Consiglio di Stato, Sezione Terza, Sentenza n. 1386 del 2017, Pubbl. il 27/03/2017

[…]

FATTO e DIRITTO
1. La controversia riguarda la demolizione di un impianto di radiodiffusione (antenna alta circa 25 mt. con piattaforma in calcestruzzo e annessa cabina con base di mt 4×4 circa) sito in Comune di […], e realizzato dalla s.r.l. […], con sede legale a Roma, titolare dell’emittente radiofonica […], che irradiava il proprio segnale nel bacino di Roma sulla frequenza FM […].
Infatti, con ordinanza di data 7 dicembre 1992 il Comune di […], visto il “verbale di accertamento di contravvenzione” redatto dei VV.UU. […], da cui risultava che il signor […], quale legale rappresentante della società […], aveva eseguito un impianto di radiodiffusione in località Monte […], ne dispose la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi a spese del proprietario dell’opera in questione ai sensi dell’art. 7 legge n. 47/1985.
Con successiva ordinanza del 16 febbraio 1993, n. 28, il Comune di […] reiterava l’ordine di demolizione delle opere eseguite in località Monte […] in assenza di concessione .
1.1. Avverso entrambe le ordinanze il signor […] e la s.r.l. […], in persona del medesimo signor […] in qualità di legale rappresentante, hanno proposto due ricorsi (R.G. 3960/1993 e R.G. 7671/1993), davanti al T.A.R. del Lazio, chiedendone l’annullamento, previa sospensione.
Il T.A.R. Lazio, dopo aver accolto la domanda cautelare annessa al secondo ricorso (con
l’ordinanza n. 2562/1993) e dopo aver disposto adempimenti istruttori (con l’ordinanza n.
1205/2014), con la sentenza n. 431/2015 (pubblicata il 13 gennaio 2015), previa riunione dei due ricorsi, li ha respinti, condannando i ricorrenti alle spese del giudizio.
1.2. Avverso la sentenza del TAR, i due originari ricorrenti hanno proposto l’appello in epigrafe e (con tre articolati motivi) ne hanno chiesto la riforma, previa sospensione, riproducendo alcuni dei motivi già dedotti in primo grado e respinti dal T.A.R..
Si è costituito in giudizio il Comune di […], che ha chiesto il rigetto dell’appello con argomentata memoria.
Il 13 maggio 2016, in vista dell’udienza di discussione fissata per il successivo 23 giugno, gli appellanti hanno depositato una serie di documenti, fra i quali un’istanza in data 20 luglio 1989, rivolta al Comune di […] dal sig. […], amministratore delegato della società […], per chiedere in concessione un’area “da determinare” del demanio comunale in località “Monte […]” , ove riposizionare l’impianto già esistente nella stessa località.
All’udienza pubblica del 23 giugno 2016, uditi i difensori presenti per le parti, la causa è passata in decisione .
2. Quanto sopra premesso in fatto, in diritto la controversia concerne la contestata legittimità di due ordinanze di demolizione (di contenuto analogo), che hanno disposto nei confronti del signor […] la demolizione dell’impianto di radiodiffusione realizzato alla sommità del Monte […].
Prima di passare all’esame dei motivi di appello, è opportuno far presente che gli appellanti non fanno alcun cenno all’esistenza di titoli abilitativi delle opere edilizie in questione, così come lo stesso estensore della relazione tecnica di parte appellante (depositata in giudizio nel maggio 2016) riferisce che ha avuto l’incarico dal signor […], in qualità di amministratore unico “della emittente radiofonica […]”, e che i lavori per realizzare la postazione radiofonica, iniziati nel 1977 e terminati nel corso del 1978, erano stati eseguiti senza chiedere “nessuna autorizzazione o licenza edilizia all’epoca”.
Allo stesso modo gli appellanti non forniscono alcun elemento circa il titolo, un diritto reale
oppure un contratto, che consentisse loro di collocare l’impianto di trasmissione radiofonica in questione sulla sommità del Monte […].
2.1. Ciò premesso, con il primo motivo la parte appellante deduce la “errata individuazione del destinatario”.
In particolare (ad avviso degli appellanti), poiché il soggetto autore dell’abuso sarebbe la società […] s.r.l., e non il signor […] come persona fisica, l’ordine di demolizione sarebbe illegittimo, in quanto, essendo rivolto al signor […], esplicherebbe effetti nei confronti di un “estraneo”.
L’assunto è infondato.
Infatti, il signor […] non ha la posizione di “estraneo”, in quanto era incontestabilmente il legale rappresentante della società […] s.r.l. all’epoca dei fatti, ossia tanto nel momento in cui le opere sono state realizzate, quanto in quello della emissione dei provvedimenti impugnati; inoltre al Comune di […] era noto che il signor […i era l’amministratore delegato della società […] s.r.l., proprietaria della emittente radiofonica “[…]”, in quanto il medesimo, con istanza del luglio 1989, aveva chiesto al Comune la concessione di un’area comunale per spostarvi l’impianto in questione..
2.2. Inoltre, ad avviso dell’appellante, il giudice di primo grado erroneamente avrebbe affermato che dal verbale dei vigili urbani si desumerebbero elementi idonei a ricondurre l’ordine di demolizione “al soggetto titolare dell’impianto”.
L’assunto non è condivisibile.
Invero, premesso che, comunque, i lavori sono stati eseguiti de facto e sine titulo, il Comune (ad avviso del Collegio) correttamente si è rivolto al legale rappresentante della società, tenuto a provvedere (in corrispondenza alla carica ricoperta) alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi.
2.3. Con il secondo motivo di appello gli appellanti deducono che le ordinanze di demolizione non avrebbero identificato con sufficiente precisione il manufatto abusivo.
Il motivo va respinto.
La censura è smentita proprio dal primo motivo (con il quale il signor […] deduce di non essere l’autore dell’abuso).
Infatti, non solo non è contestato che l’impianto e le connesse strutture siano utilizzate dalla società […] s.r.l., titolare della emittente radiofonica […], ma, per altro verso, il TAR ha correttamente evidenziato che non solo l’ordinanza impugnata faceva riferimento “all’impianto di radiodiffusione in località Monte […]”, ma che anche il rapporto dei vigili urbani di data 8 novembre 1987 n.1669 riferiva che (tra i vari impianti collocati alla sommità di Monte […]) aveva fatto il sopralluogo “ all’immobile contraddistinto al n. 2 denominato […] srl….amministratore unico […]”.
2.3.1. D’altra parte, all’epoca dell’adozione delle ordinanze di demolizione, era nota al Comune di […] la circostanza che il signor […] fosse il legale rappresentante della società […] srl, proprietaria della emittente radiofonica “[…]”, irradiante dalla vetta del Monte […] : infatti tali dati sono desumibili, quanto meno, dall’istanza presentata dallo stesso interessato al Comune nel luglio 1989 per chiedere la concessione di un’area comunale su cui spostare l’impianto di radiodiffusione in esercizio nelle vicinanze.
2.3.2. La sentenza viene censurata anche nella parte in cui ritiene insussistente il dedotto difetto di motivazione delle ordinanza impugnate, che richiamano il verbale dei vigili urbani con gli estremi identificativi .
In particolare, ad avviso di parte appellante, la motivazione dell’ordinanza di demolizione non potrebbe ritenersi integrata per relationem, con riferimento al richiamato verbale dei vigili urbani, trattandosi di atti relativi al procedimento penale aperto nei suoi confronti per l’abuso edilizio rilevato e, quindi, non conoscibili all’epoca dall’appellante, nella qualità di indagato.
Il rilievo non risulta condivisibile, in quanto, pur trattandosi di un verbale di accertamento di
contravvenzione per abuso edilizio, l’interessato avrebbe, comunque, potuto avere cognizione piena del suddetto verbale mediante accesso agli atti.
2.4. Con il terzo (ed ultimo), motivo gli appellanti deducono che la descrizione delle opere abusive da demolire (in esecuzione dell’ordinanza impugnata) non sarebbe contenuta neanche nei verbali della polizia municipale del 1992, ma in un antecedente rapporto dei Carabinieri, risalente al 12 settembre 1987, ed asseriscono (riproponendo la tesi motivatamente respinta dal T.A.R.) che il manufatto abusivo in questione, per le dimensioni e per la presenza in loco di molti impianti di trasmissione, non sarebbe stato assoggettato alla normativa che per tale genere di opere imponeva il rilascio del permesso di costruire.
La censura non è condivisibile.
Sul punto (quanto alla dedotta mancata indicazione delle opere da demolire), il Collegio rinvia alle argomentazioni svolte nell’esame del precedente motivo e, in particolare, aggiunge che nel verbale di accertamento la polizia municipale riferisce che l’impianto realizzato senza titolo è costituito “da un traliccio alto m. 25 circa alloggiato su un basamento di calcestruzzo cementizio di m. 3×3”.
2.5. In ordine, poi, alla asserita non assoggettabilità delle opere in questione ratione temporis al regime del rilascio del titolo abilitativo, parte appellante (ribadendo quanto dedotto in primo grado) contesta, preliminarmente, l’esattezza di alcuni dati sulle dimensioni dei manufatti, osservando, in particolare, che il traliccio (antenna) sarebbe alto
“solo” 20 metri (anziché i 25 indicati nella sentenza del T.A.R.) e che il vano della cabina (box) sarebbe solo di metri 3×4, anziché i 4×4 indicati nella sentenza del T.A.R. .
In realtà le dedotte inesattezze della sentenza di primo grado per la loro modesta portata risultano chiaramente non sufficienti né ad incidere sulla configurazione delle opere come abusive né a comportare una modifica della disciplina sanzionatoria applicabile.
2.6. Quanto, poi, alla censura che la realizzazione di tali strutture non richiedesse il rilascio di un idoneo titolo abilitativo, la giurisprudenza costante ha ritenuto che anche le opere delle dimensioni indicate, costituendo una trasformazione del territorio con una nuova costruzione (per di più con alterazione della visione della linea dell’orizzonte), necessitano di essere assentite da un adeguato titolo abilitativo, che, secondo la legge n. 47/1985 (applicata nell’ordinanza di demolizione impugnata), era costituito dalla concessione edilizia (vedi ex multis C.d.S. n. 3193/2004).
2.6.1. Inoltre (ribadendo le censure dedotte in primo grado), l’appellante deduce l’illegittimità delle ordinanze di demolizione, in quanto, trattandosi di manufatto realizzato prima del 1980 (come si desume dal fatto che la prima verifica sull’irradiazione del segnale da parte del Cir.Cos.TT di Roma risale al 1980), il Comune non ne avrebbe dovuto ordinare la demolizione .
La censura risulta infondata.
Infatti la tipologia dell’abuso edilizio in questione era sanzionata, comunque, con la demolizione anche nel regime della legge n. 10/1977, vigente all’epoca dell’abuso (di cui la parte interessata invocava l’applicazione innanzi al TAR) .
Inoltre, trattandosi di un traliccio alto almeno mt. 20, sorretto da un basamento ampio alcuni
metri quadrati, a parte le altre opere accessorie, il Comune non avrebbe potuto applicare al
manufatto realizzato senza titolo (a differenza di quanto deduce l’appellante in primo grado) né la disciplina dell’art. 7 né quella dell’art.10 della legge n.47/1985.
Infatti, nella specie, non può essere invocata l’applicazione della normativa sulla realizzazione degli impianti tecnologici o dei volumi tecnici, in quanto, in punto di diritto, la legge in questione indica la realizzazione di tale genere di opere come caso in cui la modifica del progetto approvato non configura l’ipotesi di ‘variazione essenziale’, sanzionata con la demolizione delle opere difformi, mentre, in punto di fatto, nel caso in esame, il traliccio con impianto di trasmissione comunque, non potrebbe rientrare nella tipologia del volume tecnico a servizio di un edificio.
In conseguenza la realizzazione abusiva dell’impianto in questione viene sanzionata con la
demolizione del manufatto ed il ripristino dello stato dei luoghi non solo dalla legge n. 47/1985, ma anche dalla precedente legge n. 10/1977.
2.7. Infine l’appellante, nella memoria depositata nell’imminenza dell’udienza, censura la sentenza per la mancata applicazione della sopravvenuta normativa più favorevole, introdotta dal D.LGS. n. 259/2003, art. 87, che (a suo avviso) dovrebbe essere applicato anche alle costruzioni abusive già realizzate, trattandosi di jus superveniens meno restrittivo.
La censura (a parte i profili di inammissibilità per non essere stata dedotta in primo grado) risulta infondata.
Infatti nel 1992 e nel 1993, all’epoca dell’adozione delle due ordinanze di demolizione, la materia della realizzazione degli impianti radiotrasmittenti non era stata ancora regolamentata con la specifica disciplina dettata dal d.lg. n. 259/2003 (c.d. Codice delle Comunicazioni), per cui, secondo la normativa vigente, la realizzazione delle opere necessarie per l’installazione di tale genere di impianti richiedeva il rilascio del titolo edilizio.
2.8. Infine (sempre nella memoria nell’imminenza dell’udienza pubblica), l’appellante deduce l’illegittimità delle ordinanze di demolizione impugnate per carenza di motivazione circa il persistente interesse del Comune alla demolizione dell’impianto, visto che l’impianto è in funzione almeno dal 1980 e che il Comune sarebbe rimasto inerte oltre dieci anni, avendo adottato la prima ordinanza soltanto nel dicembre 1992.
L’argomentazione (a parte gli evidenti profili di inammissibilità in quanto dedotta per la prima volta in appello) risulta, comunque, infondata.
In sostanza gli appellanti deducono che il decorso del tempo potrebbe comportare una sostanziale sanatoria dell’immobile abusivo e che esso comporterebbe il dovere per l’Amministrazione comunale di indicare le ragioni perché per cui ha emanato l’ordine di demolizione, potendo la medesima, dunque, determinarsi anche a non emanare il medesimo ordine.
Non è, però, questo il quadro normativo che disciplina gli illeciti edilizi.
Per tali illeciti il decorso del tempo rileva solo per quanto riguarda la declaratoria in sede penale dell’estinzione del reato per prescrizione, in presenza dei relativi presupposti.
Invece, sotto il profilo amministrativo, si devono applicare il principio di tipicità del provvedimento e quello di legalità.
Come ha più volte rilevato questo Consiglio (Sez. V, 2 ottobre 2014, n. 4892, Sez. V, 26 maggio 2015, n. 2605, alla cui giurisprudenza questa Sezione intende dare continuità), la sanatoria di opere edilizie abusive può essere disposta in sede amministrativa solo nei casi previsti espressamente dalla legge, e cioè:
a) nei casi di c.d. “condono” (già disposti in passato con leggi ad tempus, irrilevanti nel presente giudizio, applicabili solamente a manufatti abusivi realizzati entro una data prefissata dal legislatore e solo in presenza di specifiche e fondate domande degli interessati);
b) nei casi in cui vi può essere il c.d. “accertamento di conformità” ai sensi dell’art. 36 del vigente testo unico sull’edilizia.
Ove non sia applicabile questa tipologia di disposizioni e non risulti accoglibile la relativa istanza dell’interessato, le opere realizzate senza titolo vanno demolite, con le conseguenze previste dalla legge.
In altri termini l’ordinanza di demolizione del manufatto edilizio abusivo, anche se emessa a lunga distanza di tempo dalla realizzazione dell’opera, va motivata esclusivamente con il richiamo al carattere abusivo dell’opera realizzata.
Infatti il lungo periodo di tempo intercorrente tra la realizzazione dell’opera abusiva ed il provvedimento sanzionatorio è circostanza che non rileva ai fini della legittimità di quest’ultimo, sia in rapporto al preteso affidamento circa la legittimità dell’opera (che il protrarsi del comportamento inerte del Comune avrebbe ingenerato nel responsabile dell’abuso edilizio) sia in relazione alla sussistenza in capo all’Amministrazione procedente di un ipotizzato ulteriore obbligo di motivare specificamente il provvedimento in ordine alla sussistenza dell’interesse pubblico attuale a far demolire il manufatto, ove si consideri che, di fatto, la lunga durata nel tempo dell’opera priva del necessario titolo edilizio ne rafforza il carattere abusivo (Consiglio di Stato, Sez. V, 2 ottobre 2014, n. 4892; Sez. V, 11 luglio 2014, n. 3568).
In secondo luogo, nel caso specifico, neppure si ravvisa la dedotta inerzia decennale da parte del Comune di […], in quanto la situazione, nel periodo dal 1980 al 1992, ha avuto una lunga evoluzione: in primo luogo lo stesso appellante riferisce di un procedimento penale e di un rapporto sulle opere abusive redatto dai Carabinieri nel 1987; inoltre l’appellante ha depositato in giudizio un’istanza inoltrata al Comune fin dal luglio 1989 (per chiedere la concessione di un’area comunale su cui spostare gli impianti trasmittenti), in cui riferiva di “colloqui intercorsi negli ultimi anni”; in secondo luogo, poi, la stessa relazione tecnica predisposta per l’appellante nel 2016 (depositata) riferisce dell’introduzione nel 1985 sia del vincolo paesistico connesso all’istituzione del parco dei Monti […] sia del vincolo sismico ad opera di normativa regionale.
2.9. In punto di fatto, peraltro, il Collegio rileva che l’appellante (in allegato alla relazione tecnica sopradetta) ha depositato anche una domanda di sanatoria edilizia presentata nel 2004, ma del cui esito non si ritrova traccia neanche nel giudizio innanzi al TAR Lazio.
3. In conclusione, quindi, l’appello va respinto e, per l’effetto, la sentenza impugnata va confermata con motivazione diversa in parte qua.
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