Corte di Cass., Sez. 2, Sent. n. 23157 del 2013, dep. 11/10/2013

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MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Col primo mezzo d’annullamento i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 300 c.p.c., in relazione ai nn. 3 e 5 (rectius, 4) dell’art. 360 c.p.c..

La sentenza impugnata, sostengono, è nulla in quanto pubblicata il 13.3.2012, dopo la cancellazione, avvenuta il 9.2.2012, della società appellante dal registro delle imprese, cancellazione che ai sensi del nuovo testo dell’art. 2495 c.c., determina l’immediata estinzione della società. Deducono, inoltre, che già all’udienza di precisazione delle conclusioni, tenutasi il 25.11.2011, era venuta meno la personalità giuridica della […] s.r.l. per effetto della chiusura dello stato di liquidazione, depositata presso l’ufficio del registro delle imprese il 24.11.2011, senza che il procuratore della società dichiarasse l’evento interruttivo ai sensi dell’art. 300 c.p.c..

1.1. – Il motivo è infondato.

Com’è noto, le S.U. di questa Corte hanno di recente affermato, risolvendo una questione di massima di particolare importanza, che la cancellazione della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società cancellata, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio (con la sola eccezione della fictio iuris contemplata dalla L. Fall., art. 10); pertanto, qualora l’estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dall’art. 299 c.p.c. e ss., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell’art. 110 c.p.c.; qualora l’evento non sia stato fatto constare nei modi di legge o si sia verificato quando farlo constare in tali modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza, pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, atteso che la stabilizzazione processuale di un soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio nel quale l’evento estintivo è occorso (sent. n. 6070/13).

2. – Con il secondo motivo è dedotta la violazione dell’art. 1477 c.c., comma 3, artt. 1490 e 1492 c.c., e del R.D. n. 1265 del 1934, artt. 220 e 221, nonché l’insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto (rectius, fatto) controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

La Corte territoriale, si sostiene, ha disatteso il consolidato orientamento di questa S.C. secondo cui nel caso di vendita di immobile destinato ad abitazione, la mancanza del certificato di agibilità configura un’ipotesi di vendita aliud pro alio, che incide sull’attitudine del bene ad assolvere la sua funzione economico- sociale e sulla relativa commerciabilità, di guisa che anche nel caso in cui il mancato rilascio dipenda da inerzia del Comune, il venditore è tenuto al risarcimento del danno. Fino a quando il certificato non sarà rilasciato, ognuno degli immobili venduti non potrà essere negoziato in alcun modo, sicché la Corte d’appello, pur riconoscendo il principio di diritto per cui la consegna del certificato di abitabilità integra un’obbligazione a carico del venditore ai sensi dell’art. 1477 c.c., e del R.D. n. 1265 del 1934, artt. 220 e 221, attenendo ad un requisito essenziale della cosa venduta, ne ha operato un’errata applicazione, escludendo l’esistenza del danno per la conformità degli immobili al progetto approvato. Nè, infine, prosegue parte ricorrente, la sentenza impugnata motiva le ragioni dell’asserita arbitrarietà del deprezzamento degli immobili stimato dal c.t.u. nel giudizio di primo grado, deprezzamento che invece va ritenuto congruo e rispondente all’effettivo minor valore commerciale e agli esborsi che ciascun ricorrente dovrà sostenere per conseguire quel certificato che la […], in quanto ormai estinta, non potrà più consegnare in adempimento della propria obbligazione.

2.1. – Il motivo è fondato.

Questa Corte ha avuto modo di affermare che la consegna del certificato di abitabilità dell’immobile oggetto del contratto, ove questo sia un appartamento da adibire ad abitazione, pur non costituendo di per sè condizione di validità della compravendita, integra un’obbligazione incombente sul venditore ai sensi dell’art. 1477 c.c., attenendo ad un requisito essenziale della cosa venduta, in quanto incidente sulla possibilità di adibire legittimamente la stessa all’uso contrattualmente previsto (così, Cass. n. 16216/08, la quale, applicando detto principio, ha confermato la sentenza dei giudici di merito che, tenuto conto che non era stato stipulato l’atto definitivo di compravendita, non essendo stato ancora ottenuto dal costruttore il certificato di abitabilità, avevano ritenuto giustificata la sospensione da parte del promittente acquirente del pagamento dei ratei di mutuo, quale legittimo esercizio della facoltà di autotutela di cui all’art. 1460 c.c.).

Ne deriva che nella vendita di immobili destinati ad abitazione, la licenza di abitabilità è un elemento che caratterizza il bene in relazione alla sua capacità di assolvere la determinata funzione economico-sociale negoziata, e, quindi, di soddisfare i concreti bisogni che hanno indotto il compratore ad effettuare l’acquisto. Pertanto, la mancata consegna del certificato di abitabilità implica un inadempimento che, sebbene non sia tale da dare necessariamente luogo a risoluzione del contratto, può comunque essere fonte di un danno risarcibile, configurabile anche nel solo fatto di aver ricevuto un bene che presenta problemi di commerciabilità, essendo al riguardo irrilevante la concreta utilizzazione ad uso abitativo da parte dei precedenti proprietari (cfr. Cass. n. 9253/06). 2.1.1. – La Corte territoriale ha disatteso tale indirizzo, e nell’escludere il danno emergente per la conformità del costruito al consentito, non ha tenuto conto che sul venditore-costruttore incombe l’obbligo non solo di trasferire all’acquirente un fabbricato conforme all’atto amministrativo d’assenso della costruzione e, dunque, idoneo ad ottenere l’agibilità prevista, ma anche di consegnargli il relativo certificato. I giudici d’appello, in altri termini, non hanno considerato che il venditore-costruttore deve curare la richiesta e sostenere le spese necessarie a conseguire il certificato di agibilità, e che il non averlo fatto costituisce un inadempimento ex se foriero di danno emergente, perché costringe l’acquirente a provvedere in proprio ovvero a ritenere l’immobile tal quale, cioè con un valore di scambio inferiore a quello che esso diversamente avrebbe, a prescindere dalla circostanza che il bene sia alienato o comunque destinato all’alienazione a terzi. 3. – Per quanto sopra, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Catania, che nel decidere il merito si atterrà al seguente principio di diritto: “il venditore-costruttore di un bene immobile ha l’obbligo non solo di trasferire all’acquirente un fabbricato conforme all’atto amministrativo d’assenso della costruzione e, dunque, idoneo ad ottenere l’agibilità prevista, ma anche di consegnargli il relativo certificato, curandone la richiesta e sostenendo le spese necessarie al rilascio. L’inadempimento di quest’ultima obbligazione è ex se foriero di danno emergente, perché costringe l’acquirente a provvedere in proprio ovvero a ritenere l’immobile tal quale, cioè con un valore di scambio inferiore a quello che esso diversamente avrebbe, a prescindere dalla circostanza che il bene sia alienato o comunque destinato all’alienazione a terzi”.

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