitato dalle censure articolate in prime cure non potendosi tenere conto dei profili nuovi sollevati in appello, in spregio al divieto dei nova (sancito dall’art. 345 c.p.c., oggi art. 104 c.p.a.), ed al valore meramente illustrativo delle comparse conclusionali (cfr. da ultimo Cons. St., sez. V, 29 marzo 2011, n. 1925);
b) contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa degli appellanti (pagina 12 della memoria conclusionale in data 23 settembre 2011), il passaggio in giudicato del capo dell’impugnata sentenza che ha annullato per incompetenza l’ordine di demolizione, lascia impregiudicata l’adozione, da parte del comune, degli ulteriori consequenziali provvedimenti.
12. Con il primo motivo dell’originario ricorso di primo grado si sostiene l’intervenuta formazione del silenzio assenso su entrambe le domande di condono.
12.1. Il motivo è infondato.
12.2. In ordine ai presupposti legittimanti la formazione del silenzio assenso sulle domande di condono edilizio presentate ai sensi delle ll. nn. 47 del 1985 e 724 del 1994, il collegio non intende decampare dai consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. sez. IV, 16 febbraio 2011, n. 1005; sez. V, 3 novembre 2010, n. 7770; sez. IV, 30 giugno 2010, n. 4174; sez. II, 11 gennaio 2006, n. 7892/04; sez. V, 14 ottobre 1998, n. 1468), in forza dei quali:
a) in linea generale il tacito accoglimento della domanda di condono si differenzia dalla decisione esplicita solo per l’aspetto formale;
b) conseguentemente il silenzio assenso non si perfeziona per il solo fatto dell’inutile decorso del termine perentorio a far data dalla presentazione della domanda di sanatoria e del pagamento dell’oblazione, se non sopravviene la risposta del comune, occorrendo altresì l’acquisizione della prova, da parte del comune medesimo, della ricorrenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi stabiliti dalle specifiche disposizioni di settore, da verificarsi all’interno del relativo procedimento; in quest’ottica si ritiene inammissibile la domanda di accertamento della fondatezza della pretesa formulata in sede di giudizio avente ad oggetto l’inerzia del comune;
c) la domanda di condono deve, pertanto, essere corredata dalla prescritta documentazione indicata dalla legge essendo la produzione di tale documentazione indispensabile proprio al fine del riscontro dei requisiti soggettivi ed oggettivi;
d) in particolare, sul piano oggettivo, la formazione del silenzio-assenso richiede quale presupposto essenziale, oltre al completo pagamento delle somme dovute a titolo di oblazione, che siano stati integralmente dimostrati gli ulteriori requisiti sostanziali relativi al tempo di ultimazione dei lavori, all’ubicazione, alla consistenza delle opere e ad ogni altro elemento rilevante affinché possano essere utilmente esercitati i poteri di verifica dell’amministrazione comunale;
e) del pari, sotto il profilo soggettivo, deve essere dimostrata la legittimazione attiva del richiedente il condono.
Nella specie, come si vedrà meglio nel successivo par. n. 13, non è dato riscontrare il requisito soggettivo della legittimazione del richiedente il condono edilizio.
13. Con il secondo motivo dell’originario ricorso gli odierni appellanti affermano di essere ex se soggettivamente legittimati alla richiesta del titolo in sanatoria e che comunque vi sarebbe prova certa del consenso, quantomeno tacito, prestato dai proprietari in ordine al rilascio del titolo medesimo.
13.1. Il motivo è infondato sia in fatto che in diritto.
13.2. In fatto è sufficiente evidenziare che:
a) i proprietari dei terreni hanno manifestato la loro contrarietà all’intervento edilizio sine titulo non solo in occasione del procedimento di condono, ma anche in epoca più risalente, antecedente alla seconda domanda di condono del 4 marzo 1995 (cfr. la lettera indirizzata ai […], sottoscritta dai signori […] in data 14 maggio 1994 in cui, fra l’altro, <<3) si diffida i suddetti affittuari a erigere costruzioni in modo abusivo e senza il permesso dei proprietari; eventuali costruzioni dovranno essere demolite>>, nonché le successive missive spedite dal legale dei concedenti in data 30 maggio 1994, 10 giugno 1994, 30 agosto 1994);
b) è irrilevante la domanda di accatastamento di alcuni dei manufatti abusivi presentata, nel 1988, da […] perché:
I) tale circostanza di fatto non è stata allegata in sede di ricorso di primo grado;
II) in ogni caso la presentazione della domanda di accatastamento, avuto riguardo alla funzione ed agli effetti giuridici derivanti dalla denuncia dei beni in catasto, presenta un connotato anodino come tale inidoneo a superare il successivo dissenso esplicito dei proprietari;
c) anche la sentenza resa dal Tribunale civile di Massa – n. 656 del 2010 – (esibita dalla difesa degli appellanti in una alla memoria del 23 settembre 2011), ha riconosciuto che le opere realizzate dagli affittuari dei terreni sono state realizzate senza il consenso dei proprietari concedenti;
d) nel caso di specie, soccorre l’ulteriore norma sancita dall’art. 16, l. n. 203 del 1982 secondo cui l’affittuario di fondi rustici, se intende realizzare interventi costruttivi sui fondi medesimi deve acquisire, alternativamente, il consenso del proprietario del terreno o l’autorizzazione dell’Ispettorato provinciale dell’agricoltura; nessuno di tali assensi è stato mai prodotto dai ricorrenti al comune di […].
13.3. Rimane da affrontare la questione centrale del presente giudizio, che si sostanzia nello stabilire se sia possibile che un soggetto, a qualunque titolo interessato alla sanatoria, sia abilitato a richiederla (e ottenerla), anche contro la volontà espressa dal proprietario delle aree su cui insistono i manufatti abusivi.
Al quesito deve darsi risposta negativa.
Conviene delineare brevemente il quadro delle norme e dei principi che presiedono al rilascio dei titoli edilizi avuto particolare riguardo all’aspetto della legittimazione del richiedente e degli impedimenti di carattere negoziale.
13.3.1. Tra le limitazioni al diritto a costruire, da prendere in considerazione ai fini del rilascio del relativo permesso o di un titolo edilizio in sanatoria, la giurisprudenza ha operato un’accurata distinzione tra limiti legali e limiti negoziali. I primi, pure in caso di istanza di condono, sono destinati ad investire anche il rapporto pubblicistico. Per gli altri si prospetta una diversa incidenza, considerato che il comune non è tenuto a ricercarli.
L’art. 11, ultimo comma, t.u. edilizia — secondo cui «il rilascio del permesso di costruire non comporta limitazione dei diritti dei terzi» — ha cristallizzato a livello positivo una prassi amministrativa e giurisprudenziale assolutamente pacifica che aveva ricevuto un primo riconoscimento legale nell’art. 2, comma 37, lett. c), l. n. 662 del 1996 (che ha novellato l’art. 39 l. n. 724 del 1994, successivamente si veda l’art. 32, comma 31, d.l. n. 269 cit. in materia di condono straordinario).
L’ordinamento giuridico ammette, in via generale, limitazioni di varia natura al diritto di costruire a presidio dei diritti dei terzi controinteressati.
Nell’ambito del diritto civile si distinguono limiti legali dell’attività edificatoria (sempre concernenti i rapporti tra proprietari di fondi finitimi), essenzialmente rivenienti nella disciplina contenuta nel libro terzo, capo II, c.c. (si tratta delle prescrizioni in materia di distanze, luci e vedute); e limiti che discendono non direttamente dalla legge ma dall’esercizio dell’autonomia negoziale: fra questi spiccano gli iura in re aliena di godimento (usufrutto, servitù, ecc.) cui corrispondono altrettante restrizioni del diritto di proprietà riguardanti lo ius aedificandi dei confinanti, che può risultare semplicemente inciso o del tutto sottratto.
I su menzionati limiti operano diversamente sul piano dei controlli esercitabili dall’amministrazione in sede di rilascio del permesso di costruire.
I limiti legali, trovando applicazione generalizzata e conservando sempre il medesimo contenuto, concorrono a formare lo statuto generale dell’attività edilizia e non pongono problemi di conoscibilità all’amministrazione che è tenuta a considerarli sempre.
Diversamente per le limitazioni negoziali del diritto di costruire, cui possono ricondursi anche quelle scaturenti dall’art. 1117 c.c. (cfr. Cons. St., sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 6332, secondo cui è legittimo il provvedimento con cui il comune rilascia un condono straordinario ex art. 32 d.l. 30 settembre 2003 n. 269, avente ad oggetto la costruzione di un terrazzo coperto e disimpegno, di pertinenza di un appartamento ubicato in uno stabile condominiale, non potendosi accogliere le censure riguardanti la violazione delle distanze legali minime rispetto alla costruzione di terzi e al difetto di autorizzazione del condominio all’esecuzione dei lavori su parti comuni dello stabile (nella specie, al momento del rilascio del permesso in sanatoria, era assolutamente controversa, fra le parti confinanti, la questione concernente la reintegra delle distanze violate, pendendo la relativa controversia in sede civile, e non constava alcuna opposizione da parte del condominio).
Circa l’ambito di operatività di tali limiti la giurisprudenza oscilla fra due soluzioni che costituiscono un corollario della clausola di salvezza dei diritti dei terzi ed hanno in comune l’inesistenza, in capo all’amministrazione, di un autentico obbligo di ricerca di tali limiti, prodromico al diniego di permesso.
La prima ne esclude ogni rilevanza nel presupposto che all’amministrazione sia inibito qualsiasi sindacato anche indiretto sulla validità ed efficacia dei rapporti giuridici dei privati (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20 dicembre 1993, n. 1341); la seconda ammette che il comune verifichi il rispetto dei limiti privatistici, purché siano immediatamente conoscibili, effettivamente e legittimamente conosciuti nonché del tutto incontestati, di guisa che il controllo si traduca in una semplice presa d’atto (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2007, n. 1206).
Coerenti, ma non recepibili nel caso di specie, sono le conclusioni cui è giunta la giurisprudenza più recente in ordine agli oneri del comune di verificare la legittimazione dei singoli condomini ad eseguire opere su parti comuni (cfr. sez. IV 14 settembre 2005, n. 4744, che ritiene in contrasto con l’art. 11 t.u. cit., il titolo edilizio rilasciato in mancanza dell’assenso condominiale); anche in tali casi il comune si limita a verificare, puramente e semplicemente, la presenza di un’autorizzazione senza ovviamente poterne vagliare la validità.
Le conclusioni rimangono immutate quando il comune sia chiamato a rilasciare un titolo edilizio in sanatoria ordinaria (ex art. 36 t.u. edilizia) o straordinaria (da ultimo, ex art. 32 d.l. n. 269 del 2003).
Nel primo caso si richiede, specie in presenza di contrasto conclamato fra condomini, che l’istruttoria del comune sia particolarmente accurata (cfr. sez. IV, 16 marzo 2010, n. 1537; sez. V 21 ottobre 2003, n. 6529, fattispecie relativa all’art. 13 l. n. 47 del 1985 oggi trasfuso con modificazioni nell’art. 36 t.u. edilizia; 20); in tal caso doverosamente si acquisisce la delibera di autorizzazione condominiale che esonera il comune da ogni altro tipo di accertamento non potendo essere disapplicata da quest’ultimo (cfr. Cons. St., sez. IV, n. 1537 del 2010 cit.).
Nel caso di condono straordinario la giurisprudenza registra una maggiore varietà di posizioni.
Secondo una minoritaria tesi la concessione del condono straordinario è impedita qualora l’abuso consista non già nella inosservanza di prescrizioni dirette principalmente a soddisfare finalità di interesse pubblico, ma nella violazione delle norme che tutelano in modo diretto ed immediato lo specifico interesse dei proprietari confinanti (cfr. Cons. Stato, sez. V, 9 dicembre 1997, n. 1487 relativa a fattispecie di condono governata dall’art. 39 l. n. 724 del 1994).
Di contro, ed in linea con quanto illustrato circa il controllo esigibile da parte del comune in sede di rilascio del permesso di costruire ex art. 11 t.u. edilizia, si ritiene che la rilevanza giuridica del condono straordinario si esaurisca nell’ambito del rapporto pubblicistico, senza estendersi ai rapporti fra privati, essendo il condono rilasciato con salvezza espressa dei diritti dei terzi (cfr. Cass., sez. un., 12 gennaio 2007, n. 417); ne discende che la presentazione di istanza di sanatoria, con riguardo a costruzione realizzata in violazione della disciplina urbanistica, non implica la sospensione della contesa promossa dal proprietario confinante, per far valere, nel rapporto di vicinato, gli effetti di detta violazione (cfr. Cass. 7 febbraio 1991, n. 1276).
Il compendio delle regole fin qui esaminate consente:
a) all’autore dell’abuso di fruirne anche se l’illecito consista nella violazione delle distanze legali;
b) al comune di disinteressarsi delle relative vicende, fermo restando che il terzo leso potrà ottenere satisfattiva tutela davanti al giudice civile non subendo alcun pregiudizio dal rilascio del titolo (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 30 dicembre 2006, n. 8626).
Coerentemente si ritiene possibile accogliere le istanze di sanatoria di opere edilizie che creano limitazioni di tipo urbanistico alle proprietà finitime qualora le eventuali limitazioni di tipo urbanistico o regolamentare possano essere rimosse attraverso la disponibilità del vicino o del condominio a cedere in uso o in vendita porzioni di terreno (o di parti comuni di edificio), oppure mediante stipula da parte degli stessi proprietari confinanti di atti di asservimento di dette aree al lotto contiguo, o ancora attraverso la creazione di servitù permanente; non vi sono dubbi, infatti, che il nostro ordinamento giuridico riconosce un potere dispositivo alle parti in ordine alle norme in materia di distanze tra edificazioni e fra queste ed i confini, potendo i privati rinunciare al diritto di pretendere l’osservanza delle norme in materia (cfr. Cons. giust. amm., sez. cons., 16 luglio 1996, n. 467/96).
In definitiva, la giurisprudenza del Consiglio di Stato, superando l’indirizzo precedente che affermava la totale indifferenza delle ragioni privatistiche rispetto alla legittimità dei provvedimenti edilizi, è oggi allineata nel senso che l’amministrazione, quando venga a conoscenza dell’esistenza di contestazioni sul diritto del richiedente il titolo abilitativo, debba compiere le indagini necessarie per verificare la fondatezza delle contestazioni, precisando anche che, se il richiedente non sia in grado di fornire elementi seri a fondamento del suo diritto, l’amministrazione non deve rilasciare il provvedimento abilitativo (Cons. Stato, sez. IV, 8 giugno 2007, n. 3027; sez. V 7 luglio 2005, n. 3730).
13.3.2. Così ricostruito il quadro generale in ordine all’individuazione dei soggetti legittimati a chiedere il rilascio di un titolo edilizio ordinario ovvero di un accertamento di conformità, la sezione deve stabilire se siano rinvenibili regole peculiari, in punto di legittimazione attiva, all’interno della speciale normativa che, nel tempo, ha disciplinato il c.d. condono edilizio straordinario.
La norma base è quella sancita dall’art. 31, co.3, l. n. 47 del 1985 (sostanzialmente richiamata dalla successiva legislazione in materia di condoni edilizi straordinari), secondo cui: <<Alla richiesta di sanatoria ed agli adempimenti relativi possono altresì provvedere coloro che hanno titolo, ai sensi della L. 28 gennaio 1977, n. 10, a richiedere la concessione edilizia o l’autorizzazione nonché, salvo rivalsa nei confronti del proprietario, ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria medesima>>.
Secondo un primo, più rigoroso indirizzo, che svaluta la portata letterale del riferimento normativo a <<ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria medesima>>, la legittimazione a chiedere il condono spetterebbe esclusivamente a chi abbia diritto al rilascio di un ordinario titolo edilizio (cfr. da ultimo Cons. St., sez. VI, 25 marzo 2011, n. 1842, fattispecie relativa ad occupante di fatto di area demaniale, privo di qualsivoglia titolo abilitativo, che è stato ritenuto privo della legittimazione a chiedere il condono dell’immobile realizzato abusivamente; sez. IV, 27 ottobre 2009, n. 6545).
Secondo la tesi diametralmente opposta (sostenuta da buona parte della dottrina e dalla giurisprudenza di primo grado, cfr. T.a.r. Puglia, Lecce, sez. III, 9 luglio 2011, n. 1057), che fa leva sul tenore letterale della norma e sulla indisponibilità degli effetti penali favorevoli del condono da parte del proprietario dell’immobile, <<è possibile procedere al condono senza il consenso ed anche contro la volontà del proprietario del bene oggetto del procedimento di sanatoria>>.
Una tesi intermedia, invece, ritiene che alla richiesta di sanatoria e agli adempimenti relativi possono provvedere, non solo «coloro che hanno titolo, ai sensi della l. 28 gennaio 1977 n. 10, a richiedere la concessione edilizia o l’autorizzazione» (oggi i soggetti indicati dall’art. 11 t.u. edilizia), ma anche, «salvo rivalsa nei confronti del proprietario, ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria medesima», la sanatoria, quindi, sarebbe fungibile ratione persona rum, ma a condizione che sia acquisito in modo univoco il consenso comunque manifestato dal proprietario (cfr. Cons. St., sez. IV, 26 gennaio 2009, n. 437; sez. IV, 22 giugno 2000, n. 3520, secondo la quale, però, la riduzione della misura dell’oblazione prevista dall’art. 34 l. n. 47 cit., essendo calcolata in base al solo criterio funzionale della destinazione economica delle opere, opererebbe esclusivamente ratione rei).
In quest’ottica:
a) è stata considerata sufficiente l’avvenuta sottoscrizione, da parte di un soggetto, di un atto di impegno ad acquistare il locale interessato alla sanatoria (cfr. Cons. St., sez. VI, 27 giugno 2008, n. 3282);
b) è stato ritenuto indispensabile, in caso di dissidio fra proprietari perché le opere di cui si chiede il condono incidono sul diritto di alcuni di essi, che l’istruttoria della pratica ed il provvedimento finale diano conto della verifica della legittimazione del soggetto richiedente (cfr. Cons. giust. amm. 3 giugno 2009, n. 84/2009);
c) è stato considerato inapplicabile l’istituto del condono, laddove l’abuso sia realizzato dal singolo condomino su aree comuni, in assenza di ogni elemento di prova circa la volontà degli altri comproprietari, atteso che, diversamente opinando, l’amministrazione finirebbe per legittimare una sostanziale appropriazione di spazi condominiali da parte del singolo condomino, in presenza di una possibile volontà contraria degli altri, i quali potrebbero essere interessati all’eliminazione dell’abuso anche in via amministrativa e non solo con azioni privatistiche (cfr. Cons. St., sez. VI, 27 giugno 2008, n. 3282).
A tale tesi intermedia aderisce il collegio, precisando che essa appare preferibile perché:
d) non è incompatibile col dato testuale della norma;
e) dal punto di vista sistematico appare in maggior sintonia con il quadro generale dei principi che governano il micro ordinamento di settore (illustrati al precedente par. 13.3.1.);
f) la disponibilità degli effetti penali del condono non è rimessa all’arbitrio del proprietario in quanto, a mente dell’art. 39, l. n. 47 del 1985, l’effettuazione dell’oblazione, qualora le opere non possano conseguire la sanatoria, estingue comunque i reati; invero, il perfezionamento della fattispecie estintiva del reato non è condizionato dagli accertamenti di merito dell’autorità amministrativa relativi alla sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi del condono, ma a diversi parametri del cui vaglio è investito il giudice penale (cfr. Cass. pen., sez. III, 8 marzo 2000, n. 5031).
14. Il terzo mezzo di gravame è palesemente infondato.
Come adombrato dalla stesa difesa appellante (pagina 12 della memoria di replica e pagina 9 dell’atto di gravame), l’indicazione, da parte del T.a.r., dell’art. 13, l. n. 47 del 1985 in luogo dell’art. 31, si traduce in un mero refuso redazionale (o lapsus calami), che non ha impedito in alcun modo di individuare l’iter logico seguito per scrutinare la legittimità del provvedimento impugnato.

15. Miglior sorte non tocca al quarto mezzo di gravame.
15.1. L’originario terzo motivo era incentrato sulla asserita anteriorità della costruzione di alcuni dei manufatti oggetto di condono rispetto alla data di entrata in vigore della l. n. 765 del 1967.
15.2. Il motivo è sia inammissibile che infondato e deve essere respinto nella sua globalità.
15.2.1. La censura è inammissibile – come correttamente evidenziato dal T.a.r. – perché nel momento in cui i ricorrenti non considerano necessaria la presenza di alcun titolo edilizio per assentire costruzioni risalenti ad epoca antecedente il 1° settembre 1967, viene meno il loro interesse ad agire nei confronti del diniego di rilascio del condono straordinario.
15.2.2. La censura è infondata anche in fatto perché:
a) non è stata fornita la prova della data di esecuzione dei lavori abusivi in violazione di uno specifico onere che grava su quanti richiedono il condono edilizio (cfr. ex plurimis Cons. St., sez. IV, 28 aprile 2010, n. 1906/ord.);
b) il p.r.g. del comune di […], sin dal 1941, ha previsto per le aree destinate a zona agricola (come quelle di interesse dei ricorrenti), la possibilità di costruire, entro determinati limiti, esclusivamente manufatti a servizio della coltivazione dei fondi, con ciò imponendo la richiesta (e l’eventuale rilascio) di un titolo autorizzatorio attraverso il quale vagliare la conformità dell’intervento costruttivo con la prescrizione urbanistica.
[…]