Corte di Cass., Sez. 2, Sent. n. 1391 del 1998, dep. il 11 Febbraio 1998

[…]

Motivi della decisione.

1. Col primo motivo la ricorrente denunzia violazione dell’art. 1218 c.c. e difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia. Afferma che, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte d’appello, nessuna colpa le poteva essere addebitata, dato che i compratori erano perfettamente a conoscenza della difficoltà di conseguire il permesso di abitabilità, come risultava provato dal fatto che avevano subordinato il saldo del prezzo al rilascio di detto permesso.

La censura è infondata.

Come risulta dalla sentenza impugnata, i primi giudici hanno accertato che la licenza edilizia rilasciata dal Comune di […] alla società […] era stata annullata dalla Giunta regionale con provvedimento n. […] del […] (in epoca anteriore alla scrittura del 16 ottobre 1976 intercorsa tra le parti) essendo stato il fabbricato costruito nella zona E 1 destinata a verde agricolo inedificabile, che i ricorsi amministrativi proposti dalla società erano stati rigettati, che il permesso di abitabilità non era stato mai rilasciato e che le parti avevano convenuto che il prezzo residuo sarebbe stato pagato non appena la società avesse ottenuto il permesso di abitabilità.

Alla luce di questi dati di fatto la decisione della Corte d’appello sul punto investito dal ricorso si presenta corretta, dato che il permesso di abitabilità è un elemento che caratterizza l’immobile in relazione alla sua capacità di assolvere una determinata funzione economico-sociale e quindi di soddisfare i concreti bisogni che hanno indotto il compratore ad effettuare l’acquisto, e che la sola conoscenza da parte del compratore della sua mancanza o dell’improbabilità del suo rilascio, non accompagnata da una rinuncia da parte dello stesso compratore al requisito dell’abitabilità – requisito soddisfatto solo dal rilascio del relativo permesso o dalla sua volontà di esonerare comunque il venditore dal relativo obbligo – non vale ad escludere l’inadempimento del venditore per consegna di aliud pro alio.

2. Col secondo motivo la ricorrente denunzia violazione degli artt. 1453 e 1454 c.c. e mancata applicazione degli artt. 1495 e 1497 c.c., nonché difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia. Assume che la Corte ha erroneamente qualificato contratto preliminare il negozio stipulato dalle parti, mentre trattavasi di contratto definitivo di vendita con pagamento differito del saldo e, per quanto riguarda il preteso inadempimento, di difetto di qualità anziché di aliud pro alio, per cui l’azione doveva essere dichiarata prescritta.

Le censure non possono essere condivise.

Con corretta applicazione dei criteri legali di interpretazione dei contratti (di cui, peraltro, non si denunzia la violazione) la Corte ha ritenuto che la scrittura del 9 febbraio 1974 intercorsa tra le parti racchiudesse un contratto preliminare di compravendita sulla base dell’analisi letterale del testo, fondato sul significato delle parole usate, e del criterio logico della comune intenzione delle parti coordinato al primo su un piano di concorrente importanza; ed ha espresso il suo convincimento in proposito con motivazione sufficiente ed immune da vizi logici: l’accertamento della volontà delle parti in tal modo attuato si traduce in un apprezzamento di fatto istituzionalmente affidato al giudice del merito e si sottrae al sindacato di legittimità.

Per quanto riguarda l’inadempimento, la Corte d’appello ha affermato che l’inesistenza delle condizioni per il conseguimento del permesso di abitabilità, in una situazione caratterizzata da una grave ed insanabile violazione urbanistica, integra la fattispecie della consegna di aliud pro alio, con la possibilità di promuovere l’azione contrattuale di risoluzione per inadempimento ai sensi degli artt. 1453 e segg. c.c. ed il relativo termine lungo di prescrizione. La decisione sul punto si presenta corretta, considerato che la mancanza del permesso di abitabilità correlato alla illegittimità della licenza edilizia, annullata ancor prima della pattuizione sulle modalità di pagamento del saldo del prezzo, non costituisce mero difetto di qualità, ma mancanza di un elemento essenziale dell’immobile destinato ad abitazione, che lo caratterizza – come in precedenza s’è detto – in relazione alla sua capacità di assolvere ad una determinata funzione economico-sociale e quindi di soddisfare i concreti bisogni che hanno indotto il compratore all’acquisto. Come questa Corte Suprema ha già avuto modo di affermare (e tale giurisprudenza si condivide e qui si conferma) nella compravendita di case di abitazioni deve intendersi come implicito il requisito dell’abitabilità legale conseguente al rilascio della relativa licenza comunale quale elemento integrativo dell’identità dell’immobile – a meno che il contrario non sia stato espressamente convenuto tra le parti – di guisa che la mancanza del permesso di abitabilità non per colpevole inerzia della pubblica amministrazione ma in dipendenza del fatto che la costruzione sia stata eseguita in violazione delle norme di edilizia o di igiene, integra la prestazione di aliud pro alio che abilita il compratore a chiedere la risoluzione del contratto a norma degli artt. 1453, 1476 e 1477 c.c. essendo la cosa venduta del tutto inidonea ad assolvere alla sua destinazione economico-sociale e quindi a soddisfare in concreto le esigenze che determinarono il compratore a contrarre (Cass. 5 novembre 1990 n. 10616, Cass. 20 dicembre 1985 n. 6542, Cass. 20 aprile 1973 n. 1141).

3. Col terzo motivo la ricorrente denunzia difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia. Sostiene che la rivalutazione è stata riconosciuta e calcolata senza tener conto che dal 1976 i promissari ebbero il possesso dell’immobile, poi restituito nel 1983).

La censura va disattesa.

La Corte di merito ha espressamente preso in considerazione la doglianza di identico contenuto formulata con il secondo motivo di appello ed ha ritenuto che nessun collegamento esistesse tra la rivalutazione del credito per la restituzione della somma versata ed il godimento dell’immobile, affermando che per quest’ultimo alla società poteva competere una ragione di credito che però nel presente giudizio non era stata trasfusa in una domanda. La decisione si presenta corretta, considerata l’impossibilità d’una compensazione tra ragioni creditorie diverse in mancanza non solo di una domanda di ac

certamento ma anche delle altre condizioni di certezza, liquidità ed esigibilità richieste dalla legge. 4. Col quarto motivo la ricorrente denunzia difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia. Afferma che la Corte ha confermato il rigetto della sua domanda riconvenzionale relativa ai danni subiti dall’immobile omettendo di valutare le prove o mal valutando le stesse.

La censura non merita accoglimento.

La Corte d’appello ha infatti desunto dalle concordi dichiarazioni di quattro testimoni che l’intero fabbricato era diventato praticamente inservibile a causa della totale mancanza di qualsiasi manutenzione, ed ha ritenuto che tale degrado non era dovuto a colpa dei promissari ma ad un comportamento direttamente imputabile alla società promittente, la quale avrebbe dovuto, per impegno assunto in contratto, assicurare la sua conservazione, essendosi essa riservata l’amministrazione condominiale fino ad un anno dopo il rilascio del permesso di abitabilità.

La decisione della Corte, correttamente motivata, si sottrae dunque alla censura contenuta in questo motivo di ricorso, il quale si risolve, per il resto, nell’inammissibile richiesta d’una nuova e più favorevole valutazione delle prove.

[…]